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Autore: Mari Lace    02/01/2019    3 recensioni
Kousei annuì, comprendendo. Sorrise: quella ragazza era una sorpresa continua, ma riusciva sempre a guidarlo nella direzione giusta.
Chiuse gli occhi e suonò un’altra melodia.
Kaori sorrise, stavolta di gioia. Non aveva bisogno di guardarla: ne era certo.
Lui seduto al piano, lei in piedi accanto a lui con una mano sulla sua spalla.
Schiusero le labbra nello stesso momento.

Storia scritta per il contest "Una sana risata!" indetto da AmahyP sul forum di EFP.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Serata imprevista





Le familiari note del Liebesleid di Rachmaninoff raggiunsero Kousei in cucina, proprio mentre stava per aprire il forno e controllare se i canelè fossero pronti. Si bloccò, riconoscendo la suoneria; non era una chiamata, solo un messaggio – più di uno, a giudicare dalla durata. Poteva essere qualcosa di importante? Doveva correre a leggere, o poteva attendere? A riscuoterlo dal suo amletico dubbio fu un odore pungente, come di bruciato.

Proveniente dal forno davanti a lui.

«Aaaaah!!».

Nel panico, aprì lo sportello, venendo investito da calore e fumo. Si affrettò a spegnere, e – dimentico dei messaggi che l’avevano distratto – passò la seguente mezz’ora a tentare di salvare il salvabile.

“Sono in ritardo!”, realizzò infine, controllando l’orologio, e “Kaori mi picchierà a sangue”.

Sudando freddo, impacchettò al meglio il risultato dei suoi sforzi culinari, recuperò il cellulare e montò in bici, dirigendosi a ritmo folle verso l’appartamento di una sua conoscente dal pessimo carattere – nonché la sua partner nei concorsi, e la ragazza per cui aveva una cotta da ormai due anni.

Non sbuffò solo per conservare il fiato, ne aveva bisogno; in ogni caso, scacciò quel pensiero. Rimuginarci avrebbe solo finito per rovinare il suo rapporto con la violinista.

Arrivò; stremato e ansante, ma con solo un quarto d’ora di ritardo sull’orario previsto. Raggiunse il portone, spalancato, del palazzo ed entrò, pregando tra sé che la presenza di Watari trattenesse l’amica da reazioni eccessivamente violente.

Suonò il campanello e attese.

Non successe nulla. Kousei iniziò a preoccuparsi seriamente; poteva essere che Kaori fosse così arrabbiata per il suo ritardo da non volergli aprire? Bussò nuovamente, chiamandola per nome.

Ancora nulla.

C’era qualcosa di strano, però: dall’interno non proveniva alcun rumore. Oltre a Tsubaki e Watari, sapeva di almeno un’altra decina di invitati, quindi… com’era possibile che fosse tutto così silenzioso?

«Kousei?» udì, in poco più di un sussurro.

La porta si era aperta, permettendogli di intravedere Kaori. «Che ci fai qui?» proseguì lei, squadrandolo smarrita. Il pianista si accorse solo allora che era in pigiama; avvampò, imbarazzato, e si costrinse a fissarla negli occhi – che erano arrossati, notò solo allora. «Non hai letto il messag– che significa quel rosso, a che hai pensato?! Pervertito!». Il moto di rabbia le fece alzare la voce, portandola a tossire subito dopo.

«Niente!» si difese subito lui, continuando a guardare in alto. «Come sarebbe che ci faccio qui??» aggiunse immediatamente, sia per sviare il discorso, sia perché era genuinamente confuso.

Kaori sospirò. «Se controllassi il cellulare ogni tanto! Ho annullato tutto, ho un po’ di febbre» spiegò con voce roca. Scosse la testa. «Non mi dai tregua neanche quando sto male, sei tremendo» lo rimproverò, senza tuttavia nascondere un sorriso.

Kousei era gelato sul posto. Tutta la fatica – non ben ripagata, in effetti – di quel pomeriggio per… nulla? Kaori stava male. Istintivamente, portò la mano sulla tasca dove aveva riposto il cellulare. Se solo l’avesse controllato, prima di uscire... poteva biasimare solo sé stesso. Emise uno sbuffo rassegnato, pronto ad andarsene.

«Mi dispiace» mormorò, notando solo allora che Kaori aveva spalancato del tutto la porta. Lo guardava, come in attesa – di cosa?

«Dai, entra» lo esortò, le braccia incrociate al petto. «Sei qui, no? Ti toccherà assistermi!» affermò, con un ghigno che gli diede i brividi. Poi si voltò e lo precedette all’interno, fermandosi tuttavia dopo solo tre passi. «Non hai fatto tutta questa strada per nulla, no?».

Non rispose – non ce n’era bisogno – e la seguì, richiudendosi la porta alle spalle.

«Aspetta lì!». Intimandoglielo a voce – ci avrebbe giurato – più bassa di quanto avesse inteso, Kaori si infilò in camera. Quando ne riuscì, era avvolta in una coperta di pile blu.

«Be’? Che hai da guardare?» indagò, fissandolo torva e stringendosi nel plaid. «Vieni in salotto, non stare là impalato – e non fare pensieri strani, che me ne accorgo!».

Ubbidì, preso alla sprovvista. Aveva creduto che si sarebbe messa a letto, sfruttandolo per farsi preparare la cena o cose del genere. «Non dovresti riposare?» tentò.

Kaori sbuffò, accomodandosi sul divano. «Non dormirò con te qui» affermò, irremovibile. «E poi l’altro giorno hai detto di non averlo visto, vero?».

«Cosa?» domandò distratto; aveva notato, dall’altra parte della stanza, la porta-finestra socchiusa. Si avviò a chiuderla.

«Dove vai? C’è posto qui, sai» lo riprese subito la ragazza.

«Prenderai freddo» replicò lui, indicando lo spiffero da cui l’aria gelida della sera poteva accedere alla stanza.

Per tutta risposta, si vide lanciare contro un cuscino. Fu centrato in pieno volto.

«Ehi!!» urlò, scaldandosi. «Cos’ho fatto per meritarlo??».

«Vuoi farmi soffocare!».

«Eh?». Quella replica gli fece abbassare il cuscino che aveva raccolto e, nonostante le condizioni della sua attaccante, era stato tentato di rilanciare.

«Mi scalderà la coperta. Un po’ d’aria mi fa bene» spiegò lei con espressione convinta. «Lascia aperto!» ordinò perentoria.

«Ma–»

L’espressione torva di Kaori lo zittì. Sospirò, tornando verso il divano.

È vero. Sei infantile, capricciosa. Hai un pessimo carattere. Riversi tutta te stessa nella tua musica… e nel farlo sei bellissima.”

Notò allora, sedendosi a debita distanza, che la televisione era accesa.

«Cosa vuoi vedere?» chiese, curioso. “Hai detto di non averlo visto”, aveva detto prima? Fu folgorato da un ricordo. «Non sarà!» esclamò, la mente invasa da immagini del mercoledì precedente.

«Are you shining just for me?» aveva sussurrato Kaori, dopo aver borbottato un ritmo sconosciuto tra sé e sé per diversi minuti.

«Cos’è?» aveva chiesto lui distrattamente, estraendo il proprio pranzo – un tramezzino alle uova. Era una melodia orecchiabile, facile da ricordare.

«Non la conosci??» era sbottata subito lei, fissandolo con tanto d’occhi.

«…no?» aveva risposto, dando il primo morso.

Lei aveva estratto il cellulare e gliel’aveva piazzato davanti, mostrandogli un attore seduto al pianoforte. «Un film?» aveva domandato. “Perché si scalda tanto?”.

«Non è semplicemente un film!» aveva ribattuto lei, riprendendosi il cellulare. «È molto di più! Il finale… aah! Pianista insensibile che non sei altro! Ma perché perdo tempo a parlare con te?».

Dopodiché l’aveva inseguito per mezz’ora, usando la custodia del violino come arma, per farsi promettere che l’avrebbe recuperato.

«Ci sei arrivato, finalmente? Certo che sì, è La La Land» confermò lei allegra. «Se alla fine ti verrà da piangere, farò finta di non vedere» aggiunse, facendo partire il film.

~

Kousei fissava la partner a metà tra l’esasperato e il divertito. Il film era finito, ma le lacrime che solcavano il volto della ragazza non accennavano a fermarsi. I primi singhiozzi si erano fatti sentire già a dieci minuti dal finale.

Alzandosi, si astenne dal fare commenti. Sapeva come sarebbe finita.

«È tutta colpa tua» mormorò Kaori tra un singhiozzo e l’altro, «hai lasciato la finestra aperta ed è entrato qualche polline, per questo mi pizzicano gli occhi!».

«Ma se l’hai voluto tu!!» insorse automaticamente.

«Mi stai addossando la colpa??». Kaori espirò. «Avrei dovuto aspettarmelo… Se la prende con una malata che non può difendersi… Così insensibile…» attaccò a lamentarsi poi. «Non mi hai neanche portato un regalo! Questa era la mia festa, sai».

«Non è così!» protestò. Gli venne da sentirsi in colpa… ma per cosa, poi? Quella ragazza lo faceva impazzire. Sbuffò. «Va bene, va bene! Aspetta qui».

Recuperò la borsa che aveva lasciato all’ingresso e ne estrasse i canelè. Deglutì; non era affatto certo del risultato.

«Cosa sono, cosa sono?» Kaori gli venne incontro, sempre avvolta nel pile. Aveva cancellato ogni traccia di pianto, e sorrideva eccitata. Proprio come una bambina.

«Canelè!!» nel riconoscerli le si illuminarono gli occhi. «Sembrano un po’ strani, però» rettificò, fissandoli più da vicino.

«Prima assaggiali, almeno!» si schermì, impacciato. Posò il vassoio sul tavolino accanto al piano, dove tanto spesso avevano provato insieme. Sorrise, dimenticando per un attimo l’ansia per il sapore dei dolcetti. Osservò Kaori sceglierne uno e portarlo alla bocca e sorrise.

Ne avevano passate tante, da quando era entrata nella sua vita. Gli aveva dato senz’altro la peggior prima impressione di sempre, eppure… ora si trovavano lì, solo loro due.

E non stavano provando.

Si sentì quasi in colpa verso Watari, come se gli stesse facendo un torto.

Ne valeva la pena, però.

«Kousei?» lo richiamò lei, sorridendo raggiante.

«Sì?» rispose, ingenuamente.

«Sono pessimi».

“Non dirlo ghignando in quel modo!”.

«Non ci siamo proprio, non sai cucinare» infierì ancora, scuotendo la testa. «Come potresti farti perdonare? Ah, lo so!», accompagnò l’ultima esclamazione battendosi il pugno nel palmo. Aveva un luccichio nello sguardo che conosceva fin troppo bene.

Sentì un brivido attraversargli la schiena; cosa l’avrebbe costretto a fare?

«Suona».

Uh?

«Suona. Il. Piano. Ora!» incalzò, spingendolo verso lo strumento. «Suonami qualcosa di bello, o non ti perdonerò».

Titubante ma al contempo sollevato, Kousei si lasciò guidare verso il piano e si sedette allo sgabello. Sfiorò i tasti, indeciso.

«Cosa vuoi che suoni?» si informò, ma partì senza aspettare risposta.

«Sol La Si Re», solfeggiò. «Mi Fa Re Mi Do Re La».

Kaori scoppiò a ridere, indicandolo. «Imiti Sebastian?» mormorò, tra una risata e l’altra. «Non farlo! Lui è molto più forte. E romantico».

Lui gonfiò le guance, indispettito da quel rimarco. Kaori si raddrizzò, un’espressione addolcita in viso. «Non devi essere lui – sii solo te stesso, va bene?» disse, fissandolo.

«Pensavo ti piacesse».

«Non ho chiesto a lui di suonare».

Kousei annuì, comprendendo. Sorrise: quella ragazza era una sorpresa continua, ma riusciva sempre a guidarlo nella direzione giusta.

Chiuse gli occhi e suonò un’altra melodia.

Kaori sorrise, stavolta di gioia. Non aveva bisogno di guardarla: ne era certo.

Lui seduto al piano, lei in piedi accanto a lui con una mano sulla sua spalla.

Schiusero le labbra nello stesso momento.

«Twinkle, twinkle, little star

How I wonder what you are».

















NdA

Spero si sia capito, ma in ogni caso: la storia parte dal presupposto che l'operazione di Kaori vada a buon fine, e i due continuino a suonare insieme, come si erano promessi.

La storia è stata scritta per il contest "Una sana risata!" indetto da Amahy, e devo dire che scrivere una commedia su questo fandom davvero non è stato facile, ma bello sì. Avrei voluto inserire la mia best girl Emi, ma per stavolta è andata così.

Un sentitissimo ringraziamento va a Harriet Strimell, che mi ha fornito il prompt "X si becca la febbre il giorno del suo compleanno e deve rimandare tutti i festeggiamenti. Y però non legge il messaggio e si presenta lo stesso.", facendomi nascere l'idea per questa storia!

Se avete letto, grazie; spero la storia vi sia piaciuta, nella sua semplicità. ^___^

Alla prossima!

Mari

  
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