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Autore: Kodocha    07/01/2019    5 recensioni
Akito Hayama, ventiquattro anni; in seguito ad una dolorosa ferita amorosa, inflittagli dalla donna con cui avrebbe dovuto convalidare a nozze da lì a breve, decide di abbandonare Los Angeles e ritornare in Giappone, dalla sua famiglia.
Nonostante sia disposto ad avere tante donne a scaldargli il letto e nessuna a scaldargli il cuore e convinto di non poter provare più alcun tipo di sentimento per il gentil sesso, gli toccherà fare i conti con lei, Sana Kurata, una furia dai capelli ramati, nonché la nuova governante assunta da Natsumi.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Come sarebbe a dire che non hai ancora raccontato nulla alla tua famiglia?»
Akito sbuffò, facendo un rigoroso sorso della sua Kirin Ichiban «Vuoi che ti faccia un disegnino, Tsu?»

«Non provare a fare lo spiritoso con me, Hayama. E’ trascorso quasi un mese dal tuo ritorno in Giappone, quand’è che ti deciderai a dir loro tutta la verità?»
«Presto» mormorò, rigirandosi la bottiglia di birra tra le mani «Tempo di consegnare il progetto al signor Toshiba e gli racconterò tutto, anche perché non credo di avere altra scelta»
«Cosa c’entra il progetto a cui stai lavorando con questa faccenda?»
«Sai bene che il signor Toshiba è un uomo molto rinomato e potente qui a Tokyo, qualora dovesse apprezzare il mio lavoro mi aprirebbe le porte ad altre opportunità lavorat…»
«E con ciò?» l’interruppe, incurvando un sopracciglio «Continuo a non cogliere il nesso»
«Se mi lasciassi finire magari capiresti» sbuffò nuovamente, alzò gli occhi al soffitto e riprese «Se i miei piani lavorativi dovessero andare a buon fine, mi risulterebbe più semplice raccontare a Nat e a mio padre come si sono svolti realmente i fatti. Cioè, voglio dire…» gesticolò con la mano, alla ricerca delle parole più giuste per esprimere il suo concetto «Gli direi “Sì, è vero, Fuka mi ha piantato per un altro uomo ed io sono stato così rincitrullito da abbandonare tutto, compreso un lavoro importante e ben retribuito, per allontanarmi da lei e dal dolore che mi aveva causato, ma non preoccupatevi, mi sono già rimboccato le maniche, ho trovato un nuovo impiego e ben presto la smetterò di usufruire dei soldi della mia famiglia per mantenermi”»
Tsuyoshi sospirò, passando lo strofinaccio sul bancone «Secondo me stai esagerando con tutte queste paranoie. Sono la tua famiglia, credi davvero che potrebbero giudicare te e la tua decisione di lasciare Los Angeles?»
«Non lo so, ma preferisco non rischiare. Ci manca solo che mi diano dell’idiota per aver mandato all’aria la vita stabile che mi ero creato lì, dopo anni di fatica, rinunce e sudore… e per cosa poi?» serrò la mascella, furibondo «Per una donna!»
«Non era una donna qualsiasi, e lo sai bene»
Akito sospirò a sua volta, chinando leggermente lo sguardo.
Certo che lo sapeva, Fuka non era mai stata una donna qualsiasi per lui, l’aveva sempre vista sotto una luce diversa rispetto alle altre, sin dal loro primo incontro, avvenuto durante il secondo anno delle scuole medie; ricordava perfettamente quel giorno d’inizio dicembre e l’ingresso di lei, timido ed impacciato, nell’aula, l’accento tipico d’Osaka con cui aveva annunciato la sua presentazione e il suo modo di giocherellare con una ciocca di capelli mentre parlava, sotto gli sguardi incuriositi degli altri componenti della classe. Ricordava addirittura l’uniforme scolastica che indossava, quegli occhi carichi d’incertezza e spavento, tipici di una ragazzina di appena dodici anni catapultata in una nuova città, ma più di ogni altra cosa ricordava la prima volta in cui gli aveva sorriso e la piacevole tachicardia che n’era scaturita.
Scosse freneticamente la testa, come a voler rimuovere quei  ricordi dalla propria mente e, rivolgendosi all’amico, chiese «Possiamo cambiare argomento? Non mi và di parlare di lei»
Tsuyoshi annuì, gli stappò la seconda birra e gliela porse «Con Sana invece come procede? Ci sono stati miglioramenti?»
«Miglioramenti? Con quella lì?» ringhiò, aggrottando le sopracciglia «Neanche per sogno! Continua ad essere la solita donnicciola bisbetica ed irritante che conobbi qui»
«Suvvia, non dire così. Con me si è sempre mostrata gentile e a modo, proprio l’altro giorno mi ha portato dei muffin preparati con le sue mani, erano squisiti»
«E’ tutta una farsa, te lo assicuro» borbottò, sorseggiando la sua bevanda «Non ha avuto neppure la premura di ringraziarmi per averle concesso la mia vecchia camera, anzi, se n’è uscita con “Ti avevo detto che non volevo alcun tipo di favore da uno come te”. Come se non bastasse mi lancia occhiatacce ventiquattro ore su ventiquattro, come se fossi la peggior feccia presente sulla faccia della terra ed ogni volta che tento di rivolgere la parola mi liquida in mezzo nano secondo, sbuffando come una pentola a pressione. Ti rendi conto?»
«Beh, tutto sommato non ha tutti i torti a comportarsi così con te» ridacchiò, scuotendo il capo «Ti vorrei ricordare, nel caso l’avessi scordato, che il tuo primo approccio con lei non è stato dei migliori, inoltre è convinta che tu sia un traditore compulsivo, visto che…»
«Non m’interessa cosa pensa» l’interruppe acidamente «Lavora per la mia famiglia, in casa mia, quindi dovrebbe quanto meno sforzarsi di comportarsi in maniera meno scorbutica ed assumere un atteggiamento più professionale con il sottoscritto» si alzò dallo sgabello, sfilò delle banconote dal portafogli e le appoggiò sul bancone «Adesso ti saluto, ripasserò stasera, forse»
E senza attendere una qualche tipo di risposta gli diede le spalle, varcò l’uscita del locale e s’incamminò tra le strade poco affollate della città.
Non che avesse molta voglia di tornare a casa, anche perché sapeva che una volta giunto lì sarebbe stato costretto a subirsi gli interrogatori da parte di Natsumi e suo padre che, resisi conto che qualcosa non andava, non facevano altro che tartassarlo di domande riguardanti la sua permanenza in Giappone, troppo prolungata per poter essere spacciata come una semplice vacanza…  tuttavia aveva ancora molto lavoro da fare, la pianta architettonica commissionata da signor Toshiba era ancora in fase di sviluppo e non poteva permettersi di perdere tempo prezioso.
Giunto a destinazione, varcato il cancello della grande villa e percorso l’altrettanto grande giardino in tipico stile orientale, con tanto di ruscello con carpe salterine, aprì la porta d’ingresso e trovò Natsumi seduta sul divano in pelle del soggiorno, con lo sguardo perso nel vuoto «Nat» la salutò, facendola sussultare.
«Akito» lo chiamò, balzando dal divano, con una mano portata all’altezza del cuore «Mi hai spaventata»
Lui scrollò le spalle e fece per aggiungere qualcosa, ma le parole gli morirono in gola quando notò l’espressione della sorella, una strana espressione che non riusciva ben a decifrare «Che ti prende?»
«Eh?»
«E’ tutto apposto?» le chiese, avvicinandosi.
«Uhm… no, cioè sì»
«Non voglio chiedertelo un’altra volta, Nat. Che ti prende?»
Conosceva sua sorella come le sue tasche e sapeva riconoscere quando provava a nascondergli qualcosa.
«Beh» si mordicchiò il labbro inferiore, dondolandosi sui talloni, segni d’evidente agitazione «In realtà è successa una cosa»
«E cosa diavolo stai aspettando? Sputa il rospo!»
«Non… non so come dirtelo»
«Si tratta di papà?» si allarmò «Sta male?»
«Eh? No! Lui non c’entra»
«Allora cosa…»
«Ho chiamato Fuka, mi ha raccontato tutto» disse tutto d’un fiato, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi ed Akito s’irrigidì, spalancando le palpebre.
«Cos’hai fatto?»
«Senti, mi dispiace, okay? So che non averi dovuto, ma avevo bisogno di sapere» mormorò, rialzando lo sguardo per incontrare quello furente del fratello «E’ da quando sei tornato che ti chiedo spiegazioni sul tuo strano comportamento e del perché Fuka non si facesse viva, ma tu ogni volta sviavi le domande, cambiavi argomento e…»
«Ma ti sei bevuta il cervello?» urlò a pieni polmoni, facendola indietreggiare di qualche passo «Come ti sei permessa di chiamarla?»
«Te l’ho detto, mi dispiace» bisbigliò, mortificata «Ma non immaginavo fosse successo tutto questo… insomma, che qualcosa non andava l’avevo capito, ma non che ti avesse lasciato» deglutì «Ma perché non ce ne hai parlato?»
«L’avrei fatto, stavo solo aspettando il momento giusto»
«E quando sarebbe arrivato? E’ trascorso quasi un mese da quando sei tornato in Giappone»
«E allora? C’era una scadenza?»
«No, tuttavia gradirei sapere il motivo per cui stavi esitando tanto» ribatté  «Non dirmi che ti vergognavi nel dirci che quella poco di buono ti ha mollato per un altro, per giunta pochi mesi prima delle nozze»
«Poco di buono?» ripeté, sollevando un sopracciglio.
«Come altro dovrei chiamarla dopo quello che ti ha fatto?» sbottò, puntandosi le mani sui fianchi «E poi lo sai che non mi è mai piaciuta, spero solo che quel Takashi la pianti in asso per…» un rumore, seguito da un leggera imprecazione, la fecero voltare. Guardò in direzione della porta che collegava al corridoio, lasciata semi aperta «Sana, sei tu?»
A quella domanda seguì un sospiro, dopodiché la ragazza dai capelli ramati fece la sua comparsa, apparendo sull’uscio della porta «Scusatemi, non volevo interrompervi» sussurrò, con lo sguardo puntato sulle punte delle scarpe «Il fatto è che dovevo uscire di casa per recarmi alla posta e… beh, si insomma…» deglutì, giocherellando con il bordo della busta da lettere che teneva tra le mani «Per poter uscire dovevo necessariamente passare da qui e…»
«Tranquilla, è tutto okay» la rassicurò Nat, sorridendole dolcemente, a differenza di Akito che, assottigliando gli occhi, la scrutò attentamente.
Era la prima volta, da quasi un mese a quella parte, che Sana non gli rivolgeva un’occhiata torva delle sue e sembrasse addirittura intimidita dalla sua presenza, tant’è vero che pareva non trovar neppure il coraggio di guardarlo in volto.
Che avesse origliato parte della conversazione?
«Piuttosto, come mai devi andare alla posta?»
«Devo spedire questa» spiegò, alzando la mano per mostrare meglio la busta da lettere «Era già da ieri che dovevo farlo, ma tra una cosa e l’altra non ci sono riuscita»
«Oh, capisco. Vuoi che ti presti la mia auto?»
Sana fece per risponderle, ma Akito l’anticipò  «L’accompagno io» e non perché avesse tutta quella gran voglia di farle da autista, ma avrebbe fatto di tutto pur di non riprendere la discussione con Natsumi, compreso dare un passaggio in auto alla nuova governante.
«Akito, noi due abbiamo ancora molte cose da chiarire» gli ricordò Nat, guardandolo male, ma lui non se ne curò affatto, le diede le spalle, prese le chiavi appese accanto all’ingresso, aprì la porta, con un cenno del capo esortò Sana a seguirlo e lei, con non poca titubanza mista a sorpresa, lo fece.
«Sei gentile ad offrirmi un passaggio, ma non ce n’è bisogno, posso chiamare un taxi, oppure…»
«Non fare storie e sali su questa benedetta macchina» sbuffò, accomodandosi sul sedile del guidatore.
Ovviamente era consapevole che in quel modo avrebbe solamente rimandato la conversazione con Natsumi di un’ora o poco più, anche perché l’ufficio postale distanziava solo una decina di minuti dalla sua casa, ma era pur sempre meglio di niente; non gli era andato affatto a genio che avesse contattato Fuka per farsi raccontare tutto, si sentiva troppo nervoso ed agitato e aveva bisogno di calmarsi o, conoscendosi, sapeva che sarebbero finiti col sfociare in una lite.
Sospirò impercettibilmente e guardò di sottecchi Sana, trovandola con lo sguardo puntato fuori al finestrino «Sai, non sapevo avessi il vizio di origliare le conversazioni altrui» la provocò, facendola trasalire.
«Non volevo origliare» si giustificò, mordicchiandosi nervosamente il labbro  «Mi sono semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato»
Akito emise una risata nervosa, cambiando corsia «Sei una ficcanaso, Kurata»
«Come ti permetti? Non sono una ficcanaso!» sbottò, indignata «Se avessi saputo che tu e Natsumi stavate discutendo di questione private, sta pur certo che non mi sarei mai neppure avvicinata al soggiorno e…»
«Eppure sei rimasta lì» l’interruppe «Hai continuato a restare fuori quella maledetta porta, invece di andar via»
«E invece ti sbagli, stavo andando via, ma nel farlo ho urtato contro la cristalliera e vi siete accorti della mia presenza» sbuffò, incrociando le braccia al seno «Mi spiace aver ascoltato parte della vostra conversazione, ma ti assicuro che non era mia intenzione»
Sembrava stesse dicendo la verità, ma non n’era tanto convinto, forse a causa della scarsa considerazione che aveva nei suoi riguardi, tuttavia decise di sorvolare e, cambiando argomento, le chiese «Devi spedire una lettera?»
«No»
«E allora cosa contiene quella busta?»
«Ma a te che importa?» borbottò, storcendo il naso e l’altro alzò gli occhi al cielo, seccato.
«Dunque sei l’unica a potersi impicciare degli affari altrui?»
«Te lo ripeto per l’ultima volta, non l’ho fatto di proposito»
«Ma sei venuta comunque a conoscenza di questioni mie personali, Kurata e…»
«Non per mio volere!» gli ricordò per l’ennesima volta, facendolo sbuffare come una locomotiva.
Era davvero seccante.
Bella, ma seccante.
«Okay, come vuoi, fingi che non ti abbia chiesto nulla» borbottò, cambiando marcia.
Con la coda dell’occhio la vide aprire la bocca per obiettare, ma poi ci ripensò e la richiuse, dedicò di uno sguardo il tettuccio dell’auto, sospirò e solo dopo svariati secondi finalmente si decise a riprendere parola «Tuo padre ha avuto la gentilezza di anticiparmi lo stipendio, devo spedire dei soldi a mia madre. L’azienda per cui lavorava ha chiuso i battenti qualche mese fa, quindi voglio aiutarla a sostenere le spese, anche se a distanza» mormorò con un fil di voce ed Akito, per la prima volta da quando la conosceva, rimase colpito da qualcosa che andasse ben oltre la sua bellezza.
Non gli capitava spesso d’incontrare dei coetanei che, piuttosto che spendere l’intero stipendio per cose futili, lo prodigassero per aiutare la propria famiglia, dunque da quel punto di vista era sicuramente da apprezzare.
«E’ per aiutarla con le spese che ti sei trasferita a Tokyo?»
Sapeva di poter risultare invadente, ma ormai la curiosità aveva preso il sopravvento.
Annuì «Ad Hokkaido, negli ultimi tempi, a causa della crisi è sempre più difficile trovare lavoro. Non che qui a Tokyo sia facile, intendiamoci, di fatti quello di governante è l’unico impiego che sono riuscita a trovare»
«Pensavo ti piacesse questo lavoro»
«Infatti è così, tuttavia avrei preferito dedicarmi a qualcosa più in linea con il campo di studi che ho concluso»
«E quale sarebbe?»
«Design d’interni» si voltò a guardarlo, sistemandosi meglio sul sedile «Tu sei laureato in architettura, vero?»
«Te l’ha detto Nat?»
«No, l’altro giorno, pulendo la tua camera, ho visto la pianta architettonica a cui stai lavorando e…»
«E poi dici che non sei una ficcanaso» la schernì, ma stavolta con una nota di divertimento nella voce e lei roteò gli occhi al cielo, soffocando un mezzo sorriso.
«Ehi, era appoggiata sulla scrivania, era impossibile non notarla»
«Beh…» accostò l’auto accanto al marciapiede e la guardò «Mi spiace dover interrompere la prima conversazione più o meno civile avvenuta tra noi, ma siamo arrivati»
Sana si affacciò al finestrino, guardò oltre le vetrate dell’ufficio postale ed esultò «Che fortuna, non c’è nessuno!» si slacciò la cintura di sicurezza ed aprì lo sportello «Faccio in un battibaleno» trillò, scendendo velocemente dall’auto e Hayama restò a fissarla finché le porte scorrevoli dell’edificio non si chiusero dietro le sue spalle.  A discapito di come si aspettava, stare in sua compagnia non si era rivelato essere poi così scocciante, anzi, gli ultimi minuti era risultati quasi piacevoli… non al punto tale da fargli cambiare completamente idea sul suo conto, ma abbastanza da comprendere che, forse, dietro quella facciata da ragazza dura e acida, c’era ben altro.



 
«Ti va del gelato?»
Sana distolse lo sguardo dal finestrino e si voltò verso Akito, corrucciando la fronte «Eh?»
«Hai ancora un’ora di pausa, no?»
«Beh, sì, ma…»
«Ma?»
«Perché vuoi mangiare un gelato con me?»
«Ti sembra tanto strana come proposta?»
«Direi proprio di sì» asserì, scrutandolo con fare circospetto «A dirla tutta avevo già trovato strano il fatto che ti fossi proposto di accompagnarmi all’ufficio postale, visti i rapporti tesi che ci sono tra noi, ed ora vuoi...»
«Non mi va di tornare a casa» le confessò «Non ancora» aggiunse in un sussurro, aumentando la presa sul voltante e l’espressione di Sana, dapprima sospettosa, si addolcì.
Non ci voleva un genio per capire che voleva godersi ancora un po’ di distrazione prima di tornare dalla sua famiglia e riprendere quello spiacevole discorso riguardante la sua ex, quindi perché non accontentarlo? In fondo non le costava nulla.
«Che gelato sia allora» acconsentì, incrociando le braccia al petto «Ma t’avverto, offri tu»
Hayama annuì, sollevato, parcheggiando fuori la prima gelateria che gli era capitata a tiro, una in cui non c’era mai stato prima di allora, probabilmente l’avevano aperta durante la sua permanenza a Los Angeles «Spero solo che qui li facciano buoni»
«Sarà meglio per te»
«Altrimenti?»
«Me la pagherai» si finse minacciosa, aprendo lo sportello «Non c’è cosa che odio di più del gelato scadente» scese dall’auto e lui la seguì, ridacchiando.
La osservò spiaccicare il naso e i palmi delle mani sulla vetrina del bancone, guardare i vari gusti con l’acquolina in bocca, sporcarsi il viso di gelato alla vaniglia, lamentarsi dell’inutilità dei tovaglioli delle gelaterie, il suo modo di gesticolare mentre passava da un discorso all’altro, senza seguire un filo logico e sorriderne divenne quasi inevitabile.
«Comunque ti devo delle scuse» esordì poi, rigirando il cucchiaino nella coppetta semivuota «Per… si insomma… per il modo in cui mi sono comportata nelle ultime settimane. Voglio dire… ti ho trattato come se…»
«Fossi l’uomo più meschino presente sulla faccia della terra?» l’anticipò, facendole chinare il capo.
«Esatto» sospirò «Sono stata poco professionale, inoltre non meritavi affatto un trattamento del genere. Ma sai com’è, credevo fossi uno di quelli che tradiscono le proprie fidanzate, non immaginavo che…» rifletté attentamente sulle parole più giuste da utilizzare «Fossi libero, sentimentalmente parlando intendo»
«Dunque stai iniziando a ricrederti sul mio conto?»
«Un po’» fece spallucce «Voglio dire, ti considero sempre un cafone, visto il modo in cui hai tentato di approcciarmi la prima volta che ci siamo visti, ma almeno non sei un traditore»
«Beh, grazie tante per il cafone» borbottò, storcendo il naso e Sana rise, una risata cristallina e scoppiettante; Akito si fermò ad assaporarla, quasi suo malgrado.
«Non temere, sei ancora  in tempo per farmi ricredere»
«E a che pro?»
«A che pro, dici? Mh…» degnò il soffitto di un’occhiata, picchiettandosi il mento con l’indice «Beh, se mi dimostrassi di saperti comportare come un gentiluomo, potrei anche prendere in considerazione l’idea di diventare tua amica»
«Non credo nell’amicizia tra un uomo e una donna» obbiettò.
Non ci aveva mai creduto, soprattutto qualora uno dei  due provasse attrazione verso l’altro.
E lui era attratto da Sana, molto più di quanto lei stessa potesse immaginare.
«Esiste eccome, invece» obbiettò a sua volta, inghiottendo l’ultimo boccone del suo gelato «E te lo dimostrerò, a patto che continui ad offrirmi il gelato almeno una volta a settimana e la smetti di farmi trovare della biancheria intima femminile sparsa per la tua camera»
«Biancheria femminile?» mormorò, grattandosi la nuca con fare pensieroso.
Da quando era tornato a vivere dalla sua famiglia gli era capitato poche volte di portare una donna in camera, e sempre di nascosto, ma non ricordava che una di loro avesse dimenticato della biancheria lì.
«Esatto. E’ capitato solo una volta in realtà, tre giorni fa» gli lanciò un’occhiata torva, piegando le labbra in una smorfia contrariata «C’era un perizoma leopardato ai piedi del tuo letto, l’ho trovato mentre passavo l’aspirapolvere. Dubito fosse tuo, era troppo piccolo»
«Ovvio che non era mio» sbottò, aggrottando le sopracciglia «Ti pare che indossi della biancheria da donna?»
«Mai dire mai, ci sono molti uomini che la indossano, sai?» fece spallucce e, prima che lui potesse replicare, aggiunse «Piuttosto, se ha dimenticato le mutandine in camera tua, mi dici com’è uscita da casa?»
«Col sorriso» ammiccò.
Altra risata da parte di lei, fresca come l’acqua quando si ha sete.
Akito ne rimase estasiato.
«Sei incredibile, Hayama»
   
 
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