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Autore: lady lina 77    30/12/2018    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'invettiva di George Warleggan contro di lui, orientata a convincere tutti i votanti a non scegliere Ross Poldark, fu talmente convincente che pure lo stesso Ross, se fosse stato nei panni degli altri, non avrebbe votato per se stesso.

Rimase serio durante la fase delle votazioni, accanto a Lord Basset che, da vecchia volpe, si guardava attorno lanciando occhiate silenziose ed eloquenti agli altri rappresentanti delle contee presenti.

George elencò tutti i suoi peccati di gioventù, i suoi guai con la legge, gli incidenti alle sue miniere che avevano purtroppo avuto come esito alcune vittime, il suo carattere irascibile e poco serio, la sua scarsa socialità, il suo essere sempre fuori dalle regole... Fu convincente a suo modo e Ross, ridendo sotto i baffi, pensò quasi quasi di votare lui per il seggio di Londra.

Dopo un discorso del genere, difficilmente avrebbe preso dei voti. In tanti lo conoscevano di fama e chi non lo conosceva personalmente... beh, ora grazie a George sapeva tutto di lui.

Valentine, accanto a lui, gli tirò la manica della giacca. Lord Basset aveva insistito perché lo portasse con loro, convincendolo che l'immagine di padre di famiglia avrebbe fatto presa sugli astanti e Ross, anche se restìo, alla fine aveva portato il figlio con se. "Papà?".

"Sì?".

"Ma davvero hai fatto tutte queste cose da giovane? Quelle che ha detto quel signore?".

Ross annuì, vagamente orgoglioso di se stesso. "Anche di più".

Valentine sorrise, sinceramente colpito. "Forte!".

E Ross si accigliò, guardandolo storto. "Tu ovviamente NON le farai queste cose...".

Basset, con accanto sua moglie e la piccola Emily, gli diede una gomitata nella schiena. "Iniziano le votazioni, pregate che non debba fare il viaggio verso Londra con George Warleggan".

"Pregherò... per il bene dell'Inghilterra" – rispose Ross sarcastico, guardando il suo storico nemico che, con la consueta faccia corrucciata, lo guardava dall'altro lato della sala.

I votanti iniziarono a esprimere le loro preferenze e i primi quattro voti furono tutti per George. Ross sospirò, preparandosi all'inevitabile sconfitta. Non aveva mai nutrito troppe speranze e forse il suo destino sarebbe rimasto comunque quello di rimanere in Cornovaglia, come era nelle sue idee iniziali, a gestire le sue miniere.

Ma poi Basset votò per lui e tutto cambiò, facendogli comprendere quanto ascendente e quanto potere sugli altri avesse quell'uomo.

E dopo il voto di Basset, uno dopo l'altro arrivarono otto voti per Ross Poldark. Votarono tutti per lui, all'unisono, anche coloro che più erano vicini alla famiglia Warleggan.

Ross trattenne il respiro, George divenne paonazzo e quando il Presidente della seduta decretò la vittoria e l'assegnazione del seggio a Westiminster a Ross Poldark, se ne andò a passo spedito dall'aula, sbattendo la porta.

"Non prende bene le sconfitte" – sussurrò Ross, più divertito da quella reazione che dall'esito del voto che, forse, non aveva ancora mentalmente realizzato appieno.

Basset rise, trionfante, trascinandolo a stringere le mani a tutti coloro che avevano votato per lui, dandogli fiducia.

Ross si lasciò trascinare, quasi inebetito da quell'esito inaspettato che ora, grazie dopo grazie, diventava improvvisamente reale. Ora era vero, ora era un membro del Parlamento e sarebbe dovuto partire per Londra. Era emozionante, eccitante... e pauroso. Mille nuove responsabilità lo avrebbero atteso, avrebbe dovuto imparare l'arte della diplomazia, essere più accondiscente e meno irruento. Un uomo rispettabile, insomma, uno che non fa a botte nelle osterie per risolvere i problemi ma li affronta argomentando nelle sedi opportune.

Valentine gli corse vicino, abbracciandolo. "Papà, che vuol dire? Hai vinto?".

"Sì!" - gli rispose, accarezzandogli i capelli neri e pieni di ricci.

"Allora ora sei un uomo importante".

Basset annuì. "Esatto, ora è uno degli uomini più importanti della nazione".

La piccola Emily Basset, per mano alla sua mamma, arrivò da loro. "Valentine, ora verrai anche tu a Londra! Ci sono un sacco di bambini là, vedrai! Ti presenterò tutti i miei amici!".

Ross si accigliò, guardando la piccola Emily e poi Valentine. In realtà, fin da quando suo figlio era nato, aveva sempre cercato una scusa per sfuggire da lui e non essere costretto, tutto il giorno, a guardarlo e a ricordare il dolore e gli errori che aveva commesso in passato. Londra avrebbe potuto allontanarlo dal peso dei ricordi per molti mesi all'anno, avvolgendolo e risucchiandolo in una vita nuova e frenetica che poteva permettergli di non pensare mentre Valentine sarebbe rimasto a Nampara, accudito da Jane e John. Erano questi i suoi piani e, anche se questa scelta era in parte egoistica, la giudicava anche la soluzione migliore per un bambino tanto timido e delicato come suo figlio che di certo si sarebbe trovato più a suo agio nella casa dov'era cresciuto piuttosto che in una società frenetica e diversa come quella di Londra.

Valentine, incurante dei suoi pensieri, sorrise a Emily. "Amici? Quanti ne hai?".

"Tanti! Anzi, tante! Le femmine giocano con le femmine e i maschi coi maschi, a Londra! La mia migliore amica – ma io non sono la sua – è Lady Clowance Armitage. Ma lei preferisce essere la migliore amica di Lady Chaterine e io sono solo la seconda nella sua lista".

"Ohhh" – fece Valentine, stranito da quelle strane dinamiche a lui sconosciute.

Ross guardò Basset. "Lady Clowance? Lady Chaterine? Emily ha amicizie adulte?".

Basset rise. "No, sono due bambine sue coetanee moooolto nobili e con tanto di titolo nobiliare. Le conoscerete o meglio... ne conoscerete le famiglie. Soprattutto gli Armitage, del casato Boscawen. Lady Clowance è la nipote di Lord Falmouth, un mio amico di bisbocce ma avversario politico. Uomo furbo, sornione, una vecchia volpe che la pensa perennemente al contrario di me. Ma potente e che può veicolare molti voti in Parlamento. Ve lo presenterò una volta arrivati a Londra perché se riusciamo a convincerlo della bontà delle nostre idee e a portarlo dalla nostra parte, lui farà piovere su di noi parecchi voti dei suoi soci e compagni di partito".

Ross ci pensò su. "Boscawen? Ne ho già sentito parlare, forse... Una famiglia molto potente e vicinissima ai sovrani. Che ruolo avrei io nel convincere questo uomo a darmi fiducia? Come potrei farlo?".

Basset gli strizzò l'occhio. "Avete una buona parlantina, una grande faccia tosta e siete un grande oratore, appassionato e fiero. Tutte qualità che Falmouth ama. Se gli entrerete in simpatia, forse potremmo usufruire del suo aiuto, ogni tanto... Ma nel mentre, quando partirò con la mia famiglia per Londra, mi adopererò a trovarvi un alloggio consono al vostro nuovo ruolo".

Ross lo guardò storto, rendendosi conto che l'ingresso in quel mondo fatto di regole che lui non condivideva era ormai inevitabile e avrebbe dovuto abituarcisi. "Un uomo che chiama la nipotina con un titolo nobiliare non mi piace. Mi fa senso, un bambino dovrebbe essere solo un bambino".

Basset rise. "Lady Clowance? Oh ma quella è una piccola vera leader, una Lady nata. Come suo zio! E' l'idolo di tutte le bimbe dei giardini di Kensington, tutte vogliono essere sue amiche. Ma sono bambine e quando sono all'aria aperta giocano esattamente come giocano i monelli della Cornovaglia, non preoccupatevi".

Valentine sorrise eccitato, Emily annuì e Ross decise di affrontare il discorso della partenza con suo figlio da soli, una volta a casa. I racconti di Basset lo indirizzavano sempre più verso la scelta di lasciarlo a Nampara e in fondo avrebbe solo dovuto spiegargli il perché. Sarebbe stato bene, lui stava sempre bene con Jane e John e Londra non era una buona scelta per lui.

"Andiamo a brindare? Di là, nella sala accanto, hanno imbandito un banchetto" – propose Basset, prendendo sua moglie a braccetto.

Ross li osservò, erano davvero una bellissima coppia e guardandoli si chiese se Demelza sarebbe stata orgogliosa di lui quel giorno, se fosse stata presente. Abbassò lo sguardo, malendicendosi per quel pensiero che lo tormentava ad ogni momento del giorno, ricordandosi che era solo e che lo sarebbe stato per sempre.

Fece per prendere la mano di Valentine ma suo figlio si era già allontanato. Anche lui aveva trovato compagnia e, mano nella mano con la piccola Emily, trotterellava dietro la coppia dei Basset.

A quanto pare l'unico non accoppiato era rimasto lui...


...


Jane e John Gimlet gli avevano fatto trovare una torta di mele al suo ritorno, adducendo che erano sicuri della sua vittoria e volevano essere pronti per i festeggiamenti.

Banchettarono con i Basset organizzando date di partenza e districando difficoltà organizzative e poi in serata, una volta rimasti soli, Valentine gli saltò sulle ginocchia. Era eccitato quel giorno, allegro e insolitamente ciarliero, cosa che non accadeva quasi mai. E non stava fermo un attimo, segno che non aveva dolori alle gambe e che stare in compagnia di una bambina gli aveva fatto bene. "Ma papà, a Londra ti dovrai vestire come Lord Basset?".

"Temo di sì".

Il bimbo rise. "Sembrerai un... pinguino".

Anche Ross rise. "Dove hai visto i pinguini?".

"In un libro di fiabe che mi ha letto Jane. Anche Jane e John vengono a Londra con noi?".

Ross deglutì a quella domanda, era arrivato il momento di spezzare l'eccitazione di Valentine e di spiegargli un pò di cose. "Jane e John resteranno quì. Con te... Solo io partirò per Londra".

Valentine spalancò gli occhi e Ross sentì le sue manine tremare. "Solo tu? E io? Mi lasci quì solo?".

"Non solo, con Jane e John".

Gli occhi di Valentine divennero lucidi. "Ma starai via tanto tempo... Senza di me...".

Ross sospirò, cercando di spiegargli che non poteva fare altrimenti. "Valentine, Londra non è un posto adatto a dei bambini, starai meglio quì, lo faccio per il tuo bene".

"Emily Basset ci va però! Il suo papà non la lascia a casa da sola. E ci vivono tanti bambini a Londra, perché io non posso andarci?".

"Perché io ritengo che non sia un bell'ambiente per te! Dovrò lavorare, starò fuori tutto il giorno e non ci vedremmo comunque mai! Quì starai meglio".

Valentine lo guardò stranito e... arrabbiato? "Da solo? Per quasi tutto il tempo?".

"Valentine...". Ross era sicuro di essere stato convincente ma guardando suo figlio si rese conto che non credeva a nulla di quello che lui gli aveva detto.

Il bimbo sollevò i suoi occhi scuri, piantandoglieli addosso. Tremava, era arrabbiato ma anche deluso e spaventato per la piega che avevano preso le cose. "Partirai e non tornerai più. E io sarò da solo per sempre".

"Non essere sciocco, certo che tornerò! Quì ci sei tu, c'è la mia casa e c'è la mia miniera. Parto per lavoro, non per divertirmi! E tu mi aspetterai a casa".

"Perché Lord Basset ce la porta la sua famiglia? Lui Emily la vuole sempre con se anche se deve lavorare".

Ross sospirò. "Lord Basset ha una moglie e Emily una mamma che si prende cura di lei".

Valentine abbassò lo sguardo. "Io la mamma non ce l'ho e adesso non avrò più nemmeno il papà". Con rabbia gli voltò le spalle, si avvicinò alla credenza e prese un foglio e dei pastelli, sedendosi poi al tavolo senza degnarlo di uno sguardo.

Ross gli si avvicinò, preso in contropiede da quella reazione rabbiosa di Valentine e indeciso sul da farsi. Fino a quel momento Valentine era stato zitto e silenzioso davanti alle sue idee e decisioni ma qualcosa era cambiato, segno che suo figlio stava crescendo e stava iniziando a sviluppare la sua personalità. "Che cosa stai facendo?".

"Il mio ritratto".

Ross si grattò il mento. "Perché?".

Il piccolo alzò lo sguardo, serio. "Così te lo puoi portare a Londra e non ti dimenticherai di me e magari qualche volta tornerai a trovarmi".

Rimase spiazzato da quella risposta, come poteva pensare che...? Si inginocchiò accanto a lui, cercando la sua attenzione. "Valentine, sei mio figlio, come potrei dimenticarmi di te? Come potrei dimenticarmi di una persona a cui voglio bene?".

Valentine rimase in silenzio.

"Hei?".

"Lasciami finire il ritratto" – rispose il piccolo, senza alzare il viso.

Ross lo guardò e a un tratto fu colto da un terribile dubbio. "Valentine, tu sai che ti voglio bene, vero?".

E Valentine rimase in silenzio, di nuovo...

Ross a quel punto fermò la sua manina che disegnava, posò il pastello e sedendosi accanto a lui, lo prese sulle ginocchia. "Valentine?".

"Non vuoi mai stare con me, papà. Non credo che mi vuoi bene, non sempre. Quasi mai...".

Ross deglutì. Sapeva di non essere un buon padre e sapeva anche quanto avesse tentato di scappare dal suo rapporto con Valentine ma lo amava, anche se non era un gran che bravo a dimostrarlo. Era vero, era un genitore assente e sempre alla ricerca di emozioni che lo facessero sentire vivo e forse non si era mai soffermato a pensare a quanto questi suoi comportamenti influissero sul pensiero che Valentine aveva di lui ma era convinto che suo figlio, proprio in virtù del fatto di essere suo figlio, sapesse che un padre ama a prescindere, anche se non è bravo a farlo vedere. Ma non era così, era palese che si era sempre sbagliato... Valentine non era più un neonato, aveva ormai sei anni e ormai sapeva valutare il perché dei comportamenti di chi gli stava attorno e di certo percepiva il distacco emotivo fra loro, chiedendosi il perché. "Valentine, la mia vita non è facile, spesso sono nervoso e silenzioso. O assente. Ma ti voglio bene e se vado a Londra lo faccio anche per te, per rendere migliore il mondo in cui vivrai da grande".

Valentine lo guardò in viso. "Ma non mi vuoi mai con te, non fai mai niente con me. Io ti aspetto sempre ma tu non arrivi quasi mai e adesso starai a Londra, magari ti piacerà e non tornerai più".

Ross lo guardò e in quel momento il viso di Valentine si sovrappose a quello di Jeremy, nei loro ultimi momenti insieme più di sei anni prima. Stessa tristezza, stesso desiderio di contatto e di essere visti e ascoltati e in entrambi i casi lui aveva fallito. Aveva abbandonato Jeremy, non c'erano scusanti, non c'erano la gravidanza difficile di Elizabeth o l'inferno della situazione vissuta allora a scagionarlo. Lui, che aveva l'arroganza di voler andare a Londra ad insegnare come vivere agli altri, aveva ABBANDONATO suo figlio ben prima che Jeremy lasciasse la Cornovaglia. Lo aveva abbandonato a ogni sguardo o carezza negato, a ogni fuga verso Trenwith per vedere Elizabeth, ogni volta che si era preso cura di Jeoffrey Charles e non di lui, quella notte maledetta dove aveva tradito la sua famiglia e i suoi figli e dopo, quando aveva promesso di tornare a trovarlo e non lo aveva mai fatto. E ora si chiedeva cosa pensasse di lui questo suo bimbo che ormai aveva nove anni e forse si domandava chi fosse suo padre, perché non c'era mai stato e probabilmente lo odiava... E Valentine non era diverso, anche lui era sempre stato abbandonato a se stesso perché suo padre col suo egoismo era sempre impegnato in altro. Aveva ragione, perché credergli? Cosa garantiva a Valentine un suo ritorno? Cosa garantiva a suo figlio che lo amasse, lui che era sempre fuggito lontano da lui? Aveva già fatto quella promessa, l'aveva fatta a Jeremy e non era più tornato e ora... E ora voleva far credere a Valentine che lo stava lasciando in Cornovaglia per il suo bene? Non c'era più nessuno della famiglia nelle vicinanze e sarebbe rimasto per lunghi mesi solo con dei domestici. Trenwith era ormai deserta ed abbandonata dopo la morte di Agatha due anni prima e Jeoffrey Charles, con cui i rapporti non erano mai migliorati, aveva voluto andarsene e ora studiva in una scuola militare a Southampton. Suo figlio aveva ragione, sarebbe rimasto davvero solo...

D'istinto abbracciò Valentine, rendendosi conto che era l'unica famiglia che ormai avesse e che era suo e doveva esserne orgoglioso. Poi prese un pastello dal tavolo, mettendoglielo in mano. "Finisci il ritratto così che poi, quando arriveremo a Londra, decideremo dove appenderlo nella nostra casa nuova".

Valentine, a quelle parole, alzò la testa di scatto. "Londra?".

Ross sorrise, decidendo che dovevano stare insieme. "Esatto! Jane e John verranno con noi e ci trasferiremo la tutti insieme finché dovrò lavorarci".

Valentine divenne rosso dall'eccitazione, gli si aggrappò al collo e lo baciò sulla guancia. "Mi porti?".

"Ti porto".

"Grazie papà!". Il piccolo saltò giù dalle sue gambe, correndo verso la cucina. "Vado a dirlo a Jane".

Ross annuì, vedendolo schizzare via veloce come il vento. Era felice, ora... E forse anche lui, di quella decisione che era votata più al bene di Valentine che al suo, forse per la prima volta da quando era nato.

Poi salì nella sua camera, sedendosi sul letto e tirando fuori dal comodino il cavallino di legno di Jeremy che teneva con se da anni ormai. Chissà com'era cresciuto, chissà quante cose sapeva fare ormai, chissà quanto bene voleva a sua madre e al suo fratellino... o sorellina... Chissà cosa stava facendo in quel momento...

Si mise il cavallino nella tasca della camicia, lo avrebbe portato a Londra con se, sarebbe stato il suo portafortuna. Non avrebbe potuto restituirlo a Jeremy, lui sarebbe sempre stato il suo bambino perduto ma per fortuna aveva capito che non poteva permettersi di perdere anche Valentine perché una vita a chiedersi anche per lui dove fosse, cosa facesse, come vivesse, sarebbe stata un ulteriore inferno.

Aveva perso tre figli, una portata via dalla malattia, due dai suoi errori e dal suo egoismo. Non ne avrebbe perso un quarto!


...


Seduti nella libreria dei bambini, in attesa di andare a letto, con indosso le loro camicie da notte, Jeremy, Clowance e i gemelli stavano scegliendo il libro di favole da leggere quella sera.

Demian e Daisy si rotolavano sulla moquette con Garrick facendo baccano mentre Clowance aiutava Jeremy nella scelta della lettura.

"La principessa nordica! E' un bel racconto secondo me" – propose Clowance, seduta per terra e intenta ad accarezzare il pelo bianco e candido della sua lupa albina Queen, regalo di suo zio. L'aveva desiderata da morire dopo che Jeremy aveva adottato una specie di meticcio spelacchiato simile a un volpino anche per colore del pelo, che aveva trovato per strada e chiamato Fox, e Lord Falmouth l'aveva accompagnata a un allevamento di cani di razza ben felice di accontentarla. Aveva scelto una meravigliosa cucciola di lupa che si era accoccolata fra le sue braccia, bella ed elegante come lei e da quel momento erano diventate inseparabili. Queen, così l'aveva chiamata, era altera e regale nei movimenti, sfuggente e ubbidiva solo a Clowance di cui era l'ombra.

Jeremy, con a fianco il vivace Fox, la guardò storto. "Favola da femmina! Leggila tu, se la vuoi".

Clowance gli fece la linguaccia. "Leggere le fiabe è compito tuo! Lo ha detto papà".

"Sì certo! Ma se lo fai tu per una sera, mica sudi!".

Clowance lo guardò storto mentre i gemelli ridevano. "Non so ancora leggere bene!".

"Perché sei una somara! Lo dice anche il nostro maestro che non hai voglia di fare niente a lezione".

Clowance si imbronciò. "Sono una Lady, devo essere educata! Non istruita".

Jeremy rise, avvicinandosi e dandole un pizzicotto sulla guancia. "Somara, somara! Hai sei anni e nemmeno sai ancora leggere bene".

Clowance gli diede una manata ma poi scoppiò a ridere, dandogli uno strattone e facendolo cadere a terra. "Selvaggio! Tu e il tuo cane non di razza".

Demian si avvicinò allo scaffale coi libri, prendendone uno dalla copertina tutta colorata. "Questo, Jeremy".

Jeremy lo prese in mano, ridendo. "Sveva la zebra! Clowance, ti ricordi?".

"No, cosa?".

Gli occhi di Jeremy divennero lucidi. "Era il nostro libro preferito da piccoli! Papà ci aveva portati a vederla, Sveva. E aveva regalato un cucciolo di tigre a mamma!".

Per un attimo calò il silenzio e Clowance divenne triste, abbracciando Queen che la leccò sul viso. "Papà scriveva anche le poesie a mamma, lei me lo racconta sempre".

"Mi manca tanto il mio papà" – sussurrò Jeremy, stringendo a se il libro.

Daisy, molto più pratica e decisamente meno sentimentale, gli si avvicinò, dandogli una manata sulla schiena. "E allora leggi! Devi farlo tu, lo aveva detto lui!".

Jeremy sorrise alla sorellina, sedendosi in terra e prendendola sulle gambe. Demian sgattaiolò fino a lui sedendosi vicino e lo stesso fecero Clowance e i tre cani. Poi aprì il libro, leggendo le prime parole di quel racconto che lo riportava a un affetto mai dimenticato e purtroppo perduto troppo presto.

"C'era una volta una zebra che si chiamava Sveva e viveva nella Savana...".




  
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