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Autore: Ghostclimber    08/01/2019    3 recensioni
Non ho supplicato.
Non ho pianto.
Non ancora.
Ma sono certo che quando sentirò quella canzone alla radio, qualche lacrima sfuggirà al mio controllo.
Pairing: SenRu, HanaRu, SenMit
Genere: Angst, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ho supplicato.

Non ho pianto.

Non ancora.

Ma sono certo che quando sentirò quella canzone alla radio, qualche lacrima sfuggirà al mio controllo.

Fisso senza vederlo il mio riflesso nel vetro della finestra. Mi sento strano, un estraneo, senza il mio incrollabile sorriso dipinto in volto, e con i capelli ancora umidi dalla doccia.

Mi sento solo, a Tokyo, in questa stanza del campus, così fredda e per metà vuota. Non so chi sarà il mio compagno di stanza, e francamente me ne infischio, al momento.

Il cronista della radio sta cominciando a parlare. Mi scosto un attimo dalla finestra e alzo il volume. -Per la prossima dedica, tra pochissimo avremo in linea Kaede. Kaede, ci sei?

-Nh.- persino sentire la tua voce mi fa sanguinare il cuore. Appoggio il porta tabacco al davanzale della finestra; so che non dovrei fumare, sono un atleta, ma lo faccio lo stesso. Forse è una forma di autolesionismo, come tagliarsi le vene o correre fino a vomitare.

-Ciao, Kaede, sono Ryo di Radio Japan. C'è una dedica per te.

-Nh.- possibile che tu non riesca mai a parlare? Possibile? Deposito un po' di tabacco nella cartina e mi inumidisco le dita con la lingua per rollare meglio la sigaretta.

-Lo prendo come un sì.- dice il cronista, un po' imbarazzato, e lo capisco. Parlare con Kaede Rukawa è come parlare ad un muro, la maggior parte delle volte. -Akira mi ha chiesto di lasciarti questo messaggio: “Spero capirai. Ti voglio bene.” E ora, via con la canzone.

 

“Loose lips sunk ships,

I'm getting to grips

with what you said.

No, it's not in my head,

I can't awaken the dead,

day after day...”

 

Lo so, Robbie Williams parla di sesso, ma per noi quello non è mai stato un problema. Ma tu davvero pensi che io non ti capisca, che mi faccia un'idea sbagliata di quello che sei, di quello che fai... forse è così, forse no. Io so solo quello che vedo, ed è un ragazzo che fa screen out nei miei confronti, che si rifiuta di donarmi qualsiasi cosa a parte il proprio corpo. Il resto del tempo, non fai altro che guardare partite di basket alla tv, leggere riviste di basket, giocare a basket, e credo che questa sia una condizione che ormai esula dalla mera passione. Ho osato definirla “ossessione”, e finalmente ti ho visto scaldarti: ma solo per difendere il tuo punto di vista, e perdonami se ti dico che temo tu non possa essere obiettivo. Sei troppo dentro di te per poterti guardare da fuori e capire che c'è qualcosa che non va, e che vantarti dei tuoi difetti non farà altro che esacerbare la situazione. Non con me, no, ormai non c'è più un noi, ma con te stesso.

Appoggio il filtro ad un'estremità della cartina e comincio ad arrotolarla.

 

“Why don't we talk about it?

Why do you always doubt that there can be a better way?

It doesn't make you wanna stay...”

 

Ho provato a trascinarti fuori di casa. Conoscendo la tua indole solitaria, ti ho portato a pescare, ma non hai fatto altro che metterti in un angolo ombroso a dormire.

Ho provato a parlarti di me, delle mie giornate, delle mie piccole gioie e dei miei piccoli dolori, ma mi hai trattato con condiscendenza, come se fossi un bambino piccolo che racconta le sue avventure all'asilo, ignorandomi un po', anche, da brava mammina impegnata a preparare la cena.

Eccomi, ora divento di nuovo cattivo.

Ma credimi, Kaede, sei tu che mi hai fatto diventare così.

 

“Why don't we break up?

There's nothing left to say,

I've got my eyes shut,

praying they won't stray,

we're not sexed up,

that's what makes the difference today.

I hope you blow away.”

 

Non te l'aspettavi da me, credo.

Ti ho sempre dato supporto in ogni minima cosa, sono sempre stato felice dei tuoi piccoli progressi, fosse anche decidere finalmente di aver fame e alzare il culo dal divano per ordinare una pizza.

Ho sempre bevuto le gocce di quell'affetto che dicevi di provare con me, salvo poi somministrarmelo in piccole dosi, come una droga potente; e così era, perché me ne inebriavo, tanto da dimenticare ogni altra cosa, persino la sofferenza che mi dava vederti sempre imbronciato, col capo chino, come se un peso fosse sulle tue spalle e nessuno potesse togliertelo. Nemmeno io.

Accendo la sigaretta e apro un po' la finestra, lasciando entrare una fresca aria primaverile. Soffio fuori il fumo ad occhi chiusi, perché so che se li tengo aperti guarderò quella nuvola evanescente che esce dalle mie labbra, che mi ricorda tanto il legame che avevamo.

Li riapro, dopo un po', e guardo l'ultimo residuo dissolversi in piccole bave grigie dissolte dal venticello. Spero che tu voli via come il fumo della mia sigaretta, anche se so che parte di te è dentro di me e ci resterà per molto, molto tempo.

Sempre che io riesca a disintossicarmi.

 

“You say we're fatally flawed,

when I'm easily bored,

is that ok?

Write me off your list,

make this the last kiss,

I walk away...”

 

Sì, tornavi sempre su quella storia. Trovavi difetti in qualunque cosa, anche in te stesso. Non ti risparmiavi, ti accanivi contro le tue stesse imperfezioni, parlavi solo di quello.

Quando parlavi.

Il problema è che non ti rendevi conto che le tue imperfezioni sono ben altre: non il fatto che in media sbagli un canestro su cento, non il fatto che non riesci a tirare da ogni singolo punto della metà campo, non il fatto che con Sakuragi non riesci a trattenerti e finite sempre a fare a botte.

Quelli sono semplicemente sintomi della tua umanità.

Perché sì, Kaede Rukawa, tu sei umano. Rassegnati, è una cosa che non puoi cambiare.

Potresti invece cambiare la tua inflessibile durezza nei confronti del prossimo, cercare di comprendere che è normale che non tutti ragionino allo stesso modo, tentare di penetrare oltre la superficie per vedere cosa c'è sotto.

Forse, se ti fossi impegnato, avresti scoperto che dietro al sorriso di Akira Sendoh c'è un ragazzo insicuro ma sempre pronto ad aiutare il prossimo... tu, soprattutto.

Sono sempre stato al tuo fianco, una presenza discreta ma costante, pronto a sorreggerti se tu fossi caduto ma in realtà spesso relegato al ruolo di portaborse.

Ma ora basta, Kaede. Ne ho abbastanza del tuo vittimismo, del tuo atteggiarsi a bello e tormentato. È ora che tu ti renda conto che le persone che ti possono aiutare non sono quattro deficienti arrapate che urlano slogan da decerebrate dagli spalti. Quelle non vedono l'ora che tu mostri una debolezza per approfittarne.

Ma forse non vuoi essere aiutato.

O forse non sono io la persona che può aiutarti.

 

“Why don't we talk about it?

I'm only here, don't shout it,

given time, we'll forget,

let's pretend we never met...”

 

Il ricordo del tuo sguardo, l'ultima volta che ci siamo incontrati, ancora mi dipinge una smorfia in viso. Ti ho detto che sarei partito per l'università e tu mi hai chiesto di restare. Ho cercato di spiegarti che devo seguire la mia strada, e che non si trattava di un addio.

Sarebbero solo cambiate le faccende esteriori della nostra storia: ci saremmo visti più raramente, tutto qui, ma ci saremmo comunque sentiti ogni volta che tu avresti voluto, e tu mi hai accusato di non esserti abbastanza vicino.

E tu dov'eri? Te l'ho chiesto, ma non mi hai risposto.

Lo so, il tempo lenirà questa rabbia che mi rode dentro di me, che mastica il mio cuore e mi strozza i polmoni, questa rabbia che non voglio provare, perché non la riconosco come mia. Non sono io, io brucio per un attimo e poi torno a sorridere, sono il proverbiale fuoco di paglia, ma non stavolta. Tu mi hai indurito, mi hai trasformato in legna, e ora brucerò fino a diventare nient'altro che un tizzone ardente di me stesso.

Che triste ironia, la prima volta che ti degni di fare un discorso senza che io debba tirarti fuori le parole con le pinze ti limiti ad accusarmi di colpe che non ho. E non perché io non le voglia riconoscere, sai benissimo che sono il primo a mettersi in dubbio quando qualcosa va storto.

Ma stavolta so di aver agito al massimo delle mie capacità; e come due estati fa, quando Ryonan e Shohoku si sono incontrati per il secondo posto in finale, ho fallito.

Con te, fallisco sempre.

 

“Why don't we break up,

there's nothing left to say,

I've got my eyes shut,

praying they won't stray,

we're not sexed up,

that's what makes the difference today.

I hope you blow away.”

 

Me ne sono andato sbattendo la porta.

Ti ho buttato addosso quello che penso di te, e se leggi bene tra le righe non troverai disprezzo.

Troverai compassione e tanto, tanto amore.

Ti ho detto che devi smetterla di fare il grande uomo, che devi accettare la tua esistenza così com'è, percorrere la tua strada giorno per giorno cercando di cavare il meglio da ogni situazione.

Credo di averti addirittura detto che dovresti prendere esempio da Sakuragi; quel ragazzo è pieno di risorse, e la sua capacità di recupero è fenomenale.

So che dietro alla tua maschera di ghiaccio e ai tuoi comportamenti strani, quasi autolesionisti, si nasconde un dolore profondo, e non intendo sminuirlo.

Ci sono passato anch'io, anche se non ti è mai venuto in mente di chiedermi qualcosa, o che forte della mia esperienza avrei potuto aiutarti.

E non ti è mai venuto in mente che se il mio sorriso crolla, crolla per un motivo. Il sorriso è la mia maschera, ma quando l'ho tolta di fronte a te mi hai ignorato.

Hai solo ripreso a palleggiare.

E io mi sono sentito una puttana.

 

“Screw you, I didn't like your taste,

anyway, I chose you,

and that's all gone to waste,

it's Saturday, I'll go out

and find another you.”

 

Ho sempre saputo che eri un tipo strano.

Non ho cercato di starti al fianco per sfida.

Credevo di aver riconosciuto in te un'altra anima ferita, alla quale avrei potuto appoggiarmi e che avrebbe potuto appoggiarsi a me.

E ci saremmo rialzati insieme, spalla contro spalla, sul ciglio del mondo a urlare che ce l'abbiamo fatta, e vaffanculo tutti gli altri, noi ce l'abbiamo fatta.

Un passo alla volta, sopportando le cadute, allontanando le persone che ci facevano del male. Avremmo portato orgogliosi le cicatrici.

Per la precisione, io avrei portato le tue e tu le mie.

Io avrei difeso te e tu avresti difeso me.

Ma pian piano si è fatta strada in me la consapevolezza che stavo cercando di portare le cicatrici di entrambi, mentre tu continuavi a giocare a basket e nulla più.

La porta della stanza si apre ed entra qualcuno.

-Woah, cazzo, proprio oggi doveva rompersi l'ascensore?- chiede una voce trafelata.

-Ehi, Mitsui!- saluto, cercando di stamparmi in faccia un sorriso convincente. Lui strabuzza gli occhi e poi mi riconosce: -Ehilà, Sendoh! Sei il mio compagno di stanza?

-Pare proprio di sì.

-Bella, almeno sei simpatico e ti piace il basket! L'anno scorso ero in stanza con un musone pazzesco che non faceva altro che studiare.

-Quella è una cosa che mi vedrai fare solo quando non potrò più evitarlo.

-Credo che io e te andremo proprio d'accordo!- Mitsui ride, ma non riesco a fargli eco e lui si accorge subito che qualcosa non va.

-Ehi. Va tutto bene?- chiede. Sto giusto pensando di raccontagli una balla, quando le parole escono dalla mia bocca: -Io e Rukawa ci siamo lasciati.

-Oh.- lo vedo fare un passo in avanti, tentennante. Poi un altro. E infine sono tra le sue braccia, a lasciarmi stringere e a stringere lui di rimando, e la sensazione è diversa da quella che avevo con te, Kaede. Sento il dolore abbandonarmi, come sangue che esce da un taglio sul polso, e sento un dolore diverso, pungente ma più fioco, distante, invadermi.

È il suo dolore.

È quello che io e te non siamo mai riusciti a fare, Kaede.

È come acqua fresca, e spegne le fiamme che rischiavano di annullarmi.

 

 

 

 

Un anno dopo.

 

-Alza il culo, Akira, che altrimenti facciamo tardi!- mi urla Mitsui dalla cucina. Mugugno. Sento i suoi passi avvicinarsi alla porta della camera e mi copro preventivamente la testa con il cuscino.

Ho fatto bene, perché mi lancia un mestolo, e la sua fama di cecchino non si è oscurata. Per niente.

-Hisaaa!- protesto.

-Alza il culo, ti ho detto!- mi strappo il cuscino dalla faccia e sbuffo platealmente. Metto un paio di jeans con gesti scocciati e impetuosi, so che mi sente “fare la teiera”, come dice lui quando mi metto a fare il capriccioso.

Mi riempio i capelli di gel e mi dirigo in cucina, dove Mitsui mi accoglie facendo partire sul cellulare la Marcia Imperiale, quella che accompagna l'arrivo di Darth Vader. -Ah-ha, spiritoso.

-Mio signore, ci sono le uova strapazzate.- mi dice, in finto tono deferente, e io lo colpisco con un tovagliolo. Finge di cadere morto, e io rido.

So che lo fa per me.

Oggi, Kaede lascia il Giappone per andare a studiare negli States con il suo ragazzo, Hanamichi Sakuragi, e noi li andremo a salutare.

 

-Muoviti, cazzo!- mi incita Mitsui, e mentre corro per raggiungere la sala d'aspetto dell'aereoporto maledico ogni singola sigaretta che ho fumato in tutta la mia vita. Una per una.

-Rukawa!- urla Mitsui, e vedo il mio ex ragazzo voltarsi. Raggiungiamo lui e Sakuragi, e per fortuna Mitsui ha ancora il fiato per reggere qualche convenevole, perché io sto sputando un polmone; di solito, in campo corricchio un po', faccio qualche scatto, ma cinque minuti pieni a correre più veloce che posso non li ho mai fatti prima d'ora. Credo che morirò.

-Non pensavo che saresti venuto.- mi dice Rukawa, guardandomi dall'alto in basso, come sempre compassato ed elegante. Ma c'è una luce, nei suoi occhi, uno scintillio che non c'è mai stato prima.

-Ehi. Ci siamo lasciati ma ti voglio comunque bene, Kaede.- prendo un respiro, e stavolta riesco a riempire fino in fondo i polmoni. La mano di Mitsui cerca la mia, e la stringo. Abbiamo discusso a lungo di questo momento, e sa che devo farlo.

-Mi dispiace.- dico, e Rukawa alza un sopracciglio, -Mi dispiace non essere stato la persona che ti serviva quando era necessario. Ma non potevo esserlo perché non lo sono. Aspettavo che tu facessi il primo passo, e non so se sono stato stupido a crederci o...

-Sei stato te stesso.- mi dice Sakuragi, e quanto sembra adulto questo ragazzo di appena diciott'anni mentre stringe la mano del suo ragazzo.

-Sì. Sì, sono stato me stesso.- Sakuragi non aggiunge altro, ma sorride, mentre Rukawa non mi guarda. Inaspettatamente stupisco anche me stesso scoppiando a ridere: -Beh, poteva andarmi peggio!- esclamo.

-Tsk. Sempre il solito.- mormora Rukawa.

-I passeggeri del volo AK-714 per New York La Guardia sono pregati di recarsi al Gate 11 per l'imbarco!- annuncia una voce incorporea sopra di noi.

-È il nostro, Kitsune.- dice Sakuragi, e Kaede si getta una sacca sulla spalla. Poi, Sakuragi si volta e mi abbraccia. È una stretta fraterna, da vero maschiaccio, e probabilmente domani mi troverò un bel paio di lividi, ma sono felice che l'abbia fatto. Mentre si gira ad abbracciare anche Mitsui, colgo un'ultima immagine di Rukawa.

Spero di non sbagliare anche stavolta.

Lo abbraccio.

Dopo un istante che pare infinito, le sue braccia si alzano a cingermi la schiena, con le mani chiuse a pugno come quando stavamo insieme. Gli schiocco un bacio sulla guancia e gli dico: -Falli tutti neri, Rukawa. Diventa il numero uno anche lì.- si stacca lentamente da me e mi fissa negli occhi.

Mi sembra di leggerci un “ti voglio bene anch'io”, ma forse mi sbaglio.

Annuisce, prende per mano Sakuragi e insieme si allontanano, voltandoci le spalle.

Sakuragi l'ha aiutato a tirare fuori l'uomo che c'è in lui, una creatura forte, segnata ma non per questo debole, semmai più saggia, fiera e sicura di sé.

Questa magnifica creatura non è mia, l'ho sentito nei pugni chiusi sulle mie scapole, così diverse dalla carezza che sta regalando alla schiena di Sakuragi mentre camminano fianco a fianco; gli sfiora una vertebra per volta, e il mio cuore infine trova la pace, perché so che è con la persona giusta, e ho la certezza che ce la farà.

Non grazie a me, ma ce la farà.

E alla grande, anche.

 

-Maratona Dragon Ball?- propone Mitsui.

-Cazzo, sì.- rispondo, e gli passo un braccio intorno alle spalle mentre ci allontaniamo.

Non abbiamo nulla da fare per tutto il giorno, la levataccia mi fa sentire sonnacchioso e una maratona di anime è proprio un'idea geniale.

Fuori dall'aeroporto, guardiamo un aereo staccarsi da terra, e anche se so che è impossibile fingo che sia quello che porta Rukawa e Sakuragi in America, a coronare il loro grande sogno.

La mano di Mitsui si posa sul mio fianco in un muto conforto, e il mio sorriso si apre, spontaneo.

-Piano e con cautela, cominceremo di nuovo dall'inizio.- dice Mitsui, e io gli tiro il lobo dell'orecchio. -Ehi, che fai, mi citi?

-Assolutamente sì.- mi risponde, e appoggia la testa alla mia spalla.

Sono felice, con lui.

Anche Rukawa è felice, finalmente realizzato.

La vita è bella.

 

 

 

 

Chiedo scusa per la sbrodolata di angst.

Sto cercando di credere fermamente all'ultima frase che ho scritto, e forse ci riuscirò.

Al mio fianco non c'è più una persona che diceva di volermi bene, e a cui io ne voglio ancora tanto, tantissimo, per quanto temo che le nostre strade si siano divise.

Forse anche a causa mia, che non ho potuto essere diversa da me stessa, che non ho saputo mettermi in tasca il mio dolore per ascoltare lei.

Ma forse siamo entrambe colpevoli, e nessuna delle due è da biasimare.

Comunque vadano le cose, sono felice di aver condiviso una parte del sentiero con te, Illy, e ti auguro di tutto cuore di farcela.

 

Il mio più grande ringraziamento va a Ilaria, che c'è. Non so perché o come fa, ma c'è. E mi ha persino strappato un sorriso. Grazie un sacco, anzi un sacchissimo. (autocit.)

 

 
   
 
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