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Autore: Ellie_x3    06/01/2019    14 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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I


Plaisir
d'amour ne dure qu'un moment.
Chagrin d'amour dure toute la vie.

[Plaisir D'amour; Jean-Pierre Claris de Florian; 1785]

 


[Parigi, 1783]

 

“Non ingannerò proprio nessuno. Nemmeno voi, Marchesa…
Eppure siete qui a guardarmi. E ditemi: come vi sembro? Non una donna, certo.”

Era cominciato tutto così: con una predizione errata.
Come nei romanzi, quelli che scandalosamente sua madre teneva nascosti nei cassetti del proprio scrittoio, Rossignol aveva pronunciato le parole che il destino aveva deciso di sovvertire.

Nonostante i suoi quindici anni, il conte Jehan Henri Marie de Gramont poteva ancora essere scambiato per un bambino. Vittima delle proprie gote rosee, delle gambe lunghe e secche che ricordavano un giovane cervo, dei riccioli biondi e degli occhi brillanti, l'aspetto del giovane avrebbe portato chiunque a giurare di trovarsi davanti ad una statuina di porcellana di Capodimonte piuttosto che ad una persona in carne ed ossa.
Ma Jehan Henri, con il suo aspetto e la giovinezza, aveva imparato ben presto a convivere; nessuna sorpresa che la marchesa De La Motte si fosse rivolta proprio a lui.
Certo, se si fosse trattato unicamente di mascherarsi da ragazza un qualunque giovane efebo sarebbe stato adatto allo scopo, ma a detta di molti Jehan Henri era un volto che non aveva pari malizia e femminea delicatezza, uniti in un bizzarro connubio di tratti paradisiaci e desideri carnali. Il giovane era conosciuto come Rossignol, più ammaliante del canto d'un usignolo, ma molti ignoravano che sotto l'aspetto d'agnello languiva un lupo. Non si tirava indietro in nulla, assetato com'era di svaghi, e niente gli dava piacere quanto camminare sul ciglio della distruzione.
Una violenta tendenza all'autocompiacimento era l'unico motivo per cui Rossignol aveva accettato, dopo pochi istanti d'incertezza, d'indossare corsetto e campana, oltre a svariati metri di stoffa color ciano, rosso e rosa vivo, e di gettarsi a capofitto nella scommessa di Madame De la Motte.
Nessuno avrebbe mai indovinato che sotto l’acqua di giglio e limone e all’Eau d’Ange, sotto alla polvere bianca e il belletto si nascondesse un ragazzo sulla via dei sedici anni.
Si doveva ammettere, poi, che la malefatta della marchesa era stata ben architettata. I colori e il modello dell'abito erano gli stessi che Marie Antoinette aveva indossato all'Opera poco più di due settimane prima, e il bando di Madame Bertin riguardo gli abiti del journal della regina era scaduto da poche ore.
Rossignol non osava nemmeno immaginare quanto la sua gentile amica avesse speso per far confezionare una tale meraviglia d'ultima moda, insieme alle scarpe di raso e ad una parrucca che aveva il traballante aspetto di una torta: sulla sommità dell'acconciatura era rappresentata una coppia d'amanti, uno disteso su un letto di bronzo e una figura femminile in oro, china su di lui con una fiaccola.
Se si guardava con attenzione si poteva distinguere una minuscola goccia cristallizzata nell'atto di scivolare dalla candela, destinata a svegliare il Dio addormentato.
"Non siate sciocco e fate come vi dico." si era raccomandata la donna, sistemandogli la maschera di pizzo di modo che gli coprisse quasi l'interezza del viso "E ricordate che personificate la fiducia tradita di Amore nei confronti di Psiche. Se la regina vi chiederà come vi siete attenuto al tema, rispondete così."
"Ho capito, Ursule, piantatela di tirarmi qui e là come una bambola--"
La marchesa aggrottò la fronte, tirandogli un leggero schiaffo sulla mano guantata.
"Chiamatemi zia, Rossignol! Ricordatevi che siete..."
"Vostra nipote Charlotte, venuta dalla campagna in visita." Rossignol le scoccò un sorriso smagliante. Una luce ben più matura dei suoi quindici anni gli illuminava gli occhi celesti. "Non mi troverete mica marito, vero?"
La donna sbuffò, alzando gli occhi al soffitto.
"Non dite stupidaggini, vi si noterà a malapena."
"Voi credete?"  
Di fronte all’improvviso malumore del ragazzo la marchesa non poté fare a meno rabbrividire, ben sapendo dove avrebbero potuto portarla l'arroganza e la vanità di Rossignol quando era ben cosciente d'essere il burattinaio dell'intera faccenda. Non era una buona idea lasciare il gioco in mano a lui ma, d'altra parte, né la marchesa De la Motte né i suoi complici avevano molta scelta.
Dopotutto, il ragazzo aveva giocato bene la propria parte: pur essendo femminile nell'aspetto, mentalmente la sua virilità non era affatto intaccata dall'idea di indossare abiti così stravaganti. Al contrario, ne usciva esaltata.
"Se farete del vostro meglio per non svelare l'inganno troppo presto, sì. State vicino a Monsieur le Comte e, per carità, non andatevene a gironzolare!"
Un palco nuovo su cui esibirsi, una luce nuova sotto cui mostrarsi: ecco cos'era quella scommessa per Rossignol, il bel malizioso, il lupo travestito.
Il giovane sfarfallò le ciglia.
Erano lunghe, ricurve, e facevano capolino da dietro i ritagli della maschera in seta e pizzo con la stessa grazia di quelle di una ragazza.
"E perché mai?"
"Perché non vogliamo certo che qualcuno si ricordi e chieda in futuro di voi."
"Vi chiedo di nuovo: perché mai?"
"Oh, Rossignol!" sbottò la marchesa "Siete impossibile."
Rossignol sorrise candidamente, ignorando nella maniera più assoluta che risposta ci si aspettasse da lui.
"Rossignol?" ripetè il nome come se non fosse il proprio. Con estremo sgomento, la marchesa s'accorse che non gli era necessario che forzare un poco la voce: un falsetto niente affatto sgraziato, morbido, completava il travestimento. “E chi sarebbe? Io sono Charlotte, cara zia, ve ne siete forse scordata?”
La donna sbuffò di nuovo, tanto forte che un ricciolo le sfuggì dall'acconciatura, alta almeno venti centimetri sopra la testa.
Con tutto questo lavoro, pensò la donna, sarà necessario tornare da Leonard prima di stasera se solo ne avesse avuto il tempo.
Ma no, no, prima c'era da accomodare Rossignol.
“Non scherzate, giovanotto, non siete affatto divertente.”
“Ah! Io invece vi voglio molto bene, cara zia."
Ursule de la Motte diede in un sospiro esasperato, scostandosi con un gesto infastidito.
"Siete impossibile. Vi ricordo che potrete avere un terzo della rendita solo se vinceremo questa scommessa."

Rossignol, suo malgrado, si trovò costretto ad annuire. Doveva rifarsi di ciò che aveva perduto ai dadi e in parte anche per questo aveva accettato di prender parte alla mascherata, sicché il suo interesse nella vincita era sincero. Avrebbe fatto di tutto perché maman non si accorgesse dei soldi che mancavano dal suo borsellino.
Alzò gli occhi sulla dama, sentendosi già più risoluto.
Dopotutto, cos'era mai andare a Versailles vestito da donna, quando oltretutto nessuno l'avrebbe riconosciuto? Danzare un po', fare conversazione: niente a cui non fosse più che abituato e che non sapesse di far bene.
"Farò del mio meglio, madame." assicurò.
Nonostante il carattere mutevole di Rossignol, sentendo a tali parole la donna si concesse che tirare un sospiro di sollievo: il ragazzo sapeva stare al gioco, per quanto assomigliasse più ad un animale selvatico che ad un gentiluomo.
É giovane, dicevano a corte, lasciategli tempo per crescere. Ma Ursule sapeva di cosa fosse capace Rossignol per una lode, per un capriccio; dunque, si chiedeva, perché amarlo?
"Lo spero davvero." disse, baciando un lembo dell'abito del giovane.
In un modo o nell'altro cadevano tutti tra le sue braccia.

 

#

 

Per il primo ballo mascherato d'aprile, Marie Antoinette aveva eletto il tema della fedeltà. Le casse dello Stato erano vuote e molti fra i presenti già conteggiavano le candele che si sarebbero potuti accaparrare alla fine della serata, tuttavia la sovrana sorrideva, nel vuoto e nei bisbigli creati dal suo arrivo, e si guardava attorno a testa alta.
In un tripudio di satin rosa e oro che richiamava i colori del suo entourage, per quella sera esonerati dal bando di Madame Bertin riguardo le nuove creazioni, l'acconciatura meccanica ornata di cagnolini che correvano in cerchio svettava per quasi mezzo metro sopra la fronte pallida della Regina. Anche volendo, sarebbe stato impossibile non notarla.
Il principe di T. fu fra i primi a porgerle omaggio, inchinandosi profondamente.
“Buonasera, monsieur.” lo salutò la regina, con un cenno del capo. Cugini per vie paterne, lei e T. avevano avuto modo di conoscersi solo a Versailles e, sebbene la regina non mostrasse alcuna intenzione particolare nei suoi confronti, il principe era accettato con benevolenza dai sovrani. Non faceva parte del lever del re, ma era accolto con un sorriso ogni qualvolta desiderasse parlare con lei o con Louis.
I balli non facevano eccezione.
“Siete splendida anche questa sera, maestà.”
“Anche voi, cugino. Da cosa siete mascherato?”
“Da Dante, come potete vedere dal colore rosso dell’abito; un uomo è rimasto fedele alla propria Patria fino alla morte.” rispose lui, ancora col capo chino ma un sorriso che si faceva strada sulle labbra. Gli era sembrata una scelta poco originale, sul momento, ma il tema era quantomai insolito e non era mai stato un uomo fantasioso.
La regina, comunque, si portò il ventaglio alle labbra e T. seppe che lo faceva per nascondere una risata.
“Ingegnoso, davvero ingegnoso.” commentò, approvando con un cenno della testa. L'alta acconciatura oscillò pericolosamente. "Anche se, ammetto, inaspettato. La fedeltà non è solo amorosa, dite?"
Il principe annuì.
"Perdonatemi. Non conosco fedeltà più profonda di quella dovuta alla mia terra, ma reine." rispose e, per un istante, sentì tutto il peso dell'attenzione della regina su di sè. Gli occhi di Marie Antoinette, grandi e rattristati da qualcosa che il principe non riuscì a comprendere, lo studiavano con greve intensità.
"Non conoscete amore, dunque."
Votre majestè.” la richiamò una delle dame che le erano accanto, con il viso a cuore pallido sotto la maschera di satin giallo. Marie Antoinette si voltò, lanciando un'ultima, languida occhiata al principe T.
“Abbiate cura di divertirvi, monsieur.” si accomiatò, con una certa fretta, ma già lanciava occhiate altrove, accennando alla Lamballe e alla Polignac “Vogliamo andare, mie care? Ho voglia di giocare ai dadi, dite che è troppo presto?”
T. era di nuovo libero, seppur perplesso dal bizzarro comportamento della cugina.
Aveva creduto di farle piacere omaggiando lei e suo marito, invece si ritrovava compatito e appesantito dal pietoso sguardo con il quale Antoinette si era accomiatata. Ora più che mai aveva in animo di gironzolare un po' prima di ritirarsi, imbarazzato a sufficienza dall'aver trattenuto la sovrana per più tempo del dovuto in una conversazione che, evidentemente, aveva causato disagio ad entrambi.
Seguendo l'esempio del re, il principe T. si sarebbe ritirato alle dieci.
Tuttavia, proprio mentre occhieggiava l'orologio a pendolo su una mensola -un putto d'oro che segnava le nove e tre quarti- scorse quella che, si convinse, doveva essere una visione.
Una ragazza con le guance di rosa e l'acconciatura non troppo vistosa, fermata solo da un paio di piume di struzzo che le ricadevano morbidamente sui riccioli sbiancati, avanzava con le mani al petto come in preghiera; quando i cortigiani le facevano largo lei, imbarazzata, sorrideva nel più dolce dei modi.
Più che scivolare, come facevano invece le altre dame, incedeva a minuscoli saltelli al pari di una bambina. T. riconobbe nella sua accompagnatrice Madame de La Motte, ma non ci volle molto perché la marchesa lasciasse la sua protetta nelle mani dei giovanotti che le si erano stretti attorno, attirati come mosche. Lui per primo era incapace di distogliere lo sguardo.
Per quanto bizzarro, non era raro incontrare facce nuove a Versailles. I nobili di campagna sedevano alla stessa tavola da gioco di chi, invece, viveva alla reggia dai tempi d'oro della sua creazione; i paggi ricevevano visite frequenti dai loro parenti, per lo più piccoli drappelli di personalità elitarie delle campagne che spedivano i loro rampolli nella speranza di vederli crescere fra le maggiori autorità d'Europa, e ciò faceva di Versailles un gioioso luogo d'incontri inaspettati.
Di certo, T. non si sarebbe mai immaginato di trovare un angelo fra gli uomini. Una bambola con movenze distratte, che ora si fermava a ravvivarsi i boccoli, ora chiacchierava con una dama.
Madame de La Motte pareva, a giusto titolo, particolarmente soddisfatta della graziosa compagna.
Per la prima volta in molto tempo, T. ricordò di non essere solo un principe, per quel che valeva quando non v’erano meriti ad accompagnare il titolo, ma anche un essere umano non certo degno di una creatura così bella: non un Antonio, né tantomeno un Cesare. Tuttavia, quando si voltò per rubare nuovamente uno sguardo e scoprì che era già sparita nella folla, si maledisse per non aver avuto più coraggio.

“Se mi è concesso prestarvi la mia esperienza, amico mio, io considererei questa sala come una scuderia.”
Sobbalzando, il principe T. soppresse un ‘oh’ di sorpresa, lanciando un'occhiata all'uomo che aveva parlato. Nonostante la voce fosse impossibile da non riconoscere, T. ne scorse prima le piume del cappello, poi la parrucca incipriata e stretta sulla nuca da un fiocco dorato, infine la giacca in albicocca e oro. I colori da soli non lasciando spazio a dubbi, ma T. conosceva bene il viso franco del figlio di Francia.
Il conte Charles-Philippe d'Artois, di ventisei anni appena, portava con estrema eleganza i colori della cognata e se ne stava mollemente appoggiato ad uno dei tanti caminetti spenti, offrendo un gentile sorriso ora a questo, ora a quello.
T., tuttavia, inarcò un sopracciglio di fronte a quella strana affermazione.
“Sono confuso, monsieur.” ammise.
Non desiderava essere preso per sciocco dal conte d'Artois, ma non pretendeva di poter indovinare la risposta ad una frase tanto vaga.
Non capiva che nesso potesse avere con la festa, né capiva come potesse essere stato scoperto con tanta facilità da un uomo che si faceva vanto d'essere perennemente distratto.
Impensierito, cercò con lo sguardo la ragazza: temeva di averla perduta ancora prima di poterle parlare. Se fosse accaduto, non avrebbe mai perdonato d'Artois per l'interruzione dei suoi propositi.
Tuttavia, con un sospiro di sollievo, si accorse che stava chiacchierando con Philippe de Noailles, un uomo ridanciano dalle spalle larghe. De Noailles, a differenza della moglie, era d'animo brillante: la giovane esibiva un sorriso da dietro il ventaglio e annuiva con trasporto alle parole del principe, ridendo di tanto in tanto. Quando capitava, potè notare T, piccole rughe d'espressione si disegnavano attorno ai suoi grandi occhi azzurri.
Ma d'Artois non aveva finito di parlargli.
“Questa stanza è una scuderia e voi dovete scommettere, mon ami. Sapete giocare allo sport dei re, immagino.”
“No, affatto.” replicò T, scrollando le spalle. “Non è mio costume scommettere sulle corse, né su altro.”
Si vide bene dall'aggiungere che lo trovava contrario alla morale cristiana, dal momento il conte era tanto potente quanto appassionato di gioco, ma non poté non arrossire sentendo d'Artois ridere della sua risposta.
“Ebbene, non importa.” disse, gesticolando “Facciamo caso che lo siate. State per scommettere su uno di questi cavalli, la decisione è scritta sul vostro volto. No, non negatelo. Voglio solo consigliarvi, amico mio, di non puntare con troppa leggerezza su certi cavalli che, spesso, si stancano a metà della gara e accennano a voler tornare indietro, o addirittura non si muovono più.”
Il conte gli offrì un gran sorriso. Lo faceva sembrare più giovane e allegro, come se ogni peso dell'etichetta scivolasse via per lasciare posto a cameratismo maschile e un sincero interessamento per il benessere altrui: d'Artois, in quel momento, sembrava un bambino che porge un fiore al proprio tutore.
Il principe T. sospirò a fondo, rilassando le spalle.
“Non perderei niente a seguire il vostro consiglio. Farò del mio meglio.” promise; nel chiudere gli occhi, però, già l'immagine della sconosciuta danzava nella sua mente. In quei pensieri era lui a farle da cavaliere e la trascinava in una danza senza posa, fatta di salti e sguardi e respiri pesanti, così sfrenata da risultare oscena, così estrema da essere possibile solo nella fantasia d'un uomo geloso.
D'Artois, che parve non accorgersene, gli batté una pacca sulla spalla.
“Andate da lei, ballate una volta e poi lasciatela andare. Fidatevi di me.”
“La conoscete?”
D’Artois rise — una risata piena e tonante, così diversa da quella del fratello da far dubitare ogni parentela — e lo lasciò senza una risposta.


 

#​
 

Alla fine, il principe T. aveva raccolto tutto il proprio coraggio per andare a parlare con la ragazza.
Ogni cosa si era svolta come da etichetta: gli inchini, le presentazioni, gli sguardi ben nascosti dietro le maschere. Charlotte De Chigny aveva la voce più strana che T. avesse mai udito, come il cantare d'un ruscello in estate e i modi aggraziati che venivano certo da un'educazione claustrale. In ogni parola il principe scorgeva nuove prove di modestia e timidezza ma, pur stupendosene in un primo momento, decise in fretta che la ragazza era una compagnia squisita.
La invitò in un minuetto rammentando le parole d'Artois e ripromettendosi 'solo uno'. Poi, si sa, anche l'animo più saldo tentenna di fronte alle tentazioni.
Quell'unico ballo divenne il primo al quale ne seguì un secondo, ed un secondo ad un terzo e così via.
Più l'orchestra suonava, più T. si convinceva che il posto della minuta Charlotte fosse fra le sue braccia.
Quando il piede della ragazza gli pestò una scarpa si chiese se non la stesse per caso facendo stancare troppo - aveva perso il conto dei balli in cui l'aveva accompagnata e che altri cortigiani se ne risentissero pure: si era eletto suo custode e protettore, non l'avrebbe lasciata neanche se lei l'avesse preteso. Trovò  saggio condurre la propria compagna fuori dalla pista da ballo, con tutta l'intenzione di cercare un divanetto libero per conoscersi meglio, ma la ragazza pareva più interessata a ciò che accadeva nella sala che alla loro intimità.
“Ah, e quello che parla con monsieur le comte?” domandò Charlotte, accennando col capo all'angolo più occidentale del salone.
Il principe T. si ritrovò così a spiare d'Artois in compagnia d'un uomo alto, snello, fasciato in una marsina dorata e che, al posto dell'usuale parrucca, indossava un tricorno calato su nudi boccoli color rame che gli accarezzavano le spalle, raccolti in una coda.
Nonostante la giovane età -non doveva avere più di trent'anni- il naso greco, così come il mento diritto e le labbra sottili, lo facevano sembrare estremamente severo. T., travolto da una fitta di gelosia, fu felice di ritenersi molto più avvenente dell'uomo in questione.
“Alain de Ort-Sur-Mer” disse, mordendosi il labbro inferiore e, al contempo, chinandosi su Charlotte per farsi sentire solamente da lei. La ragazza era accomodata su una poltroncina di raso e T., non trovando niente di meglio, si era appoggiato al bracciolo e teneva un braccio stiracchiato lungo lo schienale del divanetto. Si era detto che poteva essere una buona imitazione di un'ala protettrice. “Duca di Ovigny, fa parte della cerchia intima del conte di Lauzun.”
“E della regina.” decretò Charlotte, con voce fatale.
Allora il principe T. non comprese il tono della ragazza, a metà fra un sospiro ed un commento velenoso: c’era dell'invidia in quelle parole, ma celata oltre graziosi occhi azzurri dalle lunghe ciglia, quasi invisibile.
T. aggrottò la fronte e lanciò a Charlotte una rapida occhiata, per controllare che non si fosse per caso stancata troppo e incuriosito da un commento così bizzarro, e l'occhio gli cadde inavvertitamente sul corpetto dell'abito à la mode. Per quanto poco capisse di donne, anche un inesperto come lui poteva notare che Charlotte non fosse sbocciata: anzi, il suo collo era sì flessuoso, ma le ossa delle spalle sporgevano sgraziatamente e il torso non accennava quell'onda delicata che doveva rendere morbido il bacino delle ragazze un po' più adulte.

Sarebbe stato da chiedersi... Ma no, impossibile.

Scacciò il pensiero con uno scrollare del capo, dandosi dello sciocco; Madame de la Motte non avrebbe mai potuto mentire sull'età di Charlotte.
“Charlotte, volete che vi porti dell'acqua?” domandò, dal momento non era un uomo da dire 'che vi si faccia portare'. Quando aveva desiderato prendere I voti aveva imparato il valore dell'azione in prima persona e, come gentiluomo, mai si risparmiava negli atti di cortesia.
Charlotte lo guardò brevemente, poi sembrò subito pentirsene.
Per un momento fece vagare lo sguardo sulla sala gremita di persone mascherate eppure perfettamente riconoscibili. Esitò sulla marchesa De la Motte e T. potè vedere come la povera Charlotte trattenne il fiato quando la zia le fece cenno. 
É forse ora di andare, per il mio angelo? Si chiese.
Certo era che, dolce com'era, Charlotte non si sarebbe mai sognata di fare capricci per rimanere più a lungo. T.,  che l'aveva osservata con attenzione, sapeva di aver colto l'animo modesto e un po' provinciale della ragazza. Non era una viziata nobile di Parigi, una di quelle che si figurano mentre dipingono e suonano nei loro appartamenti con vista sul fiume e sui giardini, né una signorina educata ma esageratamente disinvolta, immersa sin dalla giovane età nella vita di corte.
Era per qualche motivo, senza alcun dubbio, diversa.
Finalmente una ragazza diversa.
“Vostra zia?” domandò, dal momento che lei si era chiusa nel più mite silenzio.
“Sì, mi fa cenno.”
“Dovete andare, non è vero? Ebbene, vi lascio libera. Solo, ditemi, vi rivedrò?”
“Non credo sia il caso.” Charlotte replicò, inclinando il capo. C’era una serietà improvvisa nei suoi modi.
“Non ditelo.” disse, prima di potersi fermare. Dunque non conoscete amore. Le parole della regina erano forse state affrettate; forse erano state un segno. “Ditemi che rivedrò la mia Charlotte, prima che se ne ritorni in campagna come un sogno all'alba.”
Per l'occhiata che ricevette, temette d'averla offesa.
Charlotte?”
“Ma che c'è, mademoiselle? Non vi sentite bene?”
“Ah, siete così gentile con me!” si lamentò lei, allora, portandosi le mani alle tempie e oscillando come un pendolo, in un comportamento così stravagante che, per un attimo, T. ne fu spaventato “E io... Ah, io mi commuovo! Non lo vedete, principe, che mi fate piangere?”
"Perché mai?” domandò il principe T., avvicinandosi ancora di più.
Saltò in piedi all'istante, inginocchiandolesi davanti e prendendole una mano fra le sue. Credeva, in cuor suo, di aver capito i motivi di una tale improvvisa reazione: il tenero cuore della ragazza era spaventato dall'inevitabile, dalla separazione. Per una volta, si era concesso di sperare che ci fosse qualcosa di più gentile nell'animo di una donna, e non solo superficialità e desiderio di divertirsi, e Charlotte gliene stava dando la prova con le sue lacrime a stento nascoste: non era quindi suo dovere rincuorarla?
“Che tragica fatalità incontrarsi ad un ballo che inneggia alla fedeltà, quando la lontananza è nemica dell'amore. Ma non siate triste, non piangete. Non volevo certo farvi versar lacrime.”
“Ma queste non sono lacrime di tristezza.” puntualizzò, con una certa urgenza che non fece altro che infiammare i sentimenti e le intenzioni del principe T. Ormai la ragazza si era nascosta completamente il viso nella mano libera e le sue spalle erano scosse da tremiti sempre più forti.
“Per cosa piangete, quindi?”
“Per la vostra stupidità.” replicò Charlotte, d'improvviso con voce più profonda. Si scostò la mano dal viso e, in contemporanea, sollevò la maschera che aveva indossato fino a quel momento. “Sono un uomo, idiota.”

Il principe T., disgustato, lasciò la mano di Charlotte.
O, come si sarà capito, di Rossignol.

#

 

Dal Duca d'Ovigny a sua madre, Mathilde

Maman,

Vi assicuro che avete completamente frainteso le mie intenzioni.
Mi sarebbe impossibile lasciare Versailles ora che ho appena cominciato ad ambientarmi e a stringere amicizie interessanti. Vedete, tre sono le cose che contano qui a corte: i segreti, l'etichetta e le sedie libere. Ascoltate i primi, seguite la seconda ma con un occhio cercate sempre le terze: una semplice regola di sopravvivenza, come consigliato dall'abate di Digione. Seguendola, per il momento mi trovo incredibilmente a mio agio.
Ma vi parlavo delle conoscenze che ho incontrato qui e che, spero, in futuro si riveleranno amicizie sincere e durature.  
Il Conte d'Artois, fra tutti, è un esempio di come la mia vita a corte si stia trasformando da noiosa parentesi a piacevole vacanza. La cara cugina Martine ha intercesso per me presso di lui, ma non è servito alcun mediatore perché diventassimo amici: il fratello minore del re è un uomo di gusto, con un buon carattere e uno spirito allegro. Non vi nasconderò che mi trovo in imbarazzo quando beve troppo, poiché temo sempre di venir messo a parte di qualche segreto importante, ma fortunatamente non siamo mai soli quando Monsieur dà fondo alla bottiglia.
Ho avuto modo anche di parlare con Monsieur le prince de Rohan, che è fra le menti più brillanti che abbia mai incontrato. Vi piacerebbe, madre, se solo poteste parlargli.
Ma come certo saprete meglio di me, poiché è risaputo che certi svaghi sono preferiti dalle signore che dai gentiluomini, essere qui mi costringe a partecipare a innumerevoli feste e balli.
Per il primo dei suoi due Masquerade mensili, Notre Majesté ha organizzato un vero piece d'art in onore della fedeltà.
I motivi mi sono sconosciuti, ma ho trovato il tema singolarmente interessante: per una volta non era un ballo a tema fiocchi rossi o scarpe blu, così mi sono trattenuto più del solito. Maman, dev'essere stato il destino.
Ho qui intravisto la più bella fra le creature: con i riccioli biondi incipriati ed acconciati à la mode, con occhi grigi da sembrar finestre sul cielo temporalesco e i tratti minuti di bambola. Altro non ho notato, subito, se non quella perfezione. Mi chiedevo chi fosse mai, finché non è stato suonato il terzo minuetto e l'angelica sconosciuta è apparsa sulla pista fra le braccia di un fortunato giovane vestito di rosso.
Vi confesso, poichè siete mia madre e so che perdonerete queste parole, che non ho mai odiato nessuno come quel gentiluomo. Ma lei... Ah, se l'aveste vista! Un viso che pareva scolpito nel marmo, le dita morbide, il vestito accollato perfettamente modesto.
Fu allora che sentii che dovevo incrociare i nostri destini. Me ne ero innamorato in fretta.
Eppure, per fortuna!, proprio in quel momento due gentiluomini decisero di fare commenti ad alta voce.
In un primo momento li trovai oltremodo sgarbati, ma ora li ritengo i fautori della mia salvezza da una gran brutta figura. Vi riporterò, in breve, la loro conversazione.

"Ma che bravo!"
"Ma che grazia e quanta eleganza. In fede, ingannerebbe sua madre."
"E farebbe innamorare i suoi fratelli, l'uno dopo l'altro. Che ciglia, che occhi, che visino. Sia chiaro, è l'ultima volta che scommetto con voi a questo proposito. E la patente di nobiltà, e il vestito?"
"Madame De la Motte e la Polignac, naturalmente. Ho sentito che gli ha persino comprato la parrucca e una berlina. Sapeva di aver già vinto, la gran signora, e non ha badato a spese; in fondo, le tornerà tutto con gli interessi."
"Che peccato! Se solo fosse una giovane davvero... Per lei appenderei il celibato al chiodo."
"E quello sventurato che l'accompagna? Qualcuno dovrebbe metterlo a parte dell'imbroglio."
"Sì, fa un po' pena."
"Sono certo che Madame la Marquise sarà molto soddisfatta di sé quando le riferiranno del successo."
"Senza dubbio."
Pausa, il minuetto s'arresta e la dama piroetta in un gesto aggraziato. Lei è bellissima e uno dei due commentatori sospira a fondo.
"Mi ripeto, Jerard, questo è un grande spreco davvero: quanto è crudele il mondo, quanto sciocche le apparenze." e poi, dopo un altro sospiro: "Ah, come sta bene vestito da donna, quel Rossignol!"

 

Mi sono sentito così sciocco che ho lasciato la mascherata senza aggiungere altro.
Lo confesso a voi, maman, perché so che troverete di che sorridere nell'inesperienza di questo vostro figlio che come un folle s'è fatto abbagliare dalle luci del bel mondo. Non trovate che sia divertente? Io ne ho riso tanto, una volta considerato che non ero certo io quello che si trovava in torto. E quel cavaliere, accompagnarsi per tutta la sera ad una menzogna, ad una scommessa, ad un bel tranello! Ne provo pietà.
Ma voi, madre, vi prego, ridete con me di questa mia strana avventura.
Capite, ora, perché non posso lasciare Versailles? C'è così tanto che mi sfugge, ancora, e sento di non essere nient'affatto pronto a ritirarmi in campagna senza aver almeno vissuto la vita di corte. Con che occhi guarderei mia moglie, se fosse più scaltra di me?
Nel frattempo imparo più che posso e, vi prometto, mi sto impegnando a fondo nella comprensione della vita che si conduce qui e a Parigi. 

Ora vi lascio, mi chiamano per la messa.
Nella più grande speranza che vi sentiate presto in forze e che mi raggiungiate a Parigi, 

Vostro figlio, 

Alain.



Note:

Holla.
Innanzitutto, questa storia era già stata pubblicata su AO3 qualche anno fa, ma ho deciso di risistemarla e riproporla anche su EFP, dove sono sempre stata troppo timida per buttarmi sulla sezione storica.
I personaggi principali sono di finzione, non reali nè ispirati a figure reali. 
Gli unici personaggi storici trattati un po' più a fondo, seppur non protagonisti, sono Maria Antonietta e d'Artois e (occasionalmente) qualche nobile di rilevanza che viene citato e/o appare salutariamente. 


La ricerca storica è stata parecchia, ma naturalmente se ci sono imprecisioni vi invito a farmele notare perchè non si sa mai, le cazzate sono sempre dietro l'angolo e ci tengo che sia il più precisa possibile. Ho voluto attenermi allo stile un po' pomposo e outdated (dicasi: ridicolo lol) anche nelle introspezioni per non allontanarmi mai troppo dallo spirito e dall'atmosfera del periodo, non essendo una grande fan degli storici che poi "suonano" come se fossimo nel 2019, ma ho cercato di snellire le descrizioni e i termini rispetto alla versione originale.
Quindi, incoraggio sempre tantissimo le critiche costruttive, ringrazio in anticipo chi seguirà questa mini-long e spero di non aver fatto un pasticcio eccessivo.

 

   
 
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