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Autore: WhiteLight Girl    06/01/2019    2 recensioni
Sembra che tutto sia normale nella vita di Marinette, tra la scuola e la vita da supereroe, finché all'improvviso succede qualcosa e Ladybug si ritrova incapace di lasciarsi scivolare addosso le avance di Chat Noir. La sensazione di aver dimenticato qualcosa si fa largo nella testa della ragazza e si rifiuta di passare, mentre il suo istinto inizia a gridare di non fidarsi di Gabriel Agreste. Marinette si convince che ci sia sotto qualcosa, ma sarà davvero così o si sta solo allarmando per nulla?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 1
Tempismo


Ladybug fece l’ennesimo salto verso il tetto che aveva davanti, il cuore le batteva forte nel petto nell’attesa che risuonasse l’ultimo avviso dei suoi orecchini. Mancava poco alla panetteria, atterrò sul tetto della scuola e quasi sospirò di sollievo. Si diede lo slancio per l’ultimo salto e fu allora che la trasformazione svanì.
Si aggrappò al cornicione per fermarsi, gemette e ringraziò il cielo di aver avuto i riflessi abbastanza pronti da impedirsi di buttarsi in avanti. Tese la mano per raccogliere Tikki prima che cadesse giù in strada e la strinse a sé, normalmente non avrebbe avuto paura dell’altezza, anche grazie al fatto che era abituata ad affacciarsi dal suo terrazzo, ma in quel momento il non avere nessuna ringhiera tra lei ed una possibile caduta le faceva tremare lievemente le gambe.
Depositò con cura Tikki nella borsa, dove lei avrebbe trovato la sua scorta di biscotti, e si premette contro la parete rialzata che aveva alle spalle. Lì dov’era probabilmente nessuno avrebbe potuto vederla ed avrebbe potuto aspettare in pace che Tikki recuperasse le forze prima di ritrasformarsi.
«C’è mancato davvero un pelo.» sussurrò incrociando le braccia dietro la schiena. Nessuno avrebbe potuto trovarla, lì sul tetto della biblioteca della scuola, ed il cielo era limpido nonostante l’aria fredda che le lambiva la pelle delle braccia scoperte. Avrebbe dovuto prendere una giacca, prima di uscire, realizzò sospirando.
«Devi fare più attenzione, Marinette.» disse Tikki, il biscotto stretto tra le zampette. «Devi imparare a tenere meglio il conto del tempo.»
Marinette le lanciò un’occhiata e si domandò quanto la borsa la tenesse al caldo. Rabbrividì. «Lo so, ci ho messo più del previsto.»
Tornò a ripensare allo scontro, al modo in cui tutto era sembrato andare bene e poi, dopo aver evocato il Lucky Charm, l’Akuma avesse avuto una specie di scoppio di adrenalina improvviso che l’aveva portato a combattere con ancor più fervore di prima. Se si soffermava a pensarci, Marinette non riusciva ad inquadrare bene i vari momenti dello scontro. Probabilmente, si disse, era stata troppo stanca ed alla fine aveva inserito il pilota automatico e cominciato a reagire meccanicamente ad ogni colpo.
Portò una mano alla bocca per coprire lo sbadiglio che le era nato in gola, gli occhi le si inumidirono ed una lacrima scivolò giù lungo il lato del naso; la asciugò con il pollice.
«Non vedo l’ora di fare una lunghissima dormita.» confessò.
Tikki deglutì il nuovo boccone ed inclinò il capo. «Ma non puoi, domani hai un compito in classe.»
Marinette ebbe un sussulto. «Ugh! Lo avevo quasi dimenticato. Magari potrei svegliarmi presto domani e studiare prima dell’alba.»
Marinette quasi si offese, quando sentì Tikki ridacchiare.
«Lo sai che non ci riesci mai.» disse lei.
E Marinette sapeva che aveva ragione, perché per quanto fossero buoni i suoi propositi probabilmente avrebbe spento la sveglia senza neanche rendersene conto e sarebbe tornata a dormire fino al momento in cui sua madre fosse salita in camera sua e l’avesse trascinata per i piedi fino alla cucina.
«Ma io non ho la forza di studiare adesso...» borbottò.
Chinò il capo ed ebbe un altro brivido, era come se l’inverno avesse deciso di arrivare prima ed all’improvviso e lei non era ancora pronta per questo.
«Hai fatto, Tikki?» domandò.
«Ancora un momento.» rispose lei.
Marinette si rassegnò a dover aspettare ancora, il sole stava calando all’orizzonte ed il portone della scuola era già chiuso, nell’edificio non era rimasto nessuno, ma qualcuno ancora vagava giù in strada. Invidiava le giacche indossate da alcuni di loro, quelli che avevano già iniziato a portare le maniche lunghe, lei poteva solo sperare di non essere così sfortunata da beccarsi un raffreddore. A quell’altezza ed in quella posizione, il vento sempre più forte la colpiva in pieno.
Eppure c’era qualcosa di magico nello stare senza maschera in un posto così alto e che non fosse il suo terrazzo, era come essere lontana da tutto e da tutti, come se i problemi non potessero raggiungerla, come se Papillon e le Akuma non esistessero più e Parigi fosse tornata la solita, noiosa eppure magnificamente caotica città.
Un rumore alle sue spalle la fece sussultare e quando si voltò trovò alcuni piccioni che si rincorrevano in volo. Si portò una mano al petto per calmare il proprio battito e sospirò, ridendo di se stessa e del modo repentino in cui poteva passare dalla pace e tranquillità completa al panico più totale al pensiero di essere stata scoperta.
«Solo un altro paio di minuti.» disse Tikki.
Marinette non avrebbe potuto dirle di no. Seguì con lo sguardo i piccioni e sorrise, aveva avuto un assaggio di quello che sarebbe stato saper volare, anche se lanciarsi appesa al proprio yo-yo non poteva certo essere paragonato al volo reale, ed immaginò come sarebbe stato essere lassù con loro.
Chissà se c’è un Miraculous che permette una trasformazione con le ali? , si domandò.
Sollevò la spalla per impedire alla borsa di scivolarle contro il braccio e sorrise. Sarebbe stato bello, forse avrebbe potuto chiedere al Maestro Fu di farglielo usare almeno una volta, di certo Tikki non l’avrebbe considerato un tradimento. Se avesse voluto usarlo Chat Noir, invece, Plagg avrebbe sicuramene trovato il modo di farlo sentire in colpa per mesi.
Ridacchiò tra sé, ma c’era qualcosa che si muoveva nell’aria e che le impediva di rilassarsi. Forse era ancora la sensazione di vertigine che la travolgeva se guardava in basso, la consapevolezza che se fosse caduta da così in alto non avrebbe fatto in tempo a trasformarsi per salvarsi, forse era il vento portato dalle prime ore della sera, il cambio di stagione improvviso e inaspettato che l’aveva colta di sorpresa, ma sentiva che qualcosa non andava e sperava che una volta che fosse tornata a casa si sarebbe finalmente sentita di nuovo al sicuro.
Fece un giro in tondo, mantenendosi al centro della piattaforma, le mani strette contro le braccia per provare a scaldarsi, e si domandò che ore fossero e se sarebbe arrivata in tempo per la cena.
Eppure neanche i morsi della fame riuscirono a distrarla. Un brivido le percorse la schiena e, questa volta, non fu colpa del freddo. Le parve di vedere qualcosa con la coda dell’occhio, un’ombra alle sue spalle che la portò a girarsi con uno scatto e puntare lo sguardo verso uno spazio che scoprì essere vuoto. Arretrò e mise un piede fuori dalla piattaforma.
La suola della scarpa poggiò sulla parte spiovente del tetto della biblioteca nel momento in cui Marinette perse l’equilibrio, la ragazza si ritrovò a sbracciarsi ad occhi sgranati mentre si sbilanciava verso il cortile interno, ma non servì. Cadde e scivolò sulle tegole incapace di trovare un appiglio e, strillando, volò oltre il cornicione.
Senza fiato per chiamare la trasformazione, con la borsa ancora aperta e Tikki al suo interno, si ritrovò sospesa a mezz’aria e strizzò gli occhi in attesa dell’impatto fatale.
L’atterraggio fu ben più morbido e molto meno doloroso di quanto si era aspettata, ma le strappò comunque un gemito. Quando trovò il coraggio di dischiudere gli occhi, però, non era all’interno del cortile della scuola, ma di nuovo sul tetto da cui era caduta.
«Si può sapere cosa accidenti stavi facendo?» le domandò Chat Noir, mentre la teneva tra le braccia.
Marinette sospirò, lieta di essere viva, anche se la sensazione di essere premuta contro il petto tonico del ragazzo la faceva sentire stranita e su di giri.
Sollevò la borsa per la bretella e la strinse a sé, premendovi sopra la mano per ritrovare la forma di Tikki al suo interno.
«Io... Uhm...» provò a dire.
Chat Noir non la lasciò finire, spostò la mano da dietro la sua schiena, obbligandola ad aggrapparsi a lui per il timore di cadere di nuovo, estrasse il bastone e lo allungò davanti a sé, poggiandolo sulla strada ed usandolo per arrivare sul balcone della panetteria.
Dopo averlo ritirato ed averla messa giù acanto alla sdraio, le domandò: «Come ci sei arrivata, lassù?»
Marinette si afferrò alla ringhiera, finalmente avrebbe potuto tornare a respirare; si sarebbe preparata una tazza di latte caldo e se ne sarebbe andata a dormire, decise. Al diavolo il compito in classe; dopo una quasi morte se lo meritava.
«Marinette...» disse Chat Noir. Poggiò una mano sulla sua spalla ed usò un dito per sollevarle il mento.
Marinette sentì lo stomaco agitarsi, probabilmente sarebbe stata costretta a saltare la cena ed anche il latte caldo, se quella sensazione di nausea non se ne fosse andata.
«Stai bene?» domandò Chat Noir. E nei suoi occhi c’era una preoccupazione tale che si ritrovò a ripensare a quella volta in cui lui aveva disposto le rose e le candele sul tetto e l’aveva portata a vederlo. La volta in cui Ladybug gli aveva dato buca e l’aveva fatto soffrire come Adrien aveva fatto soffrire lei.
Si costrinse ad annuire, le guance rosse ed il cuore che le rimbombava nel cervello a causa della sua vicinanza.
Lui la accompagnò a verso la sdraio e la sorresse mentre si sedeva.
«Eri lassù a causa dell’Akuma?» le domandò.
Marinette deglutì. «Uhm, sì, in effetti.»
Chat Noir sorrise, quasi sollevato.
«Bene, non devi più preoccuparti di lui, allora. Il sottoscritto se n’è occupato personalmente.» disse. Le fece l’occhiolino e Marinette sollevò un sopracciglio, ma subito si riprese.
«Oh, mio eroe!» esclamò, portandosi una mano al petto.
Ora che non aveva più bisogno di concentrarsi sulle gambe tremanti per non cadere poteva tornare a parlare, ammesso che il luccichio negli occhi del ragazzo glielo permettesse.
Sospirò. Ora non è che perché ti ha salvato la vita fangirlerai come se fosse il tuo principe azzurro? , si disse. E poi lui è innamorato di Ladybug.
Non aveva più problemi ad ammettere che fosse così; non sottovalutava più i suoi sentimenti ed era consapevole anche che, se davvero si fosse innamorata di lui, sarebbe stato praticamente impossibile prendere nel suo cuore il posto di Ladybug, nonostante fossero la stessa persona.
«Sto bene» gli disse, prendendo la mano con cui la stava cullando e stringendola leggermente prima di lasciarla andare. «grazie a te.»
«Sei sicura?» domandò lui.
Marinette si trattenne dal colpirgli il naso con il polpastrello per allontanarlo; era un gesto d’affetto familiare che era consentito solo a Ladybug.
«Certo, ora andrò a farmi una bella dormita e domani sarò come nuova, lo prometto.» gli disse. Convincere lui che fosse così probabilmente sarebbe stato un buon modo per iniziare a convincere sé stessa, ma lui parve esitare ancora.
Marinette rabbrividì; ora che si era calmata era tornata a sentire freddo.
«Sarà meglio che tu entri, allora.» disse Chat Noir.
Finalmente si decise ad alzarsi, le sorrise e le diede le spalle. Si arrampicò sulla ringhiera e rimase in bilico su essa, ma invece di andarsene immediatamente la guardò un’ultima volta da sopra la propria spalla.
«Mi raccomando, non farmi mai più prendere uno spavento simile.» le disse, facendole l’occhiolino. Poi si lasciò cadere giù e, con un singulto strozzato, Marinette lo vide risalire sull’edificio di fronte e poi sparire tra i tetti.
Si accorse che Tikki era uscita dalla borsa solo quando la sentì dire: «Per fortuna era lì per prenderti al volo.»
Colta da uno scatto di adrenalina e fastidio, Marinette si alzò ed incespicò tremante verso la botola. «Sì, non ci sarebbe stato alcun bisogno che mi salvasse se prima non mi fosse arrivato alle spalle spaventandomi.»
Lasciarsi cadere sul letto, con le gambe doloranti e vertigini, non era mai stato più complicato.
   
 
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