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Autore: Shadow Eyes    31/12/2018    2 recensioni
{Island Mode} | [...] Se fosse stato il protagonista di un videogioco, Nagito era certo che la barra dei suoi HP avrebbe subito una qualche sorta di danno in quel momento. Provò a sorridere ma non ottenne che una smorfia di circostanza, il suo volto incapace ancora una volta di mascherare il proprio disappunto. Stare con Chiaki sembrava intaccare la sua abilità nel camuffare le emozioni. Forse stava abbassando un po’ troppo la guardia.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chiaki Nanami, Nagito Komaeda
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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Dangan
Serendipità
{Danganronpa 2: Goodbye Despair | Island Mode}




That all we are
Is a light into the darkness;
And all we are
Is time that’s counting down.
And all we are
Is falling through the spaces in between;
Endless flight,
A lifetime in repeat.

EDEN, “Circles”





Mancava un’ora al tramonto e se ne stavano seduti sui grani d’oro, caldi, della spiaggia, le loro figure adombrate dalle ampie fronde delle palme che frusciavano al vento.
«Che bell’atmosfera…»
Nagito si stiracchiò e i suoi capelli bianchi oscillarono verso il cielo, crespi come la spuma del mare.
«Vero.»
Il giovane mosse gli occhi alla sua sinistra, mentre il mormorio di Chiaki Nanami veniva trasportato via dalla brezza salmastra; l’aveva osservata giocare ad uno sparatutto per un po’, seguendo con attenzione i movimenti rapidi delle sue dita sui tasti. Era difficile descrivere cosa si provasse ad avere il privilegio di assistere – così da vicino – ad una tale esplosione di talento: era una libidine per i sensi, elettricità nei nervi, era sentire il cuore colmo d’una determinazione terrificante
Nagito chiuse gli occhi, cercando di dissimulare i fremiti che gli avevano invaso gli arti giocherellando con i lacci del costume da bagno. Se si fosse lasciato prendere da certi pensieri, l’avrebbe messa a disagio e non poteva— non voleva. Ci teneva che quel pomeriggio continuasse a passare liscio come l’olio; era ancora una bella giornata… Per lo meno per i suoi orripilanti standard.
«Sai, aspettare il tramonto in riva al mare mi riempie di speranza.», provò a buttarla lì, contando sul fatto che, parlando d’altro, anche la sua mente si sarebbe resettata. «Qualsiasi cosa accada stanotte… Il sole sorgerà ora e per sempre, spazzando via le tenebre. Lo so che è una sciocchezza, ma pensarci mi fa quasi sentire invincibile
Il tronco della palma era ruvido e, quando ci premette la schiena contro, gli raschiò le scapole.
«Oh… Interessante.» Chiaki sbadigliò. «Ora mi sento sollevata.»
«Mh?»
«Be’, per un po’ ho pensato fosse inappropriato per una ragazza invitare un ragazzo in una circostanza del genere, però… Non sento nessun doki doki nel petto e i tuoi occhi non brillano come stelle… Quindi va bene così, penso.»
«… Sei una ragazza buffa, Nanami.»
Chiaki s’imbronciò e gonfiò le guance, tenendo lo sguardo fisso sullo schermo della console.
«Ah, suvvia! La trovo una caratteristica graziosa!», aggiunse Nagito conciliante, notando la comparsa d’una sfumatura rossa sulla punta delle orecchie della gamer. «Dico davvero.»
Con le labbra risucchiate tra i denti, Chiaki piegò un braccio e si tastò le spalle con una mano, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
«Temo sia rimasta in albergo. La tua felpa, intendo.», cinguettò ancora lui e, per qualche strano motivo, la sua compagna si trasformò immediatamente in una statua di sale. Ops. «Ah… Ma se non ti fa schifo, indossa pure la mia! A me non fa fred—»
Non riuscì nemmeno a terminare la frase che Chiaki sparì all’interno della sua felpa in un guizzo verde, quasi come se ne fosse stata inghiottita, il cappuccio calato fin sopra al naso.
Wow.
Che l’avesse messa in imbarazzo? Forse era di nuovo il momento di cambiare discorso. Magari avrebbe potuto trovare uno spunto innocuo per farla rilassare un po’ ma, ahilui, non se l’era mai cavata in quel genere di cose.
«Nanami?»
«Sì?»
«Finire qui tutti insieme è stato un gran colpo di fortuna, secondo te?»
La giovane si morse il labbro inferiore mentre Nagito sollevava le ginocchia al petto, stringendosele tra le braccia con le iridi accese da un’inquietudine quasi febbrile.
«Mmmh…»
Dopo un attimo di titubanza, Chiaki mise in pausa il gioco: stava chiaramente soppesando la risposta da dargli, e Nagito non poté che accogliere quella premura nei suoi confronti con un sorriso.
«Immagino di sì.», disse lei infine, «Del resto, è raro che degli studenti come noi abbiamo la possibilità di passare due mesi in un paradiso tropicale.»
«Capisco. Sei una che si accontenta di poco, vero?», gli scappò di bocca con una spensieratezza impressionante persino per lui. «Voglio dire, non ti sembra che stare qui con le mani in mano sia un po’ noioso? È uno spreco di potenziale, no? Tu, Hajime… Voi tutti siete la personificazione della speranza! Dopo quella premessa pazzesca fatta da Monokuma, non pensi ci sia in gioc—»
Chiaki gli lanciò un’occhiata rapida prima di riportare la sua attenzione allo sparatutto, riprendendo la partita.
«Le tue parole… È come se non ti considerassi una parte del gruppo.»
Nagito si zittì. C’era qualcosa, nella voce di Nanami, un’increspatura nel tono che suonava quasi di rimprovero. Lo stomaco gli sprofondò, come se avesse appena saltato accidentalmente uno scalino. Non riusciva proprio a capire. La ragione per cui non si era mai considerato al pari degl’altri Ultimates era piuttosto ovvia— sarebbe stato come mettere sullo stesso piano eroi e comparse. Erano gli eroi a salvare il mondo, persino Nanami non avrebbe potuto negarlo; le comparse potevano al massimo servire da trampolini di lancio per il completamento dell’impresa. Non c’era davvero motivo di prendersela.
«Nanami…»
Il giovane si passò una mano dietro il collo, accorgendosi d’avere la pelle d’oca. A volte odiava quel fuoco, quella foga dentro di lui, perché erano troppo difficili da controllare e finiva sempre per dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. Si schiarì la voce, facendo del suo meglio per reprimere quella consapevolezza dietro un sorriso: fallì miseramente.
Accidenti.
«Scommetto che ti sei pentita d’avermi invitato a passare un po’ di tempo con te.»
Cristalli gelidi gli si diffusero tra le viscere, facendolo sbiancare, l’espressione solitamente serafica ora una maschera inespressiva. Nagito respirò con lentezza, lasciandosi gonfiare i polmoni dalla brezza salina che spirava tra i riflessi dell’acqua. Era un sentimento bizzarro in realtà, quello che stava provando— come se avesse appena scelto di calpestare un fiore sbocciato nell’asfalto. Un gesto maligno tanto quanto il rovinare la giornata ad una delle poche persone che l’aveva sempre trattato con garbo.
Sospirò.
«Aaah, e dire che ero così contento quando me l’hai chiesto… Ma va bene così, non ci si può aspettare altro da me.», disse, il riso tornato a stiragli le labbra. «Rovino tutto. Faresti meglio a starmi lontana, se vuoi goderti questa vacanza.»
Le dita pallide di Chiaki si strinsero attorno alla console, congelando sullo schermo il volto di un soldato dietro le lettere: “pausa”. Lentamente, la ragazza si voltò a guardarlo e, per qualche ragione, essere esposto a quello scrutinio lo riempì d’ulteriore angoscia.
«Non fare così, Nanami. Per uno scarto come me, il cui talento non dipende da nessun tipo di capacità, potervi osservare da lontano è già una benedizione di per sé!», salmodiò Nagito e le pupille gli si dilatarono, piantandosi come aghi negl’occhi di Chiaki. «Non mi serve altro. Starmi vicino può solo portare a—»
«No.»
Ah, che donna crudele. Le erano bastate due lettere – semplici, fervide – per aprire una breccia nel muro che aveva eretto tra loro con tanta fatica e attenzione. Nagito sapeva bene che, se non fosse corso ai ripari, se non avesse di nuovo mentito, le distanze tra loro si sarebbero accorciate— ma la realtà dei fatti era che cominciava a non importargliene più nulla. Per anni aveva tenuto amici e conoscenti a debita distanza per paura che il suo talento potesse far loro del male e, a dirla tutta, si era abituato in fretta ai vuoti che la solitudine gli aveva creato attorno, ai silenzi e all’assenza di contatto umano. Non gli dispiaceva vivere così, eppure ogni singola interazione con Hajime e Nanami accresceva in lui la brama di porre fine a quella farsa.
«Tu sei uno di noi, Komaeda. Lo sei sempre stato e lo sarai fino alla fine.»
Ah, Nanami… Fai sembrare tutto così semplice.
Delle fitte acute gli trapassarono il petto, costringendolo a rannicchiarsi ulteriormente su sé stesso, le braccia serrate attorno alle ginocchia come a voler contenere quel tumulto emotivo, a tenerselo dentro.
«E… Che altro? Ah, non capisco perché pensi che questa vacanza sia un spreco di tempo.», aggiunse Chiaki con concitata flemma. «Perché non lo è affatto… O per lo meno credo. È un’occasione per creare un legame con gli altri.»
Nagito deglutì, col rombo del suo cuore impanicato che andava pian piano scemando, lontano, perso tra le onde del mare. Era catartico, in un certo senso, essere rimbrottato a quella maniera. Come se Nanami ci tenesse davvero a lui.
Si voltò a guardarla, incontrando le sue iridi chiare, limpide.
«Un… Legame?»
«Sì. Ci sono ancora tante cose che non so. Qui ho la possibilità di imparare, di… Migliorare, ecco. E lo stesso vale anche per te.»
Ah.
Non ce la fece— Dovette distogliere lo sguardo da quello di Chiaki; quegl’occhi, oh, quegl’occhi malinconici lo stavano facendo sentire così piccolo e infimo. Erano una delizia insopportabile.
«Lo credi davvero, eh.»
Avrebbe dovuto suonare come una domanda ma, in realtà, non era che un verdetto polemico. La gamer sembrò intuirlo, perché non disse altro, riprendendo a giocare con uno sbadiglio.
Che fare? Che dire? Nagito preferì nascondere i mille dubbi che gli si stavano affacciando nella mente dietro un velo d’indifferenza; aveva mandato tutto all’aria oppure no? Con Chiaki, era difficile dirlo anche se, a voler leggere tra le righe, non gli aveva ancora lanciato alcun segnale ostile. Non gli aveva nemmeno detto di andarsene o di lasciarla in pace per il momento, quindi…
Dovrei… Rimediare? Sono ancora in tempo?
Si sgranchì le gambe intorpidite, stendendole sulla sabbia e lasciandosi consolare da quel tepore gentile.
Era fortuna, la forza che stava interferendo nei loro discorsi? Sfortuna? Casualità? Non riuscendo a venirne a capo, Nagito riprese a gingillarsi con i lacci del costume da bagno, slacciandoli e riallacciandoli, creando nodi, fiocchi, arrotolandoli tra loro finché una domanda non sovrastò il ronzio confuso dei suoi pensieri. Si fermò. No, non ne valeva la pena. Quella, era solo una curiosità scomoda, si disse, ma l’impulso di sapere la verità continuò a svicolare e a sgomitare tra i suoi denti, finché non riuscì a sfuggirgli di bocca.
«… Perché? Perché proprio me, Nanami? Avresti potuto passare un bel pomeriggio con chiunque altr—»
- “Ci hai traditi tutti—!”
Le urla di un soldato provenienti dalla Game Girl Advance lo fecero sobbalzare appena.
«Perché?», ripeté Chiaki, quasi a voler prendere tempo. Probabilmente non s’aspettava che avrebbero ripreso a conversare. Non così in fretta. «Be’, perché volevo essere un po’ più come Hajime.»
«… Non credo di seguirti.»
«In questi giorni mi hai dato l’impressione d’essere… Solo, Komaeda. Anche quando sei insieme a tutti gli altri.»
Nagito si voltò verso di lei, le sopracciglia increspate dalla sorpresa.
C’era d’ammetterlo, quella ragazzina aveva talento per il dichiarare verità scomode come se stesse chiacchierando del tempo.
«È un po’ come se fossi in una città piena di NPC con cui non puoi interagire; dopo un po’, finisci per sentirti isolato. Tipo in Yakuza— no, forse ho scelto l’esempio sbagliato.», ci tenne a precisare lei prima di rimuginare su qualcos’altro, battendosi l’indice sulle labbra. Dopo un istante d’esitazione, si tolse il cappuccio, rivolgendogli un sorriso piccolo, onesto, che gli fece accelerare i battiti. «Insomma, è una sensazione che…» S’interruppe nuovamente. «È una sensazione che conosco, così mi sono chiesta: “cosa farebbe Hajime per aiutare Komaeda?”.»
«Oh.»
«Per quello ho pensato che, forse, stando insieme avremmo potuto farci forza l’un l’altro… Il potere dell’amicizia e tutto il resto, no? Prima ci urliamo contro sulla spiaggia, poi ci prendiamo a pugni e alla fine ci abbracciamo sotto la luce del tramonto e piangiamo, diventando amici per la pelle. È così che funziona.»
«… Vivere nella tua testa dev’essere un’esperienza incredibile, Nanami.»
«Hm?»
A quanto pareva il detector di sarcasmo della ragazza era fuori uso.
«Io e te non siamo molto bravi a stare insieme agli altri.», riprese infatti lei, come se nulla fosse. «Dovremmo imparare a farlo, invece. Meglio di come lo facciamo adesso, o finiremo per perderci un sacco di belle esperienze.»
«Quindi unendo le forze possiamo migliorare… È questo che intendi?»
«Sì. Io… Voglio completare le routes di tutti i nostri compagni di classe. Tu no?»
Il grigio delle iridi di Nagito oscillò, increspandosi prima di sfolgorare. Con le tempie che gli pulsavano sempre più forte, il ragazzo nascose il viso tra le dita ossute, lasciando uno spiraglio solo per l’occhio destro, immobile su Chiaki.
«Ma che…» Arrossì, lasciandosi fuggire un risolino tremulo. «Razza di sciocchezza.»
E rimasero così, l’uno accanto all’altra, avvolti da un silenzio che aveva un che di confortante.

∙◦◌◦∙

Un rumore acuto risvegliò Nagito dal torpore, facendogli alzare la testa.
Mi sono… Addormentato?
Intontito, si guardò attorno, accorgendosi solo allora d’essere circondato da una meravigliosa fantasmagoria di luci ocra, carminio e porpora: il sole aveva cominciato la sua lenta discesa, trasformando la spiaggia in una distesa di brillanti che faceva sembrare l’intera isola un luogo di fiaba.
Dopo essersi stiracchiato con un sorriso, il giovane si sporse verso la figura raggomitolata al suo fianco, sfiorandola con la spalla; Chiaki non diede alcun segno d’aver percepito la sua presenza, rapita com’era dal gioco e, per un folle istante, gli parve quasi sul punto di non respirare.
«Nanami?»
Nessuna reazione.
Accigliandosi, Nagito diede una sbirciata allo schermo della console per capire cosa l’avesse assorbita a tal punto, ma l’immagine che intravide servì solo a confonderlo ancora di  più; quella roba era decisamente troppo da shojo per far parte di uno sparatutto.
«Hai cambiato gioco?»
«Mh?» Chiaki inspirò piuttosto rumorosamente, come se fosse di ritorno da un’apnea. «… Ah, sì, questo è un Dating Sim.»
Un flash rosso trapassò d’improvviso le loro retine, abbagliandoli.
«Ah, non promette bene», commentò Nagito, «… Cos’è successo?»
Una musica cupa, incalzante, soffocò la sua domanda e Chiaki si imbronciò, la scritta: “Che Occhi Meravigliosi”, riflessa sulle sue iridi rosate.
«Sono stata uccisa.»
«Oh.» Non sapendo bene quanta importanza dare all’avvenimento, il ragazzo sollevò le mani con fare conciliante. «Accidenti… Mi dispiace, Nanami.»
Chiaki si volse ad incontrare il suo sguardo, ma era piuttosto ovvio che la sua mente fosse altrove, perché lo fissava come se potesse vedergli attraverso.
«Non importa… Credo. I Dating Sim sono il mio tallone d’Achille.», ammise infine con un piglio di dolce tristezza. «Sbloccare il vero finale non è mai un’impresa facile.»
«Ah…» Incerto su come proseguire, Nagito si umettò le labbra. Erano ruvide e screpolate. «Se vuoi, posso provare a fare io le scelte al posto tuo. Con la mia fortuna—»
«Inaccettabile.»
«Oh, ma certo! Che vado a pensare?», si corresse allora lui, cordiale. «L’aiuto di uno come me potrebbe solo peggiorare le cose!»
«No, non è così, Komaeda. Il fatto è che… Vedi, il diventare capace di superare una sfida è parte integrante dell’essere un videogiocatore.», gli spiegò Chiaki, rianimandosi, «Non sarebbe una mia vittoria, se mi affidassi alle scelte di qualcun’altro!»
«Oh.»
«Ma tranquillo, prima o poi, anche i Dating Sim non avranno più segreti per me!»
Nagito la scrutò con intensità da dietro le ciocche ispide della frangia. Gli piaceva l’espressione risoluta che Nanami gli aveva rivolto: trasmetteva una determinazione ardente che non voleva assolutamente che perdesse.
«Bene, ti prendo in parola. Ma… Non possiamo certo far finire la giornata su una nota dolente, non trovi?», si ritrovò a dire, alzandosi in piedi. «Che ne diresti di fare una passeggiata prima di tornare in albergo? Sono certo che questa tua piccola sfortuna ci condurrà a qualcosa di buono!»
«Davvero? Dici che potremmo trovare un tesoro?»
«Wow, che sguardo accecante!», rise lui, provando tenerezza per l’ingenuità di quella domanda. «Be’… Mai dire mai, immagino.»
Il suo ottimismo vagamente posticcio parve contagiarla, perché Chiaki annuì, tirandosi su.
«… Speriamo di non trovare un Mimic.», mormorò, sistemando la sua fida Nantendo nello zainetto che si era portata dietro prima di gettarselo in spalla, pronta all’avventura.
Facendo ipotesi su forzieri sepolti e mappe create da pirati, i due s’incamminarono assieme lungo il bagnasciuga, i loro piedi orme evanescenti nella sabbia zuppa d’acqua.
«Ah! Guarda, Nanami!», esclamò Nagito d’un tratto, puntando l’indice tra i flutti sulla riva.
«Cosa? Cosa?», squittì lei, emozionata, «Hai trovato un forziere?»
«Non esattamente…» Il giovane fece qualche passo in avanti e si chinò, raccogliendo una graziosa conchiglia a tortiglione: era liscia, lunga quanto il suo palmo e la sua spira era percorsa da strie perlacee, rosé e brune. «Sai, dicono che all’interno di queste conchiglie si possa ascoltare il suono del mare.»
Si voltò a guardarla, carico d’aspettazione.
«Ma il mare è proprio qui, davanti a noi.»
Se fosse stato il protagonista di un videogioco, Nagito era certo che la barra dei suoi HP avrebbe subito una qualche sorta di danno in quel momento. Provò a sorridere ma non ottenne che una smorfia di circostanza, il suo volto incapace ancora una volta di mascherare il proprio disappunto. Stare con Chiaki sembrava intaccare la sua abilità nel camuffare le emozioni. Forse stava abbassando un po’ troppo la guardia.
«Prendi tutto troppo alla lettera, Nanami.»
«Ah, sì?»
«Sarà per questo che non riesci a trovarti un ragazzo.»
Chiaki batté ciglio una volta, poi due— alla terza, le guance presero a gonfiarsi e gonfiarsi con quella che Nagito immaginò fosse aria… E una certa percentuale di sdegno. Se l’era presa?
Quasi a voler confermare i suoi pensieri, la gamer si chiuse in un silenzio meditativo e il braccio le scattò di nuovo alla volta del cappuccio, prima di bloccarsi a mezz’aria. «Be’, non posso certo dire che ti sbagli.», gli concesse dopo qualche minuto, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Infagottata com’era nella sua felpa, sembrava proprio uno dei bimbi sperduti dell’isola che non c’è. «L’amore è qualcosa che ancora non comprendo.»
«Ammettere una cosa del genere con una tale franchezza… Sei davvero qualcosa di speciale, Nanami.», si complimentò il giovane, avvicinandosi a lei con la conchiglia stretta tra le dita. «Ma non crucciarti, hai ancora il tuo talento e tutto il tempo di questo mondo per scoprire i segreti dell’amore!»
Quella frase la fece sussultare.
«Tutto… Il tempo…» Gli fece eco e qualcosa nei suoi occhi parve spezzarsi. «Sai, Komaeda, tu…» Esitò, sembrando cambiare idea più di una volta su cosa dire. «Non capisci davvero nulla di ragazze.»
Colpito e affondato.
«Dici? Effettivamente ci sono cose che anch’io ho difficoltà a capire. Siamo una bella squadra, io e te.»
Nagito ridacchiò mentre lo sguardo inizialmente incerto di Chiaki mutava in divertito, spostandosi dal suo volto alla conchiglia che ancora stringeva in mano.
«… Oh, vuoi provare a sentire il rumore delle onde?», domandò lui con rinnovato slancio, porgendogliela. «Se la porti con te, potrai ascoltarlo quante volte vuoi anche in albergo.»
Chiaki si sporse in avanti ad osservarla.
«Stai dicendo che qui dentro c’è davvero il mare? Tipo, se dovessi rompere la conchiglia nella mia stanza, finirei per allagare tutto?» A dispetto delle implicazioni bislacche e vagamente inquietanti del suo ragionamento, la ragazza divenne tutta un fremito e prese a saltellare da un piede all’altro, «Ah, però i livelli con l’acqua sono sempre i più frustranti da superare…»
Si afflosciò su sé stessa.
«Eh? No, intendevo solo che— facciamo così: guarda quel che faccio io.» Nagito si portò la conchiglia all’orecchio. «Facile, no? Se può riuscirci un pezzente come me, non vedo perch—»
E la “e” finale s’acuì nel più breve gorgheggio power metal della storia, facendo sobbalzare Chiaki come un gatto a cui era stata pestata la coda.
«Ahia…»
Confusa, la ragazza si portò una mano alle labbra.
«E quello cos’è? ... Un Nipper?»
Appeso all’orecchio di Nagito, un granchietto verdognolo stava penzolando con la chela libera schioccante e pronta all’assalto; la sua indignazione per aver appena perso il proprio appartamento era piuttosto palese.
«Nah, è troppo piccolo, per esserlo… Ma in quanto a collera, non scherza nemmeno lui, te lo posso assicurare.»
Ripresosi immediatamente dallo spavento, il giovane decise di non fare nulla per staccare la bestiola, indirizzando le proprie attenzioni a Chiaki con un sorriso smagliante.
«Su, ora tocca a te.»
In tutta risposta lei sbiancò, gli occhi ridotti a due fessure cariche di sospetto.
«E se nella conchiglia ci fosse un altro Nipper?», gli domandò, indietreggiando, «E se mi entrasse nell’orecchio e diventassi una donna-granchio? E se—»
«Andrà tutto bene, Nanami. Ne sono certo.»
Un cavallone gelido s’infranse attorno alle loro caviglie, facendoli rabbrividire.
«Gli animali… I pesci non mi piacciono molto ma… Uffa, e va bene.», borbottò infine Chiaki. «Mi fido di te. Penso.»
«Ah, che onore! Sono lusingato!»
Nagito conservò la sua facciata di soave imperturbabilità mentre la ragazza s’accostava alla sua mano estesa, sfiorandone la pelle con le punte arricciate dei capelli. Facevano il solletico, ma non si mosse.
«Pronta?»
«… Sì.»
A quel punto, il pazientissimo, serenissimo Ultimate Lucky Student aveva tutte le ragioni del mondo per presumere che Chiaki gli avrebbe finalmente preso la conchiglia di mano – invece la ragazza ci avvicinò solo e soltanto l’orecchio, costringendolo a rimanere col braccio teso in avanti mentre lei si metteva in ascolto. Forse non era stata del tutto onesta, quando gli aveva detto di fidarsi di lui.

Va be’, pazienza.
«Oh! Sento qualcosa!»
Socchiudendo le palpebre, Chiaki sorrise, sistemando meglio il capo contro l’apertura della conchiglia. La sua guancia era morbida, ma stranamente fredda.
«Questo suono… Mi ricorda casa…» Sussurrò e i raggi del sole le scivolarono sul viso bianco e tra i capelli, facendoglieli risplendere come se fossero intessuti di luce. Era incredibile quanta speranza potesse racchiudere una così semplice immagine, si ritrovò a considerare Nagito, e le iridi gli s’intorbidirono, svuotandosi d’ogni emozione.
Poi Chiaki cominciò a russare.
«Ehm…»
Il granchietto perse la presa sul suo orecchio arrossato, precipitando tra le onde del mare nel silenzio più assoluto.
«Nanami?»
Nagito scosse il capo, il terrore che gli aveva ghiacciato le membra un attimo prima dissolto in tiepido sollievo. Per una volta l’universo aveva bilanciato un piccolo momento prezioso della sua vita con qualcosa di ridicolo, invece che di tragico.
Meglio così…
Batté ciglio, osservando meglio Chiaki. Certo che era impressionante: in due secondi contati era riuscita nell’impresa d’addormentarsi in piedi, bilanciandosi solo grazie alla testa, abbandonata senza remore contro il suo palmo. Forse il suo talento non era quello di miglior videogiocatrice, ma di miglior ghiro.
«… Nanami?»
Sollevando la mano libera, Nagito trapassò con l’indice la bolla di muco che le fuoriusciva dal naso ad ogni respiro, facendola esplodere con un soddisfacente “pop”. La gamer spalancò gli occhi.
«Ah…! Scusami, Komaeda, devo essermi addormentata… Il suono del mare è così rilassante.», farfugliò prima di lasciarsi andare ad un lungo sbadiglio. «Anche la tua mano è comoda.»
«Davvero? Se sei tu a dirlo, lo prendo come un complimento!»
Ronfando soddisfatta, Chiaki si stiracchiò sotto i colori caldi del cielo.
«Sai, non credevo che avrei imparato qualcosa di nuovo anche oggi, e invece…», gli confessò con l’aria di una bambina che era entrata per la prima volta in una negozio di caramelle. «Grazie!»
Un sorriso radioso, un po’ impacciato, le salì agl’occhi, accendendoglieli.
«Per così poco…», minimizzò Nagito, grattandosi la tempia. «Non merito alcun ringraziamento.»
«E invece sì, per me è importante!»
«Be’, ad essere onesti, anche tu mi ha insegnato qualcosa d’importante su me stesso, quindi siamo pari.»
«Ah, sì? Cosa?»
Mah, non ricordava poi così bene. Qualcosa che aveva a che fare con il potere dell’amicizia e tutto il resto.
«… Segreto.»
«Oh.» Chiaki non parve stupita. «Be’, a me basta festeggiare il nostro doppio level up!»
«Perché no?», concordò lui immediatamente. «E per tenere fede al nostro impegno, propongo di coinvolgere tutti!»
«Ah, hai ragione!»
Contento di averle fatto dimenticare l’orripilante finale del Dating Sim, Nagito ridacchiò assieme a lei, godendosi la carezza del vento sulla fronte sudata, tra i capelli, sentendosi leggero come non lo era mai stato.
«Sai, Komaeda… Se ci pensi, alla fine un piccolo tesoro lo abbiamo trovato.», gli fece notare Chiaki, indicando la conchiglia. «Proprio come avevi previsto!»
«Un bottino misero, ahimé. E poi… Non è sempre un bene sapere certe cose in anticipo.» Il ragazzo scrollò le spalle. «A volte, ci prendo più spesso di quanto vorrei.»
«Su questo… Non hai torto.»
«Trovi anche tu?»
Con una smorfia, fece per disfarsi della conchiglia (perché, poi? Il suo corpo non sembrava rispondergli) quando la piccola mano della gamer scattò verso il suo polso, immobilizzandolo.
«Aspetta! Questo tesoro… Lo terrò con me. Così non mi dimenticherò di questa giornata.»
Il cuore di Nagito saltò un battito. No, no, si disse, calma, Chiaki stava semplicemente cercando di essere gentile, la sua non era che comune cortesia. Non poteva davvero importarle qualcosa di lui o di quel pomeriggio passato assieme… Giusto?
Il ragazzo chinò il capo, osservando da sotto le ciglia chiare l’acqua mentre saliva e scendeva lungo il bagnasciuga, perdendosi tra i ghirigori della spuma. Attorno a lui c’erano così tanta luce e aria e blu che per un attimo fu colto dalla vertigine, ritrovandosi in bilico tra cielo e terra. Era felice, oh, era felice e la cosa lo spaventava a morte.
«Un momento così bello… Per bilanciare tutto questo, ho paura che—»
«Eh? “Paura”?», ripeté Chiaki dopo qualche istante, «Paura di cosa?»
«Oh, ho detto una sciocchezza, non farci caso!», ridacchiò lui, sollevando le mani a mo’ di scusa, «Uno sciagurato come me non dovrebbe passare così tanto tempo sotto il sole, o comincia a sragionare!»
«Oh. Effettivamente il tuo naso è piuttosto rosso. Anche gli occhi. Vuoi tornare in albergo?»
«Io… Sì. Meglio di sì. Presto farà buio.»
«Ok.», disse Chiaki, infilando la conchiglia nella scollatura del bikini. «Andiamo.»
Quello… Non era esattamente il luogo più appropriato in cui conservare una cosa del genere, pensò imbarazzato Nagito, ben lungi però dal farlo presente all’incauta donzella. Probabilmente Hajime avrebbe apprezzato.

Probabilmente tutti i ragazzi avrebbero apprezzato. Compreso Hanamura.
Oh, per l’amor di
«Nanami?»
«Sì?»
«Perdonami.»
Senza fare complimenti, Nagito pinzò la conchiglia tra pollice e indice e la conservò nello zainetto di Chiaki.
«Komaeda?»
«Sì?»
«… Pervertito.»










.:~*~:.

Yo~! ∠( ᐛ 」∠)_
Mi ero ripromessa di pubblicare qualcosa prima della fine dell’anno, ed eccomi qui, nel vuoto cosmico prima di Capodanno!
Questo, in realtà, è un esperimento. Mi sono persa dentro i miei stessi pensieri durante la stesura e si vede (e vi chiedo scusa) ma mi va bene così, perché per mesi non sono riuscita a mettere niente su carta… Questa storia, invece, mi ha coinvolta passo passo e mi ha fatta sentire finalmente soddisfatta di qualcosa che ho creato con le mie stesse manine.
La caratterizzazione dei personaggi segue quella del videogioco e non dell’anime (lo specifico perché tra i due medium alcune cose cambiano). E, soprattutto, tiene conto di tutti eventi personali dei personaggi e del finale di Island Mode (perché anche lì si scoprono cose interessanti, soprattutto su Nagito).
L’avviso per gli spoiler l’ho messo più per le note che altro… Perché per spiegare il contesto qualche spoilerino lo devo fare. Pronti?
3!
2!
1!
Dunque, questa one-shot prende luogo nell’AU di “Danganronpa 2: Goodbye Despair” che viene raccontata in “Island Mode”. Per chi non ci abbia mai giocato, in questa modalità vengono fatti rivedere i primi istanti di gioco… fino allo scontro tra Monokuma e Usami. L’AU inizia nel momento in cui è Usami a vincere, invece del nostro orsacchiotto preferito [?????]. In questo modo, i giovinotti e le giovinotte dell’Hope’s Peak Academy possono finalmente godersi una vera e propria vacanza di due mesi, cazzeggiando sull’isola, costruendo mecha e flirtando con Hajime. ♥
In questa AU Nagito è delusino, povera stella, perché non deve più uccidere gente a caso per far esplodere la speranza nei cuori dei suoi amici [?????]. Mentre Chiaki ha finalmente il tempo per imparare tante cose belle grazie al pazientissimo protagonist-kun. Con questa premessa, io li ho presi e buttati in una spiaggia per vedere che succedeva. Et voilà~! ˙ᘧ ͜ ˙
Eeeeee lo so, i buoni sentimenti™ galoppano selvaggi in questa one-shot hah hah hah! XD Ma le atmosfere nell’AU sono molto più rilassate, per ovvi motivi… Se po fa’. Tipo Nagito impara solo nell’AU che dentro di lui c’è sempre stata la speranza e che non aveva bisogno di cercarla negli altri Ultimate. Un po’ triste come cosa, in realtà, visto che non è canon, porco @#£$%&!
Comunque! A me è sempre piaciuta l’amicizia tra Chiaki e Nagito e mi sono divertita a mettere qualche riferimento alla loro vera natura tra una scena e l’altra (consiglio di dare un’occhiata a tutti i loro eventi, in caso non si capiscano certe frasi della fic). Onestamente, mi ha catturato molto il modo in cui l’hanno trattata nel videogioco e nel manga… Nell’anime un po’ meno… Ma perché Chiaki l’hanno ridotta ad una semplice waifu-bot senza tutte le caratteristiche spassose che la rendevano umana (ironicamente) nel videogioco.
E niente, questo è tutto. Ora vi lascio con qualche mini nota finale, perché ho evitato di nominare direttamente tutti i videogiochi a cui si riferisce Chiaki. In Danganronpa i nomi sono tutti distorti per evitare il copyright (Nintendo = Nantendo | Gamer Girl = Game Boy | etc), quindi ho preferito tenere anche io tutto sul vago:

  1. «Ci hai traditi tutti (Salazar)!», è una frase di “Call of Duty: Black Ops 2”, scelta per ovvi motivi eh eh eh;
  2. In realtà in “Yakuza” con alcuni NPC si può interagire, ma la stragrande maggioranza di quelli che si trovano sparsi per la città sono privi di linee di dialogo (ma in compenso fungono da ottimi birilli);
  3. La frase Che occhi meravigliosi che compare quando Chiaki perde al Dating Sim, è un riferimento al finale peggiore che si può ottenere con Shuu Iwamine di “Hatoful Boyfriend” (ebbene sì, la visual novel con i piccioni… Sono una donna di classe);
  4. Il Mimic, invece, è un riferimento a “Dark Souls”. I Mimic sono degli obbrobri maledetti @#£$%&! camuffati da forzieri e, se si tenta di aprirli, si finisce divorati (se si hanno molti HP però, si sovravvive);
  5. Il Nipper di cui parlano Chiaki e Nagito è un boss di “Banjo-Kazooie”… Una specie di granchio gigantesco;
  6. Ormai Nagito nella mia testa ha la voce che gli da NicoB. The power of BS.

Grazie per aver letto~ e buone feste e tutti! (*´▽`*)

See ya,

Shadow Eyes
  
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