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Autore: Novizia_Ood    04/01/2019    6 recensioni
John ha completamente dimenticato se stesso per mettere continuamente avanti a sé, ai propri bisogni e ai propri sentimenti, quelli di sua sorella Harry, la quale sembra avere sempre un motivo nuovo per soffrire e per ripiegare le proprie frustrazioni sull'alcol... fino ad una sera.
#Teenlock #FirstKiss
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harriet Watson, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Safe Place



Ok.

John si era ritrovato a leggere quella risposta con un sasso pesantissimo al posto del cuore, senza avere la faccia tosta di rispondere altro.

Dopo essersi scusato, per l’ennesima volta gli aveva dato buca poco prima di un appuntamento che avevano organizzato nemmeno un giorno prima. Sarebbero dovuti uscire per andare a cenare insieme, come facevano almeno due volte a settimana dopo alcuni dei giorni più intensi di lezione, ma questa volta sarebbe stata diversa.

Quella era la quinta o quarta volta che John si ritrovava costretto ad abbandonare Sherlock poco prima di un’uscita e il motivo era sempre lo stesso: Harry Watson. Per questo, quella sera, John aveva proposto di andare a mangiare un boccone in un posto nuovo e che avrebbe pagato tutto lui, qualsiasi cosa, anche il dolce!

E invece.

Era tornato a casa quel pomeriggio, dopo una sessione di studio stancante con quello che ormai era il suo unico migliore amico - felice e carico come poche altre volte - ed era corso al piano di sopra dove aveva trovato sua sorella distesa sul suo letto, con il viso bagnato di lacrime, mentre fissava il soffitto. Non spostò lo sguardo sul fratello quando lui entrò e John, dopo aver lanciato lo zaino vicino la sua scrivania, si avvicinò al letto della sorella.

“Harry…” disse solo e quando lei sospirò, un singhiozzo le sfuggì dalle labbra che vennero prontamente coperte da una mano. Gli occhi si chiusero per la vergogna e, senza che dovesse aggiungere altro, John andò a stendersi accanto a lei.

“A volte penso di non farcela.” Riuscì a dire dopo qualche minuto di completo silenzio e lui si voltò per guardarla, ma Harry ancora non riusciva a ricambiare il suo sguardo. Troppe volte si era sentita giudicata, troppe volte si era vergognata e aveva pensato di non meritare un fratello come lui. Evitare il suo sguardo ora era il minimo.

Era vero, spesso e volentieri passavano il tempo a litigare e ad urlarsi addosso, ma in momenti di estrema debolezza come quello, John era sempre stato paziente con lei, aveva sempre cercato di trattenersi dal giudizio - anche se non sempre ci era riuscito - e aveva sempre provato a non peggiorare la situazione. Erano mesi che i suoi alti e bassi erano riusciti a far abituare il fratello a trattare con il suo umore.

E con le sue ricadute.

“Da quanto?” Chiese, con il tono più neutro possibile. Lei prese un altro sospiro prima di rispondere.

“Tre settimane.” Si morse un labbro e provò con tutta se stessa a trattenere ancora le lacrime. Nonostante in momenti del genere non sembrasse, Harry odiava farsi vedere da suo fratello minore in quello stato. Al tempo stesso, non era mai riuscita a trovare un alleato tanto valido come lui in situazioni del genere.

“Da tre settimane non tocchi niente. - Fece una pausa prima di voltarsi a guardarla di nuovo. - Cos’è successo oggi?” Non si aspettava che si girasse per ricambiare il suo sguardo, ma nemmeno si aspettava che si voltasse completamente contro il muro senza rispondere.

John non forzò la mano, semplicemente sospirò e tornò a guardare il soffitto, sistemandosi meglio dietro la schiena della sorella, ora con la testa poggiata sul cuscino. Spinta forse dalla paura che lui potesse uscire dalla stanza da un momento all’altro, dato il suo silenzio, Harry riprese a parlare.

“L’ho vista.” La voce tremante fece capire immediatamente chi fosse il soggetto della frase e John dovette raccogliere tutta la sua pazienza per non mettersi ad urlare e fare di nuovo un’invettiva contro quella donna che sembrava tanto voler distruggere la vita di sua sorella. “Voglio solo bere. La odio. Dio, se la odio!” Grugnì lei a denti stretti mentre ancora non dava segno di volersi voltare.

“Ti ha detto qualco-?” E prima ancora che John potesse completare quella frase, Harry l’interruppe saltando a sedere e inchiodando gli occhi con i suoi.

“Era con un’altra, John. E non un’altra a caso. Era con Amanda.”

Parlare con John era diventato così naturale da qualche anno a quella parte; entrambi avrebbero potuto giurare che mai nella loro vita erano stati così uniti o a conoscenza di tutte le avventure personali dell’altro. Ecco perché adesso non c’era più bisogno per John di chiedere spiegazioni ad ogni nome nuovo che la sorella nominava. Ormai conosceva tutti i suoi amici e non.

Al sentire quel nome, avvertì un senso di vuoto non indifferente allo stomaco.

Sapeva benissimo che la situazione non era delle più semplici.

Dopo mesi e mesi di relazione, Clara aveva cominciato ad insistere nel portare la loro storia alla luce del sole, cosa che Harry non poteva certo sentirsi pronta a fare, visti i trascorsi con l’uomo che si ritrovavano come padre e vista la sua precaria situazione emotiva, scatenata dalla morte della madre. Eppure, dopo mesi di insistenza e dopo varie minacce di rottura varie, era riuscita a confessare tutto, a tavola durante la cena.

John ancora ricordava il rumore del pugno del padre sul tavolo.

Aveva cominciato a dire che certe cose non esistono, che erano stupidaggini che ti insegnano in questi college fuori città e che certe cose ti entrano nella testa solo perché cominci a frequentare strani ambienti.

L’idea che Harry potesse amare una donna non era nemmeno contemplata.

La storia, per suo padre, era andata molto diversamente: sua figlia si era trasferita fuori città e la gente lì aveva strane idee sul divertimento.

Una figlia traviata in questo modo!” Quelle furono le esatte parole che trapassarono entrambi i fratelli quella sera e John poté giurare che sua sorella non si fosse ancora ripresa.

Era passato un anno circa da quel momento e ancora niente era cambiato, se non che Harry aveva perso l’alloggio al college e ora si ritrovava a viverlo da pendolare.

E aveva perso Clara, comunque.

La stessa Clara che l’aveva costretta a rendere pubblica la loro storia.

La stessa Clara che ora se ne andava in giro a farsi vedere con Amanda, nonché ex migliore amica di Harry.

“Magari stavano solo-”

“No, non farlo. Evita. Si stavano baciando e non penso nemmeno che sia stato un caso.”

Clara aveva sempre avuto questa vena di cattiveria, John l’aveva notato molto prima di sua sorella e ciò le permetteva di fare pochissime azioni, ma molto mirate e sempre perfette per portare sua sorella di nuovo in ginocchio.

C’erano stati mesi di tira e molla; mesi in cui l’umore di Harry sembrava una montagna russa, dove momenti di depressione e pianti si alternavano a momenti di estrema felicità.

Ma da quando Harry aveva cominciato a bere tutti i giorni, Clara aveva iniziato ad allontanarla; a spaventarsi ogni volta che Harry provava a parlarle quando non era troppo sobria; a dire in giro che era stata lei a lasciarla perché si stava riducendo troppo ad uno straccio. Perché continuasse a girare il coltello nella piaga, questo John proprio non riusciva a comprenderlo.

“Ho bisogno di bere.” Disse con tono arrabbiato mentre portava le ginocchia al petto e nascondeva di nuovo il viso. A quel punto John si mise a sedere con lei, una mano poggiata sulla sua schiena per cercare di calmarla.

“Non ne hai bisogno, Harry. Lo sai che non ne hai bisogno.” E John voleva con tutto il cuore che quella fosse la verità.

Tante volte l’aveva vista anestetizzare il tutto con l’alcol e a volte funzionava, a volte un po’ meno. Altre volte la faceva tornare a casa fradicia e le litigate con il padre sembravano non interrompersi mai. E per John sembrava sempre più difficile non intromettersi, nonostante lei lo avesse più volte spintonato fisicamente via.

“Facciamo così, questa sera facciamo qualcosa insieme? Che ti va di fare?” Le scostò i capelli dal collo e provò a scoprire un po’ il suo viso, facendole prendere un po’ d’aria. “Possiamo bere tutta la coca-cola che vuoi o quel frappé orrendo che tanto ti piace.” E finiva sempre così. Ogni volta che Harry toccava il fondo, John cancellava tutto il resto e faceva girare tutto intorno a lei.

Lei che a volte si sentiva ancora in colpa per non essere in grado di essere un punto fermo, un’ancora per suo fratello minore. Non era così che andavano le cose? Non era il maggiore ad occuparsi del più piccolo? A rassicurarlo sulle paure, a metterlo in guardia da quello che sarebbe venuto dopo, a fare da guida?

In quella famiglia era tutto l’opposto.

Harry annuì con un sorriso triste.

“Mando un messaggio a Sherlock e sono tutto tuo.” Provò a sorridere anche lui di rimando, ma una parte di sé, quella piccola egoista che gli restava, stava urlando scontenta. Per l’ennesima volta avrebbe dovuto annullare un’uscita con il suo migliore amico - se migliore amico voleva chiamarlo - e John sapeva perfettamente quanto Sherlock odiasse essere messo in secondo piano. Chiaramente non aveva idea dei problemi della sorella, ma John gli aveva parlato a grandi linee del padre e tanto era bastato a permettergli di dedurre qualcosa.

Così John non aveva fatto altro che inventare scuse che naturalmente Sherlock aveva smascherato subito.

Ma non avrebbe potuto fare diversamente.

John si alzò dal letto per recuperare il suo cellulare e dopo aver letto un messaggio da parte del compagno, sentì il cuore cadergli nello stomaco.

Se questa volta metto la camicia bianca non me la macchierai di nuovo di pomodoro, vero?

Quella sera a cui stava alludendo era stata divertente in effetti.

John gli aveva chiesto di vestirsi bene e lui così aveva fatto, ma poi si era scoperto che aveva sbagliato a prenotare, dando una data per un’altra e quindi si trovarono costretti a ripiegare su una pizzeria in centro.

Mai serata non in programma fu più bella di quella.

John era rimasto fin troppo a guardare Sherlock di nascosto di tanto in tanto, quando avevano attraversato il Tower Bridge, per esempio.

E avevano riso così tanto.

A leggere quel messaggio si sentì la persona più cattiva del mondo. Sapeva che avrebbe dovuto dargli una brutta notizia e ciò non faceva che farlo sentire peggio.

Sherlock, mi dispiace, tantissimo, ma questa sera non posso uscire.

Lo so che ho detto che questa sera era per ripagarti di tutte le altre, mi dispiace, davvero, ma mio padre vuole che io resti a casa.

Mi dispiace tantissimo :(

Bastò premere il tasto d’invio per far sentire John terribilmente in colpa, ma abbandonare sua sorella in un momento in cui rischiava una ricaduta non era la cosa più saggia da fare.

“Fatto. Allora, hai deciso cosa fare?” Le chiese, cercando con tono contento di ritornare a loro. Ma prima che Harry potesse rispondere, l’ “Ok.” secco di Sherlock fece la sua comparsa sullo schermo del cellulare e John giurò di non essersi mai sentito così male in vita sua.

“Non l’ha presa tanto bene.” Sussurrò Harry, appoggiandosi alla sua spalla con un sorriso. Lo sapeva bene quanto John stesse sacrificando per lei e l’idea di essere quella che pretendeva attenzioni, pretendeva spazio e cure non le permetteva di vivere questo rapporto con suo fratello serenamente.

“Lui… non l’avrebbe presa bene comunque. Se la prende per qualsiasi cosa.” Provò a sdrammatizzare un po’ e, perché no, a scrollarsi un po’ del senso di colpa da dosso, ma quando Harry arricciò le labbra nel guardarlo, John si ritrovò a sospirare.

“Avevate un appuntamento?” Chiese lei osservandolo mentre faticava a ricambiare il suo sguardo.

“Non era un appuntamento. Ma dovevamo uscire a mangiare qualcosa insieme, sì.” Cosa avrebbe dato per prepararsi e scendere con lui.

E invece.

“Sei troppo buono con me, Johnny. Perché resti qua invece di uscire con lui?” Domandò tornando con la testa sulla sua spalla a guardare dritto davanti a sé.

“Perché hai bisogno di me. - Disse appoggiandosi alla testa di lei. - Non posso lasciarti adesso.” Tante volte aveva immaginato la sua vita diversa.

Una vita in cui sua madre era ancora viva, il padre non era una testa di cazzo e sua sorella felice. Una vita senza quelle responsabilità che pesavano sulle sue spalle da anni ormai.

“Posso cavarmela da sola.”

“Due secondi fa hai urlato di aver bisogno di bere. Quindi no, non puoi cavartela da sola.” John avrebbe tanto voluto che ne fosse in grado.

Veramente tanto, ma non poteva fargliene una colpa.

“John,” chiamò piano, senza voltarsi a guardarlo. “Posso farti una domanda?” Lo sentì annuire contro la sua testa e così riprese a parlare. “Hai mai immaginato una famiglia diversa da questa che abbiamo? - Fece una piccola pausa prima di continuare. - Una in cui tu non debba preoccuparti di me.”

A quelle parole il cuore di John cominciò a battere più forte per la paura.

Ciò che aveva letto in quel tono così piatto e distaccato non gli era piaciuto affatto.

“L’ho immaginato, sì. Come immagino di trovare un milione di sterline nel mio zaino ogni mattina. Ma non ho mai desiderato avere una famiglia diversa da questa.” Non avrebbe scaricato il peso della sua infanzia infelice sulle spalle di sua sorella per niente. “E poi sei mia sorella. Mi sarei preso cura di te con qualsiasi altra famiglia ci fosse capitata.” Sorrise nel sentirla appiattirsi un po’ di più contro il suo fianco.

“Se non ti fossi dovuto prendere cura di me, avresti cambiato qualcosa?” Continuò, questa volta con un tono più curioso e John ci mise di più per rispondere a questa domanda.

“In che senso? Non mi sto privando di nulla.” Disse, eppure nello stesso momento in cui pronunciò queste parole, il suo pensiero andò a Sherlock.

“John. Davvero non sai che intendo?” Sospirò un po’ e quando da suo fratello ottenne solo silenzio, decise di rialzarsi e di appoggiarsi al muro per poterlo guardare in faccia senza problemi.

“Che c’è?” Chiese lui alzando un sopracciglio e incrociando le gambe prima di voltarsi verso di lei.

“Staresti con lui?” Domandò con un sorriso sulle labbra e con la tristezza nel cuore. John era così fortunato da aver trovato sempre ragazze disponibili con lui, sempre tutte brave persone, nessuna delle sue ex lo avevano mai ferito.

Non era mai tornato a casa arrabbiato o pensieroso o perso completamente nei suoi pensieri.

Poi era arrivato Sherlock e Harry aveva assistito al lento cambiamento del fratello che conosceva, una sorta di accomodamento della sua personalità intorno a quella tutto pepe dell’altro ragazzo.

Li aveva visti interagire poche volte, una di quelle l’aveva vista entrare in camera loro quando c’era anche lui. Erano a studiare, chiaramente, non li aveva sorpresi a far nulla, ma lei lo aveva notato come Sherlock aveva subito spostato tutto il peso del proprio corpo dall’altro lato, più lontano da John.

E li aveva visti mentre si guardavano, scambiandosi occhiate d’intesa; come, senza parlare, riuscivano a comprendersi. Sarebbe stata bugiarda a non credersi gelosa di quel rapporto.

Non aveva avuto mai niente del genere, con nessuno in vita sua. Né tantomeno  con Clara.

John sembrava cresciuto, per certi versi.

Harry lo aveva sorpreso più volte a pensare mentre fissava il muro della stanza o a volte avevano intavolato un discorso che sembrava non avere né capo né coda, ma che portava inevitabilmente a quel ragazzo dai capelli ricci e corvini.

“Se io non fossi il casino che sono, John, staresti con lui?” Ripeté, questa volta senza staccare i suoi occhi chiari da quelli dell’altro e lui rimase ad osservarla per qualche secondo, sciogliendosi alla fine in un semplice sospiro.

“Non pensi che se volessi stare con lui, non mi farei fermare da qualche uscita cancellata?” Chiese e Harry parve scontenta di quella risposta.

“Non parlo di questo. Parlo dei tuoi sentimenti.” E a quella parola John si mosse subito a disagio sul posto.

“Non so di cosa tu stia parlando.” Scosse la testa sorridendo nervoso, ma evitò di alzarsi dal letto e lasciare la stanza. Dopo tutto, sua sorella era completamente fuori strada. Giusto?

“Posso dirti quello che penso?” Ed era stata una gentilezza per lei chiederlo, perché John non era assolutamente pronto a sentire qualsiasi cosa avesse da dire. Ma rimase ugualmente in silenzio, permettendole di continuare. “Penso che se non fossi stata così problematica, e per ‘problematica’ intendo lesbica, a quest’ora tu saresti più sicuro dei tuoi sentimenti. Ti sarebbero più chiari e non saresti ancora qui, a fare finta di niente.” Il silenzio calò tra loro e il respiro di Harry cambiò velocemente. “La povera sorella, abbandonata dalla donna che ama e alcolizzata che costringe suo fratello a restare a casa invece di essere un normale ragazzino di 17 anni. Hai proprio una vita di merda, Johnny.” Aggiunse con disprezzo alla fine. Fece per alzarsi quando lui l’afferrò per il polso, costringendola a restare lì.

“Smettila di dire così, non mi hai mai obbligato a restare.” Disse con sincerità, senza interrompere il contatto visivo con lei. A quelle parole Harry sorrise appena, abbassandosi al suo livello di nuovo e prendendogli la mano che pretendeva di tenerla ferma.

“Io no, ma il tuo senso di colpa sì.” Quelle parole colpirono John nel profondo e permisero alla sorella di approfittare di quel momento per alzarsi dal letto.

“Non è quello. È la responsabilità. Tu sei una mia responsabilità.” E se possibile, quelle parole fecero soffrire sua sorella ancora di più, che gli si sedette di nuovo accanto.

“John, questa famiglia allo sbaraglio non è una tua responsabilità, io non lo sono. Non puoi privarti di nulla solo perché il venire meno a quella responsabilità ti farebbe sentire in colpa.” Harry aveva sempre sofferto questa differenza tra di loro; quella che sentiva quando guardava con disprezzo suo padre e invece con immenso rispetto suo fratello sul quale, fin troppe volte, si era appoggiata con tutto il peso possibile, addossando a lui cose delle quali non doveva e non poteva occuparsi. E invece era lì, sempre.

Dopo la morte della madre era stato una roccia per lei, nonostante le ricadute, nonostante gli alti e bassi con Clara, John aveva mantenuto i suoi pezzi insieme, evitando che si distruggesse completamente. A volte aveva lottato per questo anche contro lei stessa.
E non importava quante volte lei gli avesse detto che non era suo padre, che lei non era una bambina, che lei sapeva cavarsela da sola o che doveva andare al diavolo. John era rimasto lì.

Maledetto cocciutissimo John Watson.

“Non voglio che per questa famiglia tu non pensi a te stesso.” John corrugò la fronte.

“Io non penso a questa famiglia. Penso solo a te.” Lungi da lui il voler essere responsabile per suo padre.

“E questo fa di me una sorella ancora più egoista di quanto non pensassi. Dovresti smetterla.” Fece una pausa posandogli una mano sul ginocchio. “E dovresti uscire. Lo hai fatto arrabbiare.” Ma lui scosse la testa.

“Non sono innamorato di Sherlock.”

“Come fai ad esserne così sicuro?” Semplicemente, non poteva esserlo. Rimase in silenzio a pensarci. Quante volte si era ritrovato a fissarlo e a immaginarsi con le mani tra i suoi capelli? Eppure non aveva mai fantasticato su niente di più spinto di quello. I tocchi che vedeva nella sua mente erano sempre leggeri, sempre indirizzati al suo viso e alle sue mani. Ma non si era mai chiesto di più, ne aveva osato immaginare altro. Forse poteva provare, solo un attimo, a concentrarsi sulle sue labbra per- no. No.

“Perché è così e basta!” Scattò in piedi a quella propria frase esclamata con una voce fin troppo stridula per i suoi standard. Non riusciva ad immaginarsi con lui, perché nel momento in cui lo faceva, tutto il peso che sentiva sulle spalle gli ricadeva addosso.

“John-”

“Non voglio finire come te e Clara!” Tirò fuori all’improvviso, con una nota di panico nella voce, mentre gli occhi non erano fissi su nessun punto in particolare. Quando Harry alzò lo sguardo su di lui, non parlò, restando a guardarlo in silenzio, senza sapere cosa dire. “Non- finire così. Tutta la fatica, tutta la merda che ti sei presa da papà, da chi ci sta intorno. Per cosa? Per questo?” Sospirò pesantemente indicandola. “Mi dispiace.” Aggiunse immediatamente, dopo essersi reso conto di quello che stava dicendo. Non voleva certo svalutare lei, ma…

“Sherlock non è come Clara, assolutamente.” Risposte scuotendo la testa, piano.

“No, ma io sono come te. Giusto?”  fece John una pausa mentre il suo respiro cominciava ad accelerare insieme al battito del suo cuore. “Finirei a litigare all’infinito con nostro padre, non avrei più nessun amico e alla fine resterei solo.” Ricambiò solo in quel momento lo sguardo di sua sorella e per un attimo si sentì in colpa ad aver dato un così dettagliato quadro della sua situazione.

“John, ascoltami bene. - disse alzandosi davanti a lui e prendendolo per le spalle. - Clara è stata una stronza e io sono una grande testa di cazzo.” Disse ridendo un attimo, per la prima volta cogliendo come una storia del genere non sarebbe mai potuta essere una di quelle a lieto fine. “Sherlock è un ragazzo intelligente, in gamba, non vuole metterti i piedi in testa, né comandarti a bacchetta-”

“Su questo potrei dissentire.” Sorrise John ripensando a tutti gli ordini che era solito dargli.

“Il punto è: Sherlock ti vuole bene. Davvero. E anche tu gliene vuoi.” Gli accarezzò i capelli con un sorriso e, per un attimo, a John parve di vedere sul suo volto la stessa commozione che aveva visto su quello della madre, durante gli ultimi giorni della sua malattia. “Quindi perché non fai l’uomo e vai a prendertelo? Ti prometto che non andrà male.”

“Non puoi saperlo.” Continuò lui scuotendo appena la testa, mentre il suo cuore invece annuiva felice.

“Posso prometterti che se andrà male, io sarò qui.” Il silenzio calò di nuovo e John riprese a parlare solo dopo qualche minuto.

“Non penso comunque di interessargli.”

“John, non ti sto dicendo di andare e portartelo a letto questa sera. - Con un pugnetto sulla spalla lo spinse un po’, sorridendo. - A piccoli passi, tigre. Esci questa sera, vai a riprenderlo e fatti perdonare.”

“No, questa sera non posso.” Scosse la testa, ma Harry gliela fermò con una mano e lo costrinse a guardarla.

“Se tu vai, io prometto di non toccare nemmeno mezza bottiglia questa sera. Se vai, siamo coperti entrambi.” Rimasero a guardarsi per qualche secondo. John non era troppo convinto, mentre Harry non era mai stata più sicura di niente in vita sua. Per la prima volta sentiva di voler fare un passo che avrebbe permesso ad entrambi di essere felici; si stava prendendo cura di se stessa e di suo fratello al tempo stesso e ciò non poteva che renderla, seppur poco, fiera di quello che aveva scelto di fare.

“Ne sei sicura?” Domandò guardandola attentamente.

“Sicurissima. E ti manderò messaggi ogni mezz’ora, per sapere che combini.” Gli regalò uno sguardo malizioso prima di lasciarlo andare e prima di allungarsi a recuperare il suo cellulare sul letto.

“Che fai?!” Si allungò a guardare oltre lo schermo, ma Harry si spostò ed lo incitò velocemente a vestirsi per uscire.

Sto arrivando.” Recitò prima di prendere invio e prima di ridare il cellulare in mano al suo proprietario che ora la stava guardando con occhi sgranati.

“Sto arrivando, dove?! Oh, mi odierà. Odia i cambi di piani all’ultimo minuto!” John stava già saltellando su una sola gamba nell’intento di cambiarsi i pantaloni il più velocemente possibile. Ancora non poteva crederci.

“Vedrai, questo gli farà piacere!”

 

E invece.

Sherlock aveva visto salire in camera propria un ragazzo che avrebbe volentieri preso a freccette in quel momento.

“Che cosa ci fai qui?” Domandò il riccio, senza scomporsi troppo dalla sua posizione. Aveva i piedi appoggiati al muro e la testa che ricadeva penzoloni sull’altro lato del letto. Il libro che stava leggendo poco prima, ancora aperto e appoggiato sulla pancia.

“M-mi ha fatto salire tua madre,” rispose dopo aver chiuso la porta alle sue spalle ed essersi avvicinato a lui di qualche passo. Sherlock lo stava ancora studiando.

“Intendevo a casa mia.” Per un attimo il panico lo invase e ciò gli permise di fare un altro passo avanti.

“N-non ti è arrivato- io- il messaggio è-”

“Sì, John. Mi è arrivato.” Fece una pausa prima di sospirare e girarsi, sedendosi finalmente sui talloni, quasi al centro del letto. “Ma intendevo dire cosa ci fai a casa mia quando, per l’ennesima volta, hai inventato una scusa per non vedermi.” Inclinò la testa appena e oltre tutta quella coltre di rabbia che lo avvolgeva, John intravide della sincera delusione.

“Sherlock che dici, no!” Arrivando completamente davanti al letto, rimase a guardarlo. “Non ho inventato scuse per non vederti.”

“E allora perché sei qui se tuo padre ti aveva detto di non uscire? È successo qualcosa?” Aggiunse poco dopo, facendo per alzarsi e avvicinarsi a lui.

Sherlock non conosceva tutta la storia legata ad Harry, ma conosceva bene le litigate col padre e almeno due volte era stato così gentile da ospitarlo a casa per permettergli di avere un posto dove stare. Che fosse una volta di quelle?

“No, non è successo niente, ma ti prometto che ti spiegherò tutto davanti a qualcosa da mangiare.” Per un attimo le sue mani si mossero da sole, andando ad afferrare entrambe le braccia del compagno per tenerlo fermo. Non voleva che si spaventasse.

“È pronto tra poco, se vuoi-”

“No, Sherlock. Voglio uscire, con te. Va bene?” Lo interruppe subito, lasciando cadere le proprie braccia lungo i fianchi. A quelle parole così ambigue, il cuore di John prese a battere più forte: una parte di lui voleva disperatamente che Sherlock non vi leggesse niente in quella frase; l’altra parte invece avrebbe voluto specificare che era un appuntamento. Ma lo era? No, John non era ancora pronto ad ammettere che, dietro la sua voglia di essere in compagnia di Sherlock, potesse esserci un secondo fine.

Harry gliel’aveva detto che non c’era nessuna fretta.

“Oh.” Rispose solo, tornando a sedersi sui talloni, senza spostare lo sguardo su di lui. “Mi devo vestire allora.” Disse, provando a mascherare un sorriso che gli spuntò sul viso, illuminandoglielo. A quella visione il cuore di John si sentì più leggero, per fortuna. Gli era costato così tanto cercare di non rispondere a quell’ok freddissimo, come solo Sherlock sapeva essere quando era arrabbiato.
Grazie Harry! Pensò John mentre vide il compagno alzarsi per andare in bagno a cambiarsi.

Nonostante John si fosse presentato da lui per uscire, Sherlock non era ancora completamente convinto che andasse tutto bene con lui. C’era qualcosa che proprio non riusciva a capire, come se ci fosse qualcosa che bloccava totalmente le sue deduzioni nei confronti di quel ragazzo. O meglio: le mandava in tilt.

Un giorno con John era sì e quello immediatamente successivo era no; un giorno Sherlock si sentiva costantemente osservato e studiato e l’altro invece dimenticato e messo da parte. Era da quando lo conosceva che si sentiva nel pieno di un giro sulle montagne russe, dalle quali sarebbe sceso volentieri. Ma poi? Una volta giù cosa gli sarebbe rimasto di John? Gli sarebbe mancato? E cosa gli sarebbe mancato di più? La sua vicinanza, il suo stupore ad ogni sua parola, la sua amicizia e per certi versi anche la sua protezione.

Sherlock era sempre stato un ragazzo solitario e, di conseguenza, aveva ben imparato a vedersela da solo. Eppure, da quando aveva conosciuto John, sentiva di non essere più solo e abbandonato a se stesso e al bullismo degli altri. Riscoprirsi protetto da lui gli aveva dato un sentimento che non ricordava d’aver mai provato prima, ma al quale ancora non riusciva a dare un nome preciso.

Quando l’ultimo bottone della camicia bianca fu abbottonato, si sistemò il pullover e i capelli allo specchio. Ci teneva proprio ad essere particolarmente presentabile quella sera? Sospirò guardando il proprio riflesso e dopo qualche secondo uscì di nuovo nella stanza dove John era seduto sul suo letto a leggere il suo libro di poco prima.

“Roba forte!” Esclamò interessato. Era mai possibile che qualsiasi cosa appartenesse a Sherlock, John la trovasse interessante? “Chimica. Non è del nostro anno…” commentò continuando a sfogliare qualche altra pagina.

“È del secondo anno dell’Università Cambridge. Della facoltà biomedica.” Spiegò senza muoversi di un passo dal suo posto.

“Biomedica? Non avevo idea volessi-”
“Infatti no. Lo leggevo solo per cultura personale.” A quelle parole John sorrise apertamente. Giusto, come aveva potuto pensare che leggesse qualcosa per un qualsiasi motivo che non fosse altro che la conoscenza? Sembrava che a quel ragazzo piacesse sapere tutto di qualsiasi materia scientifica e John ne era così affascinato.

“Potrei prestarti qualcosa, effettivamente. Medicina era, giusto?” E il biondo annuì emozionato. “Vedrò che posso fare.” Disse facendo spallucce e avvicinandosi, finalmente all’altro.

“Manca ancora un anno e mezzo, Sherlock, non ho intenzione di portarmi così avanti!” Esclamò sorridendo di nuovo, scendendo dal letto e avvicinandoglisi un altro po’, osservando cosa si era messo. “Hai la camicia bianca… dovrò fare attenzione con il ketchup.” Sherlock roteò gli occhi.

“Non andremo di nuovo in uno di quei tuoi pessimi fast food?” L’impulso di prendergli la mano fu molto forte in quel momento e, per evitare di raggiungerlo, John infilò entrambe le mani nelle tasche della giacca.

“Dove vuoi, Sherlock. Scegli tu.” Disse solo. Lo avrebbe portato a mangiare anche a Buckingham Palace se solo gliel’avesse chiesto. “Tutto quello che vuoi questa sera. Dovrò pur farmi perdonare, no?” Arricciò le labbra un po’ in imbarazzo. Ancora si sentiva in colpa per come l’aveva fatto sentire poco fa.

“È stato veramente scortese, effettivamente.” Azzardò Sherlock, ma con una vena di ilarità nella voce che John non colse immediatamente.

“M-mi dispiace, non volevo. Non avrei dovuto, sono qua apposta per-”

“John,” lo fermò portandogli una mano sul braccio e a quel tocco il suo compagno parve rilassarsi. “Va bene così. Voglio andare a mangiare cinese.” Disse con un sorriso che sperava potesse infondergli tranquillità. Chiaramente Sherlock non aveva chiuso l’argomento, ci sarebbe ritornato su senz’altro, ma non in quel momento.

“E cinese sia!”

 

L’all you can eat non era stata un’idea ottima.

John sentiva di rotolare più che camminare, aveva assolutamente bisogno di qualcosa che lo aiutasse a mandare giù tutto il resto e a digerire il prima possibile, così si fece accompagnare da uno Sherlock ancora composto e per niente disturbato dalla cena che avevano appena consumato (lui aveva chiaramente mangiato molto meno rispetto a John), in un bar a comprare una birra al volo, da consumare durante una lunga passeggiata sulle rive del Tamigi.

Stavano camminando gomito a gomito, lentamente, quando Sherlock riprese il discorso che aveva lasciato cadere poche ore prima.

“Non era tuo padre che ti aveva detto di non uscire questa sera, vero?” La buttò lì, senza voltarsi a guardarlo e nascondendo le sue mani gelide nel cappotto. John faticò quasi a mandare giù l’ultimo sorso di birra. Abbassò gli occhi e si rigirò più volte la bottiglia tra le mani, prima di riuscire a trovare le parole giuste.

“No.” Rispose secco. Non c’era motivo di continuare a mentirgli così, non ne valeva per niente la pena.

“Se non volevi uscire con me bastava semplicemente dirlo,” per Sherlock quello era un tono neutro, ma John vi riconobbe dentro una punta di delusione mescolata alla frustrazione del non capire veramente cosa John volesse da lui.

“No, no, no, Sherlock. Sei completamente fuori strada!” Esclamò bloccando sé e l’altro a metà strada dalle panchine. Quella non era una frase che Sherlock sentiva spesso. Ora John poteva dire d’avere tutta la sua attenzione. “Io volevo uscire con te, voglio farlo. Siamo usciti, sono venuto da te apposta. Sapevo che per telefono non mi avresti mai ascoltato.”

“Ma mi hai detto comunque una bugia per non uscire.” Osservò il riccio con tono più piatto e John non poté che annuire.

“Sì, l’ho fatto, ma non perché volessi.” A quella frase Sherlock corrugò la fronte.

“John, dovresti spiegarti molto meglio di così. Mi stai confondendo.” E per un attimo John si sentì orgoglioso di quello, era raro che qualcuno confondesse quella testa geniale.

“È una lunga storia…” rispose un po’ in imbarazzo. Avrebbe veramente dovuto spiegare tutta la storia di Harry? Sospirò.

“Ho tutta la notte.” Disse subito Sherlock scuotendo appena le spalle. Le spiegazioni erano ciò che più lo interessavano. Con un sospiro, John si avvicinò alla ringhiera e vi si appoggiò guardando l’acqua scura sotto di lui; Sherlock, piano e osservandolo con più attenzione del solito, lo raggiunse e si appoggiò con la schiena alla ringhiera, guardando il giardinetto davanti a sé.

L’ennesimo messaggio di quella sera (perché Harry stava mantenendo la sua promessa di scrivergli ogni mezz’ora circa) interruppe quello che stava per dire.

E ora che state facendo? John sorrise rispondendo velocemente: romanticamente sul Tamigi.

“Chi è?” Sherlock non era mai stato bravo a mantenere i confini, specialmente quelle poche volte che John si era concesso di uscire con varie ragazze. Cosa che aveva comunque smesso di fare da qualche mese a quella parte.

“Mia sorella. L’ho lasciata a casa in un periodo un po’ critico.” Rispose rimettendo subito il cellulare in tasca che vibrò poco dopo con un messaggio non letto: “dacci dentro!

“È per lei che dovevi restare a casa?” Domandò ritornando subito sul discorso di prima. Sherlock non sembrava avesse voglia di lasciar cadere quell’argomento.

“In un certo senso. Lo sai che lei stava con una ragazza, no?”

“Qualcosa del genere, sì.” Non aveva indagato né dedotto niente sulla sorella di John, se non quelle poche cose che era stato lui stesso a dirgli, sempre nel modo più sbrigativo possibile e lasciando che tutti i discorsi e la sua frustrazione ricadessero sul padre del quale Sherlock sapeva bene o male quasi tutto.

“Beh si sono lasciate tempo fa e per Harry non è stato semplice affrontarlo. Lei-”

“Droga?” Interruppe violentemente Sherlock. Aveva sempre covato una certa attrazione per gli stupefacenti e qualsiasi altro oppiaceo simile.

“No. Alcol.” Lo corresse e il riccio si lasciò scappare un suono deluso.

“Speravo potesse prestarmi qualcosa.” A scopo di ricerca, s’intende.

“Sherlock!” Esclamò l’amico, voltandosi di scatto a guardarlo un po’ arrabbiato.

“Scusa…?” John scosse la testa e dopo aver bevuto un altro lungo sorso di birra, tornò a guardare il fiume sotto di loro.

“Questa sera poteva avere una ricaduta e le avevo detto che sarei rimasto con lei, per tenerla d’occhio ed evitare che succedesse qualcosa. Sono tre settimane che non tocca bottiglia e tutto mandato a puttane per quella Clara non ne sarebbe valsa la pena!” Il tono di John era diventato avvelenato, disgustato e cattivo. Sherlock l’aveva sentito così raramente e sempre quando si trattava di lui che veniva maltrattato da qualcuno. Il riccio sorrise mentre osservava il suo profilo illuminato dalla luce morbida e calda dei lampioni. John Watson era sempre stato meravigliosamente affettuoso nei confronti delle persone a cui teneva di più e questo lato di lui, a tratti aggressivo, a Sherlock eccitava non poco, ma al tempo stesso gli ricordava quanto fosse importante per John proteggere quelle persone per cui si impegnava così tanto.

“Direi proprio che i sentimenti fanno schifo.” Rispose Sherlock annuendo e tornando a guardare dritto davanti a sé nel momento esatto in cui il biondo si voltò a guardarlo. “Un vuoto a perdere.” Concluse.

“Perché dici così? Non è vero.” Controbatté immediatamente.

“Tua sorella si gioca il fegato per una donna della quale è innamorata. Non si commenta già da solo?” Finalmente Sherlock si voltò ad incrociare lo sguardo del suo amico e rimase lì a fissarlo per qualche istante.

“Non è l’amore che fa schifo. Sono le persone.” John scosse la testa e bevve un altro lungo sorso di birra mentre con lo sguardo tornò sul pelo dell’acqua increspato da un filo di vento. Sherlock si lasciò andare in una piccola risata. Il suo amico non aveva mai dimostrato così tanta avversione verso il genere umano come in quella serata e la cosa lo divertiva particolarmente.

“Chi crede nell’amore dovrebbe sempre circondarsi delle persone adatte, allora.” Commentò facendo spallucce, lasciando la sua attenzione focalizzata altrove e non sul compagno.

“Come fai tu?” Quella domanda di John lo prese completamente in contropiede; completamente alla sprovvista.

“I-io non credo nell’amore!” Esclamò come se l’amico lo avesse offeso gravemente e questa volta fu John a sorridere.

“Ma ti circondi di pochissime persone, praticamente nessuno.”

“Di te sì!” Continuò con quel tono offeso e sconvolto, ma quella frase riuscì solo a far sorridere John ancora di più, il quale finalmente lo guardò di nuovo negli occhi.

“Dovresti innamorarti di me, allora?” Un’altra domanda che lo spiazzò ancora peggio di prima. Senza rispondere e con il viso completamente rosso, Sherlock girò la testa dall’altro lato senza rispondere. “Pensi che saresti al sicuro se ti innamorassi di me?” John non sembrava essere intenzionato a voler uscire da quel nodo di parole che stava creando, mentre il riccio sentiva l’aria lasciare i suoi polmoni senza più fare ritorno. Non sarebbe riuscito a parlare in quelle condizioni: i palmi bagnati di sudore, il viso completamente infuocato e il cuore a mille. Perché doveva parlare di quello? C’erano tantissimi altri argomenti al mondo!

“J-john-” cominciò, senza avere nessuna idea di dove avesse intenzione di andare a parare. Proprio da nessuna parte. Sherlock non aveva nessuna esperienza in quel campo. Eppure un lato di sé lo spingeva a parlarne e pregava affinché John non cambiasse violentemente discorso.

“Io sarei al sicuro?” Domandò d’un tratto e Sherlock fu sicuro che il suo cuore avesse smesso di battere completamente. Era morto? Boccheggiò voltandosi di nuovo verso il suo compagno, cercando per quanto gli fosse possibile, di nascondere il viso dietro la sua sciarpa alta. “Se io mi innamorassi di te, sarei al sicuro Sherlock?” I loro occhi si incrociarono e rimasero in silenzio per un po’, ad osservarsi, a studiarsi, a leggersi nel profondo senza aver bisogno di parlare ancora.

“Hai detto che le persone fanno schifo.” Constatò Sherlock dopo qualche secondo di silenzio e quella piccola frase riuscì a dissipare un po’ di tensione. “Rientro anche io in questa categoria, lo so per certo che-”

“Oh, non cominciare.” Sospirando annoiato, John lasciò andare tutto il suo peso sulla ringhiera, come un uomo stanco dopo aver corso una maratona di svariati chilometri. “Non mi interessa di come ti vedono gli altri, Sherlock. Non mi interessa se tutti dicono che sei strano o stronzo o maleducato, quando mai li abbiamo ascoltati, mh? Io e te. Mai. Perché dovrei cominciare a farlo adesso?” Quelle parole esasperate di John venivano fuori da ore e ore di discorsi simili durante i quali Sherlock continuava a ripetergli di quanto fosse sbagliato che concentrasse tutte le sue attenzioni su un soggetto come lui; quanto avesse bisogno di allargare la sua cerchia, di fare nuove amicizie, di scegliere gente più adatta a lui, ai suoi divertimenti, ma mai una volta che John gli avesse dato retta e lui si era arreso davanti a quella decisione più di una volta.

Sherlock si morse le labbra accettando quel poco velato rimprovero, prima che l’altro tornasse a parlare.

“Tu non fai schifo, non mi fai schifo in nessun senso, Sherlock.” E forse si era lasciato scappare più di quanto volesse, perché gli occhi del compagno di fissarono di nuovo nei suoi e questa volta fu lui stesso a sentirsi un po’ a disagio, osservato, come se Sherlock ora potesse leggere qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Così spostò lo sguardo, bevendo gli ultimi sorsi che erano rimasti nella bottiglia.

“Sì.” Disse d’un tratto l’altro e John faticò a ricollegare quella risposta. Si voltò a guardarlo di nuovo, restando in silenzio per permettergli di spiegarsi. “Saresti al sicuro se ti innamorassi di me.” Non ne era così completamente convinto. Sherlock restava sempre quella persona difficile da prendere, difficile da capire, difficile e basta, ma fino ad ora John sembrava essere l’unico capace di comprenderlo, di sciogliere tutti i suoi nodi e di accoglierlo nella sua vita in un modo completamente nuovo. Quindi perché per lui non doveva valerne la pena? Se c’era qualcuno, quel qualcuno doveva essere John.

Il biondo lo guardò di nuovo negli occhi, uno sguardo che finalmente Sherlock riuscì a mantenere solo per quella nuova consapevolezza che aveva appena raggiunto. Si sarebbe impegnato anche lui, come John, a proteggere chi amava con le unghie e con i denti.

Se mi innamorassi di te.” Disse l’amico, lasciando che con quella frase il cuore del riccio finisse dritto nello stomaco per la delusione. John riuscì a leggergliela in faccia e in risposta gli sorrise. Con la mano libera andò ad abbassare la sciarpa dal viso del compagno, tirandola poco più giù con un dito, liberandogli appena le labbra fredde per tutte le volte che erano venute fuori da quel nascondiglio per parlare e gliele baciò, avvicinandosi piano.

Sherlock si ritrovò ad inspirare profondamente e il profumo di John lo invase completamente, anche l’odore di birra lo raggiunse, ma poco. Quel bacio casto a labbra chiuse non gli permise di assaggiarne il sapore.

Dopo qualche secondo si staccò e rimase a guardarlo.

“Sherlock-” disse provando a trovare le parole giuste, ma Sherlock non gli diede il tempo di finire la frase che lo prese per il bavero della giacca, riportandolo sulle proprie labbra che piano piano, bacio dopo bacio, si stavano schiudendo per lui. Ed eccolo, finalmente, quel sapore forte di birra sulla lingua di John.

A Sherlock piaceva da impazzire. I sensi erano eccessivamente sollecitati, ma non erano più i suoi; non rispondevano più al mondo esterno, ma solo a John che ora aveva allungato la mano con la bottiglia dietro la schiena per avvicinarselo e l’altra infilata dentro la sciarpa e appoggiata sul collo, gelida, ma a Sherlock non diede alcun fastidio. Nulla sarebbe riuscito a distrarlo da quello.

Quante volte lui si era immaginato a baciare John? Precisamente aveva immaginato che l’amico lo prendesse esattamente come aveva fatto lui e gli dicesse quanto fosse indispensabile, fantastico, bellissimo! Tutti quei complimenti che sentiva spesso indirizzati al suo cervello li voleva anche per sé, per la sua persona, per il suo corpo, per tutto e non solo per la sua testa.

A distrarlo dal bacio, fu la risata di John che arrivò all’improvviso e che provò a nascondere nel suo collo, stringendolo più forte.

“John?” Dalle labbra ora usciva vapore caldo che si gelava appena a contatto con l’aria fredda di quella sera.

“Stavo scherzando, lo hai capito vero?” Riuscì a rispondere dopo qualche secondo passato abbracciato a lui e Sherlock provò a spostarsi per guardarlo.

“Cioè?”

“Sono un po’ innamorato di te, effettivamente.” Disse sorridendogli apertamente, poi lo baciò di nuovo velocemente. “Giusto un po’, - un altro bacio - ma pochissimo.” Ancora un altro bacio, questa volta tra i sorrisi di entrambi. Sherlock si decise ad allacciare entrambe le braccia al suo collo prima di accogliere di nuovo la lingua del compagno nella propria bocca.

“Io ci credo nell’amore, forse. Ma poco.” Sorrise di nuovo e John gli baciò una guancia.

“Possiamo rimediare a tutto!” Esclamò ridendo e quando le risate finirono, si ritrovò ad aggrapparsi a Sherlock con entrambe le braccia, la birra vuota ancora in una mano e un peso indefinito sullo stomaco.

“John?” Lo chiamò accarezzandogli piano la testa.

“Mh?” Per una qualche strana ragione non riuscì a staccarsi da lui per guardarlo in faccia. John avrebbe voluto sparire in quell’abbraccio, in quel momento.

“Sei al sicuro.” E le braccia dell’altro lo strinsero più forte mentre con la faccia si nascose completamente nella sua sciarpa. Era sicuro di meritare qualcosa del genere? Era sicuro di meritare la possibilità di concedersi di essere felice in quel modo? E se fosse successo lo stesso anche a lui? Se Sherlock lo avesse lasciato, ferito e abbandonato? Quella frase del suo compagno gli arrivò come una carezza e una rassicurazione alle quali non era per niente abituato.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare per un altro po’ da quella sensazione di sicurezza e di calore che non aveva mai provato prima, poi si staccò lentamente.

“Grazie,” disse arricciando le labbra e Sherlock gli sorrise.

“Dovresti diventare il mio assistente quando diverrò consulente investigativo!” Esclamò davanti all’espressione confusa di John.

“Non esiste un lavoro del genere,” finalmente riuscì a farlo ridere.

“Infatti l’ho inventato io. Potresti seguirmi in tutti i casi in giro per il mondo!” Continuò abbracciandolo e infilandosi lui, questa volta, nel collo del più basso.

“Mi piacerebbe molto vedere l’Italia, pensi che ci siano abbastanza casi lì? E il Messico? Amsterdam!” Finalmente il tono allegro e leggero di John era tornato e il cuore di Sherlock sembrò tornare esattamente nel punto giusto del suo corpo. Forse un po’ più su perché alleggerito da quella nuova sensazione.

“Penso che anche a Londra ne troveremo tantissimi! Metteremo tutti in manette, vedrai.” Rise.

“Dovremo andare sotto copertura! Avrei una pistola e useremo degli pseudonimi, tu sarai la lontra!” Sherlock fece una smorfia.

“Niente pseudonimi stupidi. Un nome finto di copertura andrà benissimo!” Ci fu un momento di silenzio in cui rimasero entrambi in completo silenzio e finalmente Sherlock si allontanò per osservarlo.

“Cosa stai tramando?” Disse assottigliando gli occhi.

“Se dovessi diventare veramente bravo, potremmo cominciare a far fuori la gente che non ci sta a genio.” Sherlock sgranò gli occhi per un secondo, ma l’idea sembrò sfiorarlo per un attimo.

“Effettivamente potrei mettere su un piano interessante e noi ne usciremmo puliti, con tanto di alibi inattaccabile.” John rise trascinando con sé anche il compagno.

“Sei completamente pazzo,” riuscì a dire prima di baciarlo di nuovo, questa volta con più calma e meno urgenza di prima.

“Sarai il mio assistente?” Chiese poi più serio e John annuì.

“Il consulente investigativo Sherlock Holmes e il suo fidato assistente, Dottor Watson! Come ti suona?” Il riccio sorrise.

“Mi sembra perfetto!” Disse prima di baciarlo di nuovo.

John era sicuro di non essersi mai sentito così prima d’ora; di non aver mai avuto un momento così egoisticamente suo e perfetto.

Harry aveva ragione e per una volta anche lei era riuscita ad aiutarlo.

Non sarebbe mai riuscito a ringraziarla abbastanza.

Mano nella mano si presero il tempo di passeggiare lungo il Tamigi, continuando a ridere e a scherzare, a farsi complimenti di tanto in tanto e a godersi quei momenti che avevano un sapore del tutto nuovo eppure erano così familiari.

John adesso lo sapeva.

Era al sicuro.



Angolo della scrittrice: 
sembrerà quasi un miracolo che io abbia aggiornato il mio profilo con una nuova storia, ma quest'anno mi sono ripromessa moltissime cose, la prima delle quali è proprio riprendere a scrivere e sfornare quante più fan fic possibile. Quindi, sperando di fare cosa gradita, vi ho sfornato questa piccola OS (una teenlock nelle quali mai mi ero cimentata) con allegati i miei più sentiti auguri di buon anno a tutti! 

Ci rivediamo presto,

all the Love.

  
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