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Autore: AnneSt_    07/01/2019    3 recensioni
Tratto dal prologo e dai capitoli successivi:
"Il mio nome è Isabella Swan, un nome come tanti, un viso e una corporatura comune, il classico tipo che non noteresti mai in un corridoio scolastico brulicante di adolescenti. Peccato che questo sia tecnicamente impossibile, perché io a scuola non ci ho mai messo piede e non lo farò per tutta la mia vita"
[...]
"L'hai scritta tu?" chiedo timidamente, cercando di nascondere il mio turbamento.
"Sì, l'ho intitolata Moon Child" mi risponde lui puntandomi quelle pozze dorate negli occhi, dritte nella mia anima. Incapace di trattenermi, mi getto su di lui cercando le sue labbra.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Salve a tutti. Il prologo è breve, ma i capitoli successivi saranno più lunghi. Spero sinceramente che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate!


Il mio nome è Isabella Swan, un nome come tanti, un viso e una corporatura comune, il classico tipo che non noteresti mai in un corridoio scolastico brulicante di adolescenti. Peccato che questo sia tecnicamente impossibile, perché io a scuola non ci ho mai messo piede e non lo farò per tutta la mia vita… l’ho vista, questo è certo, in una delle mie lunghe e solitarie passeggiate notturne mi sono soffermata così tante volte di fronte a quel cartellone “Forks Highschool” persa nei miei sogni ad occhi aperti. Ma poi ho sempre proseguito, tornando a casa prima che i primi raggi del sole potessero tagliare la coltre di nubi che aleggia perennemente su Forks… e prima che possano uccidermi naturalmente…ebbene sì, avete letto bene tranquilli. Soffro di Xeroderma Pigmentoso (Xp per gli amici pigri), una sorta di “allergia al sole”, se la mia pelle dovesse mai entrare in contatto con i raggi U.V. questi mi provocherebbero dei carcinomi maligni e il mio destino sarebbe segnato. Un caso ogni 250 mila persone, non male eh? Ci chiamano i bambini della luna, per via della vita notturna che ci accomuna e a cui siamo costretti. Mi è stata scoperta che ero una bambina, per cui mia madre Renée ha deciso che sarebbe stato il caso che io vivessi nella città più piovosa d’America con mio padre Charlie, mentre lei si trastullava con il suo nuovo marito a Phoenix la città più soleggiatad’America. Non fraintendetemi, le voglio un bene dell’anima, ma a volte mi chiedo quanto immatura possa essere una donna della sua età per aver messo al mondo una figlia, malata, per poi scaricarla al padre e dimenticarsene. Ma vabbè la vita continua e la routine prosegue sempre identica a se stessa… la mattina dormo fino a tardi, mi sveglio e faccio colazione, svolgo i compiti assegnatimi dal mio docente privato prima che lui arrivi, quando finiamo ceno velocemente con mio padre (unico vero e proprio momento della giornata in cui siamo assieme) per poi catapultarmi nel vialetto di casa e farci ritorno poco prima dell’alba. Anche oggi nulla è diverso dal solito, io e Charlie mangiamo in religioso silenzio le nostre lasagne, odiamo entrambi le chiacchiere inutili, ci apprezziamo a vicenda per questo e non c’è bisogno di dirlo. “Domani sera verrà a trovarci il Dottor Cullen, si è trasferito con la sua famiglia da pochi giorni in città, ma si è subito appassionato al tuo caso e vorrebbe incontrarti” dice lui improvvisamente. Storco un po’ il naso alla parola “caso” e alzo le spalle indifferente, non è la prima volta che qualche saccente medico si interessava a me e sicuramente non sarebbe stata l’ultima. Finisco il mio piatto continuando a rimanere in silenzio, per poi alzarmi e prendere velocemente la mia giacca e finalmente sono fuori. Respiro profondamente. Una. Due volte. Lo faccio sempre, come un galeotto che fugge di prigione dopo anni passati al buio. La strada è deserta, solo la luna mi saluta quando finalmente esco dalla veranda. Sta sera cambio rotta, è sabato, sarà pieno di ragazzi in centro e io non voglio incontrare nessuno, molti mi conoscono ma pochi si sono avvicinati, per gli altri rimango “la figlia malata del Capo Swan”. Credo che siano convinti perfino che sia contagiosa. Idioti. Mi inoltro nella foresta canticchiando, è una serata perfetta per andarci, il cielo è limpido ed il vento si è calmato, gli alberi di sera mi tranquillizzano, i loro rami al buio sembrano quasi delle braccia che si dimenano a darmi il loro caloroso bentornata. Mi muovo abbastanza sicura, anche se non si vede granché, la mia vista si è acuita negli anni e si abitua facilmente alla mancanza di luce. Arrivo vicino ad un vecchio tronco, reciso anni fa, e mi ci siedo su, incrocio le gambe al petto e chiudo gli occhi per qualche istante. Ed è in quel momento che lo sento. Un fruscio fra le fronde ed il forte odore acre del sangue. Stringo gli occhi, ma il mio cuore perde di un battito, mentre cerco di rimanere quanto più in silenzio mi sia possibile, per rimanere in ascolto. Nulla. Me lo sarò sognata, un fruscio in un bosco in piena notte, devo essere impazzita per essermi veramente spaventata così eccessivamente e l’odore del sangue sarà di un qualche animale ferito. Sto per rialzarmi, quando lo risento…un sospiro… vicino, troppo vicino…spalanco gli occhi in direzione del rumore e la vedo, una sagoma buia tra i rami, sembra essere stato preso in contropiede, fa un passo nella mia direzione ma qualcosa lo blocca…un ululato, in lontananza forte e chiaro e…sparisce,sparisce letteralmente dalla mia vista, creando solo un leggero turbinio di foglie e sangue a segnalare la sua spaventosamente rapida fuga. Rimango gelata per qualche secondo e poi mi do alla fuga, correndo con tutto il fiato che ho in gola fino a casa, attraverso l’entrata di volata e mi butto direttamente sul letto a peso morto, con i polmoni in fiamme e i polpacci dolenti. Il cuore mi tamburella nelle orecchie, intenzionato a non calmarsi, mi ci vuole uno sforzo immane per riprendere il controllo del mio corpo e smetterla di tremare terrorizzata. Cerco in tutti i modi di darmi una spiegazione razionale a quello che è appena accaduto, ma oltre che ad ipotizzare che inizi a soffrire anche di allucinazioni, devo ammettere a me stessa che qualunque cosa fosse quella che avevo appena incrociato, non era umana.
 
   
 
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