Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: StarCrossedAyu    08/01/2019    2 recensioni
«Voglio fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi.»
- Pablo Neruda -

A volte l'amore nasce nei luoghi più improbabili e sboccia, nutrito come un bocciolo, nei cuori più gelidi.
Capita che le circostanze siano avverse e, al pari di un fiore, facciano appassire quel sentimento, intriso di rammarico e tristezza.
Ma la vita è un circolo incessante di morte e poi rinascita, dove tutto ha il suo posto, ed anche Eren e Levi troveranno il proprio, circondati da una pioggia di petali dal dolce profumo dell'attesa e della speranza.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sakura Drops

 

 

 

 

 

Fissava il monitor da ore, gli occhi stanchi e affaticati al di sotto delle lenti da lettura, digitando le correzioni da apportare ai documenti.

Levi Ackerman era un impiegato come tanti, dalla vita monotona e una routine che rendeva ogni giorno uguale al precedente. L'uomo ad ogni modo non se ne lamentava, anzi: trovava confortante sapere che avrebbe preso il treno al solito orario, giungendo in ufficio alle otto in punto e lavorato con costanza alle stesse scartoffie di sempre fino alla pausa pranzo.

Allo scoccare delle 12:30 mise il pc in standby, si alzò dalla sua postazione raccogliendo il proprio soprabito e il cestino del bento, lasciando il luogo di lavoro per dirigersi al parco. Era una bella giornata, l'aria fresca gli giungeva alle narici portando con sé i profumi della primavera in arrivo e, nonostante la sua indole pratica e poco propensa ai sentimentalismi, sentí un brivido di aspettativa percorrerlo da capo a piedi al pensiero che a breve sarebbe sopraggiunto il suo periodo preferito - se non l'unico che tollerasse - dell'anno.

L'hanami era alle porte, le stazioni meteo prevedevano l'inizio della fioritura di lì a pochi giorni e i boccioli dalle tinte rosate avrebbero invaso Ueno.

Il corvino era un abitudinario per eccellenza e anche osservare i ciliegi rientrava tra quelle azioni che svolgeva con precisione quasi maniacale. Trovava affascinante il modo in cui quel fiore, dalla corolla delicata, si aprisse al mondo mostrando la fragile bellezza dovuta alla sua caducità. In un battito di ciglia avrebbe perso i piccoli petali, morbidi e vellutati, che come gocce di pioggia sarebbero caduti al suolo formando un tappeto dal colore pallido.

Una commovente poesia dalle fattezze proprie della natura.

Attraversato il parco, raggiunse la panchina dove soleva sedersi. Le restanti erano tutte occupate da una o più persone, ma quella preferita dall'impiegato era praticamente terra proibita per chiunque passasse di lì almeno una volta ogni tanto: il temerario che avesse avuto l'ardire di accomodarvisi sarebbe stato inesorabilmente cacciato in malo modo. E con poca grazia, anche.

Levi non era burbero, ma neanche esattamente gentile. Semplicemente, era poco avvezzo al contatto umano. Non sapeva ben interpretare le emozioni altrui e non gli interessava granché farlo. Preferiva la carta stampata alle interazioni coi suoi simili che non fossero essenziali.

E mentre si appropriava del suo personale angolo di paradiso, gli sembrò che un petalo solitario attraversasse l'aria per poi svanire nella quiete del posto.


🌸🌸🌸


Quel giorno era iniziato male, e se lo sciagurato che sedeva sulla sua panchina non si fosse alzato all'istante sarebbe finito anche peggio.

Levi, a un paio di metri di distanza, assottigliò lo sguardo glaciale trasudando fastidio da ogni poro disponibile nel tentativo di intimidire il castano che, naso all'insú, occupava la sua tacita proprietà. Valigetta alla mano e bento nell'altra, annullò con poche falcate lo spazio a dividerli, oscurando con la propria figura la luce che illuminava il volto caramello del giovane. Due iridi verdi come i prati estivi fissarono le proprie, e il corvino se possibile si sentí ancora più infastidito dall'evidente curiosità e sorpresa che vi lesse.

«Ohi.»

Lo sconosciuto, al suo tono acre e minaccioso però, non si mosse. Chiunque sarebbe fuggito immediatamente a gambe levate.

«Sí?»

Il moccioso evidentemente era duro di comprendonio, e Levi si costrinse a dar ulteriore fiato alla bocca per esplicare il concetto non verbale che aveva già chiaramente espresso.

«Alza il culo.»

Il castano non mutò espressione, né diede segno di aver recepito il messaggio. Forse i suoi neuroni lavoravano alla velocità di un bradipo.

«Perché? Aspetti qualcuno?»

Quella domanda lasciò l'uomo interdetto per un istante, facendogli inarcare un sopracciglio l'attimo dopo.

«No.»

«Oh, allora visto che non disturbo posso restare. È così bello qui: esposto a sufficienza da essere scaldati dal sole ma non troppo da esserne infastiditi; poco distante c'é una piccola fontana di acqua fresca ed è una zona poco rumorosa e frequentata; inoltre è pieno di ciliegi prossimi alla fioritura, è davvero meraviglioso!» esclamò il ragazzo, allegro.

Levi strinse i pugni, frustrato. Sapeva perfettamente quelle cose, perché aveva scelto quella panchina apposta.

«Tranquillo» proseguí il castano. «Prometto di non disturbarti e che resterò zitto e buono. Sei uno a cui piace riflettere?»

«No.»

«Forse allora ti piace la solitudine...? Non è una cosa triste? Stare soli, intendo. Io non ci riuscirei mai, finirei per impazzire...! Se in futuro il genere umano dovesse estinguersi ed io fossi il solo superstite darei di matto, tu -»

«Io gradisco solo il silenzio» lo interruppe l'uomo che nel frattempo, inspiegabilmente, si era seduto a debita distanza dal giovane logorroico. «Cristo, sono qui da neanche un minuto e ho già mal di testa...! Dacci un taglio.»

Con un risolino imbarazzato, il ragazzo si grattò la nuca costringendosi a tacere. Restarono così, ognuno assorto nei propri pensieri in un quadro eterogeneo dalle tinte tenui dell'hanami.

Era il primo giorno di fioritura dei ciliegi, e Levi consumò il suo pasto ammirando l'impercettibile schiudersi dei boccioli al ritmo di un respiro che affiancava il proprio.


🌸🌸🌸


«Ancora tu?!»

«Buongiorno anche a te!» rise il castano, facendogli spazio sulla panchina e accarezzandone il legno levigato per invitarlo a unirsi a lui.

Levi sbuffò, palesemente contrariato. Altro che "zitto e buono", il giorno prima era tornato in ufficio con una forte emicrania e si era visto costretto all'uso di un farmaco - cosa che detestava - per proseguire col proprio lavoro.

«Ascoltami bene, il parco è enorme: trovati un sasso, un albero, un solco nel terreno dove mettere radici e sloggia.»

Il ragazzo, con un sorriso di sfida invece, si sistemò meglio scivolando in avanti incrociando le gambe.

«Mi piace stare qui. È un luogo pubblico, non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte... A proposito, come ti chiami?»

«Porta rispetto, moccioso, ho almeno dieci anni più di te» commentò il corvino, estremamente seccato dall'interruzione della sua routine. Di quel passo, avrebbe trascorso i giorni dell'hanami ad ascoltare quello sciocco blaterare piuttosto che a godersi il meraviglioso spettacolo che la natura offriva da promemoria sul come, nonostante si raggiunga il limite massimo di gioia e splendore, tutto sia inevitabilmente destinato a finire.

«Si vede..! Insomma, volevo dire» si corresse velocemente all'occhiata assassina dell'uomo, «si nota dal tuo aspetto - non nel senso che sembri vecchio! - ma dal... tuo abbigliamento...?»

La nota interrogativa nella sua voce gli fece portare le dita a stringere il ponte del naso: sentiva già la testa iniziare a dolergli.

«... Non puoi semplicemente andartene?»

Il giovane intrecciò le dita, portando le mani unite dietro la nuca come fossero un guanciale a cui appoggiarsi, un sorrisetto strafottente dipinto sulle sue labbra piene. Stravaccato a quel modo, lo fissò intenzionato a non muovere un singolo muscolo.

Levi si arrese, almeno momentaneamente. Come il giorno precedente, si sedette all'estremità opposta della panchina posando la valigetta in pelle nera nello spazio che li separava e iniziando a disfare il nodo del furoshiki che avvolgeva il suo bento.

«Allora?»

«Allora cosa» fece spazientito il corvino.

«Qual é il tuo nome?»

«Non ti occorre saperlo.»

«Sei timido! Facciamo così, ti dico prima il mi-»

«Non mi interessa.»

«Eren Yeager. È un piacere conoscerti» disse il ragazzo, chinando lievemente il capo in segno di rispetto - finalmente. A quel punto Levi, che non era maleducato, si vide costretto a presentarsi.

«Levi Ackerman» le parole gli uscirono fuori quasi gliele stessero tirando con le tenaglie. «Vorrei poter dire altrettanto...»

La bocca di Eren si piegò in un caldo sorriso, le iridi smeraldine che brillavano sotto i raggi del sole di metà Marzo, abbagliandolo come se rilucessero di luce propria.

«Prenditi cura di me, Levi-san.»

I primi boccioli iniziarono a schiudersi.

 

🌸🌸🌸


«Sembra delizioso...!»

Eren guardava con l'acquolina in bocca il contenuto del cestino del pranzo di Levi. Era ormai il terzo giorno che l'uomo si trovava a trascorrere la pausa pranzo in compagnia del ragazzo, il quale si faceva puntualmente trovare sulla sua panchina preferita.

Il corvino non rispose, afferrando invece le bacchette e portandosi alle labbra un boccone di riso.

«Lo ha preparato tua moglie?» chiese il giovane, divorando con lo sguardo l'appetitosa pietanza.

«Non sono sposato.»

«La tua ragazza...?»

«Non sono fidanzato.»

«Allora la tua domestica?»

Levi alzò gli occhi al cielo, esasperato da quel terzo grado.

«Vivo da solo e cucino io. Contento?»

La bocca di Eren si schiuse in muta sorpresa. La preparazione del bento era una vera e propria arte, di cui generalmente si occupava la donna. Un uomo single si sarebbe limitato a comprarne uno da asporto a una delle tante bancarelle o, per evitare spese eccessive in cibo, avrebbe semplicemente cotto e condito la portata principale, ovvero il riso. Il pasto di Levi, invece, era un capolavoro di colori e odori, nutriente e ben bilanciato.

«Davvero? Sei bravissimo! Ti piace cucinare?»

Il corvino si prese il suo tempo per masticare un pezzetto di carne, prima di rispondere.

«No, ma visto che devo comunque farlo sarebbe tempo sprecato non dedicarvi la giusta attenzione.»

«Sembri molto saggio, Levi-san.»

«Sono solo pratico, ottimizzarlo è la cosa migliore.»

Restarono in silenzio alcuni minuti, ognuno assorto nei propri pensieri, quando l'impiegato realizzò che Eren non portava mai nulla da mangiare con sé.

«Arrivi qui sempre molto presto. Hai già mangiato?»

Il ragazzo aggrottò la fronte, passandosi il palmo sulla nuca.

«Io... credo di no.»

«Credi? Non te lo ricordi?» inarcò un sopracciglio l'altro. Eren scosse la testa, pensieroso.

«A dire il vero no. Ma non ho appetito, quindi non è un problema» gli disse come a volerlo rassicurare. «Non preoccuparti, davvero.»

«Non mi stavo affatto preoccupando. Non ti avrei offerto nulla comunque.»

Il giovane incrociò le braccia e gonfiò le guance, volgendo il viso arrossato dalla parte opposta in segno di profonda offesa.

«Antipatico...!»

Mentre chiudeva il contenitore ermetico ormai vuoto, avvolgendolo nuovamente nella stoffa, le labbra di Levi si curvarono lievemente in un sorriso accennato.

Il calore che filtrava attraverso i rami dei ciliegi in fiore scaldava i boccioli, invitandoli dolcemente ad aprirsi e mostrare la loro innegabile bellezza.


🌸🌸🌸


Era trascorsa un'intera settimana dal loro primo incontro.

Ogni giorno, alla medesima ora, Levi si recava ad Ueno per la pausa pranzo ed Eren era lì, sorridente, pronto ad accoglierlo. Il corvino non era mai stato uno di molte parole, né gli piaceva ascoltare gli altri: si annoiava nel sentirli sciorinare i fatti propri come dei venditori al mercato del pesce, e se possibile evitava qualunque contesto in cui fosse costretto a sorbirsi sequele di aneddoti di cui, per inciso, non gliene fregava un fico secco. Eppure, non gli dispiaceva ascoltare Eren.

Aveva scoperto che era uno studente di Scienze della comunicazione presso la Tōdai; aveva molti amici, tra cui un tipo di nome Armin e una certa Mikasa, la quale portava il suo stesso cognome e, a quanto pareva, lo stesso atteggiamento scostante - il moccioso gli aveva infatti chiesto se per caso fossero parenti; la madre era casalinga mentre il padre un medico, e aveva un fratellastro più grande che però viveva a Osaka; gli piaceva lo sport e scattare fotografie, amava l'estate e il profumo dell'oceano; collezionava conchiglie e film d'autore, leggeva manga e scriveva lettere a sua nonna perché le piaceva da morire l'odore della carta; era stato fidanzato ma non aveva mai avuto una relazione seria perché non aveva sentito il proprio cuore battere forte nel petto e la terra mancargli sotto ai piedi.

Levi non aveva mai posto alcuna domanda - il castano era un inarrestabile treno di chiacchiere - ma si era scoperto, di volta in volta, sempre più avido di informazioni: beveva le sue parole come fossero acqua fresca e si nutriva dei suoi luminosi sorrisi e del rossore che si propagava sulle sue gote ogni qualvolta lo stuzzicava o metteva in imbarazzo.

Senza che se ne rendesse conto Eren era divenuto una piacevole nuova abitudine che lo assorbiva come poche altre e, nel momento in cui sollevò distrattamente lo sguardo verso i ciliegi, i fiori erano già sbocciati. Avevano schiuso le loro braccia, esponendosi al mondo. Magnifici. Vulnerabili.

Anche Levi, in quel momento, si sentiva fragile. Non aveva mai provato il tepore che sentiva scaldargli il petto, né la voglia irrefrenabile di trattenersi il più possibile su quella panchina pur di beneficiare della compagnia del ragazzo un altro misero minuto, accantonando i propri doveri appannaggio del suo egoismo.

Specchiarsi negli occhi di Eren lo rendeva un po' più debole e forte allo stesso tempo, e non sapeva esattamente come gestire quella novità.

Restò ad ammirare le meraviglie che il parco di Ueno aveva da offrire, e una di queste era lì, accanto a lui, distante un battito di ciglia.

🌸🌸🌸

Eren vide l'uomo avvicinarsi col suo tipico passo elegante e misurato. Si accomodò al proprio fianco, la distanza a separarli che si era accorciata di giorno in giorno, tenendo tra le mani un fagotto insolitamente voluminoso rispetto a quello che portava di solito.

«Che cos'é?» gli chiese con curiosità, allungandosi impercettibilmente verso Levi che sentí il proprio respiro divenire irregolare. L'altro si schiarí la voce, aprendo al contempo il furoshiki e rivelando due contenitori per il bento.

«Ti ho preparato il pranzo.»

Gli occhi del ragazzo presero a brillare, eccitati.

«Davvero? Per me?»

Il corvino sollevò un coperchio, mostrando il contenuto: riso al curry saltato con verdure, salsa di soia e uova strapazzate, il tutto disposto perfettamente creando un piccolo dipinto tutto da gustare.

«Tch, l'ho fatto perché sono stufo di sentirmi osservato mentre mangio. È inquietante» rispose fintamente seccato da tanto entusiasmo, mentendo spudoratamente.

La verità era che lo preoccupava non vederlo mangiare, e soprattutto che non sentisse il senso della fame a quell'ora del giorno. Insomma, era uno studente e seguiva dei corsi, spendeva certamente energie fisiche e mentali che però non vedeva ripristinarsi con un pasto adeguato. Inoltre, i complimenti che Eren gli rivolgeva ogni volta che decantava la sua bravura ai fornelli lo avevano invogliato a fargli assaggiare la propria cucina: desiderava vedere il suo volto soddisfatto mentre mangiava ciò che gli aveva preparato. Sapeva di essere narcisista, ma decise di non darvi troppo peso.

Raccolse le bacchette, porgendole al ragazzo che già pregustava il sapore di ogni singolo boccone e sentiva la salivazione aumentare ad ogni secondo che passava.

Quando Eren fece per prenderle, però, caddero sul legno della panchina rischiando di rotolare giù. Entrambi allungarono le mani nel tentativo di frenare la loro caduta.

Levi sentí il freddo della plastica contro il proprio palmo, la superficie liscia delle assi su cui sedevano. Quello che non sentí fu il calore di Eren, la morbidezza della sua pelle, la consistenza della sua mano.

Era lì, sulla sua.

Poteva vederla.

La vedeva, chiara come il sole, passargli attraverso, trasparente quasi fosse un sogno. O un incubo, il peggiore che avesse mai vissuto.

Sollevò il viso alla ricerca di quello del ragazzo, trovandolo in preda al terrore: le sue iridi smeraldine avevano ingoiato la pupilla, cibandosene impietosamente, le labbra tremule e l'incarnato improvvisamente pallido. Tremava vistosamente, fissando il punto in cui la sua carne inesistente fendeva la materia, valicando il confine tra immaginario e concreto, tangibile ed effimero.

«I-io...! Cosa -» le parole di Eren non riuscivano a prendere forma, scosso dall'accaduto «Io sono... Sono...!»

Sotto gli occhi di Levi, lo studente sparí come fumo portato via dal vento, dissolvendosi come tempera al contatto con l'acqua corrente. Una macchia di colore svanita lentamente, lasciando il posto al profondo vuoto.

L'uomo restò lì, immobile, per un tempo che gli parve lungo un'eternità, le bacchette ancora sotto il suo palmo. Quando lo sollevò, proseguirono la loro corsa cadendo al suolo, tra polvere e petali.

I primi fiori di ciliegio avevano iniziato a perdere piccoli frammenti rosati, creando il suggestivo scenario che circondava Levi nel momento in cui realizzò di aver conversato tutto il tempo con un fantasma.

 

🌸🌸🌸


Il corvino non dormí, quella notte. Era troppo scosso, sopraffatto dall'incredulità. Possibile non si fosse accorto che Eren-

Si passò una mano sul volto, frustrato: il suo appetito inesistente, i vuoti di memoria di cui soffriva, la sua presenza costante al parco piuttosto che altrove, improvvisamente ogni tassello trovò la giusta collocazione. Come aveva potuto essere così cieco da non accorgersene...?

Non riusciva nemmeno a formulare quel pensiero. Probabilmente il suo cervello rifiutava categoricamente l'idea che quel ragazzo, così solare ed energico, non fosse altro che l'ombra di ciò che probabilmente era stato.

Il cuore di Levi, invece, aveva tristemente realizzato che al giovane fossero bastati pochi giorni per farvi inspiegabilmente breccia. E infine spariva così, senza una parola o una qualsiasi spiegazione, qualunque cosa lo convincesse a rassegnarsi al fatto che quella piacevole abitudine fosse solo una finzione.

Non poteva accettarlo.

Non riusciva a credere di essere stato vittima di uno scherzo del destino tanto crudele.

Il giorno seguente tornò a Ueno con titubanza. Non sapeva cosa lo attendesse, ma non era mai fuggito dinanzi una difficoltà e non avrebbe iniziato certo in quel momento. Percorse il parco, piccole gocce di ciliegio che si disperdevano trasportate da una brezza tanto leggera quanto gelida, camminando con fare deciso e al tempo stesso una paura immotivata ad opprimergli il petto. Non temeva l'incontro con Eren, tutt'altro: era inconsciamente spaventato all'idea che non fosse lì, sulla loro panchina, ad aspettarlo col suo magnifico sorriso.

Superò la curva, quasi trattenendo il fiato, e finalmente poté tornare a respirare.

Il ragazzo era seduto al solito posto: leggermente chino in avanti, le braccia poggiate sulle ginocchia e le mani che si tormentavano l'un l'altra.

Levi gli si avvicinò, fermandosi poco distante dal giovane, mentre quelle iridi verdi si posavano su di lui quasi in preda al panico.

«... Sei venuto.»

Le parole dell'uomo suonarono fredde ad entrambi, ed Eren sentí il bisogno di bagnarsi le labbra con la lingua. Non che servisse poi a molto, in effetti.

«Sì, io-» sospirò il castano, calando lo sguardo sul terreno polveroso. Attese una manciata di secondi, raccogliendo le idee. «Non so da dove iniziare, a dire il vero, perché non so cosa mi stia accadendo. Cosa mi sia accaduto» si corresse, sorridendo amaramente.

L'altro emise un sospiro scocciato, accomodandosi all'estremità opposta della panchina come al loro primo incontro. Si sentiva adirato - immotivatamente, lo sapeva - e non riusciva a tollerare la vicinanza di Eren nonostante, intimamente, quella distanza lo ferisse.

«Ogni giorno mi trovo qui, non so come. Tu arrivi, e quando vai via io... Non esisto più. Ricordo la mia vita: la famiglia, gli amici, l'università. Poi, il nulla. Non so come io sia... Sia...»

Il giovane prese a tremare visibilmente, nascondendo il viso dietro il palmo di una mano. Levi incrociò le braccia, gambe accavallate, fissandolo con meno durezza di quanto avesse fatto fino a poco prima.

«Qualunque cosa ti sia accaduta non ha importanza. Oramai è successo, il tempo non si riavvolge» disse, serio e pacato. «Perché sei ancora qui...?»

«I-io non lo so... L'unica certezza che ho, per quanto suoni assurdo... Sei tu.»

L'uomo non parlò, tentando di tenere a freno il proprio cuore dall'accelerare il suo battito, interessandosi ostinatamente al modo in cui i petali già al suolo si rincorrevano tra di loro, sospinti dal vento primaverile.

Immobili, come soggetti di un dipinto, rimasero silenziosamente assorti in quello scenario dalle tinte color pastello, dove i rami avevano iniziato a perdere i soffici e fragili fiori che li adornavano.

Quando Levi si alzò per dirigersi nuovamente in ufficio, contrariamente a quanto faceva di solito, si voltò un'ultima volta verso la panchina.

Eren non c'era più.

 

🌸🌸🌸


La presenza del ragazzo, la sua esistenza se così poteva essere definita, iniziava e finiva con Levi. Compariva dal nulla assoluto, in attesa dell'imminente arrivo dell'impiegato, e si dissolveva non appena quest'ultimo si allontanava, consapevole che non avrebbe fatto ritorno fino al giorno seguente.

Quell'atmosfera tesa, che li aveva momentaneamente allontanati, si era dissolta man mano che i ciliegi si spogliavano dei morbidi abiti profumati che li avevano rivestiti, protagonisti di un incantesimo che andava lentamente dissolvendosi.

«Non ti facevo tipo da lacrima facile» commentò il corvino col naso all'insú mentre osservava i rami, protesi in avanti quasi volessero afferrare quei piccoli miracoli dalla vita lunga un battito di ciglia.

«Oh, andiamo, se non piangi guardando Titanic sei senza cuore...!» sbottò Eren, le gote leggermente arrossate per l'imbarazzo.

Lo sguardo glaciale dell'uomo si posò su quel volto evanescente, e si chiese se davvero bastasse un film per classificarlo in quanto tale. Spesso lo avevano additato come arido di sentimenti ma adesso, con Eren al suo fianco, non era più così certo che gli altri avessero ragione. Poteva davvero considerarsi al pari di una prugna avvizzita, quando la semplice vicinanza del ragazzo gli scaldava l'animo tanto quanto il sole estivo?

Levi sapeva che qualcosa, in lui, era irrimediabilmente mutato. Quello spirito dalle fattezze giovanili era stato in grado di demolire pezzo dopo pezzo, nel più completo silenzio, la corazza di fredda indifferenza che lo ricopriva da anni ed era diventata parte integrante del suo essere fino a fondersi, inesorabile, in un unico corpo. Si chiese cosa sarebbe potuto accadere se il loro incontro fosse avvenuto in circostanze normali. Se gli eventi avessero seguito lo stesso corso, inghiottiti dai fiumi del tempo al quale era impossibile sfuggire, oppure ognuno avrebbe semplicemente proseguito sulla propria strada.

Si sarebbero comunque trovati, su quella panchina...? Magari altrove?

L'uomo non riusciva a sottrarsi a quei pensieri, inconcludenti eppure inevitabili. Poi, l'espressione di Eren - dapprima spensierata - mutò lentamente: il lieve broncio svaní, sostituito dalla linea sottile che assunsero le sue labbra; le sopracciglia si curvarono in una forma che dava serietà ai suoi occhi luminescenti come gemme preziose, ora appannati dalla tristezza; il suo vociare vispo divenne un sospiro sconfitto, mentre lo fissava intensamente.

«Non mi piace quando aggrotti la fronte, Levi-san. Mi sembra di essere tornati al giorno in cui ci siamo visti la prima volta. Sembravi così...» esitò, alla ricerca delle parole adatte, «arrabbiato. In collera con le persone, e il mondo. Eri sereno solo guardando i fiori.»

La caduta dei ciliegi, per quanto mesta, era una certezza incrollabile. Quanti momenti ancora gli restavano, invece, con Eren...? Decise che voleva viverli appieno, in un modo nuovo.

«L'hanami ormai è quasi finito. Stasera verrò qui, ad ammirare gli ultimi petali alla luce della Luna.»

Lasciò il ragazzo lì, stupito e indeciso se domandargli o meno se quello fosse un invito o una semplice informazione, andando verso l'ingresso del parco con la voglia che l'astro solare fosse già tramontato per lasciare il posto alla pallida compagna.

 

🌸🌸🌸


Eren sostava accanto l'albero, alle spalle della panchina sulla quale sedevano di solito. Osservava il cielo, manto stellato dal colore scuro come la pece, mentre piccoli fari illuminavano le fronde degli alberi che trattenevano a stento gli ultimi petali, lentamente sostituiti da foglie giovani e verdi. Grappoli di ciliegie, rosse e succose, sarebbero nate da quel sacrificio. Forti, rigogliose.

Levi, invece, si sentí gracile come mai gli era capitato prima di allora. La vista di Eren, poco più avanti, aveva fatto battere il suo cuore a un ritmo incostante dovuto alla sorpresa di trovarlo lì. Forse, fino a quando si fosse recato ad Ueno, il ragazzo avrebbe continuato a tenergli compagnia e allietare le sue giornate; magari, presentandosi più volte al giorno la sua essenza sarebbe rimasta ancorata al mondo terreno. Era un pensiero egoista, ma si sentí quasi felice dinanzi quella prospettiva. Calpestò un rametto secco, e il castano si voltò col sorriso a distenderne il volto e il suo nome sulle labbra.

«Levi-san.»

«Come facevi a sapere che ero io...?»

Eren tornò a fissare le stelle, senza cercare nulla in particolare.

«I miei sensi percepiscono solo te.»

Levi gli si affiancò, imitandolo, mani in tasca.

Aveva usato i fiori come scusa, ma l'unica cosa che voleva realmente fare era imprimere nella propria mente il viso di qualcuno che era esistito nel suo tempo, ma che aveva precocemente abbandonato le sue spoglie mortali per assumerne di nuove. Eterne, si trovò a sperare.

Erano circondati dalla quiete quando il primo esplose.

Miriadi di scintille colorate tappezzarono il cielo in una cascata luminosa, in una sequenza dai contorni indefiniti e la cui forma veniva decisa unicamente dal vento.

L'uomo sentì l'altro trattenere il fiato e, girandosi quietamente ad osservarlo, sentí distintamente il suono proveniente dal proprio petto martellargli nelle orecchie come un tamburo.

I fuochi d'artificio non avrebbero mai superato la bellezza di Eren in quel momento, o in qualunque altro: le gote, piene e rosse d'eccitazione; le ciocche disordinate a incorniciargli il viso caramello; le labbra schiuse e turgide, lucide come un frutto colto di primo mattino; le iridi di giada che brillavano di una luce che mai aveva intravisto.

Era stupendo.

Era perfetto.

«Vorrei stringerti la mano.»

Aveva parlato a voce alta, inconsciamente, seguendo un flusso di cui era rimasto prigioniero.

Eren si girò di scatto, il colorito che aumentava esponenzialmente al suo imbarazzo, calando lo sguardo sul terreno.

«Lo vorrei anch'io...» mormorò, la sua voce sovrastata dallo scoppiettare ripetuto e incessante dovuto allo spettacolo pirotecnico.

«Guardami, Eren.» Il giovane obbedí, trovando un mare calmo ad accoglierlo. «Se avessi potuto... Se ti avessi baciato, cosa avresti fatto...?»

Un sorriso, triste e tremulo, piegò la sua bocca morbida.

«Non vuoi scoprirlo...?»

Fu un movimento naturale come respirare, avvicinarsi l'uno all'altro. Protendersi, in cerca di un contatto che non sarebbe mai giunto. Di una carezza che non avrebbe mai trovato risposta.

Eppure, nonostante non potesse gustarne il sapore che era certo fosse dolce come miele o non potesse saggiarne la consistenza, Levi percepí distintamente il tepore delle sue labbra quasi fossero realmente sulle proprie. Si sentì beffato ancora una volta, a un soffio da colui che aveva scoperto di desiderare con tutta l'anima.

«É s-strano» fece il ragazzo, allontanandosi impercettibilmente per poi riaprire gli occhi «sentire un cuore inesistente battere all'impazzata come sta facendo adesso... É il tuo, Levi-san? O sono solo io, ad essermi innamorato...?»

Una brezza decisa li investí, portando con sé freddo e solitudine, spazzando via ciò che restava dei fiori.

Eren scomparve, miraggio nel deserto, lasciando Levi con la morte nel cuore: anche l'ultimo petalo era caduto, e l'uomo seppe con certezza che non avrebbe rivisto mai più quel sorriso.

 

🌸🌸🌸


Era trascorso un intero anno, da quella sera.

I primi tempi, Levi si recava ad Ueno ogni giorno, più e più volte. Aveva girato il parco, atteso sulla panchina, accarezzato la corteccia dell'albero che aveva assistito alla sua lenta caduta per poi colpirlo con forza, ferendosi le nocche fino a farle sanguinare. Infine, si era arreso. Evitava quel luogo come la peste, quasi temesse che entrandovi i ricordi che aveva di quel periodo gli sarebbero stati risucchiati via. Sostituiti da un vuoto che sentiva dentro, più potente di quanto non fosse mai stato.

Levi difficilmente si affezionava alle persone, ma il castano era stato ben più di quanto si fosse inizialmente illuso, lasciandogli una voragine che non poteva - voleva - colmare.

Le giornate si erano susseguite, ripetitive e monotone come erano sempre state, mentre lui le attraversava in qualità di spettatore. Il suo carattere già ruvido si era arricchito di acredine, rendendolo maggiormente burbero e scostante.

Quando il periodo della fioritura sopraggiunse, la rabbia e la tristezza si impossessarono del suo essere.

Non voleva vedere i fiori sbocciare.

Non voleva vederli appassire.

Non voleva rinascere.

Non voleva morire.

Ma qualcosa gli disse che, se non per sé stesso, lo doveva a lui.

Raccolse ogni briciola di coraggio - e soprattutto dolore - che possedeva, varcando l'ingresso di Ueno dopo tanto tempo. Stringeva il manico della valigetta di pelle con forza tale da sbiancare l'epidermide già pallida, spingendo i piedi su un percorso che conosceva a memoria. Avrebbe trovato quella panchina ad occhi chiusi.

Vuota.

Sapeva che nessuno lo stava aspettando. Forse nessuno lo aveva mai fatto, e tutto era stato frutto dell'immaginazione di un povero folle. Il sentimento che sentiva, però, era vero quanto ciò che aveva dinanzi a lui quel momento. Concreto, quasi tangibile.

Sollevò lo sguardo, posandolo sui primi boccioli in procinto di schiudersi, e quel sorriso gli trapassò l'anima come un dardo ben scoccato. Digrignò i denti, frustrato, pronto a girare i tacchi ed andarsene così come era venuto.

«Levi-san.»

Sentí la voce chiamarlo e restò fermo, immobile come vittima di un incantesimo o la sua peggior paura. Era pazzo davvero.

«Levi-san, guardami.»

L'uomo, le iridi plumbee dapprima sgranate, strizzò gli occhi per escludere qualunque fantasia la sua mente stesse architettando, ingannata da quel luogo tanto familiare quanto velenoso.

«Levi-san...» Sentí qualcosa posarsi sulla propria spalla; dita stringere la stoffa della sua giacca; il calore della pelle trasferirsi al tessuto; un respiro, dolce e delicato, accanto al proprio orecchio.

«Guardami, per favore...»

Quel tocco, quella supplica, erano più di quanto potesse sopportare. Si voltò, pronto a trovare solo il vuoto, la pupilla che si stringeva lasciando il posto all'iride dai toni dei profondi ghiacci.

Il vento si sollevò, delicato e dal profumo fresco, invitando i ciliegi ad aprirsi ancora una volta al mondo, e per Levi niente ebbe più importanza.




つづく...

 

   
 
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