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Autore: BabyLolita    27/12/2018    0 recensioni
Tutte conosciamo il primo amore. Nessuno sa quando ne' inizia ne', tantomeno, quando finisce. O se finisce. Ci sono storie che continuano ad esistere senza nemmeno iniziare. Ci sono storie che iniziano e non finiscono mai e ci sono storie che nascono nell'ombra, rinchiuse dietro mille segreti che poi, lentamente, si sgretolano.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ti dicono per la prima volta che il primo amore non si scorda mai spesso capita di sentirsi combattuti e curiosi allo stesso tempo. Ti chiedi se sia davvero così, se davvero riserverai per sempre un angolo del tuo cuore ad una stessa persona e, al contempo, ti spaventa il fatto che, non riuscendo a cancellarla del tutto, non riuscirai mai ad amare qualcun altro fino in fondo. Quando ho iniziato la scuola superiore avevo davvero tanta voglia di innamorarmi. La curiosità superava di gran lunga la paura. 
Infondo… quanto mai sarà vera quella diceria?
Me lo ripetevo spesso, per infondermi coraggio probabilmente. Mi ero immaginata tante cose, e tante altre ne avevo sognate. Ma come potevo immaginare che tutto mi sarebbe scivolato dalle mani prima ancora di averlo afferrato? Come potevo sapere che, quei giorni, sarebbero volati via in un lampo? Come potevo sapere che il presente sarebbe diventato un ricordo così lontano in un lasso di tempo così breve? Mi capitava di pormi queste domande e di ripensare ai giorni passati in quei momenti in cui, durante le lezioni, mi sentivo più annoiata del solito. Ripensavo a tante cose. Una delle cose seccanti dell’essere una persona emotiva ed attaccata ai ricordi è probabilmente questa. La facilità con la quale ti perdi nel tuo passato ha un che di ridicolo, in un certo senso. Quella mattina non era diversa dalle altre. Nove e mezza del mattino, una manciata di minuti prima dell’intervallo. Osservavo fuori dalla finestra mentre intorno a me risuonava solo la voce della docente che spiegava un concetto che non avevo voglia di ascoltare. Il vento spostava i lunghi rami del salice piangente che si ergeva solitario nel cortile della mia scuola.
Come ti senti ad essere solo in mezzo ad un campo così grande?
Ecco un’altra cosa strana che facevo. Mi paragonavo a molte cose, per cercare di trovare uno specchio in cui riflettermi. Qualcosa in cui potessi riscontrare un riflesso che mi rappresentasse al meglio.
Allora? Come ti senti?
Un’altra folata di vento, ed i rami che riprendono a dondolare armoniosamente.
Quando è successo? Quando ho cominciato a sentirmi così?
Il mio sguardo si alza verso l’alto, osservando il cielo. Sereno, di un azzurro così intenso che sembra quasi fastidioso. Qualche nuvola, bianca e vaporosa come panna montata, lo attraversa lentamente.
Ah già… c’era lo stesso cielo anche allora.
Chiudo gli occhi lasciando riaffiorare nella mia mente quei ricordi agrodolci che, non so come, appartengono a quasi cinque anni fa. Mi soffermo, lasciando che le immagini appaiano nitide nella mia mente.
Torna indietro. Fallo ancora. Magari, questa volta, capirai.
 
Era primo giorno di scuola e non avevo troppe aspettative. Volevo innamorarmi, ma non sapevo quando o come sarebbe successo e, di certo, non riponevo troppa fiducia nel cosiddetto “colpo di fulmine”. Ero davvero agitata mentre, davanti a scuola, stringevo la mano della mia migliore amica in attesa del primo appello della mia nuova vita in quella nuova scuola. Il posto era davvero particolare. La scuola era avvolta da grandi vetrate, sembrava quasi una prigione di specchi. All’inizio non la definivo così ma, con il tempo, chiamarla “carcere” divenne il modo in cui meglio potevo identificarla. Mi guardavo intorno, sbattendo ripetutamente il piede a terra, nel tentativo di calmarmi. Con la mano libera continuavo a tirare il lembo della felpa che indossavo sotto il giubbotto, nel tentativo di sistemarla. Dalla cima della rampa di scale uscì una persona. Era una vecchia signora, sulla cinquantina inoltrata. Indossava un completo gonna e giacca color avorio, portava i capelli castani raccolti ordinatamente in uno chignon alto. Ridacchiai tra me e me, notando immediatamente una somiglianza tra il suo abbigliamento e le tende del salotto di mia nonna. La signora ci guardò rapidamente e poi, sorridendoci, ci diede il benvenuto nella nuova scuola. Iniziò a fare un discorso di accoglienza al quale non prestai troppa attenzione. Continuavo a guardarmi intorno, immaginandomi quali di quelle persone sarebbero state parte della mia classe per i futuri cinque anni. Quando i ragazzi iniziarono a salire i gradini capii che l’appello era iniziato. Osservai ogni singolo soggetto cercando di imprimere i loro volti ed i loro nomi nella mia mente. Ogni volta che qualcuno percorreva quella rampa pensavo a che genere di interazione avrei mai potuto averci, se mai fosse successo. La mia mente correva già veloce, tessendo storie che poi non si realizzavano mai. Ma ero fatta così, e lo sono ancora. Tesso sogni di cristallo, immaginando scenari che poi non riescono mai a prendere piede nella realtà. Ma la cosa non mi aveva mai preoccupata prima di allora, anzi, lo trovavo divertente. Avevo sempre amato questo lato di me. Avere un’immaginazione così forte mi permetteva di andare in un altro mondo, se lo desideravo. Sognare eventi diversi dalla realtà mi faceva sentire bene. Questo succedeva perché, all’epoca, quelle fragili speranze non erano ricolme di sentimenti così potenti. All’epoca, i sogni erano solo sogni, e non desideri intensi.
 
La signora si schiarì la voce un’ultima volta e poi chiamò la mia sezione. Prima C. Ammetto di essermi sentita delusa quella volta. Desideravo tanto essere nella A. La prima lettera dell’alfabeto, così forte e potente. E invece ero finita nella C, l’ultima delle tre di quell’annata. Insomma, l’esatto opposto del mio obbiettivo. La docente iniziò a fare l’appello ed io fui una delle prime ad entrare. Non avevo mai apprezzato troppo il mio cognome ma, in quel frangente, essere la numero quattro in ordine alfabetico non mi dispiaceva affatto. Ero estasiata all’idea di essere una delle prime a vedere la mia nuova classe. Salii la rampa di scale, elettrizzata. Sapevo che la gente mi stesse fissando proprio come io stessa, prima di loro, avevo osservato le persone percorrere quei gradini. Ma non mi importava. Non avevo tempo di sentirmi in imbarazzo. Volevo iniziare quella nuova vita, sicura che mille cambiamenti sarebbero avvenuti. Arrivata nella mia classe mi ritrovai davanti ad uno scenario non molto diverso da quello a cui ero abituata. I banchi, sebbene fossimo alle superiori, erano gli stessi che c’erano nella mia vecchia scuola media, solo un po’ più grandi. Mi catapultai in fondo all’aula, accanto alla finestra, ad una coppia di banchi che ancora non erano occupati. Poggiai la mia cartella, all’epoca azzurra, sul banco di sinistra attaccato a quell’enorme vetrata. Mi sentivo bene, tutto stava procedendo in modo perfetto. Presi posto e mi misi ad attendere l’arrivo della mia migliore amica. Ripresi ad osservare le persone che entravano. Quando la vidi entrare scattai sulla sedia facendole segno di raggiungermi. Lei mi sorrise e si avvicinò a me. Ricordo quello che accadde pochi secondi dopo con molta chiarezza. Oltre le sue spalle scorsi un ragazzo. Un ragazzo che non avevo notato prima. Aveva i capelli neri e corti e gli occhi color nocciola. Entrando in aula sorrideva. Un sorriso normalissimo, come tanti altri. Era una persona del tutto anonima, eppure, non avevo mai trovato l’anonimato così interessante. E mai, ripeto, mai commisi errore più grande che posare i miei occhi su di lui in quel maledetto giorno. Lo osservai raggiungere un altro gruppo di ragazzi. Si strinsero la mano, dicendosi cose che non riuscivo a sentire. Continuavo ad osservarlo, come rapita. In lui c’era qualcosa che non avevo mai trovato in nessuno, ma non capivo che cosa. Smisi di guardarlo solo quando sentii la cartella della mia migliore amica sbattere sul banco accanto al mio. Distolsi l’attenzione immediatamente, prima che qualcuno mi scambiasse per una pazza psicopatica il primo giorno. Scoprii il nome di quel ragazzo entrato in aula dopo di me qualche minuto dopo quando, scrivendo i nostri nomi su dei pezzi di carta, li appiccicammo al nostro banco. Lui era seduto qualche fila davanti a me, potevo vederlo ogni qualvolta alzavo lo sguardo. Il suo nome fu il primo che imparai. All’inizio credevo che mi sarebbe passata subito. Pensavo fosse una di quelle cotte che ti prendi quando noti qualcuno di carino ma che poi, approfondendo la conoscenza, ti rendi conto che non può che essere un semplice amico. Ma, purtroppo, non fu quello il caso. Più gli anni passavano, più i miei sentimenti crescevano e cambiavano, ed io cambiavo con loro. Tinsi i miei capelli castani di un nero intenso. Iniziai a piastrarli costantemente, non riuscivo a sopportare quel cumulo in disordine che avevo in testa. I miei capelli normali non erano né lisci né ricci, ma un mosso informe totalmente senza senso. Quando iniziai ad usare la piastra fu una benedizione per la mia autostima. Iniziai anche a truccarmi. All’inizio con una leggera passata di matita nera, fino ad arrivare ad usare anche l’eyeliner, ottenendo i fantomatici “occhi da panda” che ormai mi contraddistinguono da anni. Anche il mio armadio fece una metamorfosi insieme a me. Gli abiti da bambina sparirono, lasciando spazio ad un look più punk ed estremo, che spiazzò tutta la mia famiglia. Non solo perché quegli abiti scuri cozzavano in pieno con la mia carnagione chiara, ma anche perché avevo perso, a detta loro, ogni briciolo di femminilità. Ma non mi importava. Per me, il nero, era il colore più bello del mondo. E questo lo penso ancora.
 
La campanella suona, riportandomi nella realtà. I miei compagni scattano in piedi e corrono fuori dall’aula. Con la coda dell’occhio, e senza farmi vedere da nessuno, lo guardo uscire dalla classe. Sospiro, appoggiandomi allo schienale della sedia.
…No. Ancora non capisco che cosa ci trovo in lui.
Gli occhi scuri della mia migliore amica mi fissano. Il mio sguardo si posa su di lei mentre ciondola sulla sedia ed i suoi lunghi capelli scuri e ricci ondeggiano con lei.
   «Niente merendina alle macchinette oggi? Non è da te non mangiare all’intervallo.»
   «Questa volta mi farò bastare un caffè.» dico afferrando la mia cartella nera ed estraendone il portafoglio.
Mentre cerco le monetine comincio a chiedermi perché, in questi cinque anni, abbia tenuto nascosti i miei sentimenti anche alla mia migliore amica. Io e lei ci conoscevamo fin dall’asilo, non le avevo mai nascosto nulla. E allora perché? Perché non riuscivo a dirle che da tutto quel tempo provavo un sentimento che cominciava ad essere ingestibile? Mi alzo dalla sedia, archiviando quella domanda nella zona “ci penserò poi” del mio cervello. Esco dall’aula e mi dirigo alle macchinette.
   «Questo nuovo argomento sembra parecchio complesso.»
Melissa inizia a riflettere sulla lezione appena finita ed io sorrido mentre guardo davanti a me ascoltandola in silenzio. Lei, fin da quando ho memoria, è sempre stata la prima della classe. È brillante, ed è un lato che ho sempre ammirato ed apprezzato. È una persona indipendente e molto studiosa, passare il tempo con lei è sempre bello e costruttivo. Ciò che apprezzo della sua compagnia è il fatto che con lei si può parlare di tutto, non c’è bisogno di porsi limiti. Abbiamo passato talmente tanti momenti assieme che solo per raccontarli non sarebbero sufficienti dieci libri. Io non ho mai spiccato così tanto come lei, ma ero abbastanza brava da rientrare tra i primi cinque della classe. Non mi importava essere la migliore, ma non volevo nemmeno essere la peggiore. La mediocrità non mi piaceva, essere tra i migliori però era abbastanza soddisfacente. Arrivata alla macchinetta mi misi ad osservare i miei compagni fare gli stupidi con i primini. Melissa incrociò le braccia quasi subito ed io feci finta di niente, avvicinandomi alla macchinetta e selezionando un caffè macchiato con il massimo dello zucchero consentito.
   «Diventerai una balena spiaggiata se berrai caffè con così tanto zucchero.»
Mi volto immediatamente, fulminando con lo sguardo il deficiente che si era permesso di dirmi una cosa del genere. Conoscevo bene quella voce, la sopportavo da cinque anni. Leonardo mi guarda dall’alto in basso. Capelli corti biondi, occhi scuri, sorrisetto infame, vestiti senza un look particolare e… portamento da bradipo. Avete presente quel compagno di classe con cui stipuli un rapporto di amicizia-odio tendente prevalentemente all’odio con tratti omicidi? Ecco. Quello è il rapporto che avevo con Leonardo da… sempre?
   «Tu vai in giro ogni giorno con quella faccia e non mi sembra che ne fai un dramma. Anche se io diventassi una balena potrei sempre dimagrire, tu con quel disastro che hai in bella vista non puoi fare proprio nulla.»
   «Ohoh, grintose questa mattina! Cos’è, per caso ieri il fidanzatino non ti ha dato il biscottino?»
Faccio una smorfia disgustata e lui inizia a ghignare. A quanto pare, io sono uno dei suoi passatempi preferiti. Si diverte un mondo a prendersi gioco del fatto che, nonostante oggettivamente sia una ragazza relativamente ricercata dal popolo maschile (e anche magra, a differenza di tutte le cattiverie che vomita lo stronzo), respingo sempre tutti e quindi, di conseguenza, sono ancora vergine a 19 anni suonati. Sto per rispondere a tono quando qualcuno interviene nel discorso.
   «Non cominciare a fare il cagacazzo L, è lunedì mattina.»
Quando la sua figura entra nel mio campo visivo devo metterci tutto il mio autocontrollo per non sputare il caffè che ho appena iniziato a sorseggiare.
   «Oh andiamo J! Lo sai che è divertente!»
   «Lo so che ti diverte, ma qua ci sono i primini, ed è più divertente giocare con loro.»
Osservo Jack trascinare via di peso il mio peggior nemico ed io li fisso impassibile, mentre dentro di me tutto si sta rigirando vorticosamente.
   «Secondo te perché quei due sono migliori amici? Voglio dire… guardali. Sono radicalmente diversi.»
Melissa fissa prima me e poi loro.
   «Ti sbagli, in realtà sono molto simili. Guarda come vanno d’accordo. Sono come noi due, solo al maschile.»
La osservo con disappunto.
   «E io dei due chi sarei?»
Lei fa un sorrisetto che mi allarma.
Oddio! Che abbia capito che provo qualcosa per Jack?
   «Leonardo, ovviamente!»
Scoppia a ridere ed io le tiro un pugno sulla spalla rasserenandomi di colpo. L’idea di essere paragonata a Leonardo mi ha allarmata molto meno della potenziale scoperta dei miei sentimenti. Ci incamminiamo verso la classe e Melissa resta in silenzio, cosa del tutto insolita.
   «Che ti frulla per la testa?» lei sogghigna. «Allora?»
   «Stavo pensando che sarebbe divertente.»
   «Che cosa?»
   «Una storia d’amore tra migliori amici!»
   «Che?!»
   «Ma si, hai capito! Io e te con Leonardo e Jack!»
   «Cosa?!»
   «Ahahah dai, non lo pensi anche tu? Noi quattro seduti da soli, in un ristorantino romantico a lume di candela, le dita delle mani intrecciate… magari a san valentino, con tanto di vischio sopra la nostra testa!»
La mia immaginazione parte immediatamente, visualizzando quella scena arricchendola di dettagli. Io e Jack, da soli in questo tavolo appartato. Un tavolo rotondo con una tovaglia rossa e sopra solo una candela ed una rosa scarlatta. I suoi occhi che si perdono nei miei. Poi si alza avvicinandosi a me, afferrandomi le mani e facendomi alzare. Mi accompagna sotto al vischio (elemento non troppo adatto a san valentino ma, suvvia, passatemi la fantasia) e poi… il caffè mi va di traverso ed inizio a tossire. Melissa scoppia a ridere dicendomi che stava solo scherzando, io la guardo male.
La mia sopportazione ha un limite!
 
Rientriamo in aula e ci sediamo ai nostri posti. Saluto il salice fuori dalla finestra pronta a cominciare una nuova ed interessantissima (sono sarcastica) lezione di matematica. Prima dell’inizio, però, la docente ci comunica è stato deciso che i posti sarebbero stati riassegnati. La cosa non mi tocca più di tanto. In cinque anni io e Melissa non siamo mai state separate, non vedevo per quale motivo avrebbero dovuto separarci ora a tre mesi dalla fine dell’ultimo anno. La docente comincia ad elencare i vari cambi ed io ascolto solo per sapere se Jack verrà spostato o resterà al suo posto, dove riesco a guardarlo senza essere scoperta da nessuno. Quando la megera pronuncia il nome della mia migliore amica spalanco la bocca in segno di sorpresa e disappunto. Io e lei ci guardiamo ed io, subito, protesto.
   «Perché spostate Melissa?! Mica diamo fastidio durante le lezioni.»
È vero, di tanto in tanto (ok, spesso) chiacchieriamo, ma non abbiamo mai dato fastidio a nessuno.
   «Tra qualche mese avrete la maturità, e abbiamo convenuto che è più costruttivo per alcuni vostri compagni se, accanto a loro, mettiamo qualcuno che ha buoni voti in modo di aiutarli in caso di lacune.»
La docente mi fissa con aria di chi non può essere sfidato. Incrocio le braccia, arrabbiata, mentre la mia migliore amica recupera le sue cose.
Dannazione!E ora chi diavolo mi beccherò come vicino di banco?!
Il mio cuore si agita poco dopo, immaginando di trovarmi Jack accanto. Mi protendo sul banco, appoggiandomici con i gomiti ed osservando le labbra della docente in attesa di sentire il nome della persona che si metterà accanto a me. Quando lo pronuncia, comincio a chiedermi chi diavolo ha iniziato a mandarmi maledizioni. Il mio sguardo si rivolge subito verso di lei e la osservo alzarsi dalla sedia. La sua chioma bionda, liscia e fluente le scivola sulla schiena. Raccoglie le sue cose e si volta verso di me sorridendomi con i suoi denti bianchissimi e guardandomi con i suoi occhi chiari. Si avvicina prendendo posto. Mi accascio sulla sedia osservando il soffitto.
Ecco. Ci sono diverse ragioni per le quali non ho mai detto a nessuno dei miei sentimenti. Ed una di quelle è appena diventata la mia nuova vicina di banco.
Silvia sistema le sue cose e poi iniziamo a chiacchierare tranquillamente. In realtà, non ho nulla contro di lei. Come con Melissa, ci conosciamo fin dall’asilo ma, già da allora, con lei non avevo stretto quel gran legame. Siamo amiche, andiamo d’accordo, ma non c’è mai stato quel rapporto forte di vera amicizia. Tutti gli anni di scuola li avevo passati con lei e Melissa, erano ciò che mi restava delle mie vecchie classi, quindi conoscevo entrambe molto bene. Quindi perché sono scocciata di averla come vicina di banco? Semplice. Jack era cotto di lei, e lo sapevano tutti in quella classe, docenti compresi. Sebbene la cosa risalisse ad un paio di anni prima, nessuno sapeva se lui provava ancora quei sentimenti o meno, ma la cosa continuava a bruciarmi, ed anche parecchio. Avevo passato anni a paragonarmi a lei e, più lo facevo, più realizzavo quanto fossimo radicalmente diverse. E ora ce l’avevo come vicina di banco.
Può andare peggio di così?
Probabilmente, con quella frase, ho attirato su di me molta più sfiga di quanto non pensassi di avere già addosso.
 
Al secondo intervallo esco rapidamente dall’aula. Melissa rimane dentro per spiegare un argomento al suo nuovo vicino di banco. L’hanno messa accanto al ragazzo che ha il numero più alto di insufficienze nella nostra classe, probabilmente i docenti sperano in un miracolo. Percorro rapidamente i corridoi giungendo in quello dove c’è la sezione dell’altra mia migliore amica. Appena arrivo, lei esce dall’aula. Ho conosciuto Veronica qualche mese dopo l’inizio del quinto anno. Si era trasferita da poco e tutti le ronzavano intorno perché era la nuova arrivata. Ho subito pensato fosse davvero carina. È una ragazza bassa e magra, dai capelli castani lunghi fino alle spalle con una frangetta che le incornicia il volto. Ha gli occhi scuri e il sorriso sempre stampato in faccia. Ci siamo avvicinate prevalentemente perché si era trasferita nel mio paese, quindi è stata una cosa relativamente automatica. Appena mi vede mi fa un cenno di saluto.
   «Non ti ho vista al primo intervallo. Sei rimasta dentro a finire la verifica? Com’è andata?»
   «Possiamo parlare d’altro, per favore? Ah, tieni.» dice porgendomi il diario di corrispondenza che avevamo iniziato a tenere da qualche mese. «Ti ho risposto.»
Afferro il diario e ci incamminiamo verso le macchinette. Mentre siamo in fila aspettando il nostro turno il suo ragazzo arriva e l’abbraccia improvvisamente. Si scambiano qualche effusione e poi mi fa un cenno di saluto che contraccambio. Non conosco bene il suo ragazzo ma, in realtà, non ha senso approfondire troppo questa conoscenza. Una caratteristica di Veronica è che cambia ragazzo frequentemente. È una cosa che non riesco a comprendere pienamente. Lei lo liquida poco dopo e riprendiamo a chiacchierare fra di noi. L’intervallo finisce ed io rientro nella mia classe. Mi siedo al mio banco leggendo il diario dove Veronica si lamenta del suo ragazzo e mi chiede consiglio su quale sia il modo migliore di lasciarlo. Alzo gli occhi al cielo, pensando all’ennesimo poverino che finirà con il cuore spezzato.
 
Le lezioni finiscono ed io sono una delle prime ad uscire dalla classe. Ho bisogno di respirare un po’ di aria fresca. Esco fuori e respiro a pieni polmoni godendomi quel sole più caldo del solito. Mi stiracchio leggermente mentre aspetto che il cortile venga invaso di studenti.
   «Come mai tutta questa fretta di uscire oggi?»
Jack.
Mi volto e lo osservo mentre si accende una sigaretta.
   «Oh, andiamo, parli sul serio? Non dirmi che dopo tutte quelle ore di matematica scappare da quell’aula non è stata una delle soddisfazioni più grandi della giornata!»
Lui mi osserva stranito, e poi sorride.
  «Si, hai ragione.»
Iniziamo a chiacchierare ed io mi sento subito meglio. Probabilmente, uno dei motivi per il quale nessuno si è mai accorto dei miei sentimenti è perché non ho nessun problema ad interagire con lui in modo “normale”. O, per meglio dire, sono abbastanza brava a fingere di non provare nulla. Poco dopo ci raggiungono Melissa e Leonardo, ed io non posso fare a meno di immaginarmi nuovamente la scena al ristorante. Iniziamo a chiacchierare tutti insieme e, stranamente, siamo così in sintonia che l’idea di una cena a quattro comincia a sembrarmi meno assurda di quanto non sia effettivamente. Ad interrompere il momento idilliaco è Veronica che irrompe nella situazione nascondendosi dietro di me.
   «Sta ferma!» mi dice facendosi piccola dietro la mia schiena. «Non deve vedermi.»
   «Non deve vederti… chi?»
   «Il mio ragazzo. Cioè… il mio ex ragazzo. L’ho lasciato.»
   «Fantastico… questo quanto è durato? Una settimana?»
Lei mi pizzica la schiena.
   «Non fare del sarcasmo. Comunque, cinque giorni.»
   «Ehi, abbiamo un nuovo record.»
   «Cosa ti ho detto del sarcasmo?»
   «E io cosa ti ho detto quando ti ho spiegato di non metterti con il primo che capita perché finisci per stufarti prima di subito? Dovresti conoscere bene una persona prima di metterti con lei. Se no continuerai ad usarla e gettarla in meno di sette giorni.»
Lei mi pizzica ancora la schiena ed io sospiro, consapevole che non cambierà mai. Non al momento, per lo meno. Osservo l’ennesimo ragazzo passato tra le mani di Veronica-la-spezza-cuori allontanarsi da scuola con il morale sotto i piedi e, non appena è fuori dal nostro campo visivo, le faccio cenno che può uscire dal suo nascondiglio. Lei sospira e si allontana da me ed io mi volto verso di lei, incrociando le braccia. La guardo, aspettando una spiegazione. Lei sbuffa.
   «Mi ha chiesto se poteva presentarmi ai suoi come la sua ragazza. Ma ti rendi conto?! Non voglio una storia impegnativa a quest’età! Sono giovane!»
   «E allora perché ti fidanzi ogni tre secondi?»
   «Beh, perché non voglio nemmeno rimanere sola.»
   «Ti rendi conto che è un controsenso?» dico grattandomi la testa nervosamente.
   «Si ma… che importa? A me va bene così!»
   «E ai poveri malcapitati non ci pensi?»
   «Beh… loro sanno che sono fatta così. Hanno solo da non fare cose stupide ed io non li lascio!»
   «Ma se ne hai lasciato uno solo perché ti ha portato al cinema a vedere un film che non ti piaceva.»
   «Sbagliato. Mi ha portato a vedere un film horror. E non è che non mi piacciono, li odio proprio!!»
Sospiro, lasciando che la conversazione conduca in un'altra direzione. Tanto, quando si tratta di ragazzi, Veronica è un caso senza speranza.
 
Nel pomeriggio mi vedo con Melissa per studiare assieme. Entro in casa sua e salgo al piano di sopra, entrando nella sua stanza. Lei è già seduta alla scrivania e si sposta per farmi posto. Mi accomodo accanto a lei e, mentre tiro fuori le mie cose dalla cartella, lei inizia un discorso che non promette nulla di buono.
   «Secondo te… sarebbe così tanto strano?»
   «Che cosa?»
   «Quella cosa della cena a quattro.»
Mi blocco sul posto, con il braccio alzato mentre reggo l’astuccio. Melissa non mi guarda, fissa davanti a lei facendo roteare la penna che regge in mano.
   «…prego?»
Lei sbuffa, incrociando il mio sguardo.
   «Eh dai, hai capito. Il discorso di oggi.»
Vado in panico.
Che anche a lei piaccia…?
   «Intendi… con Jack e Leonardo?» Lei fa cenno di sì con la testa. «Perché parli ancora di quest’assurdità?»
   «Ecco, mi hai già risposto. Lascia stare.»
Si imbroncia. Ma ormai non posso più tornare indietro. Ormai, devo sapere.
   «Sei cotta di uno dei due, per caso?»
Con la mano smette di roteare la penna e la stringe. La guardo mordersi il labbro e l’ansia dentro di me inizia a salire.
No, ti prego. Non lei.
Inizia a rigirarsi una ciocca di capelli intorno al dito.
   «Si… beh… in realtà è già da un po’…»
   «Un po’ quanto? E chi ti piace dei due?»
Cerco di mantenere la calma. Non deve capire che provo qualcosa, non posso crollare proprio adesso. Se la risposta sarà Jack, dovrò avere la forza di supportarla.
Perché sono la sua migliore amica, ed è questo che fanno le migliori amiche. Si aiutano e si supportano.
Lei si appoggia allo schienale della sedia, ma resta in silenzio. La mia pazienza comincia ad esaurirsi ma capisco che ha bisogno di tempo, ma per me è difficile darglielo in questo momento.
   «Io… da qualche mese ho iniziato a vedere… Leonardo in modo diverso…»
La tensione si scioglie immediatamente e subito scoppio a ridere.
   «Per un momento ho temuto che dicessi che ti piaceva Jack!»
   «E perché mai?!»
   «Beh, potrei farti la stessa domanda! Che ci trovi in quel deficiente di Leonardo? È un coglione!»
   «Io… non lo so! Non ti è mai piaciuto qualcuno senza che riuscissi a darti un motivo?!»
Improvvisamente, smetto di ridere. Distolgo lo sguardo.
Capisco perfettamente quello che provi.
Restiamo in silenzio e lei mi fissa.
   «Aspetta… ti piace qualcuno! Oddio!!! Ti piace qualcuno?!» 
Continuo a restare in silenzio.
Che sia la fine del mio segreto?
Melissa comincia a saltellare sulla sedia ed io mi volto verso di lei.
   «Ora calmati, stavamo parlando di te.»
   «No cara! Io ormai ho vuotato il sacco! Ora tocca a te! Chi ti piace? Lo conosco? Da quanto ti piace? Come lo hai conosciuto?»
Vengo sommersa dalle sue domande e realizzo che ormai non ho più via di scampo. Alzo gli occhi al cielo, esausta. Le mando un’occhiata e poi incrocio le braccia.
   «Mi piace il miglior amico del mio peggior nemico.» sibilo sottovoce e alla velocità della luce.
   «Mi piace il miglior amico del mio peggior nemico.» ripeto, ma sempre con un tono relativamente basso.
   «Non ti sento, alza la voce.»
   «Mi piace il miglior amico del mio peggior nemico!!!» dico quasi urlando.
Lei mi guarda sorpresa ed io, immediatamente, divento viola in faccia.
   «Ti piace Jack?!» sentirmelo dire da qualcuno dopo cinque anni di silenzio è come un pugno nello stomaco. Mi morsico il labbro facendo cenno di sì con la testa. «Oh mio dio! Da quando ti piace?!»
   «Da… un po’.»
   «Non me lo avevi mai detto! Come mai?»
   «Beh io… voglio dire… guardalo! È… è Jack! Jack è… Jack è…»
Inizio a pensare a una sfilza di aggettivi con cui descriverlo ma non riesco a pronunciarne nemmeno uno. Appoggio la testa sulla scrivania.
Il mio segreto è appena andato a farsi benedire.
   «Da quanto ti piace?»
   «Da un po’ ti ho detto…»
   «Un po’ quanto? Quantifica!»
   «Dal… primo giorno di scuola.»
   «Che cosa?!» Melissa scatta in piedi sulla sedia. «Hai una cotta per lui da cinque anni?!»
Annuisco.
Vi prego… datemi un buco così mi ci infilo dentro.
Melissa scoppia a ridere ed io mi volto verso di lei immediatamente, fulminandola con lo sguardo.
   «Non è divertente!»
   «Certo che lo è!»
   «No! Affatto!»
   «Perché non glielo hai mai detto?»
   «E tu perché non dici a Leonardo dei tuoi sentimenti?!»
   «Beh, ma a me piace da qualche mese, non da diversi anni!»
   «Questo non centra niente!»
   «Certo che centra! Come diavolo hai fatto a tenerlo nascosto tutto questo tempo?! Io dopo due mesi volevo esplodere! Tu sei andata avanti cinque anni!»
   «Beh io… non lo so. Ho solo pensato che sarebbe stato più facile per tutti se fosse rimasto un segreto.»
   «Si ma tu sai che a Jack… sai che gli piaceva Silvia.»
   «Si… ero presente il giorno in cui si è dichiarato.»
   «Ma quindi quella volta tu… voglio dire, sei rimasta impassibile. Eppure eri già cotta di lui.»
   «Lo so… ma, vedi, la mia “maschera” non poteva crollare. Non proprio in quel momento. Voglio dire… si stava dichiarando ad un'altra. Le cose si sarebbero solo complicate di più se fossi scoppiata a piangere davanti a tutti, non trovi? Però, a dirla tutta, se in quel momento avessi avuto una pala, avrei scavato una fossa e mi ci sarei buttata dentro.»
   «Mi spiace, deve essere stata dura.»
   «Non quanto deve esserlo stato per lui ricevere un no secco. Poverino. Ero felice che lo avesse respinto, ma mi ha fatto una pena… è rimasto giù di morale per una settimana.»
   «Cavolo… che storia. Proprio non me lo aspettavo.»
   «Senti chi parla, quella che ha una cotta per Leonardo. Che ci trovi in quel beota? Che poi… tornando a parlare di Silvia… quei due sono ex.»
   «Già… quando hanno messo lei al mio posto in classe mi ha dato molto fastidio. Mi sono sentita come “surclassata”, in un certo senso. Come paragonata a lei in modo negativo. Visto che mi piace il suo ex è stato davvero frustrante.»
   «Non lo è stato solo per te… pensa che ora ho come vicina di banco la ragazza di cui era cotto il ragazzo a cui muoio dietro da cinque anni.»
   «In un certo senso è divertente, non trovi? Io e te siamo migliori amiche, e siamo cotte di due ragazzi che fra loro sono migliori amici, i quali hanno entrambi provato sentimenti per la nostra amica d’infanzia. È ironico tutto questo, non trovi?»
   «Certo, potrebbe esserlo. Ora però metti noi tre sullo stesso piano. Io e te siamo radicalmente diverse da lei. E a loro due è piaciuta lei, a cui noi non somigliamo per niente. Questo riduce al minimo le nostre possibilità di successo. Ti sembra ancora così divertente?»
Il gelo ci avvolge. Probabilmente lei non aveva mai considerato la cosa sotto questo punto di vista. Io, dal canto mio, mi ero già subita tutte le torture mentali inerenti a Silvia da parecchio tempo ormai.
   «No. Effettivamente, vista in questo modo, non è affatto divertente.» sospiriamo entrambe. Pensare di essere sulla stessa barca con lei mi fa sentire un pochino meglio. «Quindi? Che facciamo?»
   «Non so tu, ma io resto della mia politica. Finire le superiori senza che la cosa venga a galla così, quando le nostre strade si divideranno, lo dimenticherò per forza di cose e sarà meglio così per tutti.»
   «Sei sicura? Non è che poi lo rimpiangerai?»
   «Non posso rimpiangere qualcosa che so per certo che non può accadere. Mel, guardami. Guarda me e poi pensa a Silvia. Siamo opposte, e a lui sono quelle come lei che piacciono. Io non ho speranze, non ne ho mai avute. Per cui preferisco ritirarmela senza combattere una battaglia che sono destinata a perdere così mi evito delusioni, sofferenze e quant’altro. Ho resistito per quasi cinque anni, che vuoi che succeda in tre mesi?»
Lei mi osserva e ci pensa su, decidendo di adottare la mia stessa politica. Ci ridiamo su una volta e poi ci mettiamo a studiare. Eravamo davvero convinte che, in tre mesi, nulla sarebbe cambiato. E per Melissa, per fortuna, le cose non cambiarono affatto. Per me, invece, tutto mutò completamente.
   
 
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