Il regalo di
Natale
I
personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà
dell’autrice JK Rowling
e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta
senza scopo di lucro.
Dicembre 1997
Nymphadora Tonks
piangeva ancora. Sua madre la spiava dalla cucina mentre lei sistemava
l’albero
di Natale in salotto. Solo così poteva vederla piangere.
Dora non avrebbe mai
pianto davanti a un’altra persona, neanche sua madre. I suoi
capelli erano di
un grigio così spento che non si addicevano neanche a una
signora anziana e
Dora aveva solo ventidue anni!
Ad Andromeda si
strinse il cuore. Vedere un figlio soffrire fa male mille volte di
più che avere
un dolore fisico.
“Tutto bene?”
chiese
Ted, arrivando alle spalle della moglie. Meda sospirò e
scosse la testa.
“Non mi piace.”
Ted guardò oltre la
porta della cucina e osservò la figlia sistemare le
decorazioni natalizie.
Sospirò. Avrebbe voluto avere quel Lupin sotto la bacchetta,
in quel momento.
Un bel Avada Kedrava e non avrebbe più fatto danni. Ordine o
non Ordine. Ma
Dora non avrebbe smesso di soffrire.
Osservò sua figlia
lanciare incantesimi per far apparire ornamenti verdi e rossi lungo il
corrimano delle scale.
Dora era forte, non
aveva bisogno di quel troll per essere felice. È solo che
l’aveva dimenticato.
Aprì del tutto la
porta della cucina ed entrò in salotto.
“Dora.”
La ragazza si voltò
di colpo, sorpresa. “Papà…”
Il respiro le si fermò e una lacrima le scese sulla
guancia. La ragazza si girò di scatto, per nasconderla agli
occhi del padre.
“Oh, tesoro.”
Ted non riuscì a
dire niente di ciò che si era preparato e
abbracciò forte la figlia. Dora
singhiozzò fra le sue braccia e lui si sentì
impotente. Rimasero così, finché lei
non si acquietò e Ted continuò a cullarla come
quando era piccola.
“Scusami, vado in
camera mia.”
Tonks salì le scale
senza più guardarsi indietro. Rimase in camera fino a sera.
Non si accorse di
aver saltato la cena, finché sua madre non bussò
alla porta con un vassoio, due
bicchieri di latte e biscotti verdi a forma di albero di Natale.
“Mamma…” disse quasi
seccata. Andromeda la ignorò e chiese: “Come ti
senti?”
“Uno schifo.”
Sua madre sorrise.
“Bene”.
“Come?” chiese la
ragazza, mettendosi seduta sul letto e lasciando che la madre si
sedesse di
fianco a lei.
“Può solo
migliorare, allora.”
Tonks sbuffò, ma un
piccolo sorriso le dipinse le labbra. Andromeda le allungò
un biscotto e lei
scosse la testa. “Non sono più una bambina,
mamma!”
“Non è per te.
È per lui”. Andromeda
indicò la sua pancia.
Tonks abbassò lo
sguardo. Il ventre si era fatto rotondo, ormai. Non si poteva
più nascondere,
neanche sotto i vestiti più larghi. E lei non avrebbe voluto
nasconderlo per
niente al mondo. Non si vergognava. Lei.
Aveva in grembo il bambino
di Remus. Sospirò rumorosamente pensando al marito. Remus
che era più vecchio
di lei, molto più vecchio, dicevano. Ed era un Lupo Mannaro.
Ma a lei non
interessava, perché Tonks lo amava più di tutto.
Sospirò ancora,
accarezzandosi la pancia. Un bambino loro. Perché lei era
così felice e lui no?
Perché a lui non bastava sapere che lei lo amasse?
Perché lui non le scriveva?
Lui… non l’amava? Si intristì ancora.
Accettò il biscotto che la madre le
porgeva e lo sbocconcellò distrattamente.
“Anche tuo padre
è
scappato. Quando abbiamo deciso di sposarci, lui è scappato
via da me. Non
sapevo dove fosse…” Come? Si mise un po’
più dritta.
“Papà?” chiese
solamente.
Andromeda annuì.
“Sai che la mia famiglia non lo vedeva di buon occhio,
perché è un natobabbano…”
Annuì anche Tonks e la madre continuò:
“Lui era indeciso e spaventato. Non
voleva che io rinunciassi a tutto per lui. Aveva paura che un giorno
avrei
potuto pentirmi”.
Tonks aveva il cuore
in gola mentre chiedeva: “E ti sei mai pentita?”
“Mai, tesoro. Mai.
Ma papà non immaginava quanto lo amassi. Così,
gliel’ho scritto. Gli ho scritto
una pergamena lunga quanto un tema di storia della magia. Gli ho
spiegato nel
dettaglio quanto tenessi a lui e descritto quanto avrei sofferto senza
averlo
accanto.”
Tonks non riuscì a
non chiedere: “E ha funzionato? Per Tosca, sì che
ha funzionato!”
Si ritrovò a
esclamare mentre sorrideva. Sua madre le accarezzò i
capelli, mentre Tonks
finiva il biscotto e beveva un goccio di latte. “Puoi stare
con noi. Sai che
non ci sono problemi. Questa è casa tua. Ma vedo quanto stai
male…”
“Remus non mi ha più
scritto.”
Meda annuì senza
dire niente. Era stata contraria al loro matrimonio, ma quando aveva
visto Dora
così felice, aveva capito che doveva solo accettare il loro
amore, senza
mettersi in mezzo.
“Dici che dovrei
scrivergli ancora? Vorrei che venisse da me, ma non voglio dargli un
ultimatum.
Vorrei che fosse una sua scelta…” Sua madre prese
il bicchiere con il latte.
“Scrivigli quello che provi. Farà la scelta
giusta, vedrai”.
“La scelta
giusta…”
Tonks ripetè le parole della madre senza rendersene conto.
“Sì. Per te e il
bambino. La scelta giusta.”
Tonks prese un altro
biscotto. “Magari sarà una
bambina…” disse sorridendo e accarezzandosi la
pancia con tenerezza.
Sua madre rise di
una risata contenuta. “No. Sarà un
maschio”.
“Perché dici
così?”
Meda alzò le spalle.
“Hai la pancia a
punta.”
Dora rise divertita.
Fu contenta di sentirla ridere. “Non ha senso, quello che
dici. Avrebbe quasi più
senso se te lo avesse detto la Cooman!”
Meda sorrise ancora.
“L’ha detto anche lei”.
“Cosa?” La figlia si
girò verso di lei, continuando a tenere una mano appoggiata
sulla pancia.
Meda allungò una
mano e si avvicinò al ventre rotondo, accarezzandolo.
“Sibilla dice che sarai un
bellissimo bambino, piccolo. E dice che la prima cosa che vedremo di te
saranno
i tuoi bellissimi capelli!”
Tonks sbuffò e
spinse via la mano della madre.
Andromeda si alzò
per raccogliere le briciole e portare via il vassoio. “Pensa
cose belle,
tesoro. Così la tua gravidanza sarà serena e
meravigliosa. Pensa cose belle,
così si avvereranno”.
Tonks rimase muta a
guardare la madre che usciva dalla camera.
Prima di chiudere la
porta le ricordò: “Scrivi quella
pergamena”.
La figlia la richiamò
prima che sparisse dalla sua vista. “Mamma?” Quando
la donna riaprì la porta la
guardò senza dire niente. “E se lui mi risponde
che non.. non mi vuole?”
“Avrà fatto la sua
scelta. E tu potrai fare la tua.”
Chiuse la porta.
Tonks prese la
bacchetta e fece levitare verso di sé pergamena, piuma e
calamaio. Gli avrebbe
aperto il suo cuore, per l’ultima volta. Gli avrebbe permesso
di farci quello
che voleva e se lui avesse scelto di spezzarlo, lei sarebbe andata
avanti. Per
il suo bambino. Adesso iniziava a pensare a un piccolo maghetto,
pensò
sorridendo guardando verso la porta dove era uscita la madre poco prima.
Quella sera scrisse
la pergamena più difficile di tutta la sua vita e verso
mezzanotte, l’affidò
alla sua civetta e la guardò prendere il volo dalla finestra
aperta.
Sperò che Remus si
facesse vivo almeno per Natale, era il loro primo Natale insieme e lui
non
c’era.
Guardò la luna nel
cielo scuro. Fonte di guai e preoccupazione eppure così
bella e affascinante.
Proprio come Remus.
Natale 1997
“Arriva qualcuno.
Meda, porta Dora…” Ted stava sbirciando nel buio
fuori dalla finestra della
cucina e con la mano indicava la figlia mentre parlava con la moglie.
Ma Tonks era di
parere diverso. “Non vado da nessuna parte,
papà”.
Lui si girò e non
disse niente, ma aprì la porta ed uscì sul
vialetto per andare incontro allo
sconosciuto. Spianò la bacchetta e intimò
l’alt.
“Chi sei?” chiese.
Lo sconosciuto alzò
le mani con i palmi in vista e scosse il cappuccio del mantello per
farlo
cadere. “Sono Remus.”
Ted lo aveva
riconosciuto, ma non si fidava, poteva essere chiunque sotto pozione
polisucco.
Era un periodo difficile con i mangiamorte dappertutto. Non
abbassò la
bacchetta.
“Provalo” gli disse.
Il genero annuì.
“Sono Remus John Lupin, lupo mannaro, noto anche come
Lunastorta. Membro dell’Ordine
della Fenice, marito di Dora Tonks, tua figlia...”
“Remus!” Ted riuscì
a bloccare la figlia, immprovvisamente al suo fianco e la tenne ferma.
Non era
ancora sicuro. Per proteggere la sua famiglia, doveva dubitare di
tutti,
soprattutto di un genero che abbandonava la moglie incinta.
Remus vide Dora in
quel momento. Era uscita senza mantello e le sue guance erano rosse dal
freddo.
Era bellissima. Senza rendersene conto un sussurro uscì
dalle sue labbra: “Piccola
Nym…”
“È lui,
papà.”
Tonks si divincolò
dalla presa del padre e si lanciò sul marito,
abbracciandolo. Quanto le era
mancato! Lo strinse forte e lui ricambiò la sua stretta,
sussurrandole
all’orecchio ancora il nome con cui l’aveva
chiamata.
Lei lo baciò con
passione, incurante di essere al centro del cortile di casa e sotto gli
occhi
dei genitori.
Meda arrivò al
fianco del marito, osservando i due ragazzi abbracciarsi e salutarsi
con frasi
sussurrate. Sorrise quando i capelli della figlia divennero viola e si
tinsero
poi di varie sfumature per diventare rosa. Subito dopo però,
Dora si staccò dal
marito e iniziò a gridare dando all’uomo dei
sonori colpi al petto con la mano
aperta.
“Brutto. Troll. Che.
Non. Sei. Altro. Guai. A. Te. Se. Te. Ne. Vai. Ancora.”
Meda e Ted corsero
verso la figlia per salvare Remus e li trascinarono dentro casa.
“Spero che tu sia
tornato per restare!” sbottò Tonks verso il marito
appena rimasero soli in salotto.
“Sì. Ti prometto che
non me ne andrò mai più” disse Remus,
cercando di avvicinarsi alla ragazza, ma
lei non lo stava ascoltando.
“Perché io voglio
comunque il nostro bambino e se tu non lo vuoi…”
Si avvicinò ancora e
le prese il volto fra le mani per costringerla a guardarlo.
“Anch’io voglio il
nostro bambino. E voglio te. Sono stato un troll ad andarmene, lo so.
Se
riuscirai a perdonarmi, vorrei che ripartissimo da qui. Da noi. Noi
tre.”
Tonks lo guardò a
bocca aperta.
“Cosa ti ha fatto
cambiare idea?” Tonks strinse la mano di Remus.
“Ho parlato con
Harry un po’ di tempo fa.”
Lei spalancò gli
occhi. “Harry?” Il marito annuì.
“Sì. Mi ha detto che
ero un codardo.”
Tonks iniziò a
scuotere la testa, incredula, guardandosi intorno spaesata.
“No, aspetta.
Ascoltami.”
Remus la prese per
le spalle e la fece voltare di nuovo verso di lui.
“Harry aveva
ragione. Mi ha detto che avrei dovuto starvi vicino per proteggervi,
invece di
andare in giro a fare… sai che parola ha usato?”
Si passò nervosamente la mano
fra i capelli prima di continuare. “Scavezzacollo.
Ha detto di smetterla di fare lo scavezzacollo e di prendermi cura di
ciò che è
mio. Ci ho dovuto pensare su parecchio prima di capire veramente
ciò che
intendesse. Quel ragazzo diventa ogni giorno più
maturo…”
“Ma non sei tornato
subito…” Tonks guardò per terra.
“No. Quando ho
ricevuto il tuo gufo, mi sono preoccupato. Mentre aprivo la pergamena
ho
pensato a tutte le cose più brutte che sarebbero potute
succedere e ho avuto
paura. Paura davvero. Che fosse successo qualcosa di
irreparabile”. Le
accarezzò la pancia. “Ho capito che
l’unico posto dove volevo stare era con te,
per proteggerti…”
La ragazza alzò lo
sguardo su di lui, con un timido sorriso. “So proteggermi da
sola…”
“Non ne dubito. Ma
vorrei essere con te comunque.”
Lei annuì e sospirò:
“Averti qui è il più bel regalo di
Natale. Dovrò ringraziare Harry per questo”.
Remus sorrise.
“Diciamo che anche ricevere una dichiarazione
d’amore così appassionata, è stato
un gran bel regalo”. Dora arrossì e i suoi capelli
cambiarono di nuovo colore.
“Mi ha consigliato
mia madre di scriverti.”
“Sono contento che
tu abbia seguito il suo consiglio, allora. È la
più bella lettera che io abbia
mai ricevuto” disse, toccandosi un lato del petto sul
mantello.
Tonks sgranò di
nuovo gli occhi. “L’hai tenuta?”
“Certo” disse lui,
tirando fuori un foglio di pergamena piegato. “Hai scritto di
amarmi, la
porterò sempre con me!”
“Io ti amo.”
“Anch’io ti amo, piccola
Nym.”
Tonks arrossì ancora.
“Mi hai riconosciuto
perché ti ho chiamato piccola Nym,
lo
farò per sempre.”
Un piccolo rametto di
vischio si materializzò sopra le loro teste e loro lo
guardarono apparire e
crescere, sorridendo.
Poi Remus si chinò
su di lei e posò le sue labbra su quelle della ragazza.
“Buon Natale, mia piccola Nym.”