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Autore: Cecile Balandier    04/01/2019    6 recensioni
Uno scorcio sul cuore della regina Maria Antonietta di Francia. Il coraggio di una donna e la speranza di rivedere il Conte Hans Axel von Fersen... La dignità e la compostezza prima del suo declino definitivo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Il riflesso lontano 
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~ Palazzo delle Tuileries ~


Sono trascorsi interi mesi, lenti e angoscianti, da quel viaggio maledetto. Dall'ultimo saettante istante, strappato agli albori di un mattino nascosto dalle fronde delle foreste che sfrecciavano ai fianchi della carrozza, in cui ai nostri destini è stato concesso di intrecciarsi, come i nostri sguardi stravolti, celati, disperati, dopo la decisione di mio marito di proseguire la fuga senza la tua presenza. 
La tua cara e insostituibile presenza. Ho paura per la tua vita, odio le parole che ti sto scrivendo tremando come una fiammella. E odio il loro significato... un addio definivo e confini di terra e di tempo tra noi.
"No... no.... Hans..."
Faccio a pezzi la lettera, dandola in pasto alle fiamme del camino, e ciò è sbagliato forse... ma inevitabile. 
Ne scrivo immediatamente un'altra, quella dettata dalla forza di un sentimento a cui non posso, non riesco a rinunciare... perché scriverti è l'unica cosa che mi aiuta a restare in vita. 
L'unica cosa che sbiadisce il ricordo degli insulti, delle minacce ricevute e delle lacrime di paura scivolate dagli occhi dei miei bambini sulle loro morbide guance. La stessa paura che mi impedisce ormai di dormire, quella che il domani potrebbe essere solo una strada stretta e buia verso la nostra fine.
La speranza si adagia ancora una volta sul mio cuore. Un'assonanza di note e voci prende intensità e sfiora le sommità dei miei desideri.
"Che tu possa ricevere queste parole e il mio dono...."
Asciugo i miei occhi, bacio l'anello a te destinato e la leggerezza della solitudine diventa conforto, ma una presenza silenziosa solletica la mia attenzione. 
Alla parete, tra i dipinti coperti di polvere, è appeso uno specchio ovale. L'oro della sua cornice ha assunto un colore rossastro per il riverbero dell'instancabile gioco del fuoco. Di rado osservo la mia immagine riflessa, sembra sempre compatirmi, è un pallido fantasma che piange da lontano il declino della sua stessa armonia. Inspiro profondamente e mi sollevo dalla sedia, scansando dalle spalle lo scialle che abbandono sullo schienale. Mi avvicino alla parete colorata di malva e prima di riuscire ad osservare quello che sono diventata, sfioro lo specchio con le dita di una mano.
I miei capelli sono ormai lunghissimi, scivolano ondulati oltre la schiena e sono quasi del tutto bianchi. Incorniciano di ghiaccio il mio viso smunto, inciso. Niente pompon, nastri o diamanti per migliorare il mio aspetto.
Non ha più importanza.
Avvicino il viso al suo doppio, nella penombra riesco a ritrovare una luce che proviene dal passato. L'orlo fitto delle mie ciglia ha mantenuto la cenere di un tempo e gli occhi sono ancora azzurri come il cielo... un cielo che risplende prima dell'improvviso calare della nebbia.
E io li vedo ancora brillare, nella preghiera più vera e disperata. "....poterti rivedere... almeno una volta..."
Mi accorgo di tremare.
Non voglio cedere alla compiacenza del dolore, non voglio cadere di nuovo come neve fresca sul selciato caldo di un riflesso lontano.
Stringo a pugno le dita sottili, allontanandole dallo specchio.
Mi hanno chiamata lupa.
Mi hanno definita miserabile... miserabile sgualdrina. Hanno inneggiato alle mie lacrime e alla mia morte, accompagnando il nostro rientro a Parigi con un boato incessante di odio che ha penetrato in modo indelebile la mia anima e la mia fibra.
Hanno preso a schiaffi il mio volto, graffiato il mio orgoglio e sputato sui miei abiti.
Ma non hanno avuto le lacrime di Maria Antonietta di Francia.
   
 
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