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Autore: Bigmax2290    04/01/2019    1 recensioni
Sogno fatto da me l'estate scorsa in un periodo negativo della mia vita
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una notte estiva dello scorso anno, a causa dell’afa e della depressione che avevo in quel periodo non riuscivo a prendere sonno. Quando ormai era ora tarda riuscii finalmente a coricarmi.
Mi ritrovai bambino sui dieci anni, ero in un prato con altri sette o otto bambini e insieme correvamo a piedi nudi. Era un pomeriggio estivo, uno di quelli da vivere spensierato e senza problemi come è giusto che sia per un bambino di quell’età.
Stavamo correndo verso il bar del porto di proprietà della madre di una nostra amica per la merenda pomeridiana. Una volta ripuliti e nutriti, inforcammo le biciclette dirigendoci verso il bosco. Ognuno di noi sulla propria bici aveva una scatola di scarpe che sarebbe servita per mettere le rane che avremmo successivamente catturato allo stagno.
Catturare le rane era il passatempo del sabato pomeriggio perché sarebbero poi state liberate durante la noiosa messa del sabato sera, giusto per renderla un po’ più animata e gustarsi da fuori la scena delle comari che scappavano a gambe levate e delle perpetue che, armate di scopa, cercavano di radunare senza successo quei luridi animali inveendo contro di noi che nel frattempo eravamo troppo occupati a ridere.
Tornando a casa quella sera il mio cuore si riempì di gioia quando vidi fuori di casa la grossa automobile di mio padre, lavorando in città non lo vedevo spesso delle volte passavano anche mesi interi prima che potessi rivederlo.
Dalla gioia corsi in casa e subito saltai in braccio a mio padre, il quale mi prese al volo e subito mi strinse in un abbraccio, la gioia grande ed immensa purtroppo però durò ben poco. Mi comunicò che aveva ricevuto una promozione e che, nel giro di due giorni, avremmo lasciato quella casa per andare a vivere in città.
Il mondo in quel momento mi si strinse attorno e la mia felicità sparì come se non fosse mai esistita, il correre a piedi nudi nei prati, le merende al bar del porto, lo scompiglio causato dalle rane alla messa della sera in un attimo tutti quei bei ricordi svanirono, lasciando spazio solo al catrame e al cemento della città.
Quando caricai la mia umile valigia sulla macchina di mio padre i miei amici erano tutti la, gli sguardi tristi e vuoti, non sapevo cosa dire, cosa fare li salutai semplicemente con la promessa non mantenuta che sarei tornato l’estate successiva.
Seguirono rincorrendo la macchina di mio padre quasi volessero venire con me, ma ad uno ad uno iniziarono a fermarsi e quando anche l’ultimo si fu allontano dalla mia vista e le lacrime mi riempirono gli occhi mi girai verso il davanti.
Mi ritrovai seduto ad una scrivania in un costoso ufficio, il mio ufficio, avevo appena spente il computer quando guardai l’orologio indicare che tra cinque minuti sarebbe stata la mezzanotte, l’inizio delle mie ferie. Presi la mia roba e mi recai all’uscita, chiusi il mio ufficio guardai la targa col mio nome e la scritta “vicepresidente”, mi scappò un sorriso ma dentro di me c’era un vuoto, un vuoto formato da una promessa mai mantenuta.
Nel parcheggio c’era solo la mia auto una sportiva tedesca a due posti di colore verde, accesi il motore e invece di dirigermi verso casa presi la strada che portavi fuori città, guidai tutta la notte era ormai giorno fatto quando raggiunsi quella strada che avevo dimenticato per troppo tempo.
Entrato in paese la gente si girava e usciva dalle case incuriosita e affascinata da quella grossa e rumorosa auto verde, ma non appena mi guardavano la loro espressione di stupore e meraviglia diventava vuota e fredda, come fossi di troppo, un ospite non gradito che si è ugualmente presentato.
Il paese non era cambiato per niente, era identico a quando me ne ero andato, cambiavano le persone e l’atmosfera calda e gioiosa si fece fredda e cupa, persone con cui giocavo o con cui parlavo non mi degnavano neanche di uno sguardo o di un saluto per loro ero del tutto indifferente o addirittura inesistente.
Raggiunsi la mia vecchia casa, era rimasta tale e quale il tempo sembrava non essere passato, eccezione fatta per il prato una volta ordinato ora invece erbacce e sterpaglie la facevano da padrone. Anche l’interno era pressoché lo stesso eccezione fatta per la polvere che in tutti quegli anni si era accumulata ricoprendo strato dopo strato i vari arredamenti della casa.
Una volta giunta la sera mi recai al bar del porto, non so cosa mi spinse ad andarci, qualcosa dentro di me voleva che mi recassi là. Una volta arrivato e parcheggiato entrai, dietro al bancone una giovane donna assieme ad una più anziana stavano disponendo delle bevande su un vassoio, le riconobbi all’istante si trattava della mia amica e di sua madre. Entrambe mi guardarono anche loro con lo sguardo indifferente, freddo, a testa bassa mi diressi verso un tavolino libero in fondo al locale, al mio passaggio tutti mi rivolgevano quello sguardo freddo, mi sentivo di troppo, sgradito, volevo quasi andarmene ma non potevo un qualcosa mi tratteneva li contro la mia volontà.
Passarono diversi minuti da quando mi sedetti, ad un certo punto vidi la mia arrivare con un vassoio sul quale portava una bottiglietta di thè alla pesca e un bicchiere e senza che gliel’avessi ordinato lo mise sul mio tavolo e mi chiese: "Ci pensi ogni tanto alle rane?" e si allontanò.
Stetti seduto a sorseggiare il mio thè, a riflettere su quanto detto, sul comportamento degli altri, ormai ero un estraneo non appartenevo più a quel posto, sono stato lontano per parecchio senza degnarli di mie notizie, ho promesso un ritorno ma sono tornato troppo tardi.
Ripresi la macchina e mi diressi verso casa, parcheggiai nel vialetto e mi recai in salotto dalla finestra osservavo la mia auto parcheggiata. Ne vidi una identica alla mia passare sulla strada in quel momento con me al volante che si dirigeva verso la città, la stetti a guardare finché il rosso delle luci posteriori non si spense nell’oscurità.  
   
 
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