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Autore: SkyDream    03/01/2019    5 recensioni
Giaceva inerme tra le spoglie all’orizzonte della realtà, ignara e stoica ai suoi lamenti.
Come chi dorme cercando di ignorare gli ululati del vento.
E il vento si convince di essere muto.
Non si accorge dei danni che fa, della distruzione che provoca il suo lamento.
Urla, spazzando via ciò che lo circonda.
Genere: Drammatico, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tempesta interiore


Una selva oscura, tale l’avrebbe descritta Dante.
Il cielo nero spezzato da fulmini e rombi, la foresta come una distesa nera e fitta.
Un lampo illuminò il paesaggio con la sua luce accecante e si spense catturando la visione del bosco nell’oscurità.
La pioggia battente rimbalzava su pozzanghere straripanti, radici assetate, fusti bruciati, raccolti rovinati dalla grandine.
L’aria scossa dai tremori voraci del vento dell’Est.
Una tempesta dalla furia cieca.
Avrebbe potuto far affogare il mondo in poche ore.
Invece, nonostante si stesse scatenando con urla e furia, era la triste culla di un uomo.
Alzò gli occhi al cielo, sulle iridi verdi si rifletterono i lampi, la pioggia aveva creato piccole stille luminose sulle ciglia chiare.
Dai capelli biondi, ormai zuppi, scendevano piccoli corsi d’acqua che si facevano spazio tra le pieghe dei vestiti.
Aveva i dorsi della mano porpora per il gelo, non tremavano più e le labbra non avevano ancora sciolto la recente grandine.
Sopra di lui si piegavano i rami di un cipresso, quasi volessero proteggerlo dall’Inferno che si stava scatenando senza sosta.
Pregava in silenzio, sperava di resistere almeno a quella tempesta.
Era già stato sopraffatto da quella interiore, aveva eroso i suoi sentimenti e la sua mente rendendolo schiavo di una verità che apparteneva a lui e a lui solamente.
Giaceva inerme tra le spoglie all’orizzonte della realtà, ignara e stoica ai suoi lamenti.
Come chi dorme cercando di ignorare gli ululati del vento.
E il vento si convince di essere muto.
Non si accorge dei danni che fa, della distruzione che provoca il suo lamento.
Urla, spazzando via ciò che lo circonda.

Se fosse sopravissuto a quella tempesta, avrebbe dimostrato a sé stesso di essere ancora abbastanza forte da sopportare le intemperie che lo avrebbero fustigato fino alla morte.
Quieto sonno eterno.
Un lampo si estese tra le nuvole, susseguito da un tuono che aveva fatto tremare le viscere della terra.
Un riverbero luminoso lo convinse ad alzare gli occhi.

“Come un serpente, che senza braccia e senza gambe trova comunque la sua strada"1.
Adattarsi. Avrebbe dovuto conformarsi a quella tempesta.
Era la tempesta.
Era la forza del vento, la luminosità dei lampi, il rombo del tuono.
Aveva dentro di se così tanta energia, la sentì scorrere nelle vene sempre più veloce.
La brina si sciolse sulle labbra calde.
Lui era vita e tempesta.
Era calma e furia.
Poteva, doveva sopravvivere a tutto ciò che avrebbe tentato di sopraffarlo.
Soprattutto avrebbe vinto contro se stesso.
Rigogliosi, i primi segni di vita cominciarono a uscire dalla foresta.
Le foglie degli alberi risplendevano e crescevano, i fiori sbocciarono timidi e i frutti appesantirono i cespugli.
Quando l’uomo si alzò in piedi, i raggi del sole si riflettevano sulle pozzanghere che si erano formate nel terreno.
A testa alta camminò lungo il sentiero davanti a se.
Era sopravvissuto a se stesso e a tutto ciò che lo scuoteva dentro.
 


 


[1] Metafora giapponese. Non so le origini precise, ma fu una grande lezione che mi impartì il mio maestro di arti marziali e a cui sono particolarmente legata.

   
 
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