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Autore: little_psycho    08/01/2019    1 recensioni
Dove gli unici problemi di Percy sono trovare cibo blu e diventare il capitano della squadra di nuoto, Annabeth ha un cappello degli Yankees assolutamente normale, Piper è solo molto convincente, la peggior cosa che Luke abbia mai fatto è derubare una gioielleria.
Dal primo capitolo
«Hai provato a scappare! Dèi, ma ti rendi conto? Io e Jason siamo qui per te, e tu te ne vai!»
«Non stavo scappando. Mi stavo semplicemente allontanando.»
«Ahia!»
«Non mi interrompere!»
Percy si massaggiò il braccio, aggrottando le sopracciglia.
«Ma se mi hai dato un pizzicotto!»
«Zitto!»
Dal terzo capitolo
Era tutta colpa di Nico che l’aveva fatto spaventare, che era andato a prendere Hazel, quindi forse la colpa era di quest’ultima. Ma lei era rimasta per dare una mano a Rachel al club del macabro – occulto, pardon – e la colpevolezza passava alla rossa isterica. Ma la suddetta aveva dovuto levare l’imbottitura dei peluche di quell’altro pazzo di manicomio, e la causa del guaio diventava Ottaviano. Per concludere, la colpa era di una certa Lou Ellen, una ragazza che si era diplomata due anni prima e che non c'entrava niente.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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IV
I’m going slightly mad
 
“When the outside temperature rises
And the meaning is oh so clear
One thousand and one yellow daffodils
Begin to dance in front of you, oh dear
Are they trying to tell you something?”
 
Che ci facesse Leo Valdez nei pressi della serra, un luogo così pacifico e silenzioso, proprio non riusciva a capirlo. Probabilmente per rovinarne la tranquillità, dedusse.
Anche lui, esattamente, non sapeva perché fosse lì. Non avrebbe mai ammesso che si era perso, neanche sotto tortura. Due anni in quella scuola, e niente, il vuoto totale.
Stava per mettersi ad urlare e pestare i piedi come un bambino, perché, sul serio, dove accidenti si trovava?
«Ti sei perso?» Sì, cazzo, si era perso! Chi era l’idiota che stava interrompendo il suo momento di autocommiserazione?
«No!» Rispose con più enfasi del dovuto.
«A me pare proprio un “sì” lampeggiante al neon sopra la tua testa.»
Sbuffò, squadrando il biondino di fronte a lui. Era alto, con una zazzera di capelli biondi che Jason spostati, e un paio d’occhi azzurro intenso che, davvero, Jason vatti a fare un giro.
«Forse.» Concesse, perché aveva un sorriso davvero carino e perché Hazel lo stava aspettando.
«Dove dovresti ipoteticamente andare?»
«Al club dell’occulto.» Dopo l’occhiata stranita che l’altro gli aveva lanciato, specificò. «Non lo frequento io, ma mia sorella.»
Attimi di silenzio, che non era imbarazzante, era solo silenzio. Nessuno dei due che cercava di riempirlo, semplicemente se ne stavano là, a fissarsi, immobili come statue.
«Sei terribilmente fortunato, allora.»
Ma davvero? Era una delle cose più inesatte che qualcuno avesse mai detto su di lui.
«Anch’io devo andare lì per prendere una persona. Che coincidenza!»
Dopo averlo guardato attentamente, lo riconobbe.
«Aspetta, ma sei Will Solace! L’amico di Talia Grace.»
« “Amico” è una parola grossa. Diciamo solo che essendo il nipote del suo capo non vorrebbe vedermi infilzato da una freccia.»
«Conoscendola, è un grande risultato.»
Rise, guardandolo da sotto i riccioli biondi che gi coprivano la fronte. Diavolo, di quel passo avrebbero conquistato tutta la faccia, una versione californiana del Cugino Itt della Famiglia Addams. Se solo fossero stati più lisci e più scuri…
Aveva l’abitudine di paragonare ogni ragazzo che incontrava con Percy Jackson. Era più forte di lui. Semplicemente, mentre parlavano, nella sua mente l’immagine del interlocutore si fondeva con lui, e il confronto era inevitabile. Nessuno aveva gli occhi abbastanza verdi, nessuno faceva battute abbastanza demenziali, nessuno sorrideva in quel modo. Nessuno gli spezzava il cuore ogni volta che non lo guardava, nessuno l’aveva salvato dai bulli, solo lui.
Sarebbe stato sempre e solo lui, e Nico non ci avrebbe potuto fare niente. O voluto. Forse era quello il problema, la sottile differenza fra il poter fare e il voler fare.
Forse, per lui era più comodo galleggiare nel limbo di quell’amore impossibile, a tratti platonico, piuttosto che metterci una pietra sopra e andare avanti. Non poteva – eccola lì, di nuovo, il precipizio fra il potere e il volere – ammettere che gli piacevano i ragazzi.
Quel limbo in cui galleggia, lo proteggeva da ogni confronto. A lui non piacevano i maschi, no, a lui piaceva solo Percy, e se quell’amore sarebbe potuto sbiadire, avrebbe iniziato ad interessarsi alle ragazze.
 Sapeva che non era la verità, sapeva che erano solo bugie che facevano da barriera fra lui e la cruda realtà. La realtà che gli ricordava che  l’unico bacio che avesse mai dato, ad una ragazza di cui non ricordava manco il nome, a tredici anni, fosse stato decisamente orribile. Le sue labbra avevano un odore nauseabondo, ed erano tutte appiccicose.
 Lucidalabbra alla fragola, puah. Le labbra di Percy non sarebbero mai state così. Sarebbero state morbide, calde e la bocca avrebbe avuto un retrogusto di mirtilli, non di gomma alla menta neanche sputata. Le aveva sognate tanto quelle labbra, quella bocca, quel corpo, lui, così tanto che a volta era difficile distinguere il sogno dalla vita di tutti i giorni.
«A che stai pensando?»
Si erano incamminati per il corridoio, ma lui non se n’era proprio accorto, assorto com’era.
«A n-niente. Quindi, com’è essere il nipote di Artemide Papadopulous? »
 «Cresci con una non così sana paura dell’altro sesso. Non capirò mai come papà sia riuscito a sopravvivere fino all’età adulta.»
«Tuo padre…il dottor Apollo…aspetta, sono confuso.» Era abbastanza sicuro che i calcoli non tornassero.
Will rise – per quella che era la terza volta? Di certo Percy rideva molto di meno, si limitava a piccoli sorrisi luminosi… e la cosa stava degenerando, cazzo! – giocherellando con una fascetta che aveva sul polso.
«Mi stavo appunto chiedendo quando ci saresti arrivato. Vedi, papà prima di essere medico voleva sfondare nel mondo della musica, e per un certo periodo c’è anche riuscito. Ma comunque, il cognome “Papadopolous” non è qualcosa che la gente potesse apprezzare, o pronunciare. Quindi smise di usarlo. Poi sposò mamma e disse che non avrebbe inflitto quel cognome orripilante anche a suo figlio, così andò all’anagrafe e semplicemente lo fece cancellare.»
«Ed è legale?»
«Oh sì! Tantissime persone lo fanno.» Girò l’angolo del corridoio – ma era sempre lo stesso, o era un altro? – con una piroetta, e Nico fu costretto ad aumentare il passo per non perderlo di vista.
«Gentile da parte di tuo padre, evitarti quel cognome.» Considerò Nico, con un leggero affanno.
Il suo, di padre, neanche il cognome gli aveva dato. E se sua madre non fosse morta, probabilmente l’avrebbe visto una volta ogni sei mesi, visto l’enorme interesse che provava per la sua progenie. Per non parlare di Hazel, che praticamente era andata a cercarlo…
«Sicuro! Ti immagini all’appello? Ogni giorno risatine sotto i baffi e prese in giro!» Esclamò in tono drammatico, portandosi una mano alla fronte, nella migliore imitazione di una fanciulla dell’Ottocento in procinto di svenire.
Nico ridacchiò, divertito. «Dovresti fare recitazione. Sei una drama queen nata.»
«Dovresti vedere mio padre, allora! Che, pensandoci, è stato anche attore per un paio d’anni…»
C’era qualcosa che quell’uomo non avesse fatto?!
«Andiamo, non fare quella faccia! Semplicemente, segue il detto “impara l’arte… ehi, mi stai ascoltando?» Gli passò una mano davanti agli occhi sbarrati. «Terra chiama Nico.»
Finalmente anche lui decise di seguire lo sguardo dell’altro.
«Pensi che potremmo denunciarlo per atti osceni in luogo pubblico?»
Quei peluche l’avrebbero fatto senza remore, se solo non fossero stati spappolati.
«Aspetta, papà?!»

“You're missing that one final screw
You're simply not in the pink my dear
To be honest you haven't got a clue”
 
Jason Grace era carino quanto stupido.
Piper aveva partorito tale perla in quell’esatto momento, dopo che al suo “Sai, dovremmo uscire insieme solo noi due, qualche volta”, l’altro aveva risposto “Certo! Che ne dici domani in biblioteca? Dovrei proprio ripassare per il compito”.
O semplicemente non era interessato a lei. Perché francamente, dopo tutti gli sforzi che ci stava mettendo per farsi vedere come più di un’amica, quello era troppo.
Insomma, se avesse voluto invitarla da qualche parte, l’avrebbe già fatto. Invece, niente. Una landa desolata ricoperta da uscite di gruppo – sempre, ma proprio sempre,
dovevano starci tutti, ma che poi, perché erano così tanti? – e da “Secondo te, quante liquirizie entrano nel naso di Percy?”
Quindici, per la cronaca. Sei in una narice e nove in un’altra. Perché Percy Jackson avesse una narice più spaziosa dell’altra, lei non era assolutamente intenzionata a saperlo. Sarebbero stati problemi di Annabeth, in futuro. Se solo quei due prosciutti avessero capito che erano fatti per stare insieme, sfornare pargoli, e comprarsi la casa col giardino, che alla fine i cani piacciono tanto ai bambini e ci vuole spazio.
Ora che ci ragionava per bene – sì, vedere le proprie aspettative in fumo le dava tanto su cui riflettere – se magari qualcuno dei loro amici si fosse fidanzato, magari Jason avrebbe aperto gli occhi. E se magari uno dei loro amici si fosse messo insieme con qualcun altro del gruppo, nel biondo ottuso davanti a lei sarebbe potuta scattare qualche molla, e si sarebbe accorto che – ma guarda un po’! – Piper faceva proprio al caso suo.
Troppe speranze e troppi “magari”, in ogni caso.
Avrebbe tanto voluto avere il fascino di sua madre, la sua eleganza, il suo aspetto. Almeno se la ricordava così – affascinante elegante e bella – dall’ultima volta che l’aveva vista.
 Un mese prima? Non lo ricordavo con precisione. Era sempre in giro – Parigi, Londra, Milanoper sfilate, per promuovere la sua nuova linea di creme per il viso, per farsi una vacanza in qualche posto sperduto solo all’apparenza, ma in realtà pieno di paparazzi pronti a fotografare le sue curve perfette.  Giustamente doveva prendersi un attimo di respiro, dalla sua sfiancante vita, volta all’indossare abito firmati e al scordarsi completamente di avere una figlia sedicenne a cui mancava.
Ormai ci aveva fatto il callo, ad aspettarla davanti alla porta, per vedersi arrivare un SMS in cui si scusava del ritardo, che non sarebbe arrivata quel giorno, né quella settimana. A volte neanche quel mese.
Per fortuna, i suoi genitori catalizzavano tutta l’attenzione dei giornali, e quasi nessuno dei loro milioni di fan sapeva che in realtà avevano una figlia liceale.
Ne era davvero contenta. Non voleva che qualche impiccione la fotografasse in mezzo alla strada, che scrivesse a lettere cubitali che aveva “scovato” la figlia di Afrodite e Tristian McLean che usciva dal supermercato con i capelli sparati in tutte le direzioni e carica di  buste della spesa, e che si prolungasse sul fatto che non assomigliasse per niente alla leggendaria madre. Non aveva né i lunghi capelli biondo scuro, né le sue gambe slanciate e magre, per non parlare della pelle chiara.
Se anche avesse voluto entrare nel mondo dello spettacolo, con tutto il peso dei nomi dei suoi genitori, ne sarebbe rimasta schiacciata. Le avrebbero dato della raccomandata al primo vero ruolo, della viziata se ci fosse stato un litigio con qualcuno, che era stata abituata troppo bene se avesse deciso di rifiutare un contratto.
Era meglio rimanere nell’ombra, in un’omonima scuola pubblica – non in quella di ragazze di buona famiglia dove per poco non era finita anche Rachel –, con i suoi vestiti omologati comprati da H&M – non quelle camicette di seta che a volte suo padre le faceva trovare sul letto –  e i suoi capelli tagliati con le forbicine rosa dalla punta arrotondata – non dal parrucchiere italiano, l’unico che aveva il permesso di armeggiare con la chioma di sua madre.
A volte le ragazze erano cattive, certo, ma capitava a tutti di essere schermiti da gente più popolare. Di certo non avrebbe fatto saltare la sua “copertura” per un paio di ochette, urlando di essere la figlia di uno degli attori più richiesti del momento e della modella più famosa dell’ultimo decennio.
Solo perché non voleva quei capi costosissimi, non significava che dovesse mettersi la prima cosa trovata nell’armadio presa al mercatino delle pulci. Solo perché non voleva i capelli sempre perfetti, non significava che non potesse andare dal parrucchiere sotto casa per una spuntatina, ogni tanto.  Solo perché non voleva che i giornali la notassero in nessun modo, non significava che non potesse mettersi un filo di matita o fondotinta.
Non sapeva neanche lei perché continuasse così imperterrita a comportarsi in quella maniera. Forse voleva solo che sua madre le desse un’occhiata,
una volta tanto, e inorridisse davanti a quei capelli e a quelle felpone. Che borbottasse che così non andava bene e la portasse a fare shopping e alla SPA. Che le desse consigli di moda, che le chiedesse se ci fosse qualche ragazzo che le interessava, che si comportasse da mamma, ecco.
Si sentiva una bambina, a credere in quelle stupide fantasie, ma alla fine era il suo modo di tirare avanti. A fuori di ciocche asimmetriche e pantaloni a vita bassa fuori moda.
 
“I'm going slightly mad
I'm going slightly mad
It finally happened, happened”
 
Bello.
Bello come il sole.
 Di una bellezza assolutamente pulita, perfetta, ma non per quello noiosa. Non era un’ acerba alba che stava spuntando, né tantomeno un intrigante tramonto rossastro. No. Era il sole di mezzogiorno, quel momento in cui il cielo è azzurro e le nuvole così bianche e paffute da sembrare disegnate. Era il sole che ti faceva ballare puntini colorati davanti agli occhi se lo guardavi per troppo tempo, quello per cui dovevi socchiudere le palpebre, quello che in cinque minuti esatti ti scottava la pelle.
Quell’uomo doveva essere il sole, senza dubbio. Perché le stavano saltellando i puntini davanti agli occhi, quel sorriso era così seducente che aveva dovuto socchiudere le palpebre per non rimanerne accecata, e il suo sguardo le mandava scariche di fuoco per tutta l’epidermide.
Ancora non aveva aperto bocca, o forse la sua mente semplicemente procedeva per gradi. Prima metabolizzarlo tutto, poi decifrare cosa stava uscendo da quelle labbra così belle…
«Datti un contegno!» Le sussurrò biasimevole Hazel, dandole un pizzicotto sul braccio.

In effetti Hazel non sembrava catturata da quella visione paradisiaca, ma ci avrebbe scommesso qualunque cosa che quando era entrato anche i suoi occhi ambrati si era spalancati sorpresi.
Le dite le prudevano dalla voglia di prendere il suo block notes e disegnarlo. Già sapeva che quel naso greco sarebbe stato un’impresa non da poco, e quel sorriso… Avrebbe potuto ricreare quella magia su uno stupido pezzo di carta?
«E quindi è questo il club di dell’occulto!»
L’affascinante sconosciuto si era rivolto ad Ottaviano con un tono gioviale, guardandosi attorno attentamente.
Prese il mazzo che ti trovava sul tavolino, e si girò di nuovo verso lo spaventapasseri ambulante.
«Le sai leggere?»
Il ragazzo si fece tutto rosso, e bofonchiò qualcosa che doveva più o meno assomigliare ad un “No, melone”. O forse era signore, difficile dirlo.
Rachel si fece avanti quasi saltellando, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
«Io sì.»
Ah, gioia immensa! Lo sguardo d’odio puro che Ottaviano le lanciò fu impagabile. Per non parlare di quello improvvisamente interessato dell’uomo.
«Oh, davvero? È fantastico! Sono un artista. Amo tutte le forme d’arte: disegno, musica, predizione del futuro, tiro con l’arco…»
«Il tiro con l’arco è una forma d’arte?» Chiese piano Hazel, con le sopracciglia corrucciate.
«Ma certo! Il movimento del braccio deve essere armonioso, come se si stesse ballan– vi ho detto che mi piace anche il ballo? Comunque, si devono avere grazia e un sangue freddo notevole, quando scocchi la freccia. Devi metterti anima e corpo per padroneggiarlo bene, le dita devono essere dure ma al contempo morbide.»
 Sventolò le sue leggermente callose come prova. «Ci ho impiegato dieci anni per carpirne tutti i segreti.»
Il modo in cui ne parlava, così preso, così appassionato…
«Ah.» Esordì Hazel, anche lei colpita dalla spiegazione.
Rachel, trovandosi sempre più in sintonia con quell’essere meraviglioso, annuì estasiata.
«Anche a me piace il disegno! Ho iniziato da piccola, e mi sono iscritta a tantissimo corsi per affinare la tecnica.» Indicò con il mento alle carte che ancora l’uomo stringeva in mano. «Quelle là le ho fatte io. Pensavo che essendo create da me avrei potuto decifrarle più facilmente.»
Gli occhi dell’altro brillarono. «Ed ha funzionato?»
«Sì! Mi sono resa conto che un mazzo estraneo mi bloccava la visione, come un muro. Mentre questo è stato l’effetto opposto. Mi ha creato un varco, un sentiero verso la più chiara interpretazione. Non mi sarei mai aspettata questo risultato!»
«Incredibile!» Sussurrò, più a se stesso che a Rachel.
«Io non ci ho mai pensato… Ho speso anni per abbattere il muro di cui parli, quando la soluzione era così vicina…»
Posò le carte con cautela, guardandole amorevolmente, e poi le strinse le mani. Una presa calda, forte e sicura.
«Sei una ragazza piena di talento!»
Probabilmente era un tutt’uno con i capelli.
«Sai anche suonare?» Chiese speranzoso, le guance rosse e gli occhi pieni d’aspettativa.
Si ricordò di quelle orribili lezioni di piano prese con quell’ancora più orribile professoressa tedesca. Era stata costretta da suo padre, perché “una ragazza dell’alta società deve saper suonare almeno uno strumento”.
Aveva otto anni ed era durate sei mesi a stento. Poi la professoressa aveva avuto una crisi di nervi per la sua mancanza di volontà e aveva sbraitato contro suo padre – per una volta non riuscendo a mantenere né il suo aplomb, né il severo chignon – che lei aveva una mentalità troppo grezza per riuscire a seguirla.
 Era stato uno dei momenti più belli della sua vita.
«Beh, so fare qualcosa al piano…» Rispose imbarazzata.
«Ma sono molto arrugginita! Mio padre mi costrinse da piccola, ma poi smisi…» Aggiunse frettolosamente.
«Costretta?! Oh no! Non si dovrebbe mai costringere qualcuno alla musica, lo si deve accompagnare attraverso i suoi campi melodiosi, aiutare durante la ripida salita della scala musicale... Ineccepibile!» Adesso un velo copriva i suoi occhi, e Rachel si sentì profondamente in colpa.
«Vorrei assolutamente cancellare dalla tua mente la brutta esperienza, se me lo permetti. Io faccio corsi di musica, e potresti venire a provare.» Si fermò un momento, poi continuò dolcemente. «Sempre se tu voglia.»
Ovvio che voleva! L’avrebbe seguito in capo al mondo, poco ma sicuro.
«C-certo! Mi farebbe piacere.»
Quel sorriso raggiante era così…paterno.
«Non vedo l’ora!» Si frugò nella tasca posteriore del jeans – Rachel dovette appellarsi a tutta la sua forza di volontà per non pensare cosa coprisse quelle tasche – e tirò fuori un bigliettino rettangolare, da visita.
 C’erano disegnati vari tipi di strumenti: chitarre, minuscoli pianoforte, violini, xilofoni, arpe, lire, cedre…
Lo sfondo era celestino con delle nuvole, e delle colonne greche di trovavano ai bordi del fogliettino, come a reggere il tutto.
Molto elaborato e d’impatto, poco ma sicuro.
«Ti piace? L’ho disegnato io. Un tempo facevo anche corsi di disegno ma sono molto più impegnativi… e come mi sarebbe rimasto il tempo per i turni all’ospedale?»
«Sei un dottore?» Hazel continuava a fare interventi leggermente a caso, sentendosi a disagio, il terzo incomodo ad un appuntamento a due. Ottaviano, poi, era proprio immobile, rosso in viso e con gli occhi lampeggianti. Di lì a poco avrebbe iniziato a uscirgli il fumo dalla orecchie.
L’uomo le rivolse l’ennesimo caldo sorriso. «Sì. Non si può campare solo d’arte a volte… Anche se devo ammettere che da ragazzo ci provai, e anche con un discreto successo.»
«Perché abbandonasti?» Hazel si sentiva molto più sicura di sé, adesso che si era quasi introdotta nel discorso.
«Volevo fare di più, presumo. Essere di più.»
Nonostante fino a quel momento tutte e due le ragazze avevano usato un confidenziale “tu” per rivolgersi allo sconosciuto senza nome, Hazel si rese conto in quel momento che alla fin fine non poteva avere meno di trent’anni. Avrebbe voluto usare il “lei”, ma sarebbe risultato strano cambiare di punto in bianco. E se poi si fosse offeso?
«Ma sei un musicista, un disegnatore, un medico, un arciere, leggi le carte… Non sono neanche sicura che si possano fare tutte queste cose in una sola vita!»
«Troppo gentile. Sono un essere volubile, purtroppo. Uno dei miei difetti peggiori.»
Poi si riscosse da quella malinconia in cui era caduto, e le fece l’occhiolino.
«Ma che dico, il mio unico difetto!»
Hazel ridacchiò. «Nessuno è perfetto.»
«Sono l’essere che più si avvicina alla perfezione!» Disse, imbastendo un finto tono ampolloso. Anche Rachel stavolta non riuscì a nascondere un sorriso.
«Nel tuo lungo e gratificante elenco delle mie superbe capacità, mia cara, hai però dimenticato una cosa: la poesia. Ah, no, forse due. Anche la recitazione.»
«La poesia?» Chiese scettica Rachel.
«Una delle più alte forma d’arte! Come ho fatto a dimenticarmene! Sono molto amante degli haiku in questo periodo. Sono stato da poco in Giappone per lavoro e…»
«Cosa?» Sussurrò Rachel all’orecchio di Hazel, visibilmente perplessa.
L’uomo si girò di scatto, indicandola con il dito, come se avesse compiuto una malefatta imperdonabile.
«Mi stai dicendo che non hai mai sentito parlare degli haiku?! Ma com’è possibile?!» Si rivolse verso Hazel. «Tu?» Chiese speranzoso.
«Ehm, no. Mi dispiace.»
«Per vostra informazione, è una poesia composta da tre versi, 17 sillabe seguendo lo schema 5/7/5 e solitamente parla di natura.»
Poi si strofinò le mani ed esclamò:«Allora sturatevi bene le orecchie ragazze mie, perché sentirete uno dei miei migliori haiku!»
«“Sturatevi” non è un’espressione molto poetica, però.» Obbiettò Hazel con un sorriso scanzonato.
«Sì che lo è! È una metafora!1 Indica che le vostre orecchie sono dei gabinetti, per colpa della robaccia che avranno sicuramente sentito prima di incontrare me!»
«Allen Ginsberg è considerato “robaccia”?» Si informò interessata Rachel.
«Ovviamente no2! Beh, allora non tutto quello che avete sentito fino ad ora è robaccia…»
«E Whitman?» Continuò Hazel, imperterrita.
«Ma se sparate tutti i nomi dei poeti importanti che conoscete è ovvio che non sono robaccia!» Si rivolse sarcastico ad una Rachel in procinto di parlare:«Stai per dire Rimbaud, vero?» 
«In realtà Baudelaire.» Si discolpò con una scrollata di spalle.
Alzò le braccia al cielo e probabilmente avrebbe iniziato un excursus sull’importanza della poesia, se Hazel non l’avesse interrotto.
«Allora quest’haiku? Adesso sono curiosa.»
Con un sorriso sicuro si schiarì la voce.
«Il vento soffia/I rami si spezzano/Natura va3»
«Dove?» Chiese Rachel, sentendosi un po’ stupida.
L’altro sembrò rimanerci male, aspettandosi probabilmente degli applausi.
«Che vuoi dire?»
«“Natura va”, ma dove?»
L’uomo sospirò. «È poesia. Non devi per forza comprenderla. La natura va, scorre libera, prosegue il suo corso.»
«Oh.»
L’uomo le diede un buffetto sulla testa – non avrebbe più guardato allo stesso modo in sua capelli – e disse:«Se vuoi posso darti anche qualche lezione di poesia!»
Il suono di uno strappo li fece girare tutti e tre in simultanea.
«Ma è ancora qui?» Sussurrò seccata Hazel a Rachel, che ridacchiò piano.
Le previsioni di Hazel si erano rivelate corrette, perché sembrava che gli stesse davvero uscendo il fumo dalle orecchie.
Anche gli occhi chiari erano iniettati di sangue e aveva un sorriso folle.
«Beh, che c’è, zio? Non vuoi vedere quanto sono bravo a leggere il futuro?»
«Zio? È completamente uscito fuori di testa.» Annunciò Rachel, supportata da Hazel.
«Forse ha delle allucinazioni.»
«Altro che allucinazioni, lui è allucinante.»
«Aspetta, papà?!»
La voce a cui apparteneva quest’ultima battuta non era altro che di Will, che faceva un’accoppiata insolita con il tenebroso Nico di Angelo.
«Papà.» Scandì Hazel lentamente, ripresasi dallo shock prima dell’amica.
«Sì, esatto! Papà!» Esclamò felice l’unico adulto nella stanza, e di conseguenza l’unico probabile “papà”. In realtà, se quell’appellativo fosse stato rivolto ad Ottaviano, Hazel ne sarebbe rimasta meno sorpresa.
«Papà.» Questa volta fu il turno di Rachel, con gli occhi verdi spalancati e la voce monocorde.
Insomma, aveva copulato – beh, ovvio che avesse copulato, nessuna si sarebbe fatta scappare quel marcantonio senza le dovute precauzioni – sì, dire preservativo le faceva strano, okay? – e aveva generato – tecnicamente la moglie l’aveva fatto, ma…oh no, mica aveva anche la moglie? – della prole.
Della prole che doveva avere la sua età, per inciso. Di conseguenza veniva spontaneo chiedersi: ma quanti aveva la sua nuovissima cotta?
«Papà?» Nico aveva un tono interrogativo, come se non avesse ancora collegato bene le due cose. Quanto voleva esserci Rachel al suo posto!
«Sì, gente, papà. Certo che siete proprio duri di comprendonio!»
Il “papà” guardò l’orologio sul suo polso e si scrocchiò le dita.
«Beh, William, ti aspettiamo per la cena!» Prese per il colletto della camicia Ottaviano e lo trascinò fuori dalla stanza. Arrivato allo stipite della porta si girò verso Rachel.
«Aspetto anche te in questi giorni!»
Poi sparì dalla visuale.
 
“I'm one card short of a full deck
I'm not quite the shilling
One wave short of a shipwreck
I'm not my usual top billing
I'm coming down with a fever”
 
«Perché non mi hai detto che tuo padre era così?» Urlò Rachel per la centesima volta contro il povero Will.
Si erano spostati in biblioteca da Piper e Jason, ma si sarebbero potuto anche trovare ad un funerale e il tono della rossa non sarebbe cambiato.
«Così come?»
«Così…così!» Cercò di spiegare Rachel, facendo mosse strane con le mani.
Piper ovviamente sapeva dove voleva andare a parare Rachel: così bello, così affascinante, così istruito… così perfetto.
Gli aveva parlato solo per pochi minuti un giorno, alla Freccia di Diana, ed era stato intenso, sicuramente.
Ma di certo non potevano andarlo a dire al figlio, che era in procinto di una crisi di nervi. 
Sorprendendo tutti i presenti, fu Nico a prendere la parola.
«Lascialo in pace, gli stai facendo scoppiare la testa!»
Stava parlando quel Nico di Angelo? Il tenebroso emo che lanciava occhiatacce a tutti? Quello con l’anello a forma di teschio e completamente vestito di nero?
Quel Nico di Angelo  si era rivolto con affetto nei confronti di un’altra persona al di fuori delle sue sorelle?
Beh, wow.






 








 
Notes
Volevo iniziare ad accennare a Piper, ma forse quell’excursus senza né capo né coda non è stato un’idea così brillante! Approfondirò l’argomento in seguito.
Ve lo dico da subito: shippo Rachel e Apollo. Niente da fare. Semidio avvisato mezzo salvato!
  1. Beh, almeno credo.
  2. In “L’oracolo nascosto” Apollo accenna alla Beat Generation, in maniera positiva. Di conseguenza ho voluto dare un piccolo tributo ad un movimento letterario che adoro.
  3. È tutta farina del mio sacco, giuro! Per le 17 sillabe – CONTATE – ho scoperto che in realtà dovrebbero essere “more”, ma non ho idea di cosa Wikipedia volesse dire, quindi perdonate la mia ignoranza e accettate questo coso.  
Come vi è sembrato Apollo? Too much? Ho aggiunto il disegno fra le sue passioni, anche perché essendo protettore delle arti insieme alle Muse, doveva esserci per forza! Dato che non sapevo come far avere a Rachel mistiche possessioni spiritiche, ho ripiegato sui cari vecchi e fidati tarocchi.
La canzone “I’m going slightly mad” è dei Queen.
Avevo già questo capitolo nel Word, ed ero indecisa se pubblicare, ma alla fine ho pensato che era meglio non far ammuffire roba nel computer. Avrei un paio di idee su come si dovrebbero svolgere in seguito le vicende, ma non sono sicura che valga la pena spenderci tempo ed energie…
Fatemi sapere che ve ne pare della storia!
Un bacio
little_psycho
   
 
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