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Autore: venusx    27/12/2018    1 recensioni
Cosa succede quando tutto finisce?
So a memoria come si svolge l'inizio. Conosco ogni possibile ed immaginabile versione. Scintille, fuochi d'artificio, kamikaze, bombe nucleari. L'amore è fragrante come una baguette francese appena sfornata e gustata di fronte alla torre Eiffel, dolce come una torta alle meringhe fatta dalla nonna, forte, intrigante, stordente, come un incenso alla cannella.
Ma quando il pane si fa vecchio, la torta viene consumata fino alle briciole e l'incenso si esaurisce?
Qui credo di poter entrare in scena io.
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Per chiunque, almeno una volta, abbia toccato con mano queste sensazioni.
Per chi non ha saputo come scrollarsele di dosso e cerca ancora un modo per farlo.
Per chi è semplicemente curioso, e per chi ha fantasia ed ama un po' di melodramma.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                             Prologo
 

 
Sono seduta su un sedile verde.
Vedo volti intorno a me.
Una donna di carnagione scura annuisce con un accenno di sorriso nel sentir parlare l'amico. Una ragazza con i capelli biondi scorre la home di qualche social network dal suo telefono. Un signore sui cinquant'anni ha le mani incrociate sul grembo, tiene gli occhi chiusi e il volto abbassato verso il mento.
Nessuno dei tre ha dedicato più di un secondo all'osservarmi. L'uomo di mezza età ha alzato lo sguardo dalle mani incrociate per un singolo istante, per poi riabbassarle immediatamente; le altre due sono consce della mia presenza allo stesso livello di consapevolezza attribuito all'aria che respirano: sanno ci sia, anche se non spendono tempo ad appurarsene.
Tutte le volte in cui ho viaggiato in treno, non consideravo così anormale la totale indifferenza che i miei compagni di cabina mi riservavano. Insomma, apparivo come una ragazza di bell'aspetto e ben vestita, con un paio di cuffie alle orecchie ed una borsa piena di roba al fianco, ma in fondo non ero niente di più. O meglio, niente che con un solo sguardo qualcun altro poteva notare.
Ma oggi la storia era leggermente differente: avevo due valigie enormi ad occupare i sedili di fronte, cuffie alle orecchie, un cappello troppo appariscente calato fin sopra gli occhi, stivali alti, gonna e cappotto lungo. Sarebbe bastata una minima occhiata per capire che stavo partendo per un viaggio importante, e non ci sarebbe voluto poi molto per carpirne la motivazione. La gente cerca e fa caso solo a segnali chiari ed evidenti. Le ombre scure sotto gli occhi create non dalla mancanza di sonno ma dal mascara colato fino agli zigomi, l'enorme quantità di fazzoletti usati e gettati nella borsa aperta sul sedile affianco e la mano che frenetica e leggermente tremolante vomita parole su un pezzo di carta sono informazioni palesi per facili deduzioni: peccato nessuno mi stia guardando.
Eppure, io osservo loro. E mi chiedo cosa trovino di così interessante nello schermo di un telefono, in una conversazione sull'ultimo film uscito al cinema, e, potrei scommetterci, l'uomo con le mani allacciate sulla pancia sta rimuginando sull'arrosto preparato da sua moglie che lo aspetta a casa. Nella mia mente penso a quanto ogni pensiero formulato negli ultimi cinque minuti da queste tre persone sia insignificante; nonostante questo, vorrei saperlo. Vorrei sapere se davvero l'uomo ha una moglie a casa che lo accoglie con un sorriso sulle labbra ed il mestolo in mano, vorrei sapere se la ragazza controlla così ossessivamente il suo telefono in attesa di un messaggio, o di una chiamata che non arriverà mai. Ma loro non mi guardano, ed io non riuscirò a vedere loro.
 Ciò che percepisco chiaramente è la portata del cambiamento della mia vita che il paesaggio che scorre fuori dal mio finestrino mi ricorda costantemente. E' incominciato con un sentore di familiarità e quotidianità, ma ora non riconosco nulla di tutto questo. Probabilmente, siamo già usciti da Roma. Controllo l'ora: siamo a metà del viaggio.
Prendo un altro dei miei fazzoletti e mi pulisco il viso. Mi piace la sensazione del pianto che si asciuga sulla faccia, ma credo di essermelo goduto per un lasso di tempo sufficiente: cambio playlist e metto la prossima della lista. Da poco tempo a questa parte, detesto piangere. Prima amavo la sensazione liberatoria che mi dava buttare tutto fuori, ancor meglio dopo aver lottato strenuamente per tenerlo nascosto fino a che non fossi stata sola. Prima, piangevo con molto più trasporto, tanto che mi sembrava quasi di urlare: uno di quei gridi silenziosi, soffocati nell'esofago. Ho imparato a conoscere bene le cinque fasi del dolore: si passa dall'indifferenza, ed io l'ho affrontata con una playlist di Michael Bublè nelle orecchie, sorriso sulle labbra e tacchi alti ai piedi. Mentre il cantante Americano mi urlava nelle tempie quanto fosse una splendida giornata, ho ricevuto un messaggio. Dopo quel messaggio, è iniziata un'ira sordida, come un antifurto senza intermittenza, un suono fastidioso, assordante e neutralizzante. Non mi dispiace questo sentimento. E' come bere fino a perdere la cognizione di ciò che si ha intorno: non senti più nulla e non ricordi più nulla, sei solo furiosa. Dio solo sa quanto sia dura smaltire una sbornia da rabbia.
Ti svegli la mattina dopo e sei vuota. Completamente. Niente rumore prolungato: solo un incredibile dolore che parte dalla testa e ti si propaga in ogni parte del corpo. Ho affrontato la tristezza nel peggiore dei modi, all'inizio. Ho forzato la mano alzandomi di scatto e pretendendo di svegliarmi all'alba per adempiere ai miei doveri, come ogni buon impiegato si sente di dover fare dopo l'after della sera prima; la cosa brutta è che non ti rendi conto delle occhiaie, i capelli sporchi, i vestiti spiegati e la puzza di alcol impregnata sulla pelle fino a che non torni a casa e ti guardi allo specchio. Così ho passato la mia prima settimana. Vivendo come prima, senza più avere un prima. Quando ho visto il mio riflesso, per la prima volta dopo giorni, ho guardato fino in fondo ed ho pianto. Ma non c'era nulla di liberatorio in tutto quello. L'unica cosa che sentivo era come il bisogno di vomitare venire da ogni membra del corpo. Nel mentre si affoga nella tristezza, milioni di interrogativi ti prendono la mente. Sono loro i veri artefici del tuo dolore. Perché. Come. Ma il peggiore di tutti: E se. Ci fareste colazione, pranzo e cena, di E se, fino all'indigestione. La nostalgia e la solitudine vengono dai ricordi, ma questi appaiono sporadicamente, sanno essere infimi e sanno aspettare il momento giusto, al contrario, le domande ti consumano a fuoco lento. Ci vuole molto tempo per passare lo stadio della psicanalisi. L'elettrocardiogramma della tua vita è piatto e non c'è verso di farlo smuovere, per quanto ti sforzi di rianimarlo.
Durante questo stadio terminale, ho combattuto con me stessa: non cedere, non scrivere, non chiedere, è stata la cosa più difficile ed inaccettabile, fino a che non ho capito. Ho capito che non importava, la risposta, perché non esisteva nessuna domanda lecita.
Quando ho accettato la perdita, ho continuato a sentire tutta la portata della mancanza. Niente cessa, la rabbia si spegne, ma non scompare, ed ogni piccola scintilla può far ripartire il gioco.
In tutto il tempo che è passato, ho imparato una cosa.
Dalla tristezza, non c'è via d'uscita prestabilita. Niente mappa del tesoro con x rossa ad indicarti la via per la tanto agognata felicità. Niente prescrizione medica che ti indichi quante pillole di gelato, uscite con le amiche, vestiti nuovi ti serviranno per guarire dalla tua patologia. Inutile brancolare nel buio alla ricerca disperata dell'uscita più breve.
Quando si affronta una rottura, è un po' come perdere la vista. Non puoi metterti a correre, e magari fiondarti contro un muro o in mezzo alla strada. Non puoi neanche rimanere ferma ed immobile a marcire in un angoletto del tuo divano.
Sei costretta a procedere a tentoni, passo passo: ti dovrai abituare ad affidarti a tutti gli altri sensi, sentirai odori a cui prima non facevi caso, l'udito sarà la tua ancora di salvezza.
Oggi sono sul mio treno e sento tutto perfettamente. Un'acqua di colonia troppo forte, un vago sentore di vaniglia, il cornetto ormai freddo nella mia borsa, marmellata d'arance. La voce dell'altoparlante annuncia l'arrivo del treno alla prossima stazione.
Guardo fuori il finestrino e leggo il cartello a pochi metri da me: Milano Rogoredo.
Raccolgo le valigie e mi alzo.
La ragazza bionda non mi guarda.
L'uomo di cinquant'anni ha ancora gli occhi chiusi.
Il ragazzo e la donna sono girati di spalle.
Sto sorridendo, me lo dice il riflesso dal finestrino.











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Angolino Autrice:
Non ho idea, in tutta sincerità, di dove andrà a parare questa storia.
Penso cambierà e si evolverà con me.
Grazie a chiunque abbia letto questo primo prologo, se vi va, e se vi interessa un seguito, lasciate anche solo una piccola recensione, mi farebbe tanto piacere:)
Ven

  
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