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Autore: Lily710    03/01/2019    4 recensioni
Un racconto, ambientato durante la Vigilia di Natale, dove i protagonisti principali sono i pensieri di Shadow, un riccio tanto temuto quanto, forse, soltanto poco compreso.
Dal testo: “Se la Forma di Vita Perfetta quel giorno aveva imparato una cosa era quella di aver realizzato quante cose in comune avesse con quella mistica riccia: una perdita ingiusta e troppo precoce, un pezzo di anima andato via con quella stessa persona.
Rabbia repressa e tristezza accumulata per un vuoto eternamente incolmabile.”
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: OC, Shadow the Hedgehog
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Christmas at Amy's House.'
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Era finalmente arrivato il giorno tanto atteso da tutti i mobiani: il fatidico ventiquattro Dicembre.
Chiunque era in festa: c'era chi abbracciava i propri cari dopo tanto tempo, chi comprava ancora regali, chi finalmente si riposava dalle lunghe giornate di lavoro precedenti e chi preparava la cena di quella sera.
Quindi un giorno dove, teoricamente, dovrebbero essere tutti buoni, allegri e soprattutto felici.
Ma purtroppo non sempre era così.
C'erano anche coloro che pensavano che quella festa l'avrebbero dovuta trascorrere con qualcuno di speciale, che però in quel momento non era più al loro fianco.
 
Particolarmente, un certo riccio bicolore quel giorno si era ritrovato a pensare alla sua tenera amica più del solito.
Le piaceva molto il Natale, e lui in quel momento ricordava - con un tenero sorriso sul nascere in volto - come ella si divertiva ad appendere qua e là ghirlande ornate di decorazioni, talvolta realizzate da lei stessa, o ad accendere luci colorate in tutti i corridoi della Colonia Spaziale.
E poi, una volta finito il lavoro, amava fantasticare su quei panorami bellissimi che possedeva la Terra, visti attraverso quell'enorme vetro talvolta avente alcune impronte delle manine della ragazza, affascinata da quella vista così bella ai suoi occhi, azzurri come quei mari tanto bramati.
 
Le mancava.
 
Avrebbe di gran lunga preferito che ci fosse lei a fargli compagnia, invece di rimanere lì, fuori dalla porta di casa di Amy - dove Sonic&CO si erano riuniti quell'anno - perché la presenza di quelli, ma soprattutto del riccio blu, lo infastidiva e non poco.
Non sapeva nemmeno il motivo per cui fosse ancora lì, tantomeno quello che l'aveva spinto ad andarci.
Forse perché la sorella lo aveva gentilmente intimato a venire, oppure perché, da "buon" fratello quale era - o meglio, provava ad essere - preferì supportare la riccia al fine di non lasciarla da sola con quegli individui così...
Patetici.
Chissà, magari per lei non lo erano così tanto.
Fatto stava che lui non aveva la più pallida idea di cosa pensasse lei su di loro... e non ci teneva nemmeno tanto a saperlo, onestamente parlando.
 
Shadow il riccio, seduto su una panchina verde scuro leggermente arruginita, volse lo sguardo all'orologio, dal quadrante tondo e grande, avvolto attorno al proprio polso ebano caratterizzato da una striscia rosso fuoco.
Segnava le dieci di sera in punto.
 
Su quella panca, immediatamente adiacente alla porta, faceva davvero freddo, ma lui portava soltanto una sciarpa rossa al collo, incurante quindi della temperatura - o quasi.
Egli attenzionò per un attimo lo sguardo all'ambiente circostante: tutto intorno a lui era imbiancato, e continuavano a cadere ancora fiocchi candidi dal cielo mentre un vento gelido soffiava sul suo losco viso, gelandogli il naso.
Un brivido gli percorse la schiena, ma a pensarci bene era meglio rimanere lì, anche al costo di diventare un ghiacciolo.
Tutto. Tranne che oltrepassare quella dannata porta.
 
Avrebbe persino stipulato una tregua con quella palla blu pur di non averci più a che fare, piuttosto che sentirlo raccontare battute più che squallide - o peggio, parlare o addirittura RESPIRARE - insieme agli altri mocciosi.
Alzò gli occhi al cielo, esasperato al solo pensiero.
 
Non vi era nessuno in giro, esclusi alcuni cuccioli di mobiano che giocavano allegri in lontananza.
Poi sbuffò.
Quando sarebbe finita quella cavolo di festa?
Voleva solo tornare a casa, invece che starsene lì ad aspettare la sorella mentre gli si congelavano le meningi, passando il tempo ad osservarsi gli anelli inibitori, ad aggiustarsi il foulard o a sistemarsi gli aculei, onde evitare si formassero delle montagnette bianche sopra essi.
 
Improvvisamente sentì la porta aprirsi, ma sul momento non diede molto peso a quel fatto poiché, troppo immerso nei suoi pensieri, guardava la neve cadere giù dal cielo con lo stesso stile di una piuma.
Ma poi udì anche dei passi, lenti e discreti, che parevano addirittura venire verso di lui.
Non erano i passi di Rouge, quelli li riconosceva subito.
E non sembravano nemmeno quelli di Darkly: quella riccia era silenziosa anche quando camminava.
E allora chi era, che andava dalla Forma di Vita Perfetta, a rompergli le scatole?
 
«Oh, umh... ciao» iniziò farfugliando una voce, timida ma allo stesso tempo candida... e affatto fastidiosa, doveva ammetterlo.
Sembrava una ragazza.
Addirittura gli parve di sentirla sospirare: forse era in ansia.
Certo, a parlare con una creatura inquietante come lui chi non lo era?
 
«Tutto bene?» azzardò poi ella a bassa voce, con una punta di insicurezza nel tono come se avesse paura di essere attaccata o qualcosa di simile.
 
Egli cominciò ad irritarsi. Non sopportava quando qualcuno, in particolare gente che non conosceva, gli facesse domande, soprattutto se stava rimuginando su qualcosa di importante.
Nessuno le aveva dato il permesso, diamine.
 
«Chi sei? E perché mai dovrei parlare con te?» domandò lui schietto con le braccia incrociate, senza voltarsi nemmeno un secondo e incurante del fatto che fosse qualcuno di così...
delicato, forse.
 
La misteriosa mobiana sussultò, evidentemente a disagio.
Ne aveva passate davvero tante, quindi cosa poteva esserci di tanto preoccupante nel parlare con un mobiano, forse soltanto più introverso - e serio - del normale?
Si voleva sotterrare solo solo per la figura da cretina che stava facendo.
 
«O-oh, scusami, non volevo. Mi chiamo Crystal. È solo che ti ho visto da solo, e...» all'improvviso le parve che non fosse più in grado di proferire parola.
Come se quel riccio le avesse misteriosamente amputato la lingua.
 
L'unica cosa che le venne in mente in quel momento era il fatto che colui che aveva davanti gli occhi, nonostante fosse girato di spalle, fosse ferito da qualcosa che non voleva di certo condividere - tantomeno con una come lei.
 
Crystal.
Nome interessante.
Mai sentito alle orecchie dello striato.
Ma chi era veramente, colei che aveva avuto il fegato di rivolgersi a lui, soprattutto in un momento del genere?
Poi egli, con la punta dell'occhio sinistro, notò che non era andata via, ma che addirittura si era seduta - seppur all'estremo della panchina - vicino a lui.
Allora si decise a girarsi, stancatosi di quella presenza sconosciuta ma allo stesso tempo lievemente invadente dal canto suo, guardandola poi in viso.
 
Appena le loro iridi colorate si incrociarono ella abbassò subito lo sguardo arrossendo come un pomodoro - sentendosi quasi sotto esame - mentre si girava i pollici, osservando nel frattempo mistica i bottoni del proprio giubbotto come se fossero diventati la cosa più intrigante dell'intero Universo.
 
Aveva degli occhi molto profondi, che richiamavano vagamente il colore di una castagna, e il suo piccolo naso nero somigliava ad un ovale.
I folti aculei rivolti all'indietro da cui era ricoperta erano di un tenero verde acqua, e nonostante fosse seduta non gli parve poi così alta.
Quel giorno la riccia indossava un cappotto nero, una semplice sciarpa bianca e dei guanti del medesimo colore, che facevano intendere quanto fossero piccole le sue mani.
 
Quei rubini rossi che per pochi secondi la catturarono l'avevano sul momento confusa, e a quanto era timida si era imbarazzata subito, praticamente per nulla.
Però, in quei pochi attimi aveva scorto quanta sofferenza vi fosse dentro quello sguardo, nonostante quel riccio apparisse tutt'altro che un libro aperto.
Emise un respiro colmo di tensione, ma dopo quello si fece coraggio e ricominciò a parlargli.
Non poteva di certo lasciarlo così!
No, non era assolutamente da lei.
 
«Scusami... posso farti una domanda?» la riccia sospirò ammirando nel contempo la neve, sperando in una risposta più cauta rispetto alla precedente.
Odiava essere così sfacciata, ma in quel momento quasi si sentì in dovere di diventarlo improvvisamente.
 
Sentendosi così messo a nudo dopo quella semplice occhiata, dove anche lui aveva notato che ella lo aveva "letto dentro", Shadow ormai aveva compreso che non serviva più nascondere il pensiero che aveva saldamente afferrato il suo cervello, e quindi le annuì con la testa - anche se in parte era leggermente adirato da quella voglia insolita di instaurare un dialogo con la Forma di Vita Perfetta.
Forse quella di lei era solo curiosità, ma cosa aveva di tanto interessante da domandargli?
 
«Ho saputo che hai una sorella, ma... oltre lei, conosci per caso qualcuno a cui tieni talmente tanto...
Che daresti la vita per lui, o lei?» si irrigidì tutto in un colpo solo: quella domanda lo aveva totalmente spiazzato.
 
Scosso interiormente, muoveva le sue iridi in ogni angolazione possibile ad una velocità incredibile, tale il nervosismo, cercando di sfuggire a quella che, forse, i comuni mortali chiamavano ansia oppure disagio.
Non se ne intendeva lui di emozioni, del resto.
 
Ma come aveva fatto, una sconosciuta, a leggerlo dentro?
Come aveva fatto a capire che stesse pensando a qualcuno di così importante?
 
La sua anima stava tumultando, mentre il suo cervello rimurginava una risposta valida che avrebbe spento, prima o poi, quella che agli occhi del riccio nero sembrava una voglia apparentemente frenata di sapere, ma che in realtà era solo compassione dal canto di lei.
Eppure lui la odiava, la compassione.
 
Il suo cuore mancò un battito, e quasi gli parve di sentirlo frantumare al riaffiorare di quei ricordi bui come il nero dello spazio, o di quelle pistole tenute saldamente tra le mani degli agenti della GUN.
 
Un urlo.
E poi un velocissimo sparo, che per quanto possa essere stato rapido distrusse a frazioni di secondo la sua esistenza ogni momento di più con una lentezza tale da far venire l'angoscia - cosa non nuova per la creatura striata.
Chiuse i occhi e strinse i pugni, sospirando amareggiato.
 
«Sì. Lo avrei fatto, se non me l'avessero portata via.» confessò tutto ad un tratto con una tenua nota di rabbia nella voce, mentre quella giornata la rivedeva e rivedeva in testa come un film a velocità aumentata.
Un loop infinito, insomma.
Era la sua unica amica. E quei soldati gliela avevano portata via con la stessa semplicità di come viene strappato un foglio di carta con su scritto qualcosa.
Dapprima, il coraggio per strapparlo.
Successivamente, il rimbombo di un proiettile.
 
«Posso in parte capire come ti senti. Anche io, molti anni fa, persi una persona a me molto cara, e ancora oggi non riesco ad accettare il modo in cui è andata via... » dichiarò quasi spontaneamente lei per risposta, con gli occhi lucidi e un tono un po' tentennante, non riuscendone ancora a parlare nonostante tutto il tempo che era passato.
 
«Chi?» si incuriosì il bicolore, spinto dal dolore che la riccia stava provando - e raffiorando - in quel momento. Ella tirò poi sù con il naso, guardando altrove pur di non farsi vedere con quello sguardo tristemente perso nel vuoto.
 
«Mia madre» annunciò lei, morente dentro. Non avrebbe mai perdonato il suo aggressore, non lo avrebbe mai più nemmeno guardato in faccia nonostante fosse un familiare alquanto stretto - in fatto di sangue, si intende.
Una lacrima le scese malinconicamente dalla sua morbida e rosata guancia. Non voleva pensare al suo passato, odiava farlo. Quello era proprio la ragione per cui era venuta lì a Mobius.
Voleva cambiare vita.
 
«Se posso chiedere... qual era il suo nome?» gli chiese ella triste, cercando di respingere l'argomento da una parte all'altra come si fa con la pallina in una partita da ping pong.
Se la Forma di Vita Perfetta quel giorno aveva imparato una cosa era quella di aver realizzato quante cose in comune avesse con quella mistica riccia: una perdita ingiusta e troppo precoce, un pezzo di anima andato via con quella stessa persona.
Rabbia repressa e tristezza accumulata per un vuoto eternamente incolmabile.
 
Shadow sospirò rammaricandosi, ma infine aprii gli occhi, guardandola nuovamente in viso e fissandole le perle marroncine.
Avevano entrambi gli occhi lucidi.
E poi lo disse.
«Maria.»
 
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Angoletto dell'autrice: ciao, ragazzi!
Nonostante il Natale sia già passato (e quindi, come sempre, sono in ritardo xD), era da tempo che volevo pubblicare questa storiella, per la quale ho preso il dialogo dalla mia seconda fic di "Love in The Season", nonostante questa qui non c'entra niente con l'altra, a cominciare dall'OOC.
Ci tenevo a dirvi appunto che questo è il mio primo tentativo di rendere Shadow il meno OOC possibile, se non QUASI privo di esso (cosa che, conoscendomi, non so se sia avvenuta per certo xD).
Era da tempo che volevo trattare dei suoi pensieri e dei suoi ricordi di quel fatidico giorno, per cui se avete consigli da darmi sono disposta ad accettarli (e, ovviamente, se avete errori da segnalare, fate pure). ^^
Bene, detto questo, spero che, nonostante sia quasi un tentativo, possiate apprezzare ugualmente (magari me lo fate sapere lasciando una piccola recensioncina... mi farebbe molto piacere! :D) e alla prossima!
Baci, Lily :3
   
 
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