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Autore: swimmila    04/01/2019    7 recensioni
La mano impugnò la pistola e sparò al suo destino.
La paura tremò, nell’eroe bambino.
Il mare sbuffava sale e lasciava pensieri ad inframmezzare l’incontro di due cieli.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sembravano dita sporche di sangue. Brandelli fluttuanti di carne morente. Respiri incerti sospesi nell’aria.
Si riscosse, Josef. E sentì subito la paura leticargli dentro. Due, tre battiti veloci di ciglia con cui sfilare una nostalgia infissa nell’inganno feccioso del ricordo. Ora li vedeva meglio, quegli sbuffi di indifferenza che tremuli scortavano il sole dietro un’illusione. Nuvole livide in un cielo smagliato. Riflessi di un sole che altrove nasceva.
Altrove nasceva.
E qui invece moriva. Come a mazzi moriva la gente.
Elenoire era incinta. Come questo cielo che aspettava di sgravare con dolore qualcosa di immane. Passi nuovi a cui insegnare il cammino.  Non ne era del tutto sicuro, Josef, non fino in fondo. Ma quel suo fondo perplesso aveva da un pezzo imparato a celarlo sotto coltri spesse di silenzio, oltre il miraggio della speranza. Purché questo nuovo mostro che stava per squarciare una madre non sua, purché questo futuro non si prendesse il suo.
Due, tre battiti ancora di ciglia per estirpare una malinconia rampicante infusa nei formicolii ominosi della schiena.
L’alito torrido di un luglio maturo lo avvolgeva caldo come un bacio appiccicoso. Due, tre baci ancora e si ritrovò sulla sponda del ricordo a solcare l’impronta sudata di quelli di Elenoire. Si perse nella corrente inquieta della tristezza che mediterranea lambiva pensieri affioranti e lontani.
Si riscosse, Josef. E un’impotenza rabbiosa gli saltò alla gola.
Gli avevano ordinato di fare da sentinella all’accesso di quel sottopasso.
Aveva appena montato la guardia.
Sua moglie era da poco rimasta incinta.
Il sole cadeva slombato nell’orizzonte. Josef fissava invidioso la sua promessa di morte mai mantenuta e pensava geloso alla certezza della sua resurrezione mentre gli uomini attardavano ancora le loro membra brancolanti nei brandelli della fragilità notturna, stele di cristallo che un soffio bastava a rendere fesse.
Una strana inquietudine sentiva interporsi fra l’anima e il fuori, un ponte sospeso che oscilla del passo turbolento di un popolo che avanza nella motriglia della rivoluzione.
Era solo. Era giovane e aveva paura. La sua Elenoire l’aveva appena sposata. Quella divisa, appena indossata. Gli era calata addosso assieme a quel suo primo compito, ingrato come l’ovvietà. C’era bisogno di una sentinella, alla bocca di quel sottopasso. Carne da macello da mandare a morire assieme all’inesperienza. Che se sopravvivi, allora sì, allora è quella, la nuova esperienza. E se insisti tutto quel nuovo ormai consumato diventano anni, diventa morchiume, si fa altro ventenne sposato da un soffio in attesa di un figlio o di morte al tramonto.
Era solo, Josef. Com’è solo il coraggio. Come quando si ha paura in una canizie di luce che ha il colore del sangue che ancora vive nelle vene. La passione di quel sole non era fatta per gli spari e la guerra, la sua bellezza aveva le rughe di un oltraggio com’era l’orrore di un popolo in rivolta. Era fatta per amare, invece, per stringersi addosso un corpo di donna, affondare nella sua vita liquida e calda e sparire con lei nel nero vellutato del mistero. In quel calore di un luglio all’occaso non si poteva tremare di paura, che il sole non sa sceverare fra panico e freddo. Un tremore per quell’atarassico astro è un corpo che vibra, un’onda che propagandosi scuote l’aria in una carezza procace che ignorata diventa pudica e muore infine dispersa.
Josef era di guardia da pochi minuti. L’aria rintronava ancora del fuoco dei cannoni e dei fucili. Sbuffi di fumo si alzavano in cielo a portare i lamenti di chi moriva e a lasciare le grida di chi straziato restava. Poi le bocche di fuoco ammutarono che sembrò un incantamento.
Lo sguardo fissava, immobile e vuoto. La mente impazziva, convulsa e ricolma.
Spaziava fra il morbido ardore di Elenoire e l’inferno liquefatto di quel luglio maledetto. E in tutto quel bollore i piedi gli si gelavano e le mani gli morivano fra le dita.
Aveva una paura codarda. Che se fosse stato un eroe non avrebbe tremato come una foglia sospesa sul tronco. Ma Josef aveva vent’anni e un’idea senza età di come si diventa eroi. Forse bastava vincere la paura. Mentre lui avrebbe solo voluto rimpiattarsi nelle fogne.
Se ne stava lì, invece, col corpo stagliato nell’ordine ricevuto e la mente ammofila nelle sabbie del terrore. Che forse era questa la maniera per diventare eroe.
 
Cadendo, la goccia d’acqua ripulì l’aria dell’eco lurida di parole irreversibili. Il suo gocciolare sembrava il panegirico della ragione dopo l’interiezione della follia.
Nessuno osava fiatare. E alcuni nemmeno trovarono il respiro, rimpiattato nelle viscere torbide di un’irrecusabile paura.
Non c’era altro. Da dire. Solo una cosa. Da fare.
Nell’immobilità stordita che precede l’azione rassegnata il comandante dei pochi soldati ribelli sopravvissuti cercò se stesso negli occhi che brillavano vivi davanti a sé. In essi c’era sempre stata la sua immagine già consegnata al futuro, come una lapide. In essi c’era se stessa come non sapeva ancora che sarebbe stata. Guardò. In quello specchio mantico.
C’era d’erba una distesa infinita. Fluttuava al vento in una corsa bloccata. Sembravano dita, o strazio eruttato, quei fili all’aria di prato inchiodato. Non una voce, non un flebile suono, solo aria che buca e spazio che duole. Cuore e pensieri a fuggire uniti da una parte e al suo opposto, dilaniando barbagli di paura e tristezza.
C’erano albe e tramonti non colti. Onde d’amore vibranti nel tempo. Spazi echeggianti nel vuoto di ieri. Un nero di pozzo e il fondo ancora lì sotto, ma a specchiare ormai astri su un nero di sfondo.
C’era tanto di sempre e infinite scansie nel rimorso. C’era troppo di nuovo e forse mai da cui prenderlo.
La goccia d’acqua tintinnava su un silenzio di tomba, atterrando felice in uno schiocco monello. Il comandante lasciò il tempo a ciondolare nel vuoto e restò con gli occhi a guardare se stesso nel suo futuro riflesso. Sulla città, attendeva ferina la quiete.
“Comandante, ma è dall’altra parte della città. Ci prenderanno in ogni caso”
Uscì col fiato un groppo di pena nascosto in grugnito caduto pesante. Un assenso spacciato spiccato con calma col gesto del capo. Come chiodi ficcati nelle profondità di pietre umide di acqua giocosa il comandante sentì le gambe che pesanti si alzarono cercando di libertà che sì cara costava.
Il suo amore era macchia scura nella coda dell’occhio, silenzio di sempre in pensieri immutati. Lo sentiva addosso il suo fiato sospeso in parole cruciali e alcun bisogno di dire. Libertà, di amare e morire e non dolersi nell’ombra.
Le ombre si allungarono sulle pareti lucide intrecciando paure deformi nelle sconnessure delle pietre. Bestemmiavano in silenzio, quegli uomini che forse non avrebbero visto il domani. Salutavano senza voce i loro cari e il loro futuro. Che la luce del tramonto li attendeva all’uscita.
 
Il comandante fu il primo ad imporsi all’agonia della luce morente. La sua ombra le ricadeva all’indietro come strascico di sposa. Davanti, trovò il suo testimone ad attenderla in cima alle scale come fosse un altare. La pistola le entrò in mano prima ancora che il pensiero nella testa.
Il ragazzo, fermo sull’altare, notò un cambio di luce nella coda dell’occhio, una macchia che prima era certo non c’era. Si voltò di scatto, il fucile già in mano e il cuore, codardo, chissà dove a fuggire. Josef era giovane e aveva paura strutta negli occhi.
Prima ancora di pensare il comandante fece fuoco con la mira presa dal cuore. Sulla sommità dell’ara, il testimone barcollò, lo sguardo stuccato nello spavento della morte.
Elenoire lo guardava dal fondo delle scale. I capelli del biondo che la nostalgia gli gridava. Quel viso di un bello che beltà offuscava. Il fucile fece fuoco e il cuore di Josef esplose in zampilli di dolore. Elenoire! Oh, perché amore...
 
Il cavallo correva sferzando la furia. Il sangue scorreva imbrattando paura.
Ci sarà stato un dottore, dall’altra parte della città. Ci sarà pur stato un medico, oltre a Bérnard.
Non l’aveva previsto quell’acerbo soldato che faceva la guardia al calar della morte in una notte d’estate. Non li aveva previsti. Quegli occhi infantili sgranati come avessero visto un fantasma, roteanti di paura e infine caduti, richiusi, per terra.
 
Non era Elenoire. E non l’avrebbe più vista perché sì che moriva su quelle pietre fredde in una calda sera d’estate. La sentiva bruciare, la morte nel braccio e risalirgli nel cuore. Dove tutto si sarebbe presa. La sua giovinezza. Elenoire. E un figlio già orfano.
 
§§§§§§§§
 
Il mare parlava di sale e addensava pensieri in nembi salmastri orlati di un soffice dolce biancastro. Dietro le nebbie ponzanti, il sole si acquattava morbido stiracchiando i raggi in allunghi indolenti che tiravano luce e riflessi.
André guardava all’orizzonte e immaginava l’oltre, dove tante volte avevano pensato di portare le talee del loro passato per piantarle in terra isolana. E invece parlava ancora francese la melodia delle onde che cavalcavano lunghe sugli abissi oceanici per frangere stupore sui bassi fondali attorno alle coste.
Lo sguardo gli si incrinò nell’aria solcata da crepe, barcollò come se il cielo fosse il cassero di un vascello e si aggrappò ad una accecante distesa di niente che correva uguale in ogni direzione. Fece calare con le palpebre il buio con cui riempì quel vuoto abbagliante. Il sudore, rotolando, gli rinfrescò la fronte rovente.
Poi sentì la sabbia calda vibrargli sotto i piedi nudi e i muscoli prepararono istintivi il sorriso da piegare, il respiro da sveltire, brividi da bruciare.
Oscar sopraggiunse alle spalle e lo avvolse in un abbraccio in cui non c’era posto per le parole, la guancia poggiata contro la schiena che soffiava calore, gli occhi socchiusi per il riverbero della felicità che le batteva dolendole dentro. Anche senza vedergliela poteva indovinarla senza increspature di dubbi la piega che le labbra stavano dando al sorriso. La luce nello sguardo riflessa nei bagliori della risacca. Sentiva il gorgoglio dei suoi pensieri ch’erano ancora mescolo di parole appicciate l’un l’altra, eppure lei non aveva bisogno di separarle per capirne il senso, per udirne il suono, per rispondere con l’indistinta miscela delle sue.
Il cielo bruciava. Di giorno morente e di cenere passata. Eppure, non sembrava ancora un futuro quella scia marezzata che confusa artigliava il cielo. Ma piuttosto i graffi di un rantolo d’eco.
“Guarda Oscar, all’orizzonte si intravede la sagoma di una nave”.
André si scostò per liberarle la vista e farla entrare nella nicchia nel suo corpo. Sembrava un’alcova scolpita per accoglierla. Oscar vi si adagiò e le sembrò di espandersi in un pensiero ampio e ovattato; sentì il suo corpo rompere i confini e disciogliersi in polvere d’amore che voluttuosa fluttuava in una scia gassosa fra le anse del suo abbraccio.
“Chissà cosa trasporta, André”.
Non passeggeri, né merci. Forse ortive speranze, certamente ubertosi dolori.
André sapeva dove trovare i pensieri di Oscar e andò ad attenderli in quella parte dell’ordito salato di bava e di canto del mare. S’incontrarono nel punto in cui l’amore patisce l’uggia della morte. Si presero per mano laddove la coltre di felicità si strappa in fragile zendado e rimasero lì, abbracciati nel silenzio spettrale che segue un tonfo senza ancora il tramestio dell’ascesa. Danzarono stretti sullo schiocco mesto del bacio funereo fra cielo e mare e persero il ritmo nel punto in cui era rimasta impressa la dolcezza smarrita di uno sguardo ventenne che credeva agli eroi che non hanno paura. Che si era imbarcato nella pancia del futuro con una scintilla indecisa fra timore e coraggio a brillargli negli occhi. Il braccio ferito che il medico gli aveva bendato appeso a un desiderio bruciante di casa e orizzonte, oltre quel pezzo di mare che da questa parte bruciava nell’Ade.
Bruciava. Come febbre terzana. Come fronte ormai cieca. Come attimi d’amore in cui allungare l’ombra della vita.
Nessuno dei due l’aveva ancora detto, ma André sapeva che se fosse nato maschio Oscar avrebbe voluto chiamarlo Josef. Come quel ragazzo che nella follia di quel luglio disumano lei non aveva voluto uccidere all’uscita dal cunicolo in cui si erano rifugiati, ma che aveva solo ferito in modo non grave.
Oscar non aveva mai saputo spiegarsi cosa avesse visto in quegli occhi cinerei che ardevano di terrore e di una nostalgia profonda che bucava l’anima. La sua pistola aveva sparato prendendo d’istinto una mira deviata. Josef, aveva balbettato di chiamarsi il ragazzo mentre mezzo morto di paura il medico lo visitava dall’altra parte della città e della barricata. Sentiva, Oscar, nelle chiazze d’assurdo che le macchiavano il senno, che doveva la vita a quel soldato bambino che avevano aiutato a salpare per le coste delle sue illusioni.
Bambino.
Un colpo di tosse venne a coprirle l’ombra di un sorriso lasciandole un solco di sangue sulle labbra sbiadite. Forse un bambino avrebbe continuato la sua vita. O forse era femmina. Come vita ostinata. Come morte battuta. Come sagoma seguita da un padre con le dita dipinta da una madre col suo rosso di vita.
Oscar si strinse addosso André e chiuse gli occhi per non vedere la scure avanzare.
Il mare le entrò nel respiro, le salò i pensieri, le calmò l’orizzonte.
 
Lo avrebbero ucciso se non fosse stato per quella donna che aveva creduto Elenoire e che invece era accecato ricordo e sentore di casa.
Persino la morte ti ha schifato, inetto bardotto, inane soldato, custode fallito di frusti ideali. Avrai viva la pelle ma uccideremo la mente, ti sgalleremo la vita e galleremo l’inferno.
Nel cielo morbido lo sgomento rabbrividì di starnuti plumbei che sembravano ghigni. Si riscosse, Josef. E sentì il sollievo tornare a gorgogliare nella caditoia in cui scorreva paura. Il solito irrecuperabile romantico. Non erano crepature maligne e quello non era un affresco divino. Erano solo solchi nel limes fra pensiero e barbarie.
Sarebbe andata così. Se non fosse stato per quella donna soldato.
Li ricordava, Josef. L’azzurro sgranato nei suoi occhi profondi. Il bagliore sparato e lo sguardo coinvolto.
La sentiva ancora. La spalla incassare istinto e paura.
Aveva riconosciuto il suo stesso ardore bruciarle nel riflesso dell’ombra dell’ultimo sole, mentre insieme all’uomo da cui non si separava mai lo avevano accompagnato nella terra dei sogni di un porto.
Non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno a se stesso, ma sapeva, Josef, che quella donna non aveva avuto intenzione di ucciderlo. Lo aveva solo ferito per proteggere i suoi uomini. Lo aveva colpito di striscio alla spalla e forse per questo lui aveva mirato sbagliato. O forse no. Forse quell’arco di pietra lo avrebbe sbrecciato lo stesso, che non aveva, non avrebbe potuto sparare ad un sogno all’uscita dal buio.
Aveva ricevuto l’ordine di vegliare sul tramonto e Josef aveva obbedito. Perché lui custodiva sogni e faceva da guardiano a giusti risvegli.
La sua terra era orfana e lontana, oltre fiumi di confine e montagne di frontiera. Elenoire lo aspettava dall’altra parte del canto del mare dove viveva con gli ultimi legami del passato e nutriva in ventre il futuro. Josef aveva il cuore troppo giovane per reggere il peso della lontananza e della guerra. Il suo cuore era fatto d’amore. E la donna soldato doveva averlo capito perché lo aveva aiutato ad imbarcare speranze sul cargo in partenza.
Era una delle prime cose che aveva pianto fra le braccia di Elenoire: se fosse nato maschio l’avrebbero chiamato Oscar. Se femmina, Denix. Come la pistola che aveva sparato quei nembi nel cielo.
Josef stava per avere un figlio ma non aveva ancora trovato l’inizio di un eroe. Sapeva solo che è questione di millimetri: un millimetro di là e sei un soldato. Un millimetro di qua e sei un uomo.
Non lo sapeva ancora che la paura trema perché non sa di appartenere a un eroe.
 
   
 
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