Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    07/01/2019    0 recensioni
Questa fanfic va inserita subito dopo la nostra "Namida no rhapsody". Gli eventi descrivono il nostro modo di interpretare l'apparente distanza che si è instaurata tra i cinque ragazzi all'inizio del terzo OAV.
Il titolo della fanfic significa "La fine prima della fine"
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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Owari no mae ni owari
 
 
 
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
È il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
È la vostra mensa e il vostro focolare.
Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.
Gibran
 
 
 
PROLOGO
 
 
 
Era nata l'alba e la rugiada fresca colorava i campi riverberando di tenui rosa e azzurri: le fronde alte degli alberi più scuri erano cullate da una dolce brezza, a terra si avvertiva già il lento incedere dell'autunno. Le mattine erano sempre più frizzanti, il cielo più limpido e i contorni delle montagne, in contrasto con i colori cangianti dell'atmosfera, parevano disegnati con la minuziosità di un miniaturista.
Il capo corvino si alzò verso l'alto, una nuvoletta leggera di respiro si disperse nel nulla, poi un respiro e lo scrollare del capo.
Era l'inizio di una giornata memorabile, quella in cui la natura della sua Yamanashi si apriva nel più bello e maestoso spettacolo della vita e il cuore del mondo pareva essere un tutt'uno con il suo. 
Ma...
“Dobbiamo vederci. L'abbiamo detto... è una promessa”.
Lo sguardo blu di Ryo si spostò alle proprie spalle, alla ricerca della figura che rendeva quel quadro perfetto: non sarebbe più stato lo stesso senza di lui.
“Byakuen!”.
Il giorno prima non l'aveva visto... succedeva spesso... troppo spesso.
In un certo senso la tigre si stava comportando come i primi tempi del loro rapporto, quando compariva sporadicamente, per restare a fargli compagnia, per colmare un poco la sua solitudine di bambino senza madre e con un padre assente... e poi scompariva di nuovo.
“Perché stai facendo di nuovo così?”.
Lo chiese a bassa voce, sperando che il pensiero arrivasse al suo amico felino che ancora non compariva.
Poi lo vide, inconfondibile, figura candida e maestosa che si stagliava su un'altura, la coda che disegnava cerchi sinuosi nell'aria e lo fissava.
Ryo si sentì inspiegabilmente a disagio: c'era qualcosa di diverso, quasi Byakuen fosse diventato più sfuggente, inconsistente...
Perché gli venne in mente quella parola?
Un brivido gli corse lungo la schiena...
Un bianco fantasma dei monti... uno spirito a tutti gli effetti.
Colto da un'improvvisa paura si mise a correre, con una sorta di urgenza, verso di lui, la sua voce si fece più acuta mentre lo chiamava:
“BYAKUEN!”.
 
La tigre fermò i propri movimenti, puntò lo sguardo sul ragazzo e sospirò: ogni volta che lo guardava notava sempre qualche nuovo cambiamento. Stava crescendo, certo, ma gli dava spesso l'idea di essere un piccolo fuoco fatuo sul punto di spegnersi: non c'era niente di inevitabile nella vita.
La stessa tigre non credeva nel destino, ma sapeva solo che quando la vita donava qualcosa di prezioso non era il destino a togliertela, ma la paura. Era la paura, ancora peggiore della morte, a gettare tutto nell'oblio, perché non era il caso, ma la volontà ad operare: e la volontà era una katana priva di pietà.
Si lasciò avvicinare, lasciò che il ragazzo gli accarezzasse il capo e si beò, come sempre, di quelle carezze: lo amava, così tanto che faceva male vedere quell'ombra tremolante sulle iridi. E non amava solo lui. C'erano persone, ora lontane, di cui percepiva, a volte solo a malapena, il battito: ciò che risultava semplice, finiva per divenire una matassa impossibile.
Ma lui sapeva.
Sapeva che nonostante il dolore, la distanza, la paura...
Sapeva che si amavano.
Ed i cuori che si amano non possono far altro che incontrarsi di nuovo. Non possono far altro che amarsi e amarsi ancora. E rimanere, infine, assieme.
E lo sapeva che, per giungere alla fine di quel viaggio, sapeva che si sarebbe dovuta percorrere una strada terribile. Terribile ma necessaria. Perchè la vita insegnava. Ma gli insegnamenti, quelli che giungevano al cuore, erano quelli che avevano affrontato il dolore. E solo dopo il dolore poteva giungere, di nuovo puro, l'amore.
 
Ryo si inginocchiò, prese tra le proprie mani il muso della tigre e strofinò il proprio viso contro il suo:
“Ci dobbiamo incontrare con i ragazzi, a casa di Shin... finalmente potrò vedere quell'appartamento che Seiji definisce troppo spazioso per lui e finalmente potrò rivedere lui... e tutti loro... e non per combattere. Tu credi che... rischieremmo qualcosa, Byakuen? Credi che lo possiamo fare, per una volta, senza che ci accada qualcosa? Senza che io debba vederli ancora soffrire... o crear loro problemi?”.
La sua sorpresa fu grande quando la tigre si divincolò con foga, costringendolo a sollevare lo sguardo per ritrovare il suo e lo scoprì forse severo... o triste?
“Lo so cosa stai pensando... che ho detto le mie solite scemenze... ma io...”.
Con un piccolo ringhio Byakuen gli diede le spalle, la coda che si agitava e, a passi leggiadri, cominciò a camminare.
Ryo tese una mano e gli corse dietro:
“Aspetta, non te ne andare! Tra poco mi chiamerà Seiji per confermarmi quando ci incontreremo, dovremo partire domani e...”.
Si bloccò all'improvviso, una consapevolezza che lo aggredì come una pugnalata, il suo braccio ricadde, mesto:
“Byakuen, hai deciso... che non ci sarai?”.
 
La tigre non si volse al ragazzo, si sentiva triste. Aveva fiducia in lui, in loro. Ma non riusciva a levarsi di dosso un po' di quella tristezza.
Forse era naturale, come l'evolversi delle cose. Avrebbe dovuto pazientare, semplicemente.
Da quando in qua non sopportava più la solitudine? Era stato solo per molti anni, ma... ma ora era diverso.
Volse un'ultima volta lo sguardo a Ryo e cercò di non mostrare durezza, ma nemmeno tristezza: lo guardò con l'aria di chi attende, di chi aspetta di scegliere la strada da intraprendere. Perchè lui l'avrebbe aspettato, avrebbe atteso ognuno di loro, per sempre.
 
Gli corse dietro, non voleva crederci, perché Byakuen si comportava così?
Ancora seguiva le sue tracce quando si inoltrò nel folto degli alberi ma, dopo pochi passi nel fitto della vegetazione, non ne percepì più neanche la presenza.
Si appoggiò con la schiena alla corteccia di un albero e dietro essa nascose le mani, gli occhi sgranati; si arrese, perché lo sapeva benissimo che era inutile cercarlo ancora e anche chiamarlo, per quel giorno Byakuen non sarebbe tornato. Si staccò dall'albero e portò al viso una mano, le dita impregnate di resina.
Non doveva piangere, Byakuen non avrebbe voluto che piangesse e non voleva certo farsi vedere così dai ragazzi. Li avrebbe rivisti, doveva aggrapparsi a quel pensiero, con loro sarebbe andato tutto bene e, al suo ritorno, avrebbe trovato Byakuen ad aspettarlo.
Si ripeteva tra sé tutto questo, come una rassicurante litania cui aggrapparsi, ma perché più lo faceva e meno si sentiva meglio? Perché aveva paura?
A capo chino e passo mesto si riavviò verso casa: Seiji avrebbe chiamato tra poco e doveva farsi trovare e il giorno dopo, finalmente...
Strinse le labbra e le palpebre: una lacrima, quell'unica lacrima, proprio non riuscì a trattenerla.
 
***
 
Squillò il telefono e, nel silenzio quasi irreale della casa, sembrò un rumore incredibile, quasi assordante. Così poco da Seiji, a ben vedere.
Quando alzò la cornetta, Ryo chiuse gli occhi e prese il respiro, cercando di mantenere un tono almeno tranquillo, almeno sereno. Seiji non era Shin quando si trattava di sentimenti. A volte era peggio. Aveva un sesto senso che poteva attraversare addirittura i fili del telefono.
Non era quindi sua intenzione mettere una pulce nell'orecchio dell'amico e nemmeno dargli modo di indagare, poi, quando si sarebbero rivisti. Avevano altro cui pensare.
“Pronto?”.
“Famiglia Sanada? Sono Date, Seiji Date, è in casa Ryo Sanada-san?”.
Le labbra di Ryo si sporsero, sfuggì loro uno sbuffo, traccia di una risatina trattenuta: grazie Seiji che riusciva ancora a farlo ridere:
“Lo fai apposta o davvero non sai ancora riconoscere la mia voce al telefono, Seiji?”.
“Ryo?”.
“Seijiiiii, avanti, chi vuoi che sia?”.
“Buonasera...”.
“Buonasera... ora vorresti abbandonare la parlata formale da ragazzo-educato-al-telefono e parlarmi come se fossimo l'uno di fronte all'altro, per favore?”.
Seguì qualche istante di silenzio nel corso del quale, evidentemente, Seiji si perse a riflettere sul significato recondito dell'invito di Ryo, poi finalmente la sua voce si rifece udire, un po' più gioviale:
“Allora, sei pronto per domani?”.
Ryo deglutì, il pensiero non poté fare a meno di tornare per un attimo a Byakuen, ma fece violenza su se stesso e si sforzò di sembrare sereno nel rispondere:
“Non vedo l'ora!”.
“Shin ci aspetta per l'ora di pranzo”.
Shin...
Al solo udire il suo nome il cuore nel petto fece una capriola.
Era successo ancora: da quando si erano lasciati, l'ultima volta, a Sendai, non si erano più sentiti e Seiji continuava ad assumere il ruolo di collante per tutti loro. Ryo non sapeva spiegarsi perché si stessero comportando così, lui stesso in primo luogo.
“Ci sarò”.
Era uscito un sussurro, più dimesso di quanto avrebbe voluto.
“Ryo... va tutto bene?”.
Si morse il labbro inferiore, quel demonio di un Seiji.
“Certo! Sono solo emozionato!”.
Silenzio e Ryo temette l'approssimarsi di un nuovo attacco. Invece Seiji si limitò all'ultimo saluto:
“A domani allora, abbi cura di te nel frattempo”.
Riecco la solita frase formale di commiato, neanche avessero dovuto vedersi tra mesi.
“Certo” sorrise, “ciao, Seiji”.
Posata la cornetta del telefono sospirò, aggrappandosi al mobiletto su cui era posato l'apparecchio: doveva essere forte e sorridere, mostrarsi solare e pensare che andava tutto bene. Non voleva certo portare quel senso di strano malessere nel gruppo, non voleva essere catalizzatore di brutti pensieri.
Non c'era nulla che non andasse bene.
Anche se non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che niente sarebbe più stato lo stesso.
E allora cosa andava bene?
  
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