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Autore: Imperfectworld01    30/12/2018    2 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Mi sentii come se qualcuno avesse afferrato le mie corde vocali e le avesse tenute strette in un pugno. Urlavo, eppure dalla mia bocca non usciva nessun suono, se non un lieve lamento quasi impercettibile. Avevo la vista offuscata per via del pianto, e il respiro affannato.
Ad un certo punto le mie gambe cedettero e caddi rovinosamente a terra, sull'asfalto, sbucciandomi le ginocchia. 
Le mie mani erano sporche di sangue, sangue che non era mio. La voce nella mia testa mi ripeteva che avrei dovuto alzarmi e correre via, tornare a casa, ma il mio corpo non riusciva a reagire, a dargli ascolto, eseguire i comandi. Sarebbe errato dire che in quel momento fossi congelata, poiché di fatto mi stavo muovendo, o meglio, stavo tremando incessantemente.
Per circa un minuto e mezzo, dimenticai persino di respirare, finché non udii una voce alle mie spalle. Allora ripresi a respirare, a fare respiri lunghi e profondi, come quando si ritorna in superficie dopo aver tenuto il fiato sott'acqua per tanto tempo.

«Cosa fai ancora qui? Dobbiamo andarcene! Nessuno deve sapere che siamo state qui!»

Avrei dovuto darle ascolto, ma non potevo. Non riuscivo a muovermi da lì, a smettere di tremare, a bloccare le lacrime. E poi c'era sangue. Sangue ovunque. Sangue che non era mio.

«La polizia sarà qui a momenti, dobbiamo andarcene, Megan!»

Solo dopo aver sentito il mio nome qualcosa scattò in me. Riacquistai lucidità. Deglutii e poi, appoggiando il peso sulle mani per darmi la spinta necessaria, mi rialzai in piedi. Barcollai per un secondo, prima di riprendere l'equilibrio. Tracey mi prese per mano e cominciò a correre, trascinandomi dietro di sé. Ci dirigemmo verso la sua auto, lei mi aprì la portiera e mi aiutò a sedermi. Mi allacciò la cintura e poi fece il giro del veicolo per salire in auto al posto del guidatore.
Mise in moto, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada, senza voltarsi nemmeno un secondo verso di me. Il tutto andò avanti per una decina di minuti, finché io non riacquistai la calma e fui in grado di parlare.

«Dovremmo andare alla polizia» dissi, guardando fuori dal finestrino. Non era giusto quello che stavamo facendo. «Dovremmo dire tutta la verità. Dobbiamo farlo per lei, noi... glielo dobbiamo» la mia voce subì un cambiamento di tono pronunciando l'ultima frase. Si fece tremolante e rotta. Un po' come mi sentivo anch'io all'interno: mi sentivo rotta, frantumata, lacerata in mille pezzi. Ancora non potevo credere a quello che era successo.

«Megan, che cazzo dici? La polizia non è mai in grado di risolvere un cazzo di niente, lo sai, e non ci crederebbero mai. Sei sotto shock, lo so, e anch'io, ma fidati di me. Quando ti sarà passata, ti accorgerai anche te che è la cosa giusta da fare.»

«La cosa giusta da fare per chi? Per noi? Andrebbe tutto solo e unicamente a nostro vantaggio, mentre se dicessimo quello che sappiamo, faremmo la cosa giusta anche per...»

«È morta!» mi interruppe, voltandosi finalmente verso di me e rivelando un viso rigato dalle lacrime.

Quelle due parole rimbombarono nella mia mente all'infinito. No, non era vero. Non era morta. Non poteva essere così. Forse era ancora viva. Dovevamo tornare indietro. Se fossimo tornate indietro, potevamo salvarla. Non era morta.

«È... è morta. Non possiamo più farci nulla. Possiamo solo cercare di salvarci il culo. Anzi, dobbiamo riuscirci. Perché altrimenti andremo in galera e anche le nostre vite finiranno, saremo letteralmente fottute. Tu non potrai andare ad Harvard, né io in un qualsiasi college di merda che la mia famiglia potrà permettersi di pagare. Il nostro futuro, i nostri piani, non andranno mai a compimento. Passeremo i prossimi quindici o più anni della nostra vita all'interno di una cella, mangiando cibo scadente, dormendo male, correndo il rischio di essere malmenate o, peggio, stuprate da altri detenuti o da qualche agente di polizia. Herman mi lascerà, e pian piano tutti lo faranno. È un paesino piccolo, perciò tutti lo sapranno e presto, conoscenti, amici, persino i nostri genitori non vorranno più sapere niente di noi. Rimarremo sole e, quando avremo scontato la nostra pena, avremo la fedina penale sporca e nessuno vorrà mai assumerci, per nessun tipo di lavoro. Verremo viste da tutti come delle assassine. 
Tutto questo accadrà, se non mi darai ascolto.»

Non dissi niente. Tracey aveva ragione, era l'unico modo.
Mi passò delle salviettine struccanti che teneva nei sedili posteriori, così che potessi pulirmi il viso dal trucco che mi era colato per via delle lacrime. Passai le salviettine anche sulle mani, levando il sangue.
Guardai il mio riflesso sullo specchio retrovisore. Ora sembravo quasi una ragazza normale, tranne che per gli occhi gonfi. Ma nessuno avrebbe potuto farci caso. Avrei potuto dire di aver litigato con il mio ipotetico ragazzo e di esserci stata così male, da finire per passare tutta la serata a piangere. Era credibile, verosimile. Peccato che non fosse la verità.

Ad un certo punto, Tracey fermò la macchina. Si girò di nuovo nella mia direzione. «La tua camicia è sporca di sangue» mi disse e io deglutii, sollevandone i lembi e accorgendomi dell'enorme macchia di sangue che ricopriva la mia camicetta preferita. L'avevo comprata da appena due giorni. Ero così ansiosa di metterla che avevo tolto l'etichetta e l'avevo indossata alla prima occasione, senza neanche averla lavata prima. E ora era coperta di sangue. Sangue che non era mio.

«Forza, devi togliertela! Nessuno può vederla!» ordinò.

«Ma, io...» rinunciai a terminare la frase e diedi subito ascolto a Tracey. Mi sbottonai la camicia e poi la tolsi. La nascosi sotto il mio sedile, l'avrei lasciata lì, almeno per il momento.

«D'accordo. Ora andiamo» disse Tracey, aprendo la portiera e scendendo dall'auto.

«A-andiamo dove?» balbettai. Solo allora mi guardai intorno e mi accorsi che non mi aveva riaccompagnata a casa. Eravamo davanti ad un locale e, a giudicare dalla grande insegna luminosa appesa all'entrata, doveva trattarsi di una discoteca.

«Dentro» rispose, come se le avessi appena fatto una domanda idiota.

«In queste condizioni? Sono in reggiseno!» le feci notare.

«Fa niente, oramai va di moda. Muoviti, dobbiamo entrare dentro. Ballare, svagarci, o perlomeno far finta. Scambiare qualche chiacchiera qui e là, sedurre qualche ragazzo, far credere a tutti che stiamo passando una bella serata.»

«Perché?» domandai confusa.

«Non l'hai ancora capito? Dobbiamo procurarci un alibi.»

***

Eccomi con una nuova storia. Premetto che non ho mai scritto una storia sul genere thriller, perciò non so che cosa ne verrà fuori. 
Fatemi sapere che cosa ne pensate!

 
   
 
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