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Autore: Grell Evans    08/01/2019    0 recensioni
[...] - Dal Testo -
" I piccoli fulmini violetti apparsi dalle dita di Aura lo riportarono alla realtà. – Ero dall’altra parte del continente ed ho saputo della nuova moda dei regnanti. – disse facendo finta di nulla e appoggiando la zona lombare della schiena al bordo della finestra.
- I reali hanno sempre nuovi vizi. – ammise volgendo lo sguardo alla luna. – Niente di ignoto. – e con un impercettibile salto, degno del più silenzioso gatto, si accomodò sul davanzale. "
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna, come un alone biancastro, tingeva delicata il cielo scuro, illuminando come in un immenso sepolcro le strade disabitate. Il tintinnio dei tacchi rimbombava tra le modeste abitazioni, ormai serrate dopo il calare del sole, e la piazza veniva illuminata dai forti bagliori provenienti dagli usci delle locande. Le grida di gente ubriaca riecheggiavano tra i vicoli bui, invitando i rari passanti ad allungare il passo per evitare rogne.
Una folata di vento freddo, tipico delle sere di fine autunno, le fece svolazzare il mantello e la costrinse a tenersi il cappuccio per non scoprire il capo. Rapida terminò la via e svoltò subito a sinistra venendo accolta dal bagliore delle lampade ad olio della locanda e dal forte odore di birra che impregnava l’aria. Con un lieve cenno della testa fece scivolare il cappuccio, mostrando una folta chioma legata in una lunga treccia che le ricadeva sul petto e scendeva fino all’anca, un viso pallido spruzzato di delicate lentiggini dove campeggiavano fieri due occhi verdi, marcati da due righe nere, precise e spesse, che si univano in una punta a pochi millimetri dalle sopracciglia.
L’alcova, prenotata dallo sconosciuto che voleva parlarle, si trovava in fondo alla sala principale e ciò la costrinse a sfilare tra i tavoli, evitando sedie, pezzi di cibo, pozzanghere di chissà quali bevande e ubriachi marpioni dagli sguardi viscidi.
Scostò la tenda che separava l’area privata dell’alcova e si arrestò immediatamente poco dopo l’uscio. I lievi bagliori delle lampade e del candelabro posto sul tavolo rotondo al centro della stanza stagliarono la figura massiccia di un uomo alla finestra. Aveva scosso lievemente la testa, come se avesse percepito il suo arrivo, ma non si voltò subito.
- Mi fa piacere sapere che sei qui. –
- Ormai conosco molto bene la tua abitudine di non firmarti mai. – incrociò le braccia sotto il seno avanzando per raggiungerlo.
- Come la tua di non rispondere ai messaggi che ti vengono inviati. – la voce roca dell’uomo sembrò voler quasi rimproverarla. – Con i tempi che corrono i tuoi silenzi mi hanno fatto preoccupare. –
- Tu sei il re dei silenzi, dovresti saperli interpretare. – voltò lo sguardo verso quella figura parecchio più alta di lei notando come il bagliore della luna rendesse spettrale quel volto privo di barba ma ricco di cicatrici.
- Sei sempre la solita rancorosa, Aura Lowy. – finalmente la guardò di rimando, con un mezzo sorriso.
La sentì sbuffare come a voler dissentire – Non è rancore caro Daeg o, come sei meglio noto, Lampo Scarlatto... è solo una frecciatina. –
Il suo viso assunse un’aria corrucciata - Odio quando mi chiami con quell’epiteto. –
- Non fare la faccia da cagnolino bastonato. – lo rimbeccò. – Piuttosto, come mai ti trovi qui? –
Prima di risponderle restò in silenzio scrutando il viso della donna di fianco a lui che attendeva impaziente una risposta. Esaminò con cura quel volto ed ebbe il piacere di constatare che, nonostante il tempo passato dall’ultima volta che l’aveva vista fosse tanto, poco era cambiato. I suoi occhi verdi, che solo ad un occhio più attento mostravano dei guizzi giallastri, reggevano sempre un’aria seria, quasi superba. Poi si perse, seguendo quella folta treccia che le accarezzava il collo pallido e sfiorava il seno, stretto dal corsetto, per terminare poi in un fiocco scarlatto poco sotto l’anca.
- Daeg? – domandò con tono infastidito, schioccandogli le dita davanti al naso.
I piccoli fulmini violetti apparsi dalle dita di Aura lo riportarono alla realtà. – Ero dall’altra parte del continente ed ho saputo della nuova moda dei regnanti. – disse facendo finta di nulla e appoggiando la zona lombare della schiena al bordo della finestra.
- I reali hanno sempre nuovi vizi. – ammise volgendo lo sguardo alla luna. – Niente di ignoto. – e con un impercettibile salto, degno del più silenzioso gatto, si accomodò sul davanzale.
 - Hai avuto problemi con la congrega? – domandò.
- Non pochi. – rispose secca tamburellando le unghie a punta sul legno.
Il volto di Daeg si incupì. – Hanno arrestato già qualche membro? –
- Ancora no, perché sono io che comando... ma alcuni gruppi più piccoli sono stati già rastrellati e i loro componenti giustiziati. È il mio ruolo pubblico che rende la mia congrega salva però temo che non durerà ancora per molto. – abbassò lo sguardo e si osservò i palmi dai quali spuntarono due piccoli globi celesti che levitarono fino al tavolo e, una volta sfiorata la superficie, si trasformarono in due boccali, colmi di birra scura e spumeggiante. - Apri la mano. – gli intimò e, fatto questo, una delle due bevande si trasferì sul palmo di Daeg e, il manico dell’altra, venne accolto saldamente tra le dita di Aura.
- Quindi, il tuo ruolo istituzionale di maga di corte ti sta proteggendo ma non al cento per cento. – concluse bevendo un lungo sorso.
- In soldoni, sì. – rispose e leccò via dal labbro superiore l’alone della spuma. – I tuoi lavori in giro per il mondo come procedono? – lo incalzò guardandolo curiosa.
- L’arrivo di questa imminente persecuzione e la presenza sempre più dilagante di questa Nuova Religione sta portando via tanti contratti. – ammise quasi irritato. – Fin troppo spesso, quando sono andato a chiedere informazioni riguardo a mostri da cacciare, mi è stato risposto: “Solo Dio potrà liberarcene”. A volte ho provato a insistere e sono stato minacciato di essere bruciato sul rogo perché nessuno poteva domare delle creature così abominevoli se non questo mitico Dio. Al che, fatta esclusione per i borgomastri che già conoscevo e che mi hanno offerto dei nuovi contratti, non ho ricevuto altre richieste di prestazioni... il nulla più totale, eppure i mostri continuano sempre più a infestare le foreste, i villaggi vicini alle paludi e quelli che non hanno la consuetudine di bruciare i cadaveri ma di tumularli semplicemente... a quanto pare non sono più un problema. – terminò scuotendo in segno di diniego la testa, facendo oscillare il codino che legava la chioma rosso rame.
- Sarò la strega più felice del mondo quando interi paesini spariranno devastati da quelle belve. – ammise con un ghigno.
- Come sei sadica. – commentò ironico.
- Disse colui che più si sporca di sangue, più è soddisfatto del suo operato. – lo provocò alzando un sopracciglio
Un sorriso apparve sul volto di Daeg che mostrò alla luce gelida della luna i suoi denti chiari muniti di canini appuntiti. – Questi gioiellini sono sempre qui. – gli si fece vicino carezzandogli con il pollice le labbra sottili. Lui socchiuse gli occhi come a catturare quel tocco e percepirlo più intensamente, poi le sfiorò la mano riaprendo gli occhi celesti, così chiari, da sembrare ghiaccio.
- Ho avuto terribilmente paura. – ammise stringendole con delicatezza il polso e portandoselo sul petto, all’altezza del cuore. – Ho temuto, per la prima volta nella mia vita da randagio e senza affetti sinceri, di averti perduta. Ho viaggiato per settimane, con la tua immagine fissa nei miei pensieri, con la paura pressante di perderti... il solo pensiero mi ha fatto perdere battiti al cuore e mi ha tolto il respiro, fin quando non hai varcato quella soglia e non ho riconosciuto quel passo che il tuo profumo aveva anticipato. –
Fu in quell’attimo che i loro occhi si incontrarono, fissi per attimi a scrutarsi, come a voler catturare ogni dettaglio, sebbene nello sguardo di Aura fosse visibile una sorta di reticenza, come una forza interiore che non le permetteva di avvicinarsi troppo ai sentimenti e alle parole dell’uomo di fronte a lei, come a non voler essere immersa in un mare di sensazioni che poi sapeva sarebbe divenuto torbido.
- Sto bene, Daeg. – tentò di interrompere quel silenzio portando lo sguardo oltre la finestra. – Sai che non devi preoccuparti per me e che so cavarmela benissimo da sola. – continuò, percependo che la stretta dell’uomo si stava facendo più lenta. – Noi sappiamo bene cosa ci è successo, conosciamo perfettamente i nostri limiti e le nostre capacità ma ti prego, non mostrarmi questo lato di te, perché non sarei in grado di risponderti... non troverei le parole. –
Come le braccia di un fantoccio così caddero quelle muscolose di Daeg lungo i suoi fianchi, la testa volta in alto, verso il tetto, gli occhi semichiusi come a voler controllare il respiro e cercare di rimettere in ordine i pensieri.
- Non voglio crederci. – disse quasi in un sussurro, come se lei non fosse lì. – Dopo tutto questo tempo... – si interruppe quasi come se la voce gli si fosse rotta ancor prima di uscirgli dalla bocca.
Aura incrociò le braccia sotto al seno, inclinando la testa di lato come chi è in cerca di spiegazioni ma aspetta che queste escano spontaneamente senza bisogno di domande. – Cosa ti aspettavi? – era più forte di lei, aveva pochissima pazienza e scarsa capacità di sopportazione. – Mi hai ferita Daeg e mi hai fatto così tanto male in così poco tempo che per giorni, settimane non ho dormito. Ho vissuto giorni d’inferno e tu non eri al mio fianco. Ho pianto, urlato, cercato di raggiungerti per fartela pagare ma ho capito che sarebbe stato tutto inutile; io ti ho amato così tanto che ad odiarti non ci sono mai riuscita e sai bene quanto la tua assenza, la tua noncuranza, il tuo darmi per scontata mi abbiamo logorata, erosa come gli scogli del mare che ad ogni onda perdono una briciola scura ma che col passare degli anni diventano voragini. – cercò di non alterarsi e di mantenere un tono calmo, esplicativo. Lo sguardo di Daeg era come quello di un ragazzino che dopo i bagordi notturni si stava prendendo una strigliata dalla mamma fuori di sé dalla rabbia, un’aria contrita, di chi non ammette di aver torto nonostante nel profondo abbia compreso di aver sbagliato.
- Vuoi avercela con me per sempre? – domandò spazientito battendo i palmi sulle cosce muscolose coperte dal pantalone di pelle nera. – Io mi sarò comportato anche di merda, ma ero arrivato al limite e tu non hai mai capito perché ho deciso di allontanarmi. Non ti sei mai sforzata, anzi, hai sempre ritenuto che la ragione fosse solo dalla tua parte. Cosa avrei dovuto fare? Sopportare quella tensione che tu non eri intenzionata a stemperare o lasciarti a malincuore sola col fine di farti comprendere e maturare anche i tuoi di errori? – rispose di rimando avvicinandosi a un palmo dal suo viso. – Tu Aura, se non sbatti quel tuo tenero faccino su un muro irto di spine a una velocità che solo gli Dei possono generare, non capisci. Hai la testa dura e hai anche il coraggio di fare l’offesa senza ammettere che la nostra separazione è stata colpa di entrambi. – concluse fissandola intensamente negli occhi. Durò poco, perché Aura distolse lo sguardo e si sforzò di trovare interessanti persino le linee delle toghe di legno del muro.
Rimasero così per qualche istante, lui che cercava in tutti i modi di catturare il suo sguardo e lei che lo evitava di gran carriera.
- Piantala Daeg. – sbottò cercando di dimenarsi.
- E tu smettila di fare questi giochetti da ragazzina. – ribatté secco.
Il volto di Aura si imbronciò in un’espressione che l’uomo conosceva bene e che segnava l’inizio della fine della sceneggiata; il sipario stava calando sull’ostentata sicurezza della donna e stava lasciando spazio alle sue ammissioni di colpa. Un evento raro che in pochi avevano avuto l’occasione di vedere.
- So che è stata dura, ma non credere che non lo sia stato anche per me. – ammise tentando di appoggiare le mani poco sopra i suoi fianchi tondi, messi in evidenza dal corsetto. – Avevamo bisogno di crescere, ci stavamo autodistruggendo Aura... perdonami se puoi e, se non vorrai, allora cerca solo di capirmi. – tentò di sfiorarle con il pollice una guancia e lei non si oppose, rimase con lo sguardo fisso per terra e le braccia lungo il corpo, con i pugni debolmente chiusi.
- Sai che non hai bisogno del mio perdono per... – non poté terminare la frase che si ritrovò avvolta da due possenti ali nere e, in una frazione di secondo, fuori dalla finestra in direzione del cielo, stretta tra le braccia dell’uomo che poco prima era di fronte a lei. – Daeg, che la peste ti colga, mollami! – urlò dimenando i piedi e scrollando le spalle.
- Mi ringrazierai. – le rispose piano mentre le grandi ali, con un movimento costante, fendevano l’aria fredda della notte.
- Tu ti sei rimbecillito. – constatò scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Da quell’altezza poté vedere tutto il borgo illuminato maldestramente dalla luna, le case divenute microscopiche, la grande piazza centrale divenire piccola quanto una palla e tutta la foresta e i dintorni assemblarsi in un’unica macchia scura.
Atterrarono sul tetto di un grande mausoleo posto a sud del cimitero, nella zona più antica e dove i cipressi più datati avevano messo radici secoli e secoli prima.
Appena si sedette, Aura, si girò di scatto verso Daeg; negli occhi una furia quasi omicida. – Che cazzo ti passa nel cervello? – domandò contenendo l’ira.
- Stai zitta e calmati. – rispose serio reggendole lo sguardo.
Stava per sbottare ma fu bloccata poco prima che potesse dischiudere le labbra; gli occhi di Daeg parevano averla fulminata.
- Rispondi a questa domanda. – disse serio mentre con un’ala tentava di proteggere dalle folate di vento il corpo di Aura. – Hanno mai attentato alla tua vita prima d’ora? –
Gli rispose scuotendo la testa, osservando la punta tonda dei suoi stivali in pelle.
Il volto di Daeg si fece cupo, pensieroso. – So che l’idea è terribile, ma siamo scappati giusto in tempo dall’alcova. – dichiarò cercando di ripercorrere ciò che avevano vissuto qualche minuto prima. – Mentre conversavamo sono entrati nella locanda due individui, hanno chiesto dell’alcova e il locandiere gliel’ha indicata...  Ho sentito il tintinnare delle spade sui gambali di ferro e mi è venuto istintivo spiegare le ali e scappare fuori dalla finestra, dato che non erano previsti altri ospiti oltre me e te. – fece una piccola pausa, incrociando le gambe.
- Sapevo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato. – ammise e sciolse il fiocco di velluto che reggeva quel che restava, dopo quel volo folle, della sua treccia. – Credo vivamente che non abbiano capito con chi hanno a che fare. – aggiunse poi scuotendo la testa per riportare tutti i lunghissimi capelli neri lungo la schiena. L’aria beffarda che aveva assunto il suo volto era in parte rincuorante, perché conosceva le potenzialità di Aura ma, d’altro canto preoccupava Daeg nel profondo; seppure fosse una maga potente, rimaneva comunque impulsiva e di questo aveva paura. Con quest’indole i passi falsi erano dietro l’angolo e dentro sé cominciò a farsi vivo un forte sentimento di protezione, tenuto a freno dalla consapevolezza di non poterla difendere dal mondo intero.
- Non sottovalutare i tuoi aguzzini. – disse serio.
- E tu non sottovalutare me e la mia arte. – rispose stizzita.
- Vuoi capire che non si tratta di due ubriaconi molesti? Né di un brigante con la spada mangiata dalla ruggine? Qui è in atto una guerra contro l’Antica Religione di cui tu sei la Sacerdotessa Suprema. Sei la prima che devono bruciare sul rogo per dare valore alla loro squallida presenza. Tu sei il boccone prelibato dopo tanti piccoli assaggi mediocri. –
- Non sono una bimba sciocca, l’ho ben capito. – commentò, gli occhi fissi sulla luna pallida. Poi sentì l’ala nera, spessa e liscia come se fosse ricoperta di velluto, attirarla verso Daeg che la strinse in un abbraccio, affossando il volto tra i lunghi capelli. Rimase incredula tanto era il forte il calore di quel gesto e appoggiò la guancia sul petto di lui, socchiudendo gli occhi e imponendosi di fermare i ricordi che le stavano balenando in mente. Si sforzò di trattenere le lacrime e non seppe spiegarsi come mai tutta quell’emotività fosse riemersa proprio in quel momento e non una manciata di secondi prima. Riconobbe il vorticare di mille pensieri, la paura di essere catturata e uccisa, di non poter più ricostruire nulla con l’uomo che la stava abbracciando, di perdere la congrega con le sue sorelle e fratelli. Temeva che la sua vita le fosse strappata per mano di folli fanatici senza scrupoli se non quello di giustificare e divinizzare la loro esistenza; così pianse perché, per l’ennesima volta, Daeg l’aveva salvata di nuovo e ricrebbe in lei quel sentimento che, con tanta fatica, aveva rinchiuso e nascosto in un angolo sperduto della sua anima.
- Stammi vicino. – sussurrò con voce flebile e con gli occhi verdi divenuti chiarissimi per le lacrime.
Ammirò quel volto, sconvolto dal pianto ma bellissimo nella sua tanta tristezza. – Io non ti lascio più, te lo prometto sulla mia stessa vita. -




 
L'angolo dell'autrice

               G/E

Salve a chi è arrivato fino a qui!
Spero che questo capitolo introduttivo vi sia piaciuto e mi auguro
che andando avanti riuscirete a coglierne l'essenza.
Grell Evans.
 
  
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