Abnegazione

   Non vi fu esitazione nel suo gesto: nessun attimo concesso a ripensamenti, né prima né dopo. Con la semplicità e naturalezza con cui i suoi polmoni respiravano, il suo corpo si era frapposto tra Sora e l’oscurità che minacciava di portarlo via con sé e di privare così il suo mondo della luce più splendente.

   Il keyblade in alto, le gambe salde a terra; era irremovibile.

   Lo aveva fatto non perché fosse il suo compito, o un suo dovere; aveva agito semplicemente perché così aveva dettato il suo cuore con una sicurezza che raramente aveva mostrato. Stabile, certo delle sue scelte ed disinibito nell’intraprenderle, non minacciava di assordarlo con i suoi battiti. Al contrario, accettava la sua fine senza paura – ma neanche con orgoglio. Il suo d’altronde non era un sacrificio, un gesto egoistico dettato dal desiderio di riscatto e rivalsa.

   «Sora…»

   Il suo era amore: un sentimento caldo ed avvolgente, tenue e soffice come i profumati raggi di luce di una fresca mattina nel loro mondo, a casa loro. L’amore gli aveva insegnato molto, in quegli anni, ma la lezione più preziosa era quella di dargli ascolto, senza temere il suo lato più profondo ed oscuro – la paura, l’invidia, l’ossessione. Aveva compreso che per quanto fossero buie le profondità del suo cuore, esse non erano altro se non il deprimente e spoglio riflesso di una luce brillante ed ardente.

   Una pallida e fredda replica dell’amore, appunto. Ed era stato Sora a farglielo comprendere.

   «Lo so. »

   Era stato quel sorriso spensierato ed ingenuo ad illuminare la sua vita. Erano state la purezza e la dolcezza di quei grandi occhi blu a scaldargli il petto. Erano state quelle mani delicate ad abbracciarlo, il suo profumo fresco, i suoi capelli sbarazzini, la risata fragorosa eppure delicata, le parole dolci, le guance rosee, il naso, le lentiggini, il—

   «Credo in te.»

   Era stato Sora.

   Le forze iniziavano a svanire, la luce attorno a lui a farsi più fioca e tiepida. Eppure non aveva paura, e questo non perché fosse abituato all’oscurità o perché non gli importasse della sua vita, ma perché aveva una certezza, sapeva: Sora ce l’avrebbe fatta. Come solamente lui avrebbe potuto fare, si sarebbe rialzato e avrebbe sconfitto ogni oscurità, persino la più dolorosa e crudele.

   Con questa consapevolezza a guidarlo ed un ultimo lamento del suo corpo stanco, mentre il buio faceva capolino su di lui per schiacciarlo e farlo sprofondare, si voltò. La luce spazzò via ogni ombra, seppur per un solo attimo.

   «Non ti arrenderai.»

   “Addio, Sora.”