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Autore: Afaneia    27/12/2018    2 recensioni
A battaglia finita, Link cavalca per tre giorni portando tra le braccia una Zelda spossata ed esausta, semisvenuta.
Dopo la sua prima fuga a Daccapo, Link ha finalmente sconfitto la Calamità Ganon che si annidava nelle profondità del Castello e riportato la pace su Hyrule. La principessa è salva, ma ora che non ci sarebbe più nulla a legarlo al suo passato di cento anni addietro ed egli sarebbe finalmente libero di scegliere da solo la strada da percorrere e di porre risposta a quelle domande che era stato finora costretto a posticipare, Link si rende conto che le cose non sono così semplici.
È una fortuna che si ricordi di avere un amico al Villaggio degli Zora.
[Fanfiction basata sulla trama di Breath of the Wild, sequel di Daccapo ma leggibile anche in modo indipendente.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Link, Princess Zelda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di fughe e di ritrovato coraggio'
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Ciao a tutti!

Mi dispiace veramente tanto aver impiegato tanto ad affrontare questo capitolo. Stavolta non si è trattato, purtroppo, soltanto della mia abituale e abominevole lentezza: una delle cause principali del mio ritardo è legata a un lutto che ha colpito il mio nucleo familiare, e dal quale non penso che mi riprenderò mai del tutto. Questo capitolo parla di morte, e ho avuto bisogno di qualche settimana per accettare di tornare a parlare di questo argomento; e quando mi ci sono dedicata, ho scoperto che la mia sensibilità al riguardo è cambiata totalmente. Per questo motivo il capitolo non è come avrei desiderato scriverlo all'inizio, e probabilmente non è uno dei miei pezzi migliori. Ma ve lo posto così com'è venuto, nell'unico modo in cui avrei mai potuto scriverlo in questa fase della mia vita.

Come al solito, il betaggio è tutta opera di Fiulopis, che tra una cena di compleanno e un banchetto di Natale è riuscita anche a porre rimedio a qualcuno dei miei abominevoli errori!

Con un ringraziamento enorme quanto doveroso a Miryel e a An13Uta per le loro splendide recensioni, non posso che augurarvi una buona lettura!


Afaneia



Capitolo secondo – Suture.


Carica forte la bestia,

punta diretta al cuore del mago

che trema impaurito e impotente

come un aquilone nel vento senza spago,

come un aquilone che vola senza spago.

Arriva infine la bestia e trafigge il mago al cuore,

che muore travolto ma felice,

perché la bestia si chiama amore,

perché la bestia si chiama amore.


Il Mago Annoiato, Il mago e il mutaforma.



Quando va a Daccapo, Link non scende mai direttamente dal santuario più vicino fino al centro del villaggio. Probabilmente sarebbe facile: calcolando la traiettoria, la via più diretta sarebbe proprio quella di planare dolcemente in quella direzione, e un paio di volte l'ha fatto, naturalmente, e ha concesso a se stesso di guardare il lago spumeggiare sotto di lui e tingersi del tono del cielo, mentre lui lo sorvolava come un uccello. Ma questo non è il suo genere, non per Daccapo, quantomeno, ch'egli ha giurato di proteggere a qualsiasi costo.

Link raggiunge il crinale che sovrasta il villaggio verso il tramonto, ch'egli vede riflettersi nella superficie lucida delle armi che porta appese alla sacca, ma non vi si dirige immediatamente. Per qualche minuto, Link si limita a stagliarsi contro il pendio erboso, scrutando col cannocchiale il villaggio che freme di vita e i suoi dintorni tormentati: ci sono dei boblin nei pressi del tempio, come al solito. È come si era aspettato, conclude tra sé riponendo il cannocchiale: ora che la Calamità è sconfitta e ha cessato di esercitare i suoi malefici influssi su Hyrule, quelle bestie sono come impazzite e hanno finito per assieparsi in grandi gruppi soprattutto là dove hanno maggiori speranze di trovare nutrimento e di che menare le mani, cioè nelle vicinanze dei centri abitati. Ci vorrà del tempo per ripulire le lande da questi mostri, conclude Link tra sé – ma per la prima volta da quando si è svegliato, il tempo non gli manca. Arriverà stanotte al villaggio: per le prossime ore, la sua meta è quel gruppo di mostri che ha intravisto. Stava giusto cercando un po' di materiale da scambiare con Kilton.

Naturalmente non può affrontare un corpo a corpo, non in questo momento: il suo corpo è troppo esausto dopo lo scontro con Ganon ed egli non può permettersi di tendere le ferite dolorosamente ricucite. Probabilmente non sarebbe neppure qui se solo non fosse sfuggito nottetempo all'inflessibile sorveglianza degli abitanti di Calbarico; ma restare a letto per giorni a leccarsi le ferite non era proprio il suo stile – e poi, c'è Mipha con lui, ed egli sente l'ardore del suo spirito aleggiare su di lui, e riesce quasi a percepire l'oscuro invisibile lavorio della pelle che lavora per ricucire e connettere i tessuti... Le ferite guariranno presto, ed egli conosce sufficienti ricette in grado di anestetizzare il dolore che prova. Ma di star fermo ad aspettare che i mostri assaltino il suo villaggio proprio non se ne parla. E poi, Link ha sufficiente buona mira da poter star seduto su un'altura a dominare dall'alto la situazione e scatenare il panico tra i mostri, senza neppure bisogno di sporcarsi le mani. Le sue mani tremano per un solo istante quando tende l'arco Aquila – ma perché, poi? Possibile che quell'arco voglia dire tanto per lui?

È quasi contento d'aver qualcosa da fare per trascorrere le ore che lo separano dalla notte: non voleva arrivare al villaggio di giorno. Non perché non si senta a suo agio. Link ormai conosce bene tutta questa gente che a poco a poco si è trasferita a Daccapo e si è creata una nuova vita, per averla aiutata e soccorsa quando aveva bisogno di lui – ma ora che la Calamità è vinta, Link non vuole che lo ringrazino. Tutto ciò che vuole è parlare con Miceda, e sa benissimo dove trovarlo senza alcun bisogno di cercarlo.

Link flette verso di sé il braccio della freccia, socchiude un occhio e dà inizio alla sua carneficina.


Per avervi abitato anche lui per qualche giorno della sua vita, Link conosce questo edificio ormai troppo bene, e sa bene come avvicinarvisi di soppiatto dall'esterno del villaggio, senza che nessuno possa vederlo. Le luci sono ancora accese al piano di sotto, quando Link si avvicina in silenzio alla finestra strisciando contro a parete: Miceda e Pauda devono aver appena finito di cenare. La tavola è ancora apparecchiata, un poco in disordine, ed egli vede le spalle robuste di Miceda che racconta animatamente qualcosa e Pauda che ascolta e ride mentre cuce un qualche indumento che ha posato sulle ginocchia.

Beh, quantomeno non sta interrompendo niente. Link solleva cautamente la mano e batte piano col pugno chiuso su vetro per richiamare l'attenzione.

L'urlo di Pauda strozzato dalla sorpresa si tramuta in una risata non appena lo riconosce, ed ella continua a ridere di una risata cristallina e aperta, a gola spiegata, mentre corre ad aprirgli la finestra. «Tu sei tutto matto, Link! Ma si può sapere perché non usi la porta come tutti gli altri? Qui nessuno chiude a chiave, lo sai...»

«Ciao, Pauda» risponde Link sorridendo mentre si lascia scivolare attraverso il vano della finestra sul pavimento. «Non volevo che il villaggio si spaventasse vedendo un'ombra... ehi, Miceda.»

Quando Link lavorava a Daccapo, Miceda era un uomo enorme e scettico, rude e laconico come un saggio dei tempi andati: l'uomo che ora si è alzato da tavola per venirgli incontro è ancora enorme e scettico, rude e laconico, ma ha la barba ben fatta e i vestiti perfettamente rammendati. Beh, a quanto pare il fidanzamento ha fatto bene persino a lui.

Ma prima ancora d'esserglisi appressato, gli occhi di Miceda si fanno d'un tratto più grandi e inquieti, colmi d'apprensione, ed egli si ferma bruscamente e borbotta: «Link. Sei ferito.»

«È solo un graffio» risponde Link come al solito, ed è quasi la verità. Ha condotto tutto lo scontro senza neppure avvicinarsi ai boblin, acquattato tra due rocce a prender la mira, scoccare e ricaricare con la massima calma e il minimo spreco di energie. Quelle bestie erano tanto stupide che a malapena sono riuscite a individuare la provenienza dei suoi dardi, ma uno di loro è comunque riuscito a saettare una freccia nella sua direzione, prima di morire. L'ha colto impreparato, questo è vero, ma la freccia gli ha trafitto la spalla senza penetrare troppo in profondità. Link l'ha strappata via e si è fasciato alla meglio con un brandello di tela, ma nell'attesa che il potere di Mipha medichi le sue carni non ha potuto fare nient'altro, e ora la ferita sta sanguinando. Ma quando Link si getta un'occhiata addosso si accorge che non è solo quella ferita a sanguinare, ma che anche quella all'inguine, forse la più grave che abbia riportato nel suo scontro al castello, sta spurgando gocce di sangue e siero attraverso le suture.

Miceda ha capito, naturalmente: quest'uomo è troppo esperto del mondo e anche di lui per non sapere che cos'ha combinato. Mentre Pauda si precipita a prendere qualcosa per medicarlo, perché questa donna nutre un sacrosanto orrore del sangue e delle ferite, Miceda lo scruta severamente e chiede a bassa voce: «Dove hai combattuto?»

«Qua, al tempio abbandonato, lo sai, no... dove si annidano sempre i boblin. Non hanno ancora capito che in questo modo so già dove trovarli.» Ma questo non è evidentemente quello che Miceda voleva sentirsi dire, e la seria imperiosità del suo sguardo lo riconduce immediatamente all'obbedienza. Miceda gli ha fatto la cortesia di fingere di credere alle sue fandonie anche troppe volte, e ora non si può più fare finta di nulla.

«Hai combattuto al castello?» indaga Miceda autorevolmente. «La foschia rossa non c'è più e i colossi sacri sembrano acquietati. È opera tua, questa? È questo che hai fatto quando non eri qui?»

Prima ancora di fare in tempo a formulare una risposta, se non esaustiva, quantomeno ragionevole, Link si ritrova denudato della tunica e riesce a malapena a tenersi addosso i pantaloni mentre Pauda lo trascina a sedere sul bordo del tavolo e comincia a sterilizzare un ago alla fiamma di una candela. Link lo sa che lo sta facendo per il suo bene, ma non può fare a meno di storcere le labbra: odia essere ricucito. Preferirebbe aspettare che fosse la preghiera di Mipha a guarirlo, ma Pauda ha ragione: così facendo guarirà più in fretta.

«Ho combattuto al castello» ammette concisamente, lasciando che siano quelle poche parole a caricarsi di tutto il significato del gesto. Si concede di sorridere per un attimo prima che l'ago trapassi la sua pelle e il dolore improvviso, pungente, lo faccia irrigidire sul tavolo. Poterlo dire ad alta voce, anche se soltanto nella cucina umile di un villaggio sulle sponde di un lago, seduto a farsi disinfettare le ferite col vino e ricucire con filo di seta da una sarta Gerudo, lo rende un po' meno malinconico. Non voleva forse la pena di sacrificare se stesso per poter donare al mondo e a questa gente una Hyrule rinnovata? «Hyrule è salva, ora. Questa è l'ultima generazione di mostri. Quando avremo sconfitto loro, la nostra gente non avrà più nulla da temere.»

«Eri solo tu a non crederci, Miceda!» lo rimbrotta Pauda gettandogli un'occhiataccia al di sopra della spalla nuda di Link, prima di rivolgersi a lui. «Tutto il villaggio si chiedeva se veramente il castello fosse stato liberato, e ora finalmente sappiamo che sei stato tu. Io lo sapevo, comunque. È da quando sei venuto a cercarmi nel deserto vestito da donna che sapevo che avresti fatto grandi cose. Ma perché non sei venuto da noi di giorno, Link? La Calamità è sconfitta, il villaggio vorrà festeggiarti...»

«Forse è per questo che non è venuto di giorno, Pauda» la interrompe eloquentemente Miceda, e Pauda, come accorgendosi della sciocchezza di quanto ha detto, ammutolisce d'un tratto e non risponde. Lei non lo conosce bene quanto Miceda, che durante gli umili giorni di Daccapo ha assistito allo svolgersi del viluppo dei suoi dubbi e dei suoi tormenti, ma anche lei comincia a capire quale peso porti sulle sue spalle la responsabilità della salvezza di Hyrule, e non commenta più.

«Grazie, Pauda, ma non voglio festeggiamenti. Dico davvero. Sono passato solo ad accertarmi che steste bene e che tutto filasse liscio, e poi anche per chiedervi del vostro matrimonio...»

Le mani di Pauda che s'inseguono sulla sua pelle hanno un'esitazione improvvisa della quale Link è grato, dato che corrisponde a una minuscola pausa della sua tortura, e questa strana inusuale coppia si scambia un tacito sguardo significativo.

«Hai tante cose a cui pensare, Link» risponde pazientemente Miceda. «Il nostro matrimonio dev'essere l'ultimo dei tuoi pensieri. Forse non avrei neppure dovuto fartene parola...»

Del suo fidanzamento in effetti Miceda gli ha parlato quasi per caso, una sera in cui Link è capitato a Daccapo esausto e ferito, in cerca di un luogo in cui pregare. Mentre gli preparava qualcosa da mangiare, per distrarlo e tenerlo occupato nell'attesa, gli ha chiesto, tanto per parlare, se avesse per caso incontrato in tutti i suoi viaggi un sacerdote che officiasse matrimoni. Link ha gioito e si è congratulato e lo ha subissato di domande e gli ha promesso che avrebbe cercato, ma poi Miceda non gliene ha più fatta parola. Quest'uomo che un tempo non lo credeva capace neppure di sopravvivere agli Yiga o di discendere dall'Altopiano delle Origini a un tratto si è convinto ch'egli davvero doveva salvare Hyrule, e ha deciso che non doveva esserci nulla in grado di frapporsi a questo obiettivo. Della sua pazienza Link gli è stato molto grato, ma ora quel tempo è finito; e che cosa può esserci di più bello al mondo che celebrare la nuova era con un matrimonio?

«Invece è proprio quello di cui intendo occuparmi al momento» ribatte Link con convinzione. Pauda riprende il suo lavoro sulla sua spalla, ma più dolcemente ancora, ed egli sente la carezza della sua fresca mano affettuosa tra i capelli. Anche Pauda, come Miceda, non è il tipo da lasciarsi troppo andare alle parole, ma proprio di questa carezza silenziosa e universale che vuol dire grazie in tutte le lingue del mondo Link le è indicibilmente grato. Farsi ricucire fa improvvisamente un po' meno male. «Vorrei un consiglio da voi, però. Non sono certo di sapere dove trovare un sacerdote, non mi intendo molto di queste cose.»

O meglio, sa benissimo dove trovare una certa principessa che è forse la persona più vicina al rango di divinità presente al mondo – ma è alquanto certo che Miceda lo riterrebbe un po' esagerato per un piccolo matrimonio in in un neonato villaggio sperduto. E poi chissà se Zelda saprebbe officiare un matrimonio.

Miceda appare ancora combattuto all'idea di approfittare del suo aiuto. «Beh... se vuoi cercare la gente sacra devi andare tra gli Zora, credo. O almeno mia madre diceva sempre così.»

Gli Zora, già. È dall'Ira dell'Acqua che Link non torna al loro Villaggio, forse solo per la presenza di Sidon e le eccessive aspettative ch'egli si sente gravare sulle spalle; ma ora che tutta questa storia è finita, Link si rende conto di quanto puerile e vigliacco sia stato il suo atteggiamento. Forse Sidon avrebbe potuto aiutarlo se glielo avesse chiesto.

«Beh, speriamo che tua madre avesse ragione, allora» ribatte sforzandosi di sorridere. «Posso partire domani. Ho un vecchio amico là, e anche qualche affare da sbrigare...»

«Hm, già. Tu hai sempre amici dappertutto, eh?» Ma lo sguardo che Miceda gli rivolge è sospettoso e poco convinto e Link neppure si sforza più di provare a fingersi allegro. Con Miceda non c'è modo di farla franca. «Pauda, perché non vai di là a scaldare un po' di quello stufato che è avanzato ieri? Questo ragazzo è sempre più magro ogni volta che lo vedo. Non sembra anche a te?»

Pauda è troppo intelligente e ricettiva per non capire che cosa cerchi esattamente Miceda. Riflettendo a voce ostentatamente alta che lo stufato sarà sicuramente freddo e che ci vorrà un po' a scaldarlo, Pauda scompare in cucina chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.

Una volta che sono rimasti soli nella stanza principale, Miceda lo guarda severamente, gli versa un bicchiere di vino ed esordisce: «E così ce l'hai fatta. Hai salvato Hyrule, eh?»

Link beve lentamente un sorso di vino, più per non sembrare un ragazzino che perché ne abbia voglia, e gli fa cenno di sì col capo. «Una specie.»

«Che vuol dire una specie? La Calamità l'hai sconfitta, sì o no?»

A Link fa male ripensare a quel giorno, in realtà. Non è come si potrebbe pensare. Quando pensa all'eroe di Hyrule, la sua mente corre istintivamente a un'immagine che forse conosce per averla vista in un libro o in un quadro, in una qualche vita passata – quella di cento anni fa o in una di quelle che non ha conosciuto mai, la vita di uno dei tanti eroi che si sono avvicendati nel tempo per salvare Hyrule: un eroe bello e coraggioso e tenace, privo di dubbi e di esitazioni, che cavalca verso il sole scagliando frecce contro l'orizzonte e percorre di corsa l'infinita scala a chiocciola di un castello per andare ad affrontare il nemico; ed è una bella immagine, questa, ma per lui non è stato così.

Di quel giorno Link non ha nulla di cui andare orgoglioso. Ha corso e strisciato come un verme contro i muri e sui tetti, nel sotterraneo del palazzo, nascondendosi col cuore che batteva da quel ragno mostruoso e dai suoi colpi mortali, e ha colpito alla cieca sperando di trafiggerlo e ha sentito la spada affondare sino all'elsa nella massa flaccida e nauseabonda del corpo del ragno, e a ogni affondo ha provato timore di non riuscire a tirarla fuori e di trovarsi disarmato e inerte di fronte al nemico, coperto di sangue marrone e pus; e questa è stata la parte gloriosa della battaglia. Ma quando si è ritrovato fuori, a fronteggiare l'enorme cinghiale mostruoso che incalzava sul prato, col cavallo che gli scapitava tra le cosce e minacciava a ogni momento di disarcionarlo, qualcuno al vederlo avrebbe davvero potuto credere che fosse un eroe? Quando a un tratto si è trovato disteso al suolo col capo che gli martellava, a frugare nell'ombra colle mani per ritrovare l'arco che gli era sfuggito durante la caduta e a scagliare addosso a Ganon erba e sassi e zolle di terra per guadagnar tempo, e a pregarlo di morire subito, immediatamente – e se solo in quel momento non ci fosse stato Revali...

Se Hyrule l'avesse visto in quel momento, non lo crederebbe mai un eroe. Provando vergogna di come ha vinto, Link si limita a scrollare un poco le spalle e risponde: «Questa volta sì. È finita davvero, credo.»

Dopo averlo soppesato per un po' con aria scettica, Miceda aggrotta la fronte e commenta: «Stai facendo i salti di gioia, eh?» Ma non c'è alcun sarcasmo nella sua voce, e Link percepisce la domanda implicita nelle sue parole; ma in questo momento, per quanto gli piacerebbe, non sa esattamente cosa rispondergli. Non si sente in grado di replicare alla franchezza del suo sguardo, perciò guarda altrove: fuori della finestra, il villaggio è addormentato e l'aria è quieta e silenziosa. C'è un buon profumo.

«Ti ricordi quella casa di cui abbiamo parlato quando sei andato via?» riprende cautamente Miceda. Sta sorridendo appena, si rende conto Link quando si volta a guardarlo. «Sei ancora del parere che ti andrebbe di costruirla?»

Link ha pensato a quella casa per tutto il tempo in cui ha vagato per Hyrule per riconquistare i Colossi Sacri e i propri ricordi, forse perché era l'unico vero pensiero che fosse in grado di proiettare dopo la fine di Ganon. Quando si soffermava a osservare il mondo dall'alto di una roccia, Link non era in grado di figurarsi come sarebbe stata Hyrule una volta libera, ma era certo che ci sarebbe stata una casa per lui, da qualche parte; ma solo ora egli si rende conto di quanto sia stato ingenuo da parte sua anche solo credere che tutto si sarebbe risolto dopo la sua vittoria. Quella serenità che credeva che avrebbe raggiunto così era un miraggio tanto bello e irreale ch'egli si vergogna d'aver concesso a se stesso di credervi anche solo un momento. Link è inquieto e spaventato esattamente come il giorno in cui è scappato a Daccapo per la prima volta. Non ha risolto niente, il Sacrario della Rinascita è ancora l'unica casa ch'egli mai potrà avere; e ora che Ganon non c'è più persino affannarsi a cercare una soluzione sembra inutile.

Stringendosi nelle spalle, Link scuote un poco il capo e sorride tristemente all'idea di quella casa egli ha associato ogni sua speranza di serenità per il futuro, ed egli è ancora troppo confuso per poterla realizzare.

«Non oggi. Dopo il matrimonio, magari» risponde semplicemente e Miceda annuisce soltanto. Non 'è bisogno d'altro tra di loro.

«Bene così. Il posto c'è, lo sai, e io sono pronto a iniziare quando vuoi. A meno che non ti secchi esser mio vicino di casa» aggiunge molto seriamente, e Link ride.

«Me ne farò una ragione» promette sorridendo; ma quando volge il capo verso la finestra e torna a osservare il villaggio che dorme e si rigira pigramente nel sonno tra la nebbia del lago e il pallido fumo, d'un tratto egli prova inspiegabilmente una gran nostalgia. Di quando Daccapo ancora non esisteva del tutto, e sulle sponde del lago, di notte, egli vedeva soltanto la lunga strada silenziosa dei barbagli di una luna rossa che si specchiava nelle acque, e il suo cuore contemplava dolorosamente in quella calma e in quel silenzio come sul principio di un abisso. Vorrebbe davvero non esser schiavo di questa contraddizione, Link, che si ritrova a vagheggiare il sospiro delle terre selvagge nel cuore di un villaggio, e che pure tuttavia, per tutta la vita ch'egli ricorda, non ha fatto che vagheggiare di trovare un posto al quale appartenere, e che ha costruito e amato con tutte le sue forze un villaggio nel quale non riesce in alcun modo a trovar pace. «Daccapo sta diventando grande, eh?»

Quando guarda il loro villaggio Miceda non vede quello che vede lui, come non l'ha mai visto neppure quando si affannavano a spaccare pietre in una distesa di sterpaglia ed erba secca e rocce. Ciò che vede quest'uomo, quando si affaccia dalla finestra della casa che ha eretto con le proprie mani, è il lavoro ben compiuto e soddisfacente di un artigiano che può finalmente fermarsi a tirare il fiato, e sedersi con legittima soddisfazione a contemplare il frutto delle proprie fatiche, che avrà sempre bisogno di limature e manutenzione, certo, ma sul quale egli può posare la mano, la sera, come su una cosa proprio finita. Per questo motivo Link è contento che Miceda non abbia colto quella vena di malinconia che la sua voce ha tradito per un attimo: quando punta lo sguardo nella direzione del suo, Miceda gli appare enormemente sereno.

«Oh, sì, e ora che tutto sta funzionando a meraviglia arriverà ancora più gente, credimi. Anche il signor Cerada è molto soddisfatto di come sono andate le cose e sta progettando di espandersi ancora... verso le terre dei laghi, credo, ma non ne sono certo. Me lo ha accennato in una lettera di un po' di tempo fa, e comunque non sarei io a occuparmi di quella succursale. Mi trovo bene ad Akkala, ormai.»

Il suo pensiero corre immediatamente al biglietto che ha lasciato per Zelda nella casa di Impa: Link annuisce quasi meccanicamente.«Ci sarà molto da costruire, ora che la principessa è tornata» mormora tra sé e sé, quasi meccanicamente; ma stavolta Miceda non indaga più di così.

«Tu hai bisogno di dormire un po', ragazzo mio» sentenzia in un tono che non ammette repliche, levandosi dal tavolo una volta per tutte.«Perché non vai di là a vedere se lo stufato è pronto, mentre io vado a prepararti un letto per dormire?»


Ogni volta che torna a Daccapo, per quanto questo posto gli piaccia e tutti lo trattino con affetto e corrano a salutarlo con una familiarità colma di gratitudine che non cessa mai di stupirlo, Link non riesce mai a soffermarvisi per più di qualche giorno. È andata così anche stavolta. È rimasto a casa di Miceda per tutto il tempo che è stato in grado di resistere, a farsi viziare e ingozzare da Pauda e a studiare insieme a Miceda il lotto e il progetto della sua futura casa, aspettando con pazienza che le ferite sul suo corpo si richiudessero definitivamente e che il potere di Mipha agisse su di lui con l'ardore di una preghiera; ma poi il suo cuore ha ricominciato a scalpitare d'inquietudine e d'impazienza.

Ha capito di dover ripartire quando un messo degli Sheikah è arrivato al villaggio cavalcando di gran carriera per annunciare a gran voce qualcosa che già si sapeva e qualcosa che invece si vociferava soltanto: che Hyrule è libera per sempre dall'influenza della Calamità, che il Campione di Hyrule ha trionfato sul male con l'aiuto dei Colossi Sacri e della Spada che esorcizza il male, e infine che la principessa Zelda rediviva ha fatto ritorno al castello dei suoi antenati e da lì ricostruirà una Hyrule più salda e più forte con l'aiuto di quanti vorranno unirsi a lei.

Link non ci teneva a incontrare il messo Sheikah. È rimasto ad ascoltare il suo annuncio dall'alto, appollaiato sul tetto della casa di Miceda, col capo coperto sotto il mantello Hylia per nascondere i suoi capelli biondi. Ascoltare senza essere visto gli pareva molto più opportuno.

Dunque Zelda non ha penso tempo, ha pensato sorridendo appena. Deve aver lasciato il Villaggio Calbarico non appena ne è stata in grado, e dopo cento anni trascorsi a trattenere Ganon non ha concesso a se stessa neppure un minuto più dello stretto necessario. La sua devozione a Hyrule è sempre stata così, totalizzante e coinvolgente, e se fosse rimasta con le mani in mano probabilmente sarebbe impazzita. Zelda ha bisogno di salvare Hyrule e lo farà sempre, esattamente come un tempo, cento anni fa, tentava di colmare con studi ed esperimenti quello che non era in grado di fare con la preghiera.

Quanto a lui, è alquanto evidente che le cose non sono tanto semplici.

C'è stato qualcosa che gli ha impedito di restare ancora dopo aver udito questo annuncio. Ancora avvolto nel suo mantello, Link si è calato dolcemente dal tetto, ha raccolto tutte le sue cose, ha deposto sul tavolo un mazzo di fiori a mo' di ringraziamento per la futura sposa e poi ha lasciato Daccapo in silenzio, senza salutare nessuno, così com'era arrivato. Planare nell'aria con la paravela così gli piace molto, gli è piaciuto sempre sin da quando per la prima volta si è gettato dall'Altipiano e ha attraversato lo spazio credendo di morire, col vento che gli sferzava gli occhi facendoli lacrimare e le braccia che urlavano per lo sforzo dopo un coma di cento anni.

È diretto verso il villaggio degli Zora, certo, ma non è precisamente quella la sua prima tappa. Un po' di tempo fa, certo non più di un paio di mesi, Link ha sentito dire da una Zora che pernottava come lui allo stallaggio del Bosco che il principe Sidon era stato investito da suo padre dell'incarico ufficiale di vigilare sul bacino idrico, per prevenire possibili attacchi di mostri ora che la pioggia si era acquietata e perciò non metteva più in pericolo la valle, ma contemporaneamente lasciava i bacini più esposti a eventuali attacchi. Link è stato contento per Sidon, dato che certamente questo voleva dire che il re suo padre aveva deciso di dargli più fiducia e responsabilità, ma anche e soprattutto perché in questo modo avrebbe avuto qualche occasione per menare un po' le mani. Sidon è nato principe ma ha l'animo del soldato, e di restare fermo alla corte del padre a discutere cogli anziani e a preoccuparsi dei raccolti non sarebbe capace mai. È da lui che sta andando, ora.

La via più rapida per raggiungere il bacino proveniendo da Daccapo è quella di risalire le cascate che precipitano dall'altipiano, per poi proseguire verso sud-est. È un viaggio di un giorno e mezzo a dir molto, a patto di conoscere i sentieri giusti e di non imbattersi in frotte di mostri che lo trattengano, e Link se la prende comoda e viaggia con calma.

Da quando la fata del Nume Equino gli ha fatto dono di questa meravigliosa sella Sheikah di cui ha impiegato un po' a comprendere il funzionamento, Link può farsi raggiungere dal suo cavallo quasi ovunque, perciò egli s'inerpica sull'Altipiano, richiama Draphen con la tavoletta Sheikah e si concede un po' di tempo per salutare il suo cavallo come merita. Al villaggio Calbarico, là dove Link l'aveva lasciato a riprendersi, l'hanno trattato come un principe, ma Draphen è ugualmente contento di vederlo.

Link percorre la distanza che lo separa dal bacino a cavallo, lentamente, godendosi il vento e l'odore del mare e il panorama del sole che sorge sul mare e proietta una sua invalicabile strada sulle acque in direzione dell'alba; non ha fretta, oggi. Link cavalca a passo d'uomo lungo i sentieri scoscesi e ripidi che s'inerpicano ai fianchi della montagna e le carrarecce ormai erose dal tempo e dall'inutilizzo, e talora scende da cavallo e s'inoltra da solo tra gli sterpi e la boscaglia.

Quando s'avventura tra gli alberi così, a piedi, camminando piano tra le sterpaglie e il fogliame senza produrre il minimo rumore, per il solo gusto di poter spiare tra le fronde lo straordinario spettacolo di un cerbiatto che si attacca alle mammelle della madre che pascola placidamente, Link si sente di nuovo come si sentiva in quei giorni lassù, sull'Altipiano delle Origini, quando del mondo non conosceva altro che il proprio nome e un orizzonte sconfinato che si estendeva troppo lontano perché egli potesse raggiungerlo.

Sarei dovuto restare là, pensa talvolta, quando si trova immobile nel folto degli alberi, e una danza ondeggiante di raggi di luce, filtrati e modulati dalle fronde frementi sopra il suo capo, disegna sulle sue mani un vello maculato dai raggi di sole come quello di una nebride, ed egli osserva le sue cicatrici accendersi e puntinarsi d'oro in questa luce e in questa pace. Socchiudendo gli occhi riesce quasi a illudersene, e per qualche istante, nel buio delle palpebre chiuse, egli si sente di nuovo là, e percepisce sulla pelle la sensazione ruvida e scomoda dei vecchi abiti di cotone grezzo che gli lasciavano le caviglie scoperte ed esposte alle ortiche e agli insetti e gli tiravano fastidiosamente sui gomiti. Ricorda d'essersi sentito umiliato, un tempo – al tempo della sua fuga e del suo esilio a Daccapo – al pensiero d'esser stato abbandonato su un Altopiano, solo, senza alcuna spiegazione e con nient'altro che vecchi abiti dismessi a coprirlo; ma quel tempo è passato, ora. Ora che il suo scontro con Ganon ha posto tra lui e il mondo che lo circonda il filtro di una sofferenza troppo grande e di una rinnovata maturità, e soprattutto ora che i suoi ricordi ritrovati gli hanno dato una consapevolezza troppo acuta di ciò che è accaduto nei cento anni che hanno preceduto il suo risveglio, Link è ormai troppo distaccato da quella persona per potersene ancora risentire; e ora che conosce tutto e che tutta Hyrule non cela più un solo luogo ch'egli non abbia esplorato, egli si sorprende di provare nostalgia di quei giorni in cui viveva come un selvaggio e s'appostava nel bosco anche per ore per cacciare un cinghiale e avere di che cenare quella sera – e la sua fame era tale che mangiava bocconi di carne cruda mentre aspettava che cuocesse e ghiande asprigne che legavano la lingua. Era l'infanzia della sua vita, quella, giorni in cui si sentiva solo e abbandonato e il mondo lo sgomentava perché gli appariva infinito – e la carne cruda lo nauseava e le ghiande sapevano di selvatico, eppure egli ne voleva ancora e ancora e ancora e continuava a mangiarne perché la sua fame era troppo grande ed egli non sapeva quando avrebbe mangiato ancora!

Si sorprende di provare nostalgia di quei giorni in cui viveva come un selvaggio, cacciando ed esplorando e sforzandosi d'immaginare come funzionasse il mondo attorno a lui, e ignorava che tutto al di sotto di lui, in quella piana sconfinata ch'egli vedeva estendersi a perdita d'occhio, esistesse qualcun altro oltre a lui e a quell'uomo misterioso che gli offriva talora da mangiare, e da cui Link si sentiva sempre più attratto e soggiogato a misura che cercava di fuggirlo. Sarei dovuto restare là. Se non avessi voluto la paravela per andarmene e scoprire chi fossi, se non avessi mai ascoltato le parole del re o la voce di Zelda, tutto sarebbe stato più semplice. Magari un giorno, se si fosse convinto che non esisteva nulla al di fuori dell'Altipiano e che tutta la sua vita non aveva alcuna ragion d'essere che quella d'inalare il profumo dei boschi e bere le gelide acque del fiume, che egli stesso era nato lassù per nient'altro che un mero capriccio del caso senza nessun altro scopo, come un cinghiale o un cervo, avrebbe finito per essere felice lassù; e abitare da solo sull'Altipiano sarebbe stato come essere il re di un intero universo, poiché non gli era possibile andar più oltre. Ma perché non s'era saputo accontentare d'essere come un cinghiale o un cervo?


Il bacino idrico è bello e profondo quanto lo ricordava e le sue placide acque blu rifrangono i barbagli dorati del tramonto e delle scintillanti montagne azzurre. Link lascia Draphen a pascolare sull'altura e si prende il suo tempo per godersi la strada che discende dal crinale della collina d'argento verso il padiglione di lumiserite presso il piccolo molo, là dove lo aspettava Sidon il giorno della loro prima grande avventura, e cammina adagio per colmarsi gli occhi di quello spettacolo e di quel profumo.

Non si è sbagliato quando ha pensato che sarebbe stato qui che Sidon avrebbe istituito il suo quartier generale. Quando si avvicina di soppiatto al padiglione, dall'alto, per evitare di venir visto, Link sente le voci della sua squadra che discute e vocia e ride, e sopra tutte quella di Sidon che dà ordini e disposizioni. Beh, è arrivato, finalmente; ma dal momento che anche qui, esattamente come a Daccapo, egli non ha voglia di ritrovarsi sommerso dai ringraziamenti di un popolo che si sente in dovere di tributargli tutta la sua gratitudine, Link aspetta appostato sul tetto che il sole termini di inabissarsi al di là dei monti divenuti blu come acqua e che il cielo si dispieghi su di loro in un'uniforme coltre scura.

La sua attesa non è destinata a rimanere vana. Poco prima di mezzanotte, a giudicare dalla posizione delle stelle, un turno di guardia fa ritorno al padiglione e i soldati del turno notturno escono per dare inizio alla loro ronda. Link aspetta ancora e tutto procede come aveva supposto: ben presto i soldati di ritorno crollano a dormire, e nella notte chiara e senza vento sormontata da una pallida luna, un'alta figura maschile esce dal padiglione a respirare l'aria notturna.

Per sorprendere il principe alle spalle, Link balza giù dal tetto del padiglione come un soffio e atterra in silenzio sul manto d'erba, soffice come una folata di vento. «Non usa più collocare sentinelle di guardia, eh, Sidon?»

La messa in guardia di Sidon dura solo il tempo strettamente necessario a riconoscere la sua voce. Nell'istante che Sidon impiega a voltarsi di scatto verso di lui e a sfoderare il tridente per reagire, una parte della sua mente lo ha già riconosciuto; ma è solo quando il suo sguardo incontra il suo, ed egli riconosce l'azzurro quieto dei suoi occhi e il biondo grano dei suoi capelli, che Sidon realizza logicamente che si tratta di lui e che non c'è alcun pericolo. Un istante dopo, Link si ritrova avvolto e sollevato da un paio di braccia che lo stringono.

«Link, fratello! Che ci fai qui?»

L'entusiasmo di Sidon è pieno e strabordante come l'onda di un fiume: Sidon ha tante cose da raccontargli e ancor più da chiedergli. Ha seguito le cronache delle sue gesta, della liberazione di tutti i Colossi Sacri, e ha affiancato Vah Ruta quando il Colosso si è risvegliato e ha attaccato il Castello; avrebbe voluto convincere suo padre a mandarlo in suo soccorso a Hyrule centrale con un manipolo di soldati, ma suo padre non poteva accettare di perdere un altro figlio... ah, e lui è stato un pazzo ad attaccare la Calamità da solo!

Di fronte a questo torrente di parole che lo annega, Link non può trattenersi dal ridere. «Ehi, ehi, Sidon... è tutto finito, Ganon non tornerà più, e io sono qui. Non preoccuparti.»

Nella luce lattiginosa che si riflette sulle montagne perlacee, Sidon rimane un momento a osservarlo in silenzio. Sta sorridendo. Forse non gli sembra vero di averlo qui di fronte a sé, sano e salvo e vittorioso dopo la battaglia al castello; ma non c'è solo questo nei suoi occhi. Sidon è stranamente orgoglioso di vederlo. Ma perché?

«Non ho mai dubitato di te neppure per un minuto, Link.» Sidon non distoglie gli occhi da lui, e Link se ne sentirebbe in imbarazzo, se solo non ci fosse una sfumatura tanto assorta, nella sua voce, da ridurlo all'istante al silenzio. «Dopo aver riconquistato Ruta sapevo che ce l'avresti fatta, ma... non so, Link. Mi sembri così diverso dall'ultima volta che ci siamo visti. Più maturo. Stento a riconoscerti.»

Non è più maturo che Link si sente rispetto a quando ha lasciato il villaggio degli Zora per l'ultima volta, ma egli capisce benissimo che cosa Sidon intende dirgli. Gli sorride appena, stancamente, e si sforza di riassumere così, in poche parole, tutto quello che è accaduto nei mesi della loro lontananza. «Beh, sai, Sidon... ho fatto un sacco di cose.»

«Lo so, lo so. Link, hai salvato Hyrule, hai riportato la pace! Riesci a credere che sia tutto finito? Io e mio padre...»

«Ho ricordato tante cose» lo interrompe Link dolcemente, e Sidon ammutolisce d'improvviso.

«Anche Mipha?» chiede a bassa voce, e non è sorprendente che questo punto gli interessi tanto; ma a parte la naturale apprensione per i ricordi che riguardano sua sorella, Link ha la sensazione di avvertire anche qualcos'altro nella sua voce, eppure non è certo di cosa sia. Annuisce lentamente.

«Sì. Anche Mipha... anche, ma non solamente, e ho scoperto un po' di cose del passato. E poi ho incontrato Zelda, e... ma parlami di te» soggiunge in tono forzatamente entusiasta, perché di queste cose non gli va di parlare adesso, e quand'anche gli andasse non avrebbe idea di come dirle. Di fronte a Sidon, reduci entrambi come sono delle proprie vittorie, non gli va di mostrarsi debole, o almeno non al momento. «Ho saputo del tuo nuovo incarico. Non ci siamo più visti da quando...»

«Non è un grosso incarico» minimizza Sidon semplicemente, e Link capisce all'istante che la sua non è affatto falsa modestia. Per questo soldato irruento e coraggioso, come può un semplice incarico di sorveglianza contare qualcosa? «È solo un servizio di guardia della valle. Ma è importante permettere alla nostra gente di pescare e spostarsi in serenità, perciò è fondamentale tenere a bada i mostri.»

«Ce ne sono molti?»

«Perlopiù bande allo sbaraglio che non sanno dove procurarsi il cibo.» Sidon si stringe nelle spalle come a voler minimizzare. «Non è un problema tenerli a bada qui intorno al bacino e nella vallata, ma il rischio è che impazziscano e calino sul villaggio in massa, ora che la Calamità non li domina più. Facciamo turni di guardia in questa zona e abbiamo vedette di guardia sulle alture, però...»

Se c'è una cosa di Sidon che gli è sempre davvero piaciuta è che non è un principe – è un soldato, e pensa e lavora come un soldato per il quale difendere il suo popolo non sia un valore assoluto e ideale privo di qualsiasi applicazione pratica, ma un compito reale, concreto e sporco e per nulla nobilitante. È questo il motivo per cui soltanto Sidon, di tutto il suo popolo, è stato in grado di dimenticare per un momento l'orgoglio degli Zora e lasciare tutto per chiedere aiuto a un Hylia, malgrado l'opposizione degli anziani e nonostante il suo stesso diritto al trono sarebbe stato in discussione, se avesse perduto. Sidon è stato in grado di rischiare e vincere là dove chiunque altro non avrebbe scommesso mai.

«Però? È successo qualcosa?»

«Credo che sia il momento di sbarazzarci del lynel del monte Tuono» riprende Sidon dopo un istante di silenzio. «Il mio progetto è quello di stabilizzare la situazione qua a valle, in modo da avere le spalle libere per la ritirata quando lo attaccherò con una squadra, ma il problema è che continuano a sbucare fuori nuovi mostri ogni giorno, perciò ogni giorno devo rimandare il mio piano.»

Link ha commesso troppe follie in vita sua per potersi permettere di obiettare di fronte a questo piano, ma il suo corpo reagisce da solo quando sente parlare del lynel. La sua mano sale a recuperare l'Arco Aquila dalle spalle e la sua voce parla per lui prima ch'egli abbia il tempo di riflettere. «Ci vado io. Torno prima dell'alba.»

Il lynel del Monte Tuono è stato il primo vero nemico ch'egli abbia dovuto affrontare in questa nuova vita, il giorno in cui gli hanno detto che per salvare Ruta e liberare l'animo di Mipha doveva salire sul monte a sottrargli le frecce; ma la cosa che Link non è stato mai capace di perdonare a se stesso, dopo tutti questi mesi, è stato di non aver avuto il coraggio di combattere contro il lynel quel giorno.

Anche solo provarci sarebbe stato una follia, ed egli lo sa benissimo; ma per quanto possa sforzarsi di convincersi che non avrebbe in alcun modo potuto neppure sopravvivere a uno scontro de genere con le sole sue forze di allora, Link non riesce a perdonarsi l'umiliazione d'aver dovuto strisciare e nascondersi dietro i cespugli e gli alberi per rubargli le frecce come un ladro, e d'aver dovuto scappare planando dalla vetta del monte per fuggire il risveglio della bestia...

Avrebbe potuto tornare e affrontarlo dopo, quando i suoi muscoli si sono fatti guizzanti e possenti sotto la pelle e la resistenza del suo petto si è accresciuta a dismisura; ma c'è stato Daccapo, prima, e la necessità di salvare Zelda poi, ed egli non è più tornato. Ma ora che il gran male è stato distrutto e non v'è più alcuna priorità nella sua vita, ora finalmente egli ha tempo per liberare gli Zora e vendicare il proprio orgoglio.

Ma prima ancora ch'egli abbia il tempo di slegare l'arco dalle proprie spalle, la mano di Sidon sale bruscamente ad afferrare la sua, e la sua voce suona grata ma inamovibile. «No, Link. Non è compito tuo, questo.»

Questa non è la prima volta in assoluto nella sua vita che qualcuno si prende la briga di dirgli di no, che questo non è un suo problema e non deve occuparsi lui di risolverlo e non deve darsene pensiero; ma quella volta non è stato un soldato a dirglielo. È stato un umile carpentiere, e dalle parole di Sidon Link rimane talmente attonito che non gli viene in mente niente di più intelligente da dire che: «Perché no?»

Sono fermi sulla riva dell'acqua nera, ora, ma alla luce della lumiserite che si riflette sull'acqua, il volto di Sidon gli appare serio e assorto.

«Non può toccare sempre tutto a te, Link» risponde a bassa voce. «Hyrule è rimasta ferma per cento anni ad aspettare il risveglio di un eroe che aveva già dato il suo sangue per salvarla, e per tutto questo tempo abbiamo addossato tutto a te. Forse era destino che solo tu potessi sconfiggere la Calamità e salvare Hyrule, ma ora che la Calamità è stata sconfitta non abbiamo più scuse, e non possiamo aspettare te ogni volta che i nostri popoli sono in difficoltà. Mi capisci?»

Sì, certo che Link lo capisce, e a ogni parola Sidon si conferma sempre di più il guerriero che Link lo reputa da sempre; ma gli pare che ci sia una grossa falla nel suo discorso, e allora prova a obiettare: «Le frecce elettriche...»

Sidon ha uno scatto nervoso a queste parole. «Già, erano una buona scusa per esser vigliacchi, vero? Quando invece lo sapevamo benissimo che anche tu avresti potuto morire...»

Tutta quest'amarezza e questo rimorso da parte di Sidon non se li sarebbe aspettati mai. Non l'aveva mai vista in questo modo. Nella sua breve esperienza di vita – e neppure in quella che ha già vissuto, se può fidarsi dei ricordi che ha recuperato – non gli è mai capitata una cosa del genere, e forse è per questo che non sa come reagire; ma perché Sidon è cambiato così tutto a un tratto, quando nei suoi confronti Link non aveva provato che ammirazione per aver avuto il coraggio di chiedere aiuto?

Quando Sidon fa per muoversi e per riprendere a camminare sull'orlo dell'acqua nera, stavolta è Link ad afferrarlo per un braccio e a strattonarlo per costringerlo a fermarsi.

«Sidon» dice fermamente, e si sorprende di quanto suoni imperiosa la sua voce. «Che cosa è successo?»

Ma Sidon non lo guarda negli occhi stavolta, e neppure si volta verso di lui. La giovialità del suo volto si è fatta un poco pensosa, questa notte, e Link non potrebbe giurarlo, ma gli pare che i suoi occhi abbiano saettato per un attimo verso Ruta che troneggia sul bacino.

«Non è niente, Link. È solo che ho pensato che quello che hai fatto tu avrei dovuto trovare il coraggio di farlo io, e d'un tratto mi sono vergognato d'esser venuto a cercarti quel giorno. Il principe sono io e avrei dovuto pensarci io. Ti pare tanto stupido?»

Link vorrebbe controbattere, obiettare; fargli notare che la decisione di cercare un Hylia per sconfiggere Ruta era probabilmente la più sensata che potesse prendere per salvare il suo popolo e far cessare le piogge, e mille altre obiezioni ancora, tutte l'una più plausibile e ragionevole dell'altra. Ma anche Sidon è un guerriero come lo è lui, e anche il suo orgoglio, esattamente come il suo, è bruciante e irragionevole e non può sfamarsi di risposte logiche. C'è un'unica lingua, egli lo sa, capace di parlare al suo orgoglio.

«Andiamoci insieme.»

Sidon gli rivolge un sorriso misto di gratitudine e di rassegnazione. «Link, non c'è bisogno che...»

Ma Link non glielo ha proposto per accontentarlo o perché pensi che Sidon, da solo, non sia in grado di farlo.

«Io e te da soli, come contro Ruta. Compagni d'armi come quel giorno, ti ricordi? Io lo distraggo e tu lo cavalchi. Saremo di ritorno entro l'alba e non lo saprà nessuno. Sarà una vera sortita notturna. Ci stai?»

Lo sguardo che Sidon gli rivolge è cambiato d'un tratto, ora si è fatto attento e indagatore, pensieroso. Sta valutando i pro e i contro di quest'offerta; ma è al soldato, non al principe, che Link ha parlato, ed egli sa perfettamente che è il soldato che gli risponderà.

«Aspetta qui» dice solamente, e la sua voce è tesa e concentrata eppure insieme vibra dell'eccitazione della battaglia. «Prendo il mio tridente.»


È una bestia ancora più orrenda e più grossa di quanto Link ricordasse, immensamente violenta, che eleva il primo ruggito e imbraccia l'arco prima ancora di vederli con precisione nell'oscurità, e Link sente il fruscio delle sue frecce fischiargli accanto all'orecchio e la scarica elettrica fendere l'aria come un tuono.

La battaglia è terribile e violenta e Link sputa sangue e sudore e la ferita sull'inguine quasi rimarginata spurga gocce di siero, e il lynel si ribella e ulula mentre le sue zampe scuotono la terra come quelle di un gigante. Gli calano addosso da due lati, simultaneamente, e il lynel ruggisce e si ribella furiosamente come un cinghiale tratto in trappola, poiché si vede circondato e non ha via d'uscita, percuotendo il terreno come a volerlo perforare. I loro colpi paiono non scalfirlo nemmeno: arrivatogli di spalle, Link lo colpisce con tale forza da spezzargli sulla schiena l'alabarda, che gli rimane conficcata in groppa per tutta la punta; ma quando il lynel ulula di dolore e mena alla cieca la sua clava immensa, sgroppando e ruggendo e cercando di colpirlo, egli per poco non viene sbalzato a terra da uno zoccolo immane; ed è Sidon a salvarlo, Sidon che urla e distrae e confonde la bestia e la sferza di colpi e la tiene lontano da lui. Questa distrazione è tutto ciò di cui aveva bisogno: quando il lynel torna a dargli le spalle, Link vede per un attimo la faretra che gli pende scoperta tra le scapole. È un attimo, un battito di ciglia: mentre il lynel sta per sferrargli un colpo con la spada e Sidon solleva d'istinto lo scudo per difendersi, Link afferra le frecce che ne sporgono e le strattona via e grida: «Le ho prese!»

Poi tutto cambia molto rapidamente. Il lynel s'imbizzarrisce di sentirsi defraudato e la sua schiena sgroppa tanto forte che Link rotola a terra per qualche metro e tutto si confonde. D'improvviso è di nuovo tutto come allora, come sulla piana di Hyrule davanti a quel cinghiale mostruoso e alla fine di tutto; e di nuovo, esattamente come quel giorno, per un istante la vasta distesa d'erba si confonde col cielo nero e Link non sa più bene dove debba guardare...

«Link!»

Quando alza lo sguardo, Link s'accorge che Sidon è riuscito a cavalcare il lynel e lo sta colpendo da ogni possibile angolazione, afferrandosi con una mano alla criniera della bestia e affondando il tridente con l'altra, disperatamente; ma il lynel sgroppa e scalcia come impazzito dal dolore ed è troppo intelligente per comportarsi come una creatura insensata e violenta buona soltanto a ruggire: il lynel ha capito che se è insieme che sono venuti, è l'uno che deve colpire per sconfiggere l'altro. Sidon ha gridato perché la bestia galoppa verso di lui ed egli non sa come fermarlo.

Il suo corpo agisce prima ch'egli sia in grado di prendere una decisione razionale. Senza neppure rendersene conto Link si raccoglie su se stesso per un istante, col corpo tutto teso nella tensione che percorre i muscoli e contratto dal dolore della caduta, e finalmente deflette le gambe e si leva in aria sulle ali di un vortice.

Persino nel cuore di una lotta, Link ha sempre amato volare.

Il lynel non si aspettava la sua mossa. I suoi zoccoli frenano invano affondando fino alle ginocchia nel terreno fangoso, il suo grido di rabbia si ripete echeggiando tra le cime dei monti – ma Link è in altro ormai, molto in alto al di sopra delle cose.

Questo attimo di stupore gli è fatale. Sollevandosi sulla sua groppa per prendere lo slancio, Sidon colpisce ancora e ancora: Sidon è ferocia e furia implacabile sulla terraferma tanto quanto è desiderio di volare nell'acqua. I suoi muscoli possenti guizzano sotto la pelle squamosa, le sue braccia si lordano di sangue fino al gomito, mentre il tridente affonda nella schiena del mostro e poi brilla in aria in cerca di un altro affondo, inarrestabile e violento quanto uno squalo.

Sotto i suoi fendenti il lynel scalcia e sgroppa e mena fendenti all'indietro, alla cieca, nella speranza di colpirlo. Al di sopra di questo inferno di ferro e di sangue, Link lascia per un attimo la paravela e si lascia precipitare. I suoi muscoli tornano a tendersi e a contrarsi a mezz'aria, i suoi occhi sono più veloci della sua mente: Link tende l'arco e scocca tre frecce proprio in mezzo agli occhi della bestia.

Il lynel si accascia al suolo senza neppure un grido mentre Link precipita a terra.

«Link!»

È un miracolo che Sidon non sia rimasto schiacciato sotto il corpo enorme della bestia accasciata al suolo cogli occhi sgranati e fissi, immobili, immane e statuaria più ancora di quando era viva – ma è morta, ora, e Sidon strappa via per l'ultima volta il tridente dalla carne delle sue spalle e si precipita nella sua direzione. «Link, stai bene?»

La preghiera di Mipha è scorsa attorno a lui come acqua non appena è caduto, dolce e penetrante a tal punto ch'egli quasi non ha provato dolore; e poi, chissà se dolore è ancora in grado di provarne il suo corpo. Ma quando solleva il capo per annuire la sua risposta gli muore in gola, perché ora che lo vede da vicino Link s'accorge che Sidon ha una lunga ferita che stilla sangue sul collo.

Non ci sta nemmeno a pensare. Sidon si è curvato su di lui per guardarlo, appoggiato al suo tridente insanguinato conficcato nel terreno, e istintivamente Link protende le mani verso di lui e l'ardore di Mipha fluisce dalle sue dita con la devozione di una preghiera.

Si rende conto della reale portata del suo gesto solo quando gli occhi di Sidon si dilatano improvvisamente di stupore ed egli si ritrae di scatto, e Link si dà dell'idiota da solo.

Non ho mai detto a Sidon d'aver ereditato il potere di Mipha, forse per un certo pudore dopo averla incontrata, quel giorno, dentro Vah Ruta, come se sentisse che quel momento doveva restare tra loro due solamente; ma Sidon è suo fratello, e invece quel potere, esattamente come la Scagliadiluce e la corazza, è passato a lui. Link possiede di Mipha molte più cose di quante ne possieda il suo stesso fratello, e ora per la prima volta gli pare d'aver usurpato qualcosa.

Ritira le mani improvvisamente, come se nasconderle di scatto potesse cancellare quello che è successo, e balbetta: «Mi dispiace, Sidon. Avrei dovuto dirtelo, non volevo tenertelo nascosto...»

«Link, va tutto bene» esclama Sidon ridendo, e il suo volto è di nuovo aperto e sincero e la sua risata spiegata, come sempre. Quell'ombra del suo volto è svanita così com'era apparsa. «Non preoccuparti, va tutto bene. Credi che non lo sapessi?»

Questa notizia lo lascia interdetto per un attimo, tanto che Link non può provare che a protestare e schermirsi ancora. «Sarebbe dovuto andare a te.»

«Link.» La voce di Sidon è bassa e conciliante e non ammette repliche. «Eri tu a combattere per Hyrule, non io, e sei stato tu a salvare lo spirito di Mipha...»

Il senso di colpa che ha provato di fronte agli occhi grandi dello spirito di Mipha e all'ardore della sua tenerezza è stato inumano e indicibile, per nulla rasserenante, perché Link sapeva di non ricordarsi di lei e di non avere idea di chi avesse di fronte; eppure, dall'animo di quella creatura mite e generosa che non si rendeva conto di amare un perfetto sconosciuto, egli ha accettato senza protestare il potere di cui ella gli faceva dono, perché in quel momento egli ne aveva bisogno. Ma ora che tutti i tasselli si sono ricongiunti e collegati nella sua mente, quel senso di colpa d'improvviso torna a farsi più forte e più impellente ed egli non può più reprimerlo in nome di un bene superiore.

«Tu sei suo fratello» obietta debolmente. «La Scagliadiluce, la Preghiera di Mipha, io...»

«Ascoltami, Link... Link!» lo interrompe ancora Sidon, ma con intransigenza, ora, e la sua voce è limpida e inflessibile come una diga di fronte alla marea. Vuole solamente calmarlo. «Io sono suo fratello, ma non ero io che dovevo ricevere quel dono – eri tu. Perché questo ti turba tanto? Link, tu a me non hai tolto niente di lei.»

Ma non è questo che Link sente – Link sente d'avergli usurpato un diritto ch'egli invece non avrà mai.

«Io non l'amavo, Sidon» prorompe d'istinto con la forza di una mareggiata.

«Link... lo so» mormora Sidon piano, senza sapere perché gli sia parso tanto importante confessarglielo. «Può darsi che lo sapesse anche lei... nessuno di noi si è mai aspettato che la ricambiassi. Non eri tenuto a farlo.»

Ma Sidon non capisce, non riesce a capire, non è così che stanno le cose! Col petto oppresso da un singulto di disperazione che pare volerlo dilacerare, Link distoglie bruscamente lo sguardo e risponde: «Ma io ancora non mi ricordo di lei!»

D'un tratto il volto di Sidon cambia sotto la luna, e i suoi occhi stanchi, d'improvviso, appaiono indicibilmente tristi. In questa notte sconfinata che pare trovar fine solo nei monti e nel mare, su questo monte eternamente silenzioso che pare esser l'unico luogo rimasto al mondo e sul quale si fronteggiano solamente loro, come gli ultimi esseri viventi sotto la luna, Sidon sta cercando le parole da dirgli.

«Se io ti dicessi... se io ti rivelassi un mio segreto molto grande e terribile, qualche cosa che non ho rivelato mai a nessuno, tu mi ascolteresti?»

«Certo che ti ascolterei» balbetta Link senza capire, ma le sue parole emergono dolorosamente dal suo petto come un singulto strappatogli a viva forza.

«Link, neanche io mi ricordo di Mipha.»

Le sue parole sono per lui tanto assurde e incredibili, tanto prive di significato, che Link neppure le capisce. Non hanno senso.

«Quando mi hanno annunciato la sua morte ero così piccolo che quasi non capivo. Non ero neppure qui: per tenermi lontano dal pericolo, mio padre mi aveva mandato sull'isola di Terrafinita col mio precettore... e quando sono tornato a casa, sei mesi dopo, semplicemente Mipha non c'era più, e per l'assenza di un cadavere su cui piangere mio padre aveva eretto una statua alla sua memoria. Non ho quasi ricordo di mia sorella perché non abbiamo avuto molto tempo da trascorrere insieme io e lei, eppure tutto quello che so è che sono cresciuto all'ombra di quella statua, e che per me lei è stata un'assenza e nient'altro per gli ultimi cento anni...»

Questa è la prima volta che Link realizza davvero, per la prima volta, che lui non è l'unico reduce di quella guerra di cento anni prima ad aver perduto ogni memoria di quanto è accaduto allora, o quasi. Che Sidon e suo padre e tutto il popolo degli Zora avessero perduto una sorella e una figlia e una principessa soavemente amata lo sapeva, certo, e quel dolore egli l'ha sempre immaginato e rispettato col cuore stretto di compassione e vicinanza – ma che Sidon potesse averla dimenticata per via dell'accumularsi degli anni, questo non l'avrebbe creduto mai, e della propria miopia ora prova vergogna e mortificazione.

«Quella notte, quando abbiamo parlato, sotto la statua...»

Quella notte Sidon parlava con la statua, e attraverso essa si rivolgeva a Mipha: Link lo ricorda nitidamente come fosse appena il giorno precedente. Ma quando Sidon distoglie finalmente lo sguardo dalla sagoma immane di Ruta stagliata verso l'orizzonte e si volge verso di lui, i suoi occhi si sono fatti grandi, enormi di dolore, e il suo sorriso è stanco e dolceamaro e carico di rimpianto.

«Ti pare tanto strano che mi manchi anche se non l'ho mai davvero conosciuta?» Non c'è alcun bisogno che Link risponda, allora Sidon parla ancora. «Non è stato come per te, certo, ma forse non è andata neppure troppo diversamente. Ho passato quarant'anni a domandarmi perché fossi stato condannato a non ricordarmi di lei eppure a non poterla ignorare mai, perché tutta la vita del mio popolo pareva incentrata sul culto ossessivo della sua memoria, e persino mio padre non aveva occhi che per la sua statua...»

«Ci sono state notti in cui avrei voluto che non fosse esistita mai, che non ci fosse stata mai. Sarebbe stato tutto più semplice se Mipha non fosse nata e non fosse morta mai, perché non mi sarebbe mai mancata e non sarebbe mancata a mio padre; non avrei provato tanto rimorso quando ho scoperto di non ricordare più la sua espressione...»

«E poi?» Questa domanda gli sale alla gola più violenta e angosciata di quanto avrebbe creduto mai, ma in questo egli non ha più alcuna capacità decisionale – egli deve sapere, perché sente che se solo sapesse che cosa è stato di Sidon in tutti quegli anni e come è sopravvissuto al dolore, allora tutto diverrebbe chiaro anche a lui e il suo dolore si attenuerebbe, finalmente. Se Sidon ha trovato la chiave per placare questo dolore sordo e immutabile che lo accompagna sempre, per quale motivo essa non dovrebbe salvare anche lui?

Ma Sidon tace a lungo, e il suo silenzio è greve e soffocante tanto che Link prova per un istante la tentazione di scrollarlo, di scuoterlo, incalzarlo; ma poi la voce di Sidon riemerge dal buio, ed egli si aggrappa alle sue parole come a una rupe sull'acqua.

«Non c'è un e poi, Link. Non veramente. È solo che a poco a poco la sua assenza si è fatta costante e abitudinaria, una piccola cosa da affrontare tutti i giorni e che non avrei potuto sanare mai, e ho cercato di liberarmi dall'influenza della sua statua e della sua memoria e di non sentirmene oppresso e schiacciato in ogni minuto della mia vita, e alla fine...»

«E alla fine?» chiede Link a bassa voce, ma senza incalzarlo più.

«E alla fine è arrivata Ruta e tu hai salvato Mipha, e tu eri l'unico altro al mondo oltre a me che non si ricordava di lei e che eppure le era tanto legato da volerla salvare. È solo che a un tratto, quel giorno in cui per la prima volta tu hai indossato l'armatura di Mipha e abbiamo parlato a lungo con Morit, per la prima volta mi sono ricordato davvero di lei – mi sono ricordato quando m'ingelosivo senza capire, perché mia sorella trascorreva tutto il suo tempo con te, e anche di come mi permettesse di aiutarla a cucire la tua corazza senza dirmi per chi fosse, e poi ancora di come m'insegnasse ad aiutarla senza rimproverarmi mai; e ho ricordato il giorno in cui mi ha insegnato a risalire le cascate...»

«Non ricordavi nulla di tutto ciò?» mormora Link appena, e Sidon tace tanto a lungo ch'egli quasi teme che non abbia udito la domanda.

«Avevo dimenticato di ricordarlo ancora, o forse non pensavo che fosse importante... non so. Avevo trascorso con mia sorella tanto poco tempo, ed ero stato schiacciato per tanti anni dalla statua che incombeva sul villaggio e dallo spettro della sua morte precoce, che per tutta la vita non ho pensato ad altro che al fatto che lei non c'era più, non avrei potuto parlarle o tenerle compagnia mai più; ed ero così angosciato al pensiero di non ricordarmi davvero di lei, da non essermi concentrato mai sul fatto che io avevo tuttavia dei ricordi un po' lontani e nebulosi di lei e che quei ricordi appartenevano a me solo, e in tutti quei ricordi Mipha mi amava e s'impegnava a proteggermi – e mi ha insegnato a nuotare. A un tratto per la prima volta quel giorno ho finalmente realizzato che quando mio padre e tutto il villaggio le hanno tributato quella statua non era stato perché Mipha era morta, ma perché era stata viva, e questo è qualcosa che nessuno avrebbe potuto toglierci mai. È stata la prima volta che ho realizzato che Mipha non era stata solo una martire, e che parlare di lei non voleva dire soltanto parlare della sua morte...»

«Ma il dolore è rimasto lo stesso» mormora Link appena, con un senso di delusione più leggero e impalpabile dell'acqua, e appena un po' più soffocante. «È così, vero?»

Sidon tace per un istante prima di rispondere – ma in quell'istante, e questo a Link non può sfuggire, l'amarezza del suo sguardo si è attenuata un po'.

«Certo, Link. Il dolore è sempre lo stesso, e i dubbi e le angosce rimangono sempre. Ti chiederai sempre quale peccato tu dovessi scontare per doverti dimenticare di lei, o se quando è morta lei sapeva che tu le volevi bene; se fosse triste o disperata di dover morire o se lo avesse accettato con la naturalezza di qualche cosa che aveva scelto e che era inevitabile... ma quando nuoto, allora Mipha non è solamente morta. Capisci che la grande differenza per me, anche se può sembrare ovvio e implicito in tutto quello che è accaduto, sta nel fatto che per la prima volta quando ti ho incontrato ho ricordato che Mipha è stata viva per me nel fatto d'avermi insegnato a nuotare?»

Quando le sue parole si spengono lentamente nel silenzio, affievolendosi nell'algido splendore grigiazzurro dell'aurora, Link lo sa in cuor suo che Sidon ha ragione, che le sue parole suonano sagge e ragionevoli; che se solo egli fosse in grado d'accontentarsi e di smetter di tormentarsi, di trovare pace, le sue parole sarebbero più che sufficienti per placarlo e calmarlo. Ma se c'è qualcosa che Link ha ormai capito di se stesso, e che evidentemente è parte di lui esattamente come il suo coraggio e la sua paura, è che di tormentarsi egli non smetterà mai. Sidon ha ragione su tutto – Mipha è risalire una cascata, Mipha è la Scagliadiluce; ma Revali?

«Il dolore è rimasto lo stesso, però» obietta appena, per la seconda volta, ma diretto ormai più a se stesso che a Sidon. Non c'è più ribellione nella sua voce, ormai – solo la consapevolezza che non esiste alcuna possibilità di cambiare le cose, e che di guarigioni e salvezze, ormai, non ne esistono più.

Quando Sidon parla di nuovo, un attimo dopo, la sua voce è di nuovo immensamente triste. Sta guardando Ruta, e al di là di Ruta, chissà, forse vede Mipha. «Il dolore sì, Link... quello è ancora lo stesso. Ancora dopo cento anni.»

   
 
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