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Autore: whitemushroom    03/01/2019    3 recensioni
[Nathan Never]
[Nathan Never][Nathan Never]Un uomo ricrea il Diluvio Universale per rendere la Terra adatta al nuovo Adamo, l'ultimo frutto dell'evoluzione. Un uomo che gioca ad essere Dio, dimentico del fatto che, senza amore, anche l'Eden non è altro che un mondo vuoto.
Storia partecipante al contest Le nostre ali per il nono anniversario del mitico thexiiiorderforum. Tema: "What is my place in the world, father?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un mondo vuoto


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Personaggi: Aristotele Skotos (sinistra); Neos (destra)
Fandom: Nathan Never, Saga dei Tecnodroidi
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna. In caso di chiarimenti chiedete pure, potrei aver omesso alcuni tecnicismi per non intasare le pagine.



È la prima volta che mi invitano ad unirmi a loro. Hanno sempre avuto la squadra al completo, ma oggi Thomas, quello biondo con le spalle grandi, ha la febbre alta e non è potuto venire.
“Sai giocare a baseball?”
“Un po’”.
Suppongo che spiegare loro che mi sia allenato soltanto su simulatori olografici e mai con altri esseri umani non sia il migliore biglietto da visita per questo evento, ma non mi chiedono altro. “Vabbè, potevi essere una pippa completa. Ti facciamo giocare, ma non fare casini, ok?”

 

4 Gennaio 3092 del nuovo calendario, ore 17.22
Prima interazione con esseri umani non appartenenti al progetto Eden.
Contatto non autorizzato dal centro operativo.
Avvio registrazione.




L’area del campo è 4.7 volte inferiore a quella di un terreno da baseball regolare, e questo è un parametro da correggere immediatamente: i programmi di simulazione che mi ha fornito la dottoressa Eva sono tutti tarati sui campi da gioco ufficiali riportati in rete dalla federazione Sportiva della Costa Est, quindi devo adattarmi a questo nuovo ambiente. L’ampiezza del mio passo è di 0.17 metri superiore alla media degli altri bambini, ma è un parametro che potrebbe tornarmi utile durante la partita.
Tutti iniziano a correre, a darsi ordini; dare origine ad una conversazione durante una situazione così instabile e disorganizzata potrebbe compromettere la mia accettazione alla partita, e non intendo perseguire questa opzione.
Sono due anni che giocano su questo campo improvvisato, sempre i giorni dispari, mai la domenica o i festivi. Alcuni partecipano anche se la loro condizione di salute già precaria rischia di essere compromessa. Anche quando riportano escoriazioni o lividi severi non piangono.
È chiaro che questo corrisponda al termine felicità.
Voglio farne parte.
Gea, la ragazza che lancia per la squadra avversaria, imprime sulla palla una velocità di 126 Km/h. È al quindicesimo lancio dall’inizio della partita, eppure le sue oscillazioni cardiache non sono aumentate eccessivamente rispetto al suo ritmo basale, dunque la probabilità che nei prossimi lanci la sua velocità non oltrepassi il limite della deviazione standard è di 87.1%. I suoi parametri fisici sono leggermente superiori a quelli di tutti gli altri partecipanti, e la differenza aumenta se confrontati con quelli dei suoi coetanei della Costa Est: questo la rende la migliore giocatrice dell’intera partita. Inizio il download con del report accurato delle sue vittorie mentre lei mette a segno il terzo strike ed i pochi spettatori fanno sentire tutto il loro supporto.
È proprio lei a porgermi la palla. “Tu sei quello nuovo dei Teasers? Fammi vedere come lanci, nanetto!”
Finalmente.
La palla pesa 131 grammi, è fatta di una similplastica che non eguaglia la massa di una sfera ufficiale. Per raggiungere l’energia cinetica necessaria a far arrivare la palla oltre la mazza del battitore devo aumentare di molto la velocità di lancio.
Non è un problema.
Quando segnerò lo strike gli altri bambini saranno felici.
Traccio la traiettoria della palla sul simulatore plineare: la ragazza che batte per gli Octopus ha eseguito durante gli ultimi match un movimento semicircolare con la mazza, dunque con una approssimazione del 2.5% non andrà ad incontrare la palla sul tracciato che ho regolato.
Mi guardano tutti. È … bellissimo.
157 Km/h.
Sufficiente ad atterrare nel guanto di Peter, il nostro ricevitore, ma non basta.
Vogliono di più.
Posso fare di più.

 

4 Gennaio 3092 del nuovo calendario, ore 18.38
Aumento non necessario dei parametri basali.
Invio dati al Presidente Skotos




Tutti i ragazzi, sia quelli in campo che quelli sugli spalti, gridano; gli esterni e le basi non corrono e fanno a gara per vedere il mio strike. Si è fermato persino il droide che distribuisce bibite.
Ma nessuno sta guardando me.
Un tono di voce supera in frequenza quello dell’intera folla, ed appartiene a Peter. È caduto oltre il bordo del campo, e da sotto il guanto inizia ad uscire del sangue.
Poi dal petto. Le braccia diventano livide fino al gomito.
Inizio a scaricare tutti i file per diagnosticare il suo strano problema, ma la sagoma di Gea occupa i miei sensori visivi. La posizione dei suoi lineamenti rientra nel sentimento corrispondente a odio. “Si può sapere che cazzo hai fatto?”
Dopo essere stati battuti, di norma i bambini reagiscono con invidia, o spesso fingendo di non interessarsi all’evento in questione. Avevo preparato 73 risposte differenti in caso di una di queste reazioni, ma l’odio non era nella mia progettazione iniziale.
In assenza di preparazione, rispondere con verità. “Ho impresso sulla palla una velocità di partenza di 400 Km/h. È uno strike regolare”.
Un secondo urlo di Peter, ancora più acuto, supera persino la mia risposta.
Qualcosa non ha funzionato.
Eppure con la mia vittoria avrebbero dovuto essere tutti fel … “Ma che diamine di mostro sei?”
Adesso … adesso mi guardano tutti.

 

Errore



Se ne accorgeranno.

 

Contatto potenzialmente pericoloso.
Errore
E#°or*




Salto oltre il muretto, perché non dovevano scoprirlo.
Ma non capisco tutto questo odio.
Ho vinto.
Ci deve essere un parametro che non ho calcolato.
Però non è giusto. Io ho vinto.



In data odierna Neos compie tre anni, cinque mesi e ventuno giorni. Poche cose sono mai riuscite a sorprendere davvero Aristotele Skotos, capo della Chiesa della Divina Provvidenza, ma una di queste è la straordinaria crescita di quella creatura che assomiglia in tutto e per tutto ad un bambino umano di undici anni. La dottoressa Eva asserisce che i parametri vitali di Neos siano in perfetta sintonia con la sua biologia -sempre che di “biologia” si possa parlare-, eppure non riesce a restare indifferente davanti alla figura del ragazzo dritto sulla porta del suo ufficio,
indeciso se entrare o andarsene.
Nessuno, nemmeno sua madre, sarebbe in grado di distinguere le fibre ottiche di platino-iridio oltre quelle iridi azzurre.
Di scorgerne la divina perfezione.
“Il dipartimento di controllo mi ha mandato l’intera registrazione. So tutto, Neos”.
“La cosa non vi turba, padre?”
Padre.
Una parola comune. In un contesto che di comune non ha nulla, nemmeno il ricordo o il pensiero. Con essa tutto ha inizio, e con essa la fine.
Invia gli ultimi dati del Progetto Eden a Kal, poi spenge il computer. “Nemmeno un po’. La curiosità è insita nella tua natura”.
“Dunque non disapprovate le mie azioni?”
“Se la mia approvazione fosse davvero così importante a tuoi occhi … perché avresti volutamente contravvenuto ai miei ordini di non lasciare mai lo Skotos Plaza e saresti entrato in contatto con degli umani?”
Una domanda dicotomica che metterebbe in stallo qualsiasi macchina ben programmata.
Ma Neos va oltre i suoi basilari sillogismi. “Perché mi ritenevo pronto”.
“E lo sei stato?”
“No”.
Skotos trascorrerebbe tutti gli anni rimanenti della propria vita ad osservarlo, forse anche un paio di secoli in più; ogni giorno che passa Neos gli ricorda la sua assoluta perfezione in ogni piccolo gesto. Anche nell’accettazione dei propri errori.
Oltre la vetrata dell’ultimo piano della Skotos Plaza, la Costa Est inizia lentamente a prepararsi per la notte. Lungo la cupola che regola il clima e l’illuminazione artificiale le luci si affievoliscono, dando l’impressione che il sole stia tramontando oltre i grattacieli, al di là di un orizzonte che la maggior parte degli uomini e delle donne di quella città non hanno mai nemmeno sognato di raggiungere. Da un punto particolare della vetrata, spostandosi oltre la scrivania e la statua del Supplice, può persino vedere il campetto da baseball dove Neos ha avuto il suo primo contatto con l’umanità privo del suo filtro.
I droidi soccorritori che hanno prestato le prime cure sono andati via da qualche minuto; il ragazzo che è rimasto coinvolto nell’incidente è stato già portato nell’ospedale principale della Costa, ma la maggior parte dei mocciosi è laggiù a chiacchierare. Da oltre la propria spalla, Aristotele Skotos sa che il ragazzo sta continuando a fissare il campo, immerso in un flusso di pensieri di cui non riesce a calcolarne il percorso. “La mia vittoria avrebbe dovuto renderli felici. Eppure ho ottenuto l’effetto contrario, ed immagino sia dovuto al danno che ha riportato Peter durante la ricezione. Ne deduco che le mie variabili interattive con il genere umano siano da perfezionare”
“Non dare a questo evento troppo peso, Neos …”
Dal suo tavolo di lavoro prende forma un’olografia. Su di essa Aristotele Skotos ha plasmato migliaia di fedeli della Divina Provvidenza, e la maggior parte dei suoi collaboratori più stretti la riverisce dal più profondo del cuore. Eppure, quando l’aria vibra mostrando uno spesso cilindro azzurro, non vi è nessun essere umano sulla Terra o sulle stazioni orbitanti che possa vedere la grandezza del tutto, il motore pulsante del progetto Eden a cui lavorano migliaia di persone senza conoscerne lo scopo. Prende la mano di Neos e la appoggia sull’immagine; la sua epidermide, strutturata con innesti di cellule nanoidi, non potrebbe essere meno morbida di quella di un bambino. “Questi, ragazzo, sono gli esseri umani. Piccoli, corrotti, antiquati esseri umani”.
Un secondo cilindro si forma nell’aria: è di un colore frigio intenso, ben più largo di quello appena creato; la nuova figura segue la mano del predicatore, appoggiandosi proprio al di sotto della forma precedente. “E questi sai chi sono?”
“I droidi”.
“Eccellente. E questi?” chiede una seconda volta, stavolta mentre al di sotto dell’anello grigio se ne forma un terzo di colore verde, di poco più ampio in grado di sorreggere le altre due figure senza alcuno sforzo fino a formare una struttura che ricorda le piramidi degli Antichi. Il giovane immerge la mano nell’olografia: se vi è curiosità o sorpresa oltre quell’espressione assente … a lui non è certo dato saperlo. “Sono i mutati, padre. E questa è la scala della gerarchia sociale realizzata dal professor Bekk sette anni fa, ed esposta nel suo libro La civiltà di oggi per la società di domani. L’ho scaricata ieri su vostra richiesta”.
“E cosa ne pensi?”
“Che non mi convince. C’è una domanda che devo porvi”.
Aristotele Skotos sorride.
Sa cosa arriverà.
Non una domanda, ma La Domanda.
Quella a cui sta rispondendo con il progetto Eden, e che sta muovendo miliardi di crediti degli inconsapevoli fedeli del culto che dirige. La Domanda che ha avuto bisogno di tre anni, cinque mesi e ventuno giorni per maturare ed inginocchiarsi fino a lui, in attesa della Risposta.
“Padre, io sono il primo tecnodroide biologico. Un terzo umano, un terzo droide, un terzo mutato” mormora, sfiorando l’ologramma con i tre livelli. “Quale è il mio posto in questo mondo?”
Ed in quel momento, non appena le ultime parole del ragazzo prendono vita, la mano di Aristotele si muove nell’ologramma, sfiorando l’aria elettronica con la punta delle dita. Un’unica sfera, rossa e luminosa come il sole, danza tra i suoi polpastrelli e si lascia accompagnare al vertice della piramide.
“Questo, mio nuovo Adamo, è il tuo posto”.
E, dall’alto, la luce rossa dell’angelo tecnodroide aumenta sempre di più, finché tutti i livelli non spariscono cancellati dalle sue fiamme.



Le acque nere non hanno pietà.
I gorghi formati dai sottopassaggi delle vecchie metropolitane portano via i flyer ormeggiati sui livelli più bassi, così come gli esseri umani che hanno tentato di mettersi in salvo lì dentro. I torrenti che all’inizio avevano causato solo qualche disagio ai bassifondi della città alveare della Costa Est adesso sono essi stessi un grande mare, migliaia di metri costellati dai corpi degli uomini che vi hanno trovato la morte.
I più fortunati sono annegati nel sonno.
Erano stati solo allagamenti accidentali, come i vecchi fiumi che straripavano nei tempi antichi, e l’umanità non aveva dato troppo peso a qualche centinaio di mutati o senzatetto affogati dal malfunzionamento dei sistemi di smaltimento fognario della città eterna.
Poi era giunta la pioggia.
Infine il mare.
La morte ormai scorre tra i vetri di quei grattacieli che arrivavano così in alto da arrogarsi il diritto di toccare il cielo. Gli abitanti dei livelli superiori, che hanno usato tutte i loro miliardi di crediti per abbandonare la capitale, sono stati trascinati sul fondo del mare dalle tempeste lasciate libere di ruggire dopo secoli di prigionia del clima artificiale.
L’acqua copre anche il campetto da baseball. Un punto in mezzo al mare nero, sepolto come un tesoro sul fondo degli abissi come negli oloromanzi dei tempi passati. Le mazze, le maglie, le palline lasciate nel capanno sono ormai disperse in quell’oceano, ma anche a distanza di chilometri Neos è certo di poter scorgere sotto l’acqua le gradinate, le scalette ed anche l’area di battuta.
Anche al di sopra delle nuvole, sopra l’unica aereonave in grado di sopravvivere alla catastrofe voluta dal progetto Eden, il nuovo Adamo è in grado di tracciare le tappe della propria esistenza e di guardarle finalmente dall’alto in basso, come si addice ad un essere del suo livello.
Suo padre, colui che ha devoluto la propria vita a creare il Diluvio Universale, da quattro giorni non mangia e non dorme, gli occhi fissi sulla vetrata che li separa dal mondo in caduta libera verso la sua distruzione. Sono loro due, e la Terra purgata dai parassiti che la hanno sfruttata.
Gli uomini non sono intervenuti quando i mutati sono stati annientati in una sola notte, voltando lo sguardo quando le creature che loro stessi hanno ideato sono spariti senza una ragione.
Allo stesso modo il tecnodroide deve guardare l’umanità che affoga sotto le sue stesse colpe, ed attenderne con giusta pazienza la fine.
Perché questa è la regola dell’evoluzione.
“Nei testi degli Antichi è scritto che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, e che intorno a lui abbia plasmato un mondo che potesse soddisfare ogni sua necessità. Tra due giorni, figlio mio, la Terra sarà ripulita di ogni lerciume” sorride, estatico davanti al mare, all’oceano ed alla morte. “È dal giorno del tuo primo vagito che ho compreso il vero scopo della mia esistenza. Rendere questo pianeta marcio un luogo adatto a te!”
“Di ciò ve ne ringrazio, padre …”
Sotto di lui può scorgere ancora il campetto.
E, con i ricordi del suo sistema mnemonico, gli sembra ancora di poter vedere su quel fondo nero i ragazzi che si preparano alla partita, le magliette scambiate in tutta fretta, ed il lancio impareggiabile di Gea “ … ma perché a me sembra soltanto un mondo vuoto?”

 

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