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Autore: NPC_Stories    31/12/2018    6 recensioni
Quando Kazran ha salvato i suoi figli dalla distruzione della loro Casata, poi ha dovuto anche trovare loro una sistemazione.
Questa è la storia di un bambino drow che si trova a crescere in una famiglia di gente comune che, tutto sommato, non fa nemmeno tanto schifo per gli standard di Menzoberranzan.
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Sequel di "L'ultima pagina di un libro, l'inizio di una nuova storia".
Warning: violenza non descrittiva, anche su minori
Genere: Angst, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Nota: questa storia è il sequel di L'ultima pagina di un libro, l'inizio di una nuova storia; la si può capire anche senza aver letto quella storia, ma consiglio comunque di leggere prima quella.




1109 DR: Commoner cuckoo



Sette anni prima, Menzoberranzan, quartiere del mercato

La donna correva come qualcuno che ha la morte alle calcagna, sgusciando fra la gente con tutta l'agilità che una mezz'umana poteva avere. Ogni tanto si ritrovava la strada sbarrata dalla folla o da qualche mercante carico di pacchi; allora doveva farsi strada spintonando, e stava cominciando ad attirare un po’ troppo l'attenzione. La persona che la inseguiva le era superiore in rango, ma le sue grida “Ladra! Fermatela!” giungevano sempre troppo tardi. Il mercato era incantato, in modo che il suono non potesse propagarsi più di qualche metro dalla sua fonte, altrimenti il fragore sarebbe stato intollerabile. Di conseguenza ogni volta che la drow gridava per invocare giustizia, la ladra era sempre già oltre la portata dei passanti, e finora nessuno era riuscito ad acchiapparla.
Per sua sfortuna, la sua inseguitrice di razza pura non era solo più importante, ma anche più agile di lei. Si stava inesorabilmente avvicinando.
La mezz'umana si infilò in un “vicolo” fra due bancarelle. Si era accorta che per automatismo stava correndo verso casa, ed era una cosa molto stupida da fare. Il suo prezioso fagotto non emetteva suoni, per qualche miracolo il trambusto del mercato non lo aveva svegliato. Si nascose dietro alcune casse per riprendere fiato un momento e sentì all'improvviso un forte capogiro. Poi quel momento di disagio passò - forse era solo la fatica della corsa - e la donna riprese a muoversi a passo svelto, zigzagando fra vie secondarie. Dopo un po’, capì che nessuno la stava più seguendo. Ce l'aveva fatta. Aveva un bambino di razza pura, la sua vita era salva.

Nello stesso momento, una femmina drow alquanto irritata svoltò un angolo e si imbatté in un maschio dall'aria aristocratica, che stringeva fra le braccia un fagottino.
“Mia signora, penso che questo sia vostro” la salutò, con un discreto inchino.
La drow esitò, presa in contropiede da quella cortesia. Lei era una femmina, quindi nominalmente era superiore di rango a qualsiasi maschio della città, ma questo drow sembrava un nobile, forse un mago, e lei era solo una mercante e una sacerdotessa di scarsa abilità.
“È mio figlio” confermò lei, ma senza muovere un passo verso l'affascinante sconosciuto. “Quella mezzosangue voleva comprarlo, ma giudicava il prezzo troppo alto, quindi ha pensato bene di rubarlo. Dov'è finita? Le insegnerò a non rubare a chi le è superiore!” Minacciò, agitando una frusta.

Kazran sollevò appena un sopracciglio candido. Sembrava che questa madre fosse più interessata a punire la ladra che a riavere suo figlio, e questo gli dava la conferma di cui aveva bisogno: aveva fatto la scelta giusta.
Cercava qualcuno a cui sbolognare il piccolo Dhaunryn e avrebbe potuto presentarlo a questa femmina in luogo del suo vero bimbo, un piccolo incantesimo di confusione e lei non si sarebbe mai accorta della differenza… ma fra una donna disposta a vendere il suo bambino come schiavo e una che invece era pronta a rischiare la vita per rubarne uno, il mago aveva astutamente capito che la più disperata era quella che avrebbe dato più valore alla vita di suo figlio. Poco importava che la donna a cui aveva messo in braccio Dhaunryn fosse una misera mezz'umana.
“Ho usato un semplice incantesimo che confonde la mente e quella donna se n'è andata stringendo un pacco di farina credendo che fosse vostro figlio.” Mentí. “La vostra vendetta non è affar mio.”
“Vi ringrazio per il vostro aiuto, ma se vi aspettate che io vi paghi per l'incantesimo che avete usato, per me potete anche tenervi il bambino.” Sbottò la femmina, in tono acido.
Decisamente, ho fatto la scelta giusta, si ripeté Kazran.
“Come immaginavo. Non mi dispiacerebbe avere a disposizione organi freschi per i miei esperimenti di necromanzia…” Ragionò, solo per vedere la reazione della femmina. Lei non fece una piega. “Purtroppo questo esemplare è troppo giovane.” Fece un passo verso la donna come se volesse restituirlo. Lei gli credette e fece un passo avanti a sua volta.
Kazran l'afferrò per un polso, rapido come un serpente.
“Tu però sei perfetta” le sussurrò con un sorriso maligno.
Lei non fece nemmeno in tempo a realizzare le implicazioni di quelle parole: un'onda di energia di morte le attraversò il corpo e un attimo dopo il suo cadavere cadde addosso al mago. Lui l'afferrò con la sicurezza dell'abitudine e si teletrasportó in uno dei suoi laboratori, con la donna morta e il bambino che ora strillava.
Avrebbe potuto uccidere anche lui, ma aveva altri progetti. Se mai qualcuno si fosse ricordato che Kazran andava in giro con un neonato appena dopo la caduta di Casa Menz'brez, voleva che fosse questo il neonato. Avrebbe trovato una sistemazione anche per questo bambino, e l'avrebbe fatto in segreto… ma lasciando dietro di sé una minima traccia, forse un testimone. Era improbabile che qualcuno si mettesse mai sulle tracce di un bambino che in teoria non esisteva, ma un drow con il suo acume sapeva che non si è mai abbastanza prudenti.

Nel quartiere del mercato, Janneza fece un largo giro per tornare a casa, la bottega di un conciatore di pelli. La mezz'umana era soltanto una schiava, ma il suo padrone, l'artigiano che mandava avanti la bottega, aveva fatto di lei la sua compagna di letto. Dopo qualche anno lei era rimasta incinta e questo comportava un possibile miglioramento del suo status, ma anche dei rischi. Lui era un drow di razza pura, e i frutti di una simile unione di solito avevano tutte le caratteristiche di veri drow, nonostante la loro parziale eredità umana. Il padrone però era stato chiarissimo: se il nascituro non fosse stato completamente uguale ad un drow, lui non l'avrebbe riconosciuto. Non voleva lasciare la bottega ad un erede che sembrasse un mezzosangue. E i bambini figli di un elfo e di un mezz’umano purtroppo di solito avevano dei lineamenti troppo grossolani per passare per elfi di razza pura. Forse un elfo di Superficie non ci avrebbe fatto caso, ma un drow, con lo spiccato senso estetico di quella razza elitaria…
Janneza pensò al suo bambino che dormiva ignaro nella culla di legno di fungo. La sua pelle era nera come la notte, ma le sue mani erano quelle di un mezz'umano, e anche il naso era decisamente troppo grande. Invece, questo neonato che aveva rapito era quasi perfetto. Lo guardò meglio, per esserne sicura: sì, era certamente un drow, anche se aveva il mento leggermente troppo pronunciato. Poteva passare per qualcuno che avesse un antenato umano, oppure per un drow puro che per caso era nato così. Per i suoi scopi era l'ideale.
Dirò a Pharius che ho avuto due gemelli. Forse sarà soddisfatto e mi lascerà tenere anche il mio vero figlio. Potrei persuaderlo a tenere il mio bambino come garzone. Non voglio che lo uccida.
Non le importava che fosse solo un maschio, lei non era una sacerdotessa quindi l'ossessione drow per i giochi di potere fra maschi e femmine non la riguardava. Il suo bambino era l'unica cosa in tutta la città, anzi in tutta la sua vita, che le appartenesse davvero. Per qualche motivo quel pensiero aveva un sapore dolce, consolatorio, e lei non era pronta a rinunciarvi.
Scivolò nella bottega del suo padrone in perfetto silenzio, stringendo al petto quel fagottino che rappresentava la sua migliore speranza di sopravvivenza, per sé e per suo figlio.
Tornò alla culla che aveva lasciato poche ore prima, scoprendo che il suo bimbo stava per svegliarsi. Posó il neonato drow accanto a lui, erano abbastanza piccoli per starci entrambi.
“Figlio mio.” Sospirò, accarezzando il capino fragile del suo pargolo senza nome. “Tuo padre tornerà dal suo viaggio di lavoro, ormai è questione di giorni. Allora sapremo se potrai vivere, e se potrai avere un nome.”
Non degnò di uno sguardo il neonato che aveva rapito. Non provava nulla per lui. Era la chiave per il suo futuro ma era anche il simbolo dell'ingiustizia che doveva ingoiare.


1109 DR, Menzoberranzan, quartiere del mercato

Due bambini drow erano impegnati a pulire una vasca di calcinazione, protetti da guanti di pelle spessa, alti stivali e maschere di cuoio e vetro che li facevano sembrare dei palombari. Forse erano precauzioni un po’ eccessive, ma il loro padre non voleva rischiare che la loro pelle si rovinasse. L'estetica era troppo importante per un drow. Non voleva che restassero segni permanenti sui suoi figli, altrimenti poi la gente avrebbe capito che non poteva permettersi schiavi o servitori per quei lavori umili.
In realtà le cose non stavano andando molto bene, ultimamente. Un nuovo conciatore aveva aperto bottega in diretta concorrenza con Pharius, gli aveva già rubato alcuni clienti e di conseguenza il drow aveva dovuto abbassare i prezzi. Il costo delle materie prime e della manodopera purtroppo non era diminuito, quindi i suoi utili erano stati pericolosamente erosi, negli ultimi mesi.
Daren poteva sentire che anche in quello stesso momento, al piano di sopra, suo padre e sua madre ne stavano parlando. Non riusciva a sentire bene i loro discorsi, ma immaginava che l'argomento fosse sempre lo stesso. Ultimamente in casa e nella bottega non si parlava d'altro. Suo fratello Minroos notò che aveva rallentato il ritmo e gli diede un calcio, un po’ più forte del necessario.
“Sbrigati, piccoletto, se non finiamo in fretta nostro padre ci picchierà ancora! Non voglio prenderle perché tu sei uno scansafatiche.”
Daren si rimise al lavoro di buona lena, passando uno straccio bagnato per togliere lo strato di sporcizia che si era accumulato. La soluzione di acqua e calce serviva a rimuovere dalle pelli il grasso animale, i peli e lo sterco che poteva esserci rimasto attaccato, ma poi quella sporcizia non spariva per magia. Diventava… qualcosa di diverso, ma che comunque faceva schifo e puzzava. Nonostante la maschera, il piccolo drow riusciva a sentirne l'odore, gli si attaccava addosso e continuava a sentirlo per ore. Certi giorni avrebbe dato qualsiasi cosa per un bagno caldo, con un sapone profumato come potevano permettersi certi ricchi che venivano al mercato. Il loro bagno serale invece era freddo e il sapone puzzava di rancido, anche se non poteva essere peggio del liquame in cui lavoravano di giorno. Tutto il laboratorio puzzava: di calce, grasso animale, sterco, sali che facevano girare la testa, occasionalmente perfino di putrefazione, quando la lavorazione andava male (e allora suo padre si arrabbiava sempre un sacco, e si sfogava sulla loro madre o sui bambini).
“Nostro padre è preoccupato per la concorrenza.” Notò, perché aveva bisogno di dare voce alla sua preoccupazione.
“Lo so, e ha detto che se diventiamo ancora più poveri mi venderà come schiavo.” Ricordò Minroos, con voce tremula. “Ma noi possiamo solo aiutarlo lavorando bene e veloci. Non c'è altro che possiamo fare…”
Daren aggrottò le sopracciglia in un'espressione corrucciata, in un raro sfoggio di emotività da parte di un drow. Ma dopotutto aveva solo sette anni.
“L'anno scorso un nobile ha ucciso il mercante che vendeva la lana di rothé. Te lo ricordi?”
“Sì, perché quel mercante lo aveva insultato facendo un cattivo lavoro. Ma non succederà a nostro padre” suppose il ragazzino, in tono nervoso “quindi ora stai zitto e lavora, o le prendi anche da me!”
Daren non stava affatto pensando che sarebbe successo a loro padre, ma evitò di condividere altre congetture con Minroos. Sospettava che suo fratello fosse troppo stupido per seguire i suoi ragionamenti. O forse era troppo spaventato, ma secondo Daren era la stessa cosa.

Ai ragazzini era concesso un periodo di riposo di sei ore ogni notte, o nel periodo di tempo che a Menzoberranzan era considerato “notte”, quando la luce magica di Narbondel era in fase discendente. Daren prese l'abitudine, nelle settimane seguenti, di sgattaiolare fuori dalla finestra della loro stanza sopra la bottega (la sua famiglia viveva in un unico grande stanzone) e di andare fino alla bottega del loro concorrente. Si fermava in quei pressi, camuffato da monello di strada, senza capire quanto fosse pericoloso per un bambino muoversi da solo di notte. Si nascondeva ogni volta che vedeva avvicinarsi un adulto, di qualunque razza fosse, e quelli abbastanza bravi da individuarlo comunque avevano i loro affari loschi a cui badare. Restava in giro solo un paio d'ore, non si azzardava a rischiare di più, anche perché suo padre non ci andava leggero se lo vedeva poltrire durante il giorno a causa della mancanza di sonno. Una volta lo avevano quasi scoperto mentre rientrava nella bottega, ma aveva mentito dicendo di non riuscire a dormire e che era sceso nel laboratorio a controllare certe pelli. Suo padre lo aveva picchiato, ma non tanto forte. Era infastidito per quella disobbedienza, ma era anche fiero che il suo erede prendesse così a cuore l'attività di famiglia.
Daren comunque continuò con le sue missioni esplorative finché non cominciò ad ottenere informazioni interessanti. C'era un drow, misterioso e dal portamento nobile, che una sera era uscito dalla bottega del conciatore ad un'ora molto tarda e inusuale. Molto oltre il normale orario di chiusura, ma era normale che un artigiano ricevesse in privato i clienti importanti, anche suo padre lo faceva. Il punto era che i conciatori non trattavano mai prodotti finiti, come abiti o mantelli, quindi i loro clienti di solito erano altri mercanti. Questo non sembrava un mercante. Daren quella notte si fingeva uno schiavo intento a pulire le strade (aveva rubato una scopa ad un coboldo che ora la cercava in preda al panico), e quando il drow gli passò davanti riuscì a sbirciare il simbolo che sfoggiava sulla fibbia della cintura.
Il giorno dopo si fece insegnare da suo padre come si aprono i lucchetti, e passò il mese successivo ad esercitarsi, sospendendo le sue scorribande notturne. Quando fu certo di aver appreso quella tecnica, una notte tornò alla bottega. C'era una porta secondaria sul retro che veniva solo chiusa a chiave, non era protetta dalla magia, perché chi non conosceva il posto non avrebbe pensato che appartenesse alla stessa bottega; sembrava fare parte dell'edificio accanto. Probabilmente i proprietari non avevano abbastanza soldi per proteggere con la magia tutte le loro porte e finestre. Daren si avvicinò come un'ombra e fece del suo meglio per scassinare la serratura. Era più difficile del vecchio lucchetto con cui si era esercitato a casa, ma alla fine ci riuscì e scivolò all'interno, non visto. Si trovava in un magazzino di reagenti chimici e l'odore era intollerabile, tossico. Si coprì il naso e la bocca con una mano e cercò la porta che dava sulla bottega. Era chiusa dall'esterno, ovviamente, ma solo con un chiavistello a gancio. La fessura fra la parete e la porta era sufficiente per far passare qualcosa di sottile come un foglio di pergamena e alzare il gancio. Daren non aveva nulla con sé, ma cercò in giro e trovò un’ampolla con un'etichetta di pergamena cucita al tappo. Dovette stappare l'ampolla per poter usare la pergamena, perché non voleva lasciare traccia del suo passaggio. Per fortuna il gancio era abbastanza leggero da sollevarsi anche solo con la pressione di una pergamena. Il bambino richiuse la bottiglia di vetro e proseguì nella sua esplorazione. La bottega e il laboratorio erano vuoti; dopotutto era solo l'esercizio commerciale di un artigiano, non la casa di una famiglia nobile, e non c'erano guardie. Cosa mai si può rubare ad un conciatore?
Daren sapeva bene che non c'era niente di interessante in quel genere di laboratorio, fatta eccezione forse per… un particolare solvente che veniva usato solo sulla pelle di rothé e di altri animali dai poteri soprannaturali, in modo che ogni energia magica residua venisse rimossa. Il procedimento inverso poteva fissare in una pelle certi poteri che appartenevano all'animale, come si faceva per la pelle di drago (non che suo padre fosse abbastanza importante da mettere le mani su della pelle di drago!, ma Daren conosceva la teoria). Ad ogni modo la pelle di animali magici andava sempre conciata per fissare o per rimuovere quelle tracce di magia, altrimenti qualsiasi incantesimo si cercasse di infondere in seguito sulla pelle (ad esempio per farne un mantello magico) avrebbe avuto esiti incerti e pericolosi. L'unico effetto collaterale di quella sostanza solvente era che qualsiasi tessuto trattato con essa rimaneva velenoso al tocco per un mese prima che la sostanza decadesse e diventasse innocua. Il liquido era marroncino e non completamente inodore, ma su delle pelli scure nella bottega di un conciatore non si sarebbe notato.
Daren cercò nel magazzino dei prodotti pronti per la consegna, sperando di trovare ancora… eccolo. Un baule con inciso il simbolo che aveva visto sulla fibbia di quel drow che sembrava un nobile. La cassa era chiusa a chiave, ma Daren sperava di avere ancora qualche ora per lavorarci su. Era di importanza vitale che nessuno lo scoprisse lì.
La cassa conteneva mantelli, e questo era strano perché i conciatori non trattano prodotti finiti. Daren non conosceva il concetto di “licenza”, ma sapeva che un mercante di solito non doveva vendere cose diverse da quello che la sua insegna diceva, e forse era per questo che il loro concorrente aveva fatto tanti soldi.

Avvicinò uno sgabello per trovarsi all'altezza giusta per poter lavorare sui mantelli nella cassa. Indossò un paio di guanti di cuoio, prese una piccola spatola di metallo che aveva portato con sé e si mise all'opera sull'interno dei colletti. Non si fermò a pensare che in quel modo stava condannando a morte delle persone, spalmando veleno su degli abiti che avrebbero indossato molto prima di un mese. Erano sconosciuti, come quel mercante di lana che era stato ucciso tempo prima. La vita degli sconosciuti non ha nessun valore per un drow, anzi, di solito non ce l'ha nemmeno la vita dei suoi parenti.
Per Daren però la vita di Minroos aveva valore. Non voleva perdere suo fratello, e odiava il loro acerrimo rivale per aver messo la sua famiglia in quella posizione.

Non seppe mai chi fosse il drow importante che era venuto a commissionare quel lavoro segreto, né quale Casa o fazione avesse condannato con le sue azioni. Chissà, magari non era morto nessuno, si erano semplicemente accorti del veleno grazie alla normale paranoia drow. Quel che è certo è che, senza nessuno scandalo o annuncio pubblico, il conciatore rivale e tutti i suoi apprendisti furono discretamente assassinati nel sonno una decina di giorni dopo. Una femmina drow vestita come una sacerdotessa venne anche a fare domande nella loro bottega, ma parlò soltanto con i genitori di Daren, che risultarono del tutto ignari e innocenti anche davanti agli incantesimi per scoprire menzogne. La sacerdotessa non si curò dei bambini. Non lo faceva mai nessuno.

Pochi giorni dopo, a Pharius venne commissionato un grosso ordine, un lavoro importante e remunerativo che avrebbe potuto rilanciare gli affari. Cominciò un periodo di lavoro frenetico ma felice, in cui Daren e Minroos avevano troppo da fare per poter anche solo parlare fra loro, e la sera erano troppo stanchi per litigare.
Forse erano troppo stanchi in generale. Non c'erano ancora abbastanza soldi per assumere o comprare un garzone, ma il carico di lavoro era raddoppiato e le ore di risposo erano state ridotte di conseguenza. Un pomeriggio Daren, che era fisicamente meno prestante del fratello, si lasciò sfuggire di mano una grossa pelle arrotolata che cadde a terra sporcandosi di nuovo, quando era stata appena pulita. Non era un danno irreparabile ma significava aver perso ore di lavoro. Pharius si mise ad urlare e fece per prendere la cinghia per affilare i coltelli, che di solito usava anche per punire gli errori più gravi. Minroos però fu più veloce. Vedere tutto quel lavoro andare in fumo gli aveva fatto salire il sangue al cervello. Saltò addosso al fratellino e cercò di prenderlo per il collo, ma Daren riuscì a sottrarsi. Minroos però all'ultimo momento riuscì ad afferrarlo per il grembiule e lo sbatté di lato con forza, facendolo cadere addosso ad una delle vasche di rinverdimento. Il liquido all'interno oscillò e una generosa sorsata si rovesciò sul pavimento, ma per fortuna non era tossico, era solo acqua salata. Daren però cadendo sbatté la testa contro lo spigolo della vasca e perse i sensi.

Si risvegliò molte ore più tardi, nel suo letto. Suo padre non si vedeva da nessuna parte. Sua madre invece era in un angolo della stanza e si teneva la testa fra le mani, piangendo in silenzio.
“Madre” chiamò sottovoce, perché si sentiva la gola secca. Sulle labbra aveva il sapore del sale, forse l'acqua della vasca gli si era rovesciata addosso.
Janneza si alzò come se le costasse un'immensa fatica e si avvicinò al suo capezzale.
“Ah. Sei vivo.” Notò con voce neutra.
Daren sapeva che sua madre preferiva Minroos come suo padre preferiva lui, ma sentire una simile indifferenza verso la sua vita gli fece comunque male.
“Madre, cosa è successo?”
Janneza rimase in silenzio per un lungo momento, fissando il vuoto senza sbattere le palpebre. Era un trucco per non piangere, Daren lo conosceva bene. Suo padre non tollerava simili debolezze.
“Hai fatto arrabbiare Pharius.” Raccontò, sempre con quella voce assente. “Minroos però ti ha raggiunto per primo. Ti ha spinto, hai battuto la testa. Hai perso molto sangue.” Daren si toccò la fronte, che era fasciata da una benda, e si accorse che in effetti la tempia destra gli faceva molto male. “Pharius era già così arrabbiato… quando ha visto cosa Minroos ti aveva fatto, a te, che sei il suo preferito… il suo erede… sembrava proprio che saresti morto. Pharius aveva già in mano la cinghia. Ha cominciato a picchiare tuo fratello. Gli ha dato tutte quelle che avrebbe dovuto dare a te, e molto altro ancora. Ho cercato di fermarlo, ci ho provato, ma lui mi ha spinta da parte. Quando alla fine sono riuscita a farlo smettere, Minroos era…” smise di parlare e fissò ancora il vuoto, e Daren capì. Non c'era bisogno di dirlo. Suo fratello era morto.
Daren rimase di sasso. Era la prima volta che contemplava davvero la morte, che ne sentiva il peso. Forse aveva perfino ucciso, ma quelli erano estranei, non contavano, non erano persone vere. Minroos era suo fratello, l'unico suo pari in un mondo terrificante, il suo punto di riferimento. Era grosso e stupido e infantile e spesso si picchiavano, ma era tutto quello che aveva.
“Madre, mi… mi dispiace.” Mormorò, il più profondo sfoggio di sentimenti che Janneza gli avesse mai visto fare. “Io gli volevo bene. Quando… quando nostro padre parlava di venderlo, io ho fatto… ho fatto tutto quello che potevo. Ho spiato la bottega di Quave, sono entrato di nascosto e ho avvelenato i suoi mantelli. Lo giuro, l'ho fatto io. Per mio fratello. Non volevo che moriva, mamma, io…”
Daren sapeva come trattenere le lacrime, ma non si curò di farlo. Janneza gli mise una mano sulla testa, il primo gesto tenero che gli avesse mai rivolto.
“Oh, Daren… Mio figlio è appena morto, ti sembra opportuno inventare queste frottole? Pensi forse che mi indurranno a odiarti di meno?”
Il ragazzino alzò lo sguardo e scoprì che negli occhi di sua madre c'era soltanto rancore, forse anche disprezzo.
“Tu non sei mio figlio. Ti ho preso con me nella speranza che piacessi a Pharius e che decidesse di tenere anche Minroos, il suo unico vero figlio. Sei stato portato qui per salvare la vita di Minroos e lo hai fatto, per sette anni. Non è colpa tua se è morto, non è colpa tua di niente... ma se solo tu potessi immaginare quanto ti odio, quanto ti ho odiato in tutti questi anni. Adesso mio figlio è morto, quindi non c'è ragione per cui tu debba vivere ancora.”
Janneza aveva una luce folle negli occhi, la mano che aveva appoggiato sulla testa del ragazzino scese fino alla sua gola.
In quel momento udirono i passi di Pharius salire le scale, e Janneza si allontanò di scatto dal figlio adottivo.
Il drow spalancò la porta. Aveva l'aria stanca e arrabbiata.
“Allora, è vivo?” Chiese soltanto.
La sua serva accennò un assenso, senza dire una parola.
“Bene. Domani lavorerai, ragazzino, mi hai fatto già perdere abbastanza tempo.” Decretò, senza fare il minimo accenno al turpe crimine che aveva appena compiuto.
Janneza incrociò ancora una volta lo sguardo di Daren e gli intimò in silenzio di non dire una parola. Lui non lo fece, era sconvolto. Suo fratello era morto, sua madre lo odiava, i suoi genitori non erano neanche davvero la sua famiglia? Dentro di sé sperava ancora che fosse tutto un brutto sogno dovuto alla botta in testa.

Quella sera Janneza stappò una bottiglia di liquore con la scusa che aveva bisogno di bere per superare la morte di suo figlio. Pharius la derise per il suo cuore tenero, ma alla fine si lasciò convincere a bere con lei, e a darle quel conforto maritale di cui aveva bisogno.
Daren rimase a guardare con aria impassibile. Non era la prima volta che vedeva i suoi genitori scambiarsi certe effusioni, dopotutto vivevano tutti in una sola stanza. Si era accorto che Janneza aveva preso un piccolo coltello prima di salire a cavalcioni del compagno ubriaco, e sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto.

Era così stupida. Così grossolana. Una mossa del genere non avrebbe dovuto funzionare, non contro un drow.
Ma Pharius era più stupido di lei, e anche più ubriaco.
Daren rimase in silenzio per tutte le due ore o poco più che sua madre impiegò per far ubriacare, sedurre e uccidere suo padre. Era come guardare una rappresentazione teatrale brutta e scontata.
Sono troppo stupidi per essere i miei veri genitori. Avrei dovuto capirlo.
Alla fine si alzò. Gli doleva ancora un po’ la testa, ma non gli importava. Girò intorno al letto dei suoi genitori per guardare in faccia la donna.
“Mamma.” La chiamò, con voce soffice. Sembrava che i sentimenti dentro di lui fossero in qualche modo ovattati, come se fossero ancora nel suo cuore ma non riuscissero a raggiungere la superficie, la sua mente. “Sei stata con me mentre ero svenuto. Penso che se volevi uccidermi potevi farlo allora. Quindi non credo che vuoi davvero farmi del male. Mi dispiace di non essere tuo figlio, ma tu sei l'unica madre che conosco. Dimmi che cosa devo fare.”
La donna lo guardò come se faticasse a riconoscerlo, come se la sua mente si trovasse ad una grande distanza dal suo corpo.
“Non lo so.” Mormorò alla fine. “Vattene.”

Daren prese un po' di cibo, un cambio di vestiti (di Minroos, così gli sarebbero andati bene per un anno o due), un paio di guanti, una fiaschetta di liquido tossico perché non si sa mai, e lasciò la bottega senza voltarsi indietro.
C'era sempre qualcuno che cercava bambini da impiegare come servi o come schiavi, una volta aveva visto al mercato un lotto di bambini venduti ad una Casata che li voleva addestrare come guerrieri. Daren sapeva di avere qualche capacità interessante. Era capace di aprire lucchetti con del fil di ferro e sapeva avvelenare un oggetto senza intossicarsi. Inoltre conosceva qualche trucco per non piangere, una cosa che i bambini piccoli di solito non riuscivano a controllare… anche se sospettava che non ne avrebbe mai più sentito il bisogno.

   
 
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