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Autore: Sapphire_    07/01/2019    3 recensioni
Tutti abbiamo un professore che odiamo in particolare, così anche Amelia.
Nel suo caso lui si chiama Alessandro Angelis, insegna matematica e fisica, è troppo bello ma anche troppo stronzo - e gode da matti a rifilarle insufficienze.
Il vero problema però si presenta quando la povera ragazza finisce per ritrovarselo a cena con i suoi genitori e l'unica cosa che può pensare, mentre lo guarda, è cosa abbia fatto di tanto male per meritarsi una punizione del genere.
~
Dal testo: "«Sto pensando di rimanere sempre sullo studio linguistico.» rispose.
«Fai bene, non credo che l’ambito scientifico possa offrirti concrete possibilità.» commentò con nonchalance Alessandro.
«Beh, a dire il vero» iniziò Amelia, mentre un pacato sorriso si apriva nel suo volto «sono contenta di non essere portata per le materie scientifiche. Secondo la mia esperienza sono adatte agli stronzi senza cuore.» fece candida e angelica.
Aveva appena dato dello "stronzo senza cuore" al proprio professore. Che la odiava."
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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…c’è qualcuno?

Sì, lo so, sono passati ben quattro mesi dal mio ultimo aggiornamento – però ho aggiornato di lunedì come ai vecchi tempi, no?
Ok, oltrepassando queste tristi battute, volevo dirvi che mi dispiace tanto per essere sparita per così tanto tempo. Non so come spiegarvi la mia assenza se non che è stato un periodo stressante, privo di qualsiasi briciola di ispirazione, pieno di altre cose da fare; inoltre questo capitolo era difficile da scrivere, non perché succede qualcosa di particolare – anzi, proprio perché è un capitolo di passaggio non riuscivo a scriverlo, non mi piaceva mai e tutt’ora non ne sono molto convinta, ma ho deciso di lasciarlo così com’è perché, ne sono sicura, non sarei mai riuscita a esserne soddisfatta. Infatti, non so se noterete, è molto più breve dei miei soliti capitoli, non avevo granché ispirazione.
Avviso sin da ora che di sicuro il prossimo lunedì non potrò aggiornare, perché il giorno dopo ho un esame, e proprio a causa della sessione non so se sarò in grado di aggiornare in questo mese, in caso se ne riparlerà a febbraio. Comunque sia, vi comunico che (in teoria) escluso questo mancano soltanto quattro capitoli alla fine, quindi spero che possiate goderveli!
Detto questo vi lascio alla lettura, sperando che ci sia ancora qualcuno che legga questa storia con piacere, augurandovi anche un buon anno (seppur in ritardo)!
Un abbraccio,
 

~Sapphire_
 
 
 
~La fisica dell’attrazione
 
 
 
 
 
Capitolo ventitré
~
Di semi-normalità e problemi in vista
 
 
 
Mai Amelia avrebbe pensato di provare un sentimento così ambivalente nei confronti della scuola.
Generalmente, non adorava andarci – non che ci sia la necessità di una spiegazione per questo, difficilmente uno studente è elettrizzato all’idea di rinchiudersi in quel covo di matti – ma non era neanche così schifata all’idea di ritrovarsi lì. Insomma, aveva l’idea tipica di qualsiasi studente, bene o male.
Da circa un paio di settimane però – anzi, per essere più precisi da quel giorno – essere a scuola era allo stesso tempo terribile croce e fantastica delizia per lei.
Anche in questo caso non c’è bisogno di spiegazioni, ma ovviamente tutto era a causa del caro professor Angelis.
Averlo così vicino, poterlo vedere praticamente tutti i giorni la faceva sospirare in un modo tale che si sentiva parecchio patetica, ma il non poterlo toccare, scherzare con lui e baciarlo, beh… Quello era un serio tormento.
E mentre in quel momento entrava nell’aula, la borsa di pelle in una mano e la giacca nell’altra, era inevitabile perdersi a fissarlo con aria adorante.
«Ti cola la bava.»
Eccolo, il caro Daniele, sempre pronto a risvegliarla dai propri sogni ad occhi aperti.
Si girò seccata verso di lui e lo trovò che la fissava canzonatorio, un sorrisetto divertito dipinto sul volto e le braccia incrociate.
«Non è vero.» si limitò a rispondere arrossendo – perché sapeva che l’amico aveva ragione, anche se non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente.
«Sì che è vero. Lo guardi come se non vedessi l’ora di strappargli i vestiti di dosso.» continuò imperterrito il riccio, per poi sorridere beffardo e chinarsi verso l’amica, evitando così che qualcuno potesse sentire «Anche se so che stai facendo il conto alla rovescia per questo pomeriggio.»
Inutile dire che la mora saltò sulla sedia come un petardo, facendo strisciare la sedia e attirando le occhiate di qualche compagno di classe che correva a posto.
«Idiota! Qualcuno potrebbe sentirti!» sibilò immediatamente, rossa come il fuoco. Daniele se la rideva alla grande, nel frattempo, perfettamente conscio di non aver alzato la voce ma godendosi l’ansia dell’amica – il solito bastardo, insomma.
La mora si affrettò poi a riprendere una posizione composta, il volto ancora arrossato e l’ansia che pian piano la abbandonava – e in quel momento osò azzardare uno sguardo verso Alessandro.
Era lì, alla cattedra, ancora in piedi ma con la borsa poggiata sul piano, e la guardava – uno sguardo leggermente perplesso dalla scenetta che aveva di sicuro visto senza cogliere il significato. O forse quello era stato compreso, dato che la mora lo vide alzare leggermente gli occhi al cielo con una finta aria esasperata, per poi trattenere un sorriso e finire per sedersi.
«Buongiorno ragazzi.»
La voce del prof si sollevò tra gli studenti in maniera pacata – un tono su cui gli studenti si adagiavano da un po’ di tempo senza comprendere il motivo di quella strana calma del professore, di solito più duro, ma non che importasse davvero a qualcuno.
«Iniziamo la lezione.»
E così dicendo, Amelia si preparò ad ascoltare tutta la lezione sempre in quel dolce tormento che era diventato ormai la forma più piacevole di sofferenza.
 
Non mi abituerò mai.
Era il solito pensiero che Amelia faceva appena prima di suonare il campanello della casa di Alessandro. Istintivamente arrossì per l’ennesima volta durante quella giornata – in quel periodo prendeva fuoco troppo spesso, cavolo! – e iniziò a torturarsi le dita delle mani tra di loro mentre aspettava.
Stranamente, attese più del solito ma alla fine la porta si aprì, rivelando un Alessandro con un’aria assonnata e in tuta – una visione, in pratica, tanto che Amelia dovette fare appello a tutta la propria sanità mentale per non saltargli addosso. Com’era possibile che fosse così bello anche quando si era palesemente appena svegliato da un pisolino?
«Ehi, non sapevo stessi dormendo.» le venne spontaneo dire.
Alessandro la osservò e sbuffò a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi sono solo addormentato per sbaglio, ti ho detto io di venire qui a quest’ora.» la riprese bonariamente l’uomo, per poi spostarsi per farla passare.
Amelia entrò con i soliti passi cauti che faceva appena arrivata lì – no, non si sarebbe mai abituata – e subito il caldo la invase facendola quasi sudare. Non capiva il motivo, ma Alessandro aveva la strana abitudine di tenere perennemente il riscaldamento acceso per poter stare a maniche corte, com’era anche in quel momento.
Non che la cosa mi dispiaccia davvero , pensò deliziata Amelia, godendosi la vista dell’uomo che subito si accorse di essere fissato – e, ovviamente, fece un ghigno divertito.
«Così mi consumi.» bofonchiò sarcastico.
«Sei così delicato?» rispose a tono Amelia, senza minimamente negare il fatto che lo stesse fissando.
«Credo che sia tu quella più delicata.» replicò a sua volta l’uomo.
Parole sarcastiche e toni divertiti coincidevano con i passi che facevano l’uno verso l’altro, prima di incontrarsi a metà strada – e a quel punto Amelia, con la porta chiusa e consapevole che nessuno li potesse vedere, si permise di allacciargli le braccia attorno al collo e sporgersi sulle punte.
Mentre Alessandro si chinava su di lei per seguirla nel bacio, sentì le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi ancora fasciati dalla giacca da inizio primavera e, come al solito, finirono fondamentalmente uno addosso all’altro, le mani che vagavano tra capelli, fianchi e altre porzioni di corpo.
Alessandro fu il primo a staccarsi – era sempre lui quello morigerato e che riprendeva il controllo, Amelia a volte si chiedeva se avesse paura di farle del male.
«Non volevamo andare a fare un giro?» soffiò a pochi centimetri dal suo viso, il moro. Amelia sorrise innocente.
«Abbiamo tutto il pomeriggio per uscire. Tanto mia mamma crede che io sia a casa di Nicole.» la risposta della ragazza fu rapida e sempre pronunciata con un tono innocente, ma di certo non si aspettava quell’occhiata di desolazione che vide poi nello sguardo dell’altro.
«Tutto bene?»
«Serena mi ucciderà.» borbottò di risposta il giovane. Amelia lo fissò spiazzata – non era ancora abituata a vederlo con quell’aria preoccupata o depressa - o meglio, non ancora abituata a vederlo con espressioni più umane - ma poi cercò di tranquillizzarlo.
«Dai, non lo scoprirà di certo, siamo stati sempre attenti finora.»
E, in effetti, l’ansia iniziale li aveva resi quasi paranoici, tanto che inizialmente a scuola non si guardavano nemmeno, mentre con il passare di qualche tempo erano diventati più temerari e si permettevano anche un bacio, se erano sicuri che non ci fosse nessuno a vederli.
«Infatti, mi riferisco a quando glielo diremo. Sarà tremendo. I miei mi diserederanno.» continuò depresso, finendo per avvicinarla più a sé e affondare il viso nei riccioli scuri e permise così ad Amelia di accarezzargli a sua volta i capelli – non sembrava minimamente l’Alessandro che aveva conosciuto all’inizio, da quando stavano insieme aveva dato spazio anche ad altri lati del suo carattere: più attento, più dolce, più premuroso e, in certi casi, anche più infantile.
Amelia non riuscì a trattenere del tutto una risata, che finì per essere uno sbuffo mal trattenuto e Alessandro finì per alzarsi a squadrarla con aria offesa.
«Stai ridendo di me?»
«Io? Non potrei mai.»
E mentre Alessandro capiva di star venendo preso in giro alla grande, Amelia capiva invece che era meglio iniziare a correre, perché l’occhiata del moro non presagiva nulla di buono.
Infatti, dopo poco, finirono nudi sul letto a rotolarsi e ad afferrarsi in maniera dapprima giocosa, poi sempre più vorace sino a finire uno tra le braccia dell’altro, sotto le coperte che li riscaldavano.
«Avevamo detto che saremmo usciti.»
La voce divertita di Alessandro fece aprire un occhio all’assopita Amelia, stretta tra il giovane e le coperte mentre la stanchezza la spingeva sempre di più nel sonno.
«Non era urgente, era solo per fare un giro.» borbottò la ragazza «E poi, meno ci facciamo vedere in giro meglio è in teoria, no? Evitiamo il rischio di venire beccati.» aggiunse.
Un sospiro, forse seccato, e poi la ragazza fu costretta a spostarsi mentre sentiva il moro scostare le coperte e dirigersi verso il bagno; lei aprì totalmente gli occhi e si perse a fissare i raggi di sole che filtravano dalle tapparelle non abbassate del tutto.
Inevitabilmente, anche lei finì per sospirare – non era passato nemmeno un mese e tutta quella storia si faceva già stressante. È vero, era il periodo più bello di tutta la sua vita, averlo a fianco era qualcosa che mai credeva si potesse avverare, eppure l’ansia era sempre lì, sopita nella sua testa, facendola preoccupare di ogni singola cosa. L’unico momento in cui essa scompariva era quando si stringeva a lui.
«Sono solo le sei e mezza, possiamo comunque andare a fare un giro.»
Amelia parlò mentre si sollevava sul letto, finendo per osservare dalla porta aperta il giovane che aveva aperto l’acqua per la doccia – non era particolarmente pudico, lui.
O magari no, le venne da pensare mentre i suoi occhi scivolavano sul corpo nudo dell’altro.
Il moro non ci mise molto a notare come veniva osservato – sorrise divertito, a quel punto.
«Prima però potresti venire in doccia con me, no?»
E chi se lo fa ripetere.
 
 

Non avevano fatto granché quel pomeriggio: erano entrambi stanchi, tra scuola e attività fisica il pomeriggio, sia Amelia che Alessandro avevano considerato a posteriori che rimanere a casa, distesi sul divano, a mangiare e guardare canali trash in tv – il moro aveva ammesso solo dopo varie torture che ogni tanto gli capitava di guardare quei programmi, “per staccare la testa” diceva – sarebbe forse stata un’idea migliore.
In quel momento si trovavano su un parco in una zona limitrofa della città, sempre per evitare che qualcuno potesse vederli, e Amelia si dondolava su un’altalena concentrata prevalentemente sul gelato al pistacchio che Alessandro le aveva comprato come se fosse stata una bambina di cinque anni; ovviamente però non aveva protestato, al gelato non si dice mai di no.
Dopo qualche minuto di silenzio, la mora alzò lo sguardo e vide Alessandro che la fissava con un mezzo sorriso sulle labbra.
«Che hai da ridere?» borbottò.
«Sei sporca di gelato.» le rivelò subito il moro, per poi scoppiare a ridere «Non sai nemmeno mangiare un gelato!»
Nel giro di un secondo la ragazza divenne rossa.
«Senti chi parla, secondo me non l’hai preso solo perché ti sbrodoli mentre mangi.» lo rintuzzò alla stregua di una dodicenne indispettita. Vide l’altro alzare gli occhi al cielo.
«No, tesoro, so come si mangia un gelato a differenza tua.»
«Ah-ah, suppongo da dove venga tutta questa esperienza…» frecciò sarcastica la mora, per poi godersi l’espressione attonita di Alessandro che di certo non si aspettava quella frase.
Alla fine, però si arrese, scuotendo la testa con fare desolato.
«Sei tremenda.»
Amelia scoppiò a ridere – ma subito dopo la risata si spense, mentre la sua testa si affaccendava su pensieri che la turbavano da un po’.
Dovrei parlargliene, nella sua testa questa frase aleggiava sospesa e nel silenzio terminò di mangiare il gelato facendo più attenzione non a sporcarsi. Poi decise di lanciare la bomba – in maniera indiretta, certo, ma di farlo.
«Mi mancheranno questi pomeriggi tranquilli quando sarò a Milano.»
Fu uno strano momento di stasi: Amelia tenne gli occhi giù, verso gli steli d’erba che ondeggiavano al leggero vento primaverile che però si faceva sempre più fresco a quell’ora della sera; sollevò di un poco lo sguardo, non osservando ancora apertamente l’altro, e finì per osservare le ombre proiettate sul prato dagli altri giochi presenti.
«Cosa intendi?»
La voce dell’altro era ritornata come quelle prime volte che si parlavano: fredda e misurata.
Amelia però non fuggì come faceva all’inizio: sollevò lo sguardo cercando di essere più naturale possibile e osservò l’altro che la fissava in piedi, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo di nuovo acciaio.
La mora rabbrividì – era da un po’ che non si sentiva perforare da quello sguardo. Aveva smesso di guardarla in quel modo da un po’ di tempo.
«Non guardarmi così.» disse a bassa voce prima ancora di rispondere alla domanda.
L’altro a quelle parole cambiò immediatamente luce nei propri occhi, finendo per sciogliere quel metallo che era diventato così rapidamente freddo.
«Non mi hai risposto però.»
Amelia sospirò – quel periodo sospirava troppo, in effetti.
«È da un po’ che sto pensando all’università… A quale corso iscrivermi, in che città andare, cose del genere. Tra le varie ipotesi quella che mi ispira di più è Milano, per ora.» spiegò molto semplicemente.
Altro silenzio, che da un lato era diventato inusuale tra di loro ormai, e la ragazza osservò il giovane che faceva qualche passo come se non riuscisse a stare fermo.
«So che non è esattamente dietro l’angolo, Ale, ma non voglio rinunciare alle mie scelte per il futuro per…» si interruppe, rendendosi conto troppo tardi di quello che stava per dire.
«“Per me”.» terminò al suo posto il giovane, ma Amelia notò chiaramente che non c’era alcun’acredine nella sua voce: era pacato, rilassato. Le sorrise.
«Tranquilla, non me la prenderò per questo. Non posso. Anzi, credo che mi arrabbierei di più se rimanessi qui soltanto per me, sarebbe infantile e sciocco e so che non sei né l’uno né l’altro.» disse avvicinandosi a lei e sistemandole una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Amelia sentì gli occhi inumidirsi ma si affrettò a farli tornare normali.
«Sì, solo non pensare che non ne vada la pena, ecco, intendevo solo…»
«Intendevi che hai diciannove anni, un sacco di scelte da fare, una vita che ti aspetta ed è normale non voler stare qui.» finì per lei l’uomo. Amelia sbuffò e lo spinse giocosa.
«Se continui a parlare così finirai per sembrare un sessantenne, altro che trent’anni.»
Il moro le lanciò un’occhiata infastidita.
«Sono ventisette, quando te lo metterai in testa?»
Amelia lo tirò a sé fino ad averlo a un centimetro dal naso.
«Quando vorrò smetterla di prenderti in giro.»
E scoccò l’ennesimo bacio, i pensieri cupi sul futuro destinati a un altro momento.
 
 

«Vuoi che rimanga qui a farti compagnia?»
Amelia fece gli ultimi tiri di sigaretta prima di buttarla via e rispondere a Nicole che la fissava in attesa.
«Non preoccuparti, sarà qui fra poco.» rispose la mora con un sorriso.
Nicole si guardò intorno.
«Ma non mi va di farti aspettare da sola.»
«Non mi mangia nessuno, che credi.»
«Che ne sai, non voglio averti sulla coscienza.»
Amelia le lanciò una finta occhiata ammonitrice prima che l’amica assumesse un’aria quasi seccata e, un secondo dopo, un braccio le si appoggiasse sulle spalle.
«Scusa il ritardo, tesoro.»
Alessandro le scoccò un caldo bacio tra i capelli prima di sollevare lo sguardo e lanciare un sorriso alla castana, che lo fissava con una vaga aria bellicosa che ancora non voleva andarsene – ce l’aveva ancora con lui per la storia di Parigi.
«Ciao anche a te, Nicole.»
«Ciao.»
Un iceberg sarebbe stato meno freddo, considerò Amelia sollevano gli occhi al cielo con aria esasperata, ma non disse nulla e si girò sorridente verso l’uomo.
«Non preoccuparti, sono appena cinque minuti.»
«Cinque lunghi minuti. Un po’ di puntualità non guasterebbe, sai?» frecciò la castana.
Alessandro le lanciò un’occhiata.
«Oh, fidati, a te farei aspettare molto più di cinque minuti.» replicò sarcastico l’uomo.
Nicole sbuffò, ma si trattenne da un’altra risposta pungente – più per Amelia che per reale intenzione.
«Beh, Ame, io vado allora. Ci sentiamo più tardi.» la salutò la ragazza sporgendosi per dare due baci all’amica. La mora annuì.
«Certo, a più tardi.»
Amelia osservò l’amica incamminarsi lungo la strada, verso la fermata dell’autobus, per poi girarsi verso Alessandro e lo fissò con aria di rimprovero.
«Per quanto ancora le risponderai?» lo rimbrottò con una spintarella.
«Inizia sempre lei!»
La mora non riuscì a rimproverarlo: il tono infantile usato dall’uomo le tolse qualsiasi voglia di farlo – piuttosto, si spinse verso di lui per dargli un bacio a stampo.
«Beh, allora, vogliamo andare?» disse poi ancora a poca distanza dal viso dell’altro. Alessandro non rispose, piuttosto si limitò a darle un altro bacio e prenderla per mano, tirandola con sé verso la strada.
«Cos’è che dobbiamo fare oggi? Mi hai solo detto che ti serviva una mano ma non mi hai specificato per cosa.» chiese la mora guardandosi attorno con aria guardinga – un paio di secondi e lasciò andare la mano dell’uomo per poi lanciargli un sorriso di scuse.
Alessandro parve non reagire al gesto, si limitò a rispondere.
«A fine mese c’è il compleanno di mia madre – a proposito, so che ha intenzione di fare un invito in casa e mi è sembrato di capire che volesse invitare anche i tuoi; comunque, mi servirebbe un aiuto per il regalo, lo sai che sono negato in queste cose.» concluse con una smorfia infastidita.
Amelia scoppiò a ridere mentre un ricordo non troppo recente le ritornava in mente.
Alessandro la guardò confuso e la ragazza si affrettò a spiegare.
«Dai, non dirmi che non ti ricordi di quel giorno al centro commerciale, prima di Natale.» lo rimbrottò ironica. Il moro parve illuminarsi.
«Beh, dimenticarlo sarebbe difficile. Il giorno pensavo davvero che mi stessi perseguitando.»
«Scusa? Ma se eri tu quello che compariva sempre dove ero io.»
«Seh, ammettilo che mi seguivi.»
Continuarono a battibeccare tra toni sarcastici e talvolta non troppo ironici fino a che lo sguardo di Amelia non venne attirato da una gioielleria.
«Proviamo qui? Mi sembra che a tua madre piacciano questo genere di cose.»
Alessandro scrollò le spalle.
«A quale donna non piacciono?» chiese retorico prima di indirizzarsi con la giovane verso l’entrata.
Come potrei dargli torto?, pensò la mora, ma lo tenne per sé e lo seguì all’interno, preparandosi ad entrare nei meandri della mente di Margherita per scegliere il regalo perfetto.
 
 
 
«Ehi, ma quello non è Angelis?»
«Dove? …oh, hai ragione. Ma aspetta, con lui non c’è anche Moretti?»
«Chi?»
«Quella in classe con Davide, dai!»
«Ah, sì! …ma che ci fanno insieme?»
 
  
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