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Autore: Corydona    05/01/2019    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

I festeggiamenti per la nascita del Figlio del Mare duravano un'intera settimana; alle sfilate nelle strade di ogni villaggio del regno si accompagnavano numerose feste alla reggia, a cui i nobili di tutta Selenia erano invitati a prendere parte.

L'allegria pervadeva l'aria persino più di quanto fosse consueto in quel regno: a ciò contribuivano le candele di un lume dai più vari colori, a cui i coltivatori di cera alle pendici del promontorio di Punta Salina dedicavano molte cure, tramandando la tradizione di generazione in generazione attraverso i secoli. Buona parte di quelle candele serviva per addobbare il palazzo reale, per rendere omaggio a Vudeli, dall'animo gioioso, seppur bizzoso: proprio a causa di quest'indole capricciosa, i sovrani si adoperavano perché ogni anno la festa fosse migliore dell'anno precedente, per evitare di incorrere nelle ire del dio. Pur essendo molto devoti e molto ossequiosi nei suoi riguardi, il Figlio del Mare era temuto: risaliva solo a una cinquantina di anni prima la sua ultima furia, che aveva fatto innalzare le acque del Litil e del vicino oceano; un muro marino si era abbattuto sulle coste, distruggendo edifici e case, sradicando alberi, trascinando con sé vite umane.

L'unico luogo del regno ad essersi salvato era stato il palazzo. Un'immagine del dio si era levata dalla schiuma delle onde: i sovrani erano stati chiamati velocemente perché vedessero Vudeli, giunto per rimproverarli severamente di aver diminuito i sacrifici nelle ultime settimane, minacciando in futuro una pena più severa.

Molti, ad udire tale racconto, ne ridevano, così come stava ridendo Erik passeggiando insieme ad Ariel tra i corridoi, diretti verso uno dei saloni più ampi in cui avevano dato il via alle danze.

«Avresti dovuto sentire mio nonno!» lo rimproverò lei sottovoce, tuttavia senza serietà. «Era soltanto un bambino quando ha visto Vudeli comparirgli davanti… era tanto spaventato che ha dato il via a queste feste sempre più sfarzose!»

Avevano chiacchierato a voce bassa per tutto il tragitto, tacendo non appena si trovavano in prossimità di altri cortigiani: era stata premura della principessa Dal Mare che nessuno li riconoscesse.

La fanciulla aveva fatto recapitare nella camera del principe straniero un vestito dalla tonalità verde scuro, il cui tessuto cambiava sfumatura a ogni minimo movimento, come richiamando il colore del mare in tempesta sotto un cielo pumbleo; a tale abito era abbinata una maschera da apporre sul viso per coprire la forma degli occhi e le fattezze del volto. Osservandosi in uno specchio, Erik stesso non era stato in grado di riconoscersi; se per sventura fosse stato presente Tancredi Inverno a quella festa, neanche lui si sarebbe accorto che si trattava proprio del figlio: tra gli ospiti variopinti, quei due che procedevano a braccetto fingendo grande intimità sembravano una coppia qualsiasi, perfettamente anonima.

La principessa indossava una veste lunga del medesimo colore di quella dell'ospite, e aveva avuto inoltre l'accortezza di indossare una parrucca che nascondesse il più chiaro indizio sulla sua identità: quel fiume ondeggiante di capelli rosso fuoco non era una caratteristica molto comune.

Erik non aveva avuto bisogno di domandarle il motivo di quell'ulteriore precauzione, perché lei stessa lo aveva avvertito che durante la serata l'avrebbe lasciato solo per incontrarsi con "il suo lui", come lo aveva definito.

Si inoltrarono nell'ala più affollata del palazzo, nascosti tra le maschere, scivolando inosservati tra gruppi di cortigiani intenti a chiacchierare tra loro con piattini colmi di cibo tra le mani: un'usanza molto buffa, notò Erik, che preferiva rimanere seduto a tavola per consumare i propri pasti e che in occasione di feste come quella si trovava a disagio nel mangiare senza le posate e in piedi come un cavallo nella stalla. L'educazione impartitagli dalla madre lo induceva ogni volta a osservare con un grado di diffidenza il comportamento tenuto lì persino dai nobili, anche quelli di origine straniera che giungevano ospiti.

Tuttavia non poté indugiare troppo nella contemplazione, poiché si accorse di una melodia, il cui volume aumentava a ogni loro passo: la fanciulla lo stava conducendo verso la sala in cui si danzava.

«Ariel, che hai in mente? Nessuno deve sapere chi siamo» bisbigliò al suo orecchio, ricordandole velatamente il suo intento di non essere scoperta. «Se qualcuno ci dovesse rivolgere la parola?»

«Parleremo il meno possibile» sussurrò lei, con semplicità, stringendo la presa intorno al suo braccio. «E poi in molti vorranno mantenere l'anonimato, non hai idea di quanti nobili siano qui con l'amante. Se mogli e mariti sapessero, scoppierebbero un bel po' di scandali.» La principessa rise sotto la maschera, con gli occhi chiari che scintillarono allegri. «Possiamo passare tranquillamente per una coppia di questo genere.»

Oltrepassarono la soglia di un ampio salone, le cui finestre affacciavano sul mare. Erik impiegò qualche secondo per riconoscere la sala del trono, i cui scranni erano stati rimossi per fare spazio a un'orchestra. I musicisti indossavano delle maschere sui volti, differenti nel colore a seconda del tipo di strumento che stringevano tra le mani.

Le coppie danzanti si muovevano armonicamente, come se fossero state educate a quei balli sin dalla più tenera età, muovendosi al ritmo andante della melodia dai toni allegri. Gli abiti indossati dai presenti erano della più varia fattura, come se ogni nobile avesse ordinato al proprio sarto di gareggiare per originalità con gli altri: i colori delle vesti che si muovevano al suono della musica componevano un mosaico mobile, in cui ogni tessera risultava ballerina cambiando continuamente di posto. L'illuminazione era affidata alle candele dalla consueta sfumatura ambrata, in modo che i danzatori non venissero disturbati.

«Il re e la regina permettono tutto questo?» domandò Erik perplesso, avanzando insieme alla fanciulla all’interno della sala, riflettendo su quanto al nord, e forse in qualsiasi altro regno, fosse condannabile lo stile di vita troppo libertino che feste come quella contribuivano a mantenere. Mostrarsi in pubblico insieme a un compagno che non fosse il proprio consorte o promesso tale sarebbe stato sconveniente; ma forse il regno del Mare era zona franca, in cui ogni cosa era concessa. Tuttavia, il giovane dovette ammettere a sé stesso di essere in compagnia di una principessa che non aveva intenzione di sposare; sebbene la sua presenza lì avesse un motivo molto serio, era stato risucchiato anche lui nel turbine di frivolezza di quella corte.

«Mio padre lo trova esilarante» rispose Ariel, con un filo di voce, quasi ridendo. «So che te lo starai chiedendo, ma lui e mia madre partecipano a questi balli sempre insieme. A volte sembrano proprio dei ragazzi troppo cresciuti, vogliono far divertire il popolo e gli stranieri e finiscono per divertirsi loro più di tutti gli altri!»

«E a te tutto questo diverte?» le chiese lui, incuriosito, conducendo la fanciulla verso un angolo della sala in cui fosse possibile parlottare senza essere uditi.

Solo quando si fermarono presso una delle finestre la principessa gli rispose, guardandosi intorno, come alla ricerca di qualcuno, o forse temendo che orecchie poco discrete fossero all’ascolto. «Molto spesso sì, ma stasera sono troppo presa dal mio piano per interessarmi se la contessa tal dei tali è venuta con il nuovo arrivato a corte o cose simili. Non mi importa di altro, stasera.»

«Ingannerai i tuoi genitori, ci hai pensato?» la rimproverò l’ospite con un tono severo nella voce.

«Oh, Erik!» esclamò Ariel a bassa voce, con un sorriso che si allargò sul suo volto, come se fosse lei ad avere da ridire sulla rigidità dell’altro. «Non farmi la ramanzina! Non sto ingannando nessuno, sto solo tenendo un mio segreto per me. E poi...» si interruppe, lanciando ancora numerose occhiate per la sala, con le piume variopinte sulla sua maschera che ondeggiavano a ogni minimo movimento. «… se loro non volessero non mi lascerebbero partecipare, né tantomeno organizzare qualcuno di questi balli.»

«Hai organizzato tu questo, quindi?» chiese lui, ricordando le parole del re Amintore di quella mattina.

«Sì, questo mi interessa molto più di tanti altri» rispose lei, con un tremolio nella voce, che l’Inverno imputò al suo piano per incontrare quel tipo di cui gli aveva parlato, seppur con cenni molto vaghi.

«Adesso io e te balliamo» decise Ariel con un filo di voce, accorgendosi di un paio di figure che si muovevano nella loro direzione. «Dobbiamo evitare di parlare con chiunque, e se rimaniamo qui qualcuno potrebbe avvicinarsi.»

Il principe fece un impercettibile cenno con il capo, avendo avuto il medesimo pensiero. Avanzarono insieme verso il centro della sala e, non appena la melodia cambiò, iniziarono a muovere i primi passi della nuova danza, risultando in pochi secondi la coppia meglio assortita, non solo per l'abbinamento delle loro vesti. Tuttavia, proprio l'armonia e la complicità che tra i due si era instaurata attirò sui due gli sguardi degli invitati, che li osservavano ondeggiare con grazia sul pavimento di marmo chiaro, al suono dolce e soave della musica. Ben presto l'attenzione vigile di Erik lo allarmò, ma tanto in fretta scacciò il pensiero perché più tardi, nel corso della serata, Ariel avrebbe cambiato abito, come gli aveva preannunciato mentre percorrevano i lunghi corridoi.

Ma avvertiva un brivido di cui non seppe individuare la causa, se non dopo diversi minuti che stringeva a sé la fanciulla aggraziata e soave: quel contatto fisico lo turbava, sebbene fosse minimo. La mano della principessa stretta nella sua, e la destra a cingerle il fianco era più di quanto avesse mai osato in pubblico con una donna; il privato, quello che nessuno poteva vedere, era ben altro discorso.

«Ariel, abbiamo gli occhi di tutti puntati su di noi» sussurrò, nel preciso intento di allontanare i pensieri; in realtà l’attenzione della maggior parte dei cortigiani era già stata dirottata altrove, verso altre chiacchiere, verso nuove portate di quel bizzarro banchetto.

Lei gli sorrise, senza scomporsi, «È normale, siamo appena arrivati. Già si stanno stufando di guardarci.»

Erik continuava a scrutare la stanza, osservando al di là delle piume grigiastre che ornavano la maschera di lei. Passo dopo passo, si erano avvicinati molto ai suonatori che maneggiavano strumenti a corda e uno tra questi sembrava avere un interesse particolare verso i due: continuava a mantenere lo sguardo nella loro direzione, anche se attraverso la maschera sarebbe stato difficile da dire con certezza. Il principe Inverno, però, aveva la sgradevole sensazione che quello lo sbirciasse con acrimonia, fino a sentire il bisogno di confidarlo alla sua compagna di ballo.

«Ariel, è una mia impressione, o il violinista ci sta guardando male?»

«Può darsi» rispose lei sbrigativa, ma con un sussulto che la tradì: il principe comprese che era con lui che la fanciulla si sarebbe incontrata più tardi nel corso della serata, così come capì che Ariel aveva organizzato quella festa proprio per assicurarsi che quel violinista fosse presente e che non fosse sostituito da un altro.

«Sa che sono io quello che sta insieme a te stasera?» le domandò ancora, senza guardarla, non osando incrociare lo sguardo con quello dell’esile principessa.

Lei inciampò sui suoi piedi, ma poi riprese la danza come se nulla fosse, ringraziando la maschera che celava l’improvviso rossore che di certo le aveva ricoperto le gote. «È così ovvio?» chiese a sua volta, con un filo di preoccupazione mal celata nella voce.

«No, lo è solo per me» rispose Erik, sorridendole nel goffo tentativo di rincuorarla.

Vennero aperte le porte verso la spiaggia, in cui si riversò una marea contenuta di uomini e donne, compresi i due, che continuava a danzare al ritmo dolce della musica. Lei condusse l'altro lontano dalla folla, verso le mura, dove la sabbia era sostituita dall'erba.

«Ci avrà visto qualcuno?» chiese l’Inverno, guardandosi alle spalle.
Lei scosse la testa, senza pronunciare una parola, fino a quando non ebbero raggiunto la zona del muro orientale, su cui era innalzata una torre. Il suono della musica riecheggiava fin lì, come un ricordo lontano, ma nessuno dei due vi fece caso. Ariel arrestò il passo, ponendosi di fronte ad Erik, impedendogli di proseguire.

«So già che l'idea non ti piacerà troppo,» disse la giovane Dal Mare, «ma tu ora non puoi stare da solo nella sala, né tantomeno tornare nella tua camera. Se qualcuno mi vedesse sola, non posso far capire che ero con te… e lo dico nel tuo interesse.»
Lui annuì, pensando che le chiacchiere frivole dei cortigiani avessero un certo peso per lei, sebbene Ariel cercasse di non darlo a vedere.

«Vuoi che rimanga qui da solo per un’oretta?» ipotizzò lui, senza troppo entusiasmo.

«Erik, io…» balbettò, non sapendo dove andare a parare. Forse aveva notato il tono del suo ospite e la prospettiva che il suo piano andasse in fumo la preoccupava.

L’Inverno sorrise, dissipando i dubbi che sembravano aver attanagliato la fanciulla. «Ariel, non ti preoccupare: volevo solo andare a dormire, ma rimanere lontano dalla folla va bene. Almeno non mi verrà il mal di testa per tutte le chiacchiere e per la musica.»

«Ho invitato una persona» gli confidò la figlia dei sovrani. «Per ricambiare il favore… è la sarta che ha cucito i nostri vestiti.»

Il principe fece un timido cenno di assenso con il capo, prima che Ariel si defilasse per proseguire la camminata oltre la torre, finendo in un piccolo cortile poco frequentato persino nelle ore diurne. Su una panchina, seduta con grazia, il busto eretto e un calice di vetro tra le mani, c’era una figura femminile con il volto coperto da una maschera lilla, avvolta da un vestito morbido del medesimo colore. Erik la scrutò con attenzione, cercando qualche indizio sul suo stato d’animo, se fosse felice di soddisfare quel piccolo capriccio della principessa o se Ariel l’avesse costretta ad abbandonare la spensieratezza allegra del ballo, invano: quella maschera, oltre al viso, sembrava nascondere anche la persona che la indossava, come se la sarta fosse usa a passare inosservata.

La principessa le si avvicinò, chiamandola. «Iris!»

Erik, dopo aver raggiunto le due, si inchinò cordialmente. Esitò, non sapendo come comportarsi con una donna sconosciuta, per di più di bassa estrazione sociale. Se fosse stata una nobile, non avrebbe avuto tentennamenti, ma le avrebbe afferrato la mano per sfiorarla appena con le labbra, suscitando la benevolenza della nuova conoscente. Inoltre, non riusciva a stabilirne l'età con precisione: poteva vedere solo le labbra carnose lasciate scoperte dalla maschera e le braccia candide, di una pelle che, alla luce della luna, sembrava risplendere del medesimo chiarore. Persino gli occhi, che lei puntò nei suoi, sembravano complici di quel mistero. L'analisi del principe si fece più attenta. Non credeva possibile che Ariel avesse affidato a una ragazza il compito di preparare i loro abiti, ma intorno alla bocca non c'era segno di una ruga, e anche le braccia tradivano la piena giovanezza della loro proprietaria.

«Devo tornare alla festa, ci vediamo più tardi» si congedò in fretta la principessa, lasciando soli i suoi due complici della serata.

L’Inverno la sbirciò mentre si allontanava, lasciandogli solo un nome a cui potersi aggrappare per evitare brutte figure con la popolana: Iris.

«Posso sedermi?» le chiese, impacciato. Lei annuì, con un piccolo sorriso, che lui interpretò come timido; d’altronde, trovarsi in intimità con un principe era un evento quasi unico per chi non viveva nelle corti. Erik avrebbe dovuto possedere una posizione di vantaggio che gli permettesse di comportarsi come meglio avrebbe desiderato, ma una fitta allo stomaco lo bloccava, impedendogli di essere padrone della circostanza.

«Sembrate un tipo curioso» notò lei. Non c'era affettazione nella sua voce, e neanche quella civetteria che il nobile aveva immaginato, ma una dolcezza che lo colpì all’istante, come una ferita provocata da uno scontro con le spade.

Tacque, non avendo nulla da controbattere alla sua affermazione, con il cuore che aveva fatto un grosso balzo nella sua gola.

«Sì, siete davvero interessante» confermò lei, la voce limpida come il suono di un ruscello.

«Credete?» le domandò lui, dimenticandosi delle umili origini della sua interlocutrice. A una donna del popolo avrebbe dovuto chiedere “crede?”, come gli era stato insegnato sin da bambino… ma qualsiasi ragionamento si perse nella mente del principe Inverno.

«Certamente» rispose lei, piegando le belle labbra in un soave sorriso. «Non è da tutti assecondare questa sciocchezza, non pensate?»

Parlava molto bene, per essere una sarta, e la sua voce suadente incantò Erik, che si abbandonò a una sincera risata.

«Lo sento come obbligo morale» le spiegò. «Non c’è nulla di male nei desideri della principessa.»

«Ne siete sicuro?» lo interrogò Iris. «Ho sentito raccontare di principesse a cui è stato vietato il contatto con il popolo.»

L'accenno velato a Flora colpì Erik come un inaspettato schiaffo in pieno volto. Si limitò a sospirare, in imbarazzo. Certo, prima di partire per il Pecama, anche lui era d'accordo con l'idea che una nobile, soprattutto se destinata a diventare regina, non si dovesse mescolare con la plebaglia; tuttavia si era reso conto che la plebe non era una massa omogenea, ma che al suo interno vi erano più sfaccettature: l'uomo che aveva importunato Susanna alla locanda aveva poco a che fare con Franco e con la missione per cui si era diretto a sud.

«Il popolo non è tutto uguale» rispose. «In un altro momento vi avrei detto che era giusto mantenere la separazione, ma non è un obbligo. Esistono popolani che meriterebbero di essere nobili, e nobili che meriterebbero di lavorare nelle cucine. Può sembrarvi banale, questo ragionamento, ma vi assicuro che non è così scontato.»

A ogni parola, il suo battito cardiaco si faceva sempre più forte, tanto che non proseguì per il timore che Iris potesse udirne il suono.

Lei sorrise. «Siete molto più intelligente di quanto credessi.»

Il principe scosse la testa. «Cerco solo di essere sensato, anche se prima o poi finirò nei guai per questo.»

La popolana scoppiò in risa. «Non si può finire nei guai facendo la cosa giusta!» esclamò, strappando un sorriso alla bocca dell’Inverno.

Erik non riusciva a eliminare da sé un leggero imbarazzo. Fare compagnia a una donna era sempre stato per lui qualcosa di semplice, come bere un bicchiere d'acqua, ma qualcosa, in quel bizzarro incontro, gli impediva di sentirsi a suo agio.

«Vi dispiace se mi tolgo la maschera?» domandò lei. «Stasera fa davvero molto caldo.»

Si sventolò con una mano, muovendo un po’ di aria attorno al suo collo niveo, mentre il principe le rivolse un cenno di assenso.

«La tolgo anche io» decise lui. In altre circostanze sarebbe stato poco opportuno, soprattutto se qualcuno lo avesse scorto insieme alla sarta; ma quali rischi poteva mai correre, se era stata Ariel a combinare quell’incontro?

Slegò i lacci che premevano la stoffa vellutata sul suo viso e una leggera brezza lo rinfrescò: aveva ragione Iris, senza la maschera aveva meno caldo.

Si voltò verso la popolana, divorato dalla curiosità di conoscere l’aspetto di colei che gli aveva parlato con tanta sincerità.

Lei sorrideva, guardando il panno lilla che stringeva tra le mani. Si morse il labbro carnoso con uno degli incisivi, evitando gli occhi di ghiaccio del principe, che ne scorgeva solo il profilo, permettendogli così di comprendere in maniera definitiva di avere a che fare con una fanciulla. Seguendo un impulso improvviso, le afferrò il mento chino verso il masso, per rivolgerlo in direzione del suo viso.

Gli occhi chiari di Iris scintillarono nella penombra, illuminati dal raggio lunare, di un colore che Erik non era in grado di definire, mentre le sue labbra si allargarono in un sorriso sincero. Accarezzò con il dorso della mano la pelle chiara, con una sicurezza nuova, che lui non aveva idea da dove provenisse, scoprendo quanto fosse liscia e delicata, come la superficie di un petalo di rosa. La bellezza della popolana superava di gran lunga quella di qualsiasi donna avesse incontrato nella sua vita. C'era qualcosa di incantevole in quello sguardo, in quei due smeraldi chiari che lo avvinghiava, impedendogli di pensare, di parlare.

Allentò la presa, turbato, mormorando delle scuse che sperava che non le sarebbero mai giunte, ma che lei, tuttavia, aveva udito. L'Inverno abbassò lo sguardo, posandolo sulla superficie del prato e sperando che a nessuno venisse in mente di passare di lì.

La fanciulla sorrise e gli accarezzò la cute tra i capelli, costringendolo a voltarsi di nuovo verso di lei. I loro visi erano tanto vicini, che Erik poteva sentire il suo respiro, il profumo delicato e dolce della sua pelle.

Fu la sarta ad annullare quella distanza, premendo all'improvviso le sue labbra su quelle del principe.

 

(Ultima revisione: 30/05/2020)

   
 
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