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Autore: CalvinCoolest    08/01/2019    2 recensioni
Appena si furono allontanati, iniziarono a scendere gli hovercraft, uno per ogni cadavere.
Improvvisamente, Domitia pensò a come ognuno di quegli hovercraft conteneva un corpo che presto sarebbe tornato a casa in una cassa di legno. E uno di quelli era lì per causa sua.
Da qualche parte, a Panem, una famiglia era in lutto per colpa sua.

| 41esimi Hunger Games | Il rating potrebbe cambiare
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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▪ CAPITOLO SECONDO ▪
La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe

«Chi è rimasto?»
Caprice camminava con leggerezza. Camminava come se fosse stata nel prato del Distretto 6 (prato grigio, spento, morto), come se intorno a sé non ci fosse un mondo artificiale di morte e dolore. Caprice camminava quasi sulle punte, a piccoli scatti.
«Vediamo… tutti i Favoriti...»
«Giusto, poi è morta quella del 3, ma non il ragazzo?»
Rudry camminava di fianco a lei ma i suoi passi erano pesanti. I suoi stivali lasciavano impronte ben visibili sul terreno. Inizialmente aveva pensato di cancellarle, ma come potevano fare? Da qualche parte dovevano pur camminare.
«Sì, e poi… quelli del 5 sono vivi entrambi, credo» rispose.
«Anche del 6».
«Direi di sì».
Caprice sorrise. «Ne sei proprio sicuro?» Poi iniziò a ridere.
No, pensò Rudry. Non per molto, in ogni caso.
Non disse nulla. Sorrise anche lui.
«La ragazza del 7 è morta» aggiunse Rudry.
L’aveva vista morire. Era nella pedana di fianco alla sua, ed era corsa verso un’ascia. Era stata rapida ma non intelligente. Aveva fatto giusto in tempo ad afferrare l’ascia prima di essere trafitta dalla spada del ragazzo del Distretto 1.
«Anche quella dell’8».
Rudry sospirò. Non aveva stretto amicizia con nessuno degli altri Tributi, gli era parsa una perdita di tempo, eppure pensava a quei morti come a dei vecchi amici, dei compagni stretti, che gli erano stati dati per tre giorni e subito tolti.
«Quello del 10» mormorò Rudry.
Un’esplosione colorata, un botto e quel ragazzo se n’era andato con il sorriso sulle labbra. Forse aveva fatto bene. Aveva fatto bene. Avrebbe dovuto farlo anche lui.
Avrebbero dovuto farlo tutti.
Cosa sarebbe successo, se l’avessero fatto tutti?
«Anche il ragazzo del 9, e dell’11» disse Caprice.
«Entrambi del 12» concluse Rudry.
In totale, otto. Rimanevano sedici Tributi, di cui sei Favoriti, due erano loro e otto erano nella loro stessa situazione. Se fosse stato un capitolino, Rudry avrebbe scommesso su Hadrian, il diciottenne del Distretto 2. Era forte, alto, bello e anche simpatico. Aveva preso un voto altissimo.
Rudry aveva preso quattro, meno di Caprice.
Caprice aveva preso cinque.
Neanche i suoi genitori gli avevano detto che aveva speranze di vincere. Lo avevano abbracciato, lo avevano accarezzato, e lo avevano salutato. Gli avevano detto addio, per sempre, poi erano andati a casa a piangere con le tapparelle chiuse e le luci spente.
E lui era andato a morire.
Rudry pensò che faceva ancora in tempo a controllare come moriva: poteva prendere la propria lancia e infilzarsela nel petto. Poteva fare quel che quel Favorito alla Cornucopia non era riuscito a fare. Poteva fare quel che aveva fatto il Ragazzo del Distretto 10.
Ma non sarebbe stato rapido. Una cosa aveva imparato, ai corsi di sopravvivenza: una ferita di lama da taglio può impiegare ore a ucciderti. Ore di agonia e sofferenza. Ore di urla e di implorazioni. Ore di tortura.
Il ragazzo del Distretto 10 era morto in fretta.
Rudry, ormai, poteva solo soffrire.
E quindi continuò a tenere la lancia stretta in mano, ben lontana dal proprio petto.
Sarebbe morto di sete.
Forse gli insetti non significavano veramente che c’era dell’acqua. O forse l’acqua era un corso sotterraneo, a cui non avevano accesso. Forse gli strateghi avevano messo degli insetti ma non dell’acqua, perché nell’Arena vigevano leggi diverse da quelle che governano il mondo naturale.
Sarebbe morto di fame.
Caprice aveva preso uno zainetto con due bottiglie di plastica (vuote) e della carne essiccata.
Sarebbe morto di caldo.
I suoi vestiti neri assorbivano tutti i raggi del sole. Era sicuro di essersi già scottato. Lui, come tutti al Distretto 6 era pallido e poco abituato alla luce del sole. Spendeva la maggior parte del suo tempo all’interno, e lavorava alla catena di montaggio in fabbrica.
Sarebbe morto.
Il pensiero di morire lo disturbava meno di quel che credeva. Forse non aveva ancora del tutto realizzato esattamente cosa gli sarebbe successo.
Lui e Caprice continuarono a camminare. Lui aveva la lancia, Caprice lo zainetto.
Lei camminava leggera e spensierata. Lui, ricurvo, lento, pesante e terrorizzato.
Caprice era sempre un passo più avanti di lui.
Caprice disse: «senti?»
«No» mormorò Rudry.
«Non senti?»
Lui scosse la testa. Lei borbottò qualcosa. Continuarono a camminare.
Poi sentì, in lontananza, il rumore dell’acqua che scorre.
«Lo sento» mormorò.
E tirò un sospiro di sollievo.


«Cos’hai nello zainetto?»
Gadge aveva notato sin dal primo momento lo zaino nero di Newton, ma non aveva detto nulla. Aveva passato la notte a guardare il ragazzino e a non riuscire a dormire. Newton, d’altro canto, sembrava aver dormito senza alcuna preoccupazione — Gadge si disse, per un attimo, che avrebbe potuto rubargli lo zaino e scappare via, lasciarlo lì a dormire —, fidandosi ciecamente di lui.
Gadge aveva provato a dormire ma era riuscito solo a chiudere gli occhi e a pensare alla morte. Il far nulla gli faceva venire in mente il pensiero martellante di essere negli Hunger Games. Il fare qualcosa l’avrebbe ulteriormente disidratato.
«Non ho ancora guardato» rispose Newton. Si era appena svegliato ma sembrava ancora stanco.
«Hai dormito bene?»
Newton annuì.«Tu?»
«Sì» mentì Gadge. «Sorprendente, no?»
Newton si strinse nelle spalle. «Non so» disse, «credo sia normale essere stanchi in una situazione del genere, e finire con il dormire».  Poi prese lo zainetto e lo aprì. «Hai mai letto Robinson Crusoe?» chiese.
Gadge scosse la testa. Non era mai stato uno da grandi letture. Non ammise di non sapere cosa fosse Robinson Crusoe.
«Anche Robinson il giorno in cui naufraga dall’isola dorme bene, come un sasso».
Gadge non disse nulla. Continuò a guardare il ragazzino, che prese a frugare nello zaino.
«Ho dell’acqua».
Newton tirò fuori una bottiglietta di plastica.
«Quanta?»
«Poca».
Gadge sbuffò.
Newton sembrava meno preoccupato di lui. «Sarebbe noioso se morissimo di sete. Quindi sicuramente gli strateghi avranno preparato un modo per farci bere».
Gadge scosse la testa. «Ora che l’hai detto ci faranno crepare entrambi di sete».
Vide Newton impallidire.
Gadge era ancora appoggiato al muro. I suoi sforzi di affillare la pietra erano presto diventati vani. Era stanco, e assetato. Si sentiva la testa leggera.
Poi, Newton tirò fuori un piccolo coltello dallo zaino. Gadge continuava a pensare alla sua scatoletta di carne in scatola, impossibile da aprire. Non sembrava giusto che Newton trovasse acqua e una specie di arma (il coltellino, Gadge lo ammetteva, avrebbe difficilmente fatto danni a qualcuno) e lui una scatola inutile.
Newton mise a terra lo zaino ma tenne fuori la bottiglia piena di acqua. La aprì e ne prese un sorso. Poi la porse a Gadge.
Gadge, che implorava il cielo di portargli dell’acqua da ore, faticò a mandare giù il piccolo sorso che prese. Newton chiuse la bottiglia e la mise via, e Gadge sentì l’istinto di chiedere un altro sorso.
Non possiamo permettercelo, si disse.
Al distretto erano poveri, e a volte mancava il cibo, ma l’acqua la avevano sempre. Aveva sofferto la fame, il freddo, il caldo e la malattia, ma mai la sete.
«Allora non tutti gli zaini erano completamente inutili» mormorò Gadge. «Io ho trovato questa scatoletta impossibile da aprire».
Aprì lo zaino, tirò fuori la scatoletta e la fece vedere a Newton. Newton, che si era seduto su una colonna caduta, la prese in mano.
Gadge pensò che avrebbero potuto usare il coltellino di Newton per aprirla.
Newton la osservò per un attimo e poi decretò: «non è una scatoletta».
Gadge non rispose. La riprese e la rimise nello zaino.
«La corda è una miccia» spiegò Newton. «Credo sia una granata».
Gadge aprì la bocca per rispondere, ma non sapeva cosa dire. Una granata. In uno zaino così lontano dalla Cornucopia?
«Non hai niente per accendere un fuoco?» gli chiese Newton.
Gadge scosse la testa.
«Beh, allora non so come la userai. Ma è una granata».
«Una granata» ripeté Gadge.
«Già».
«Beh, si vede che a Capitol City è piaciuto che quel tipo abbia vinto con una bomba, l’anno scorso».
Newton si strinse nelle spalle.
«Poi, quel tipo» disse Gadge, «viene dal tuo distretto, no?»
Newton annuì. «Ma non è il mio mentore» aggiunse. «La mia mentore si chiama Ivette, ha vinto molti anni fa» disse, «lui fa da mentore alla mia compagna».
«Quindi mi stai dicendo che è un caso che nel Distretto 5 ci siano due appassionati di esplosivi?»
Newton accennò a un sorriso ma scosse la testa. «Non sono un appassionato» disse con fermezza. «Ho prestato attenzione all’addestramento».
«Touché».
Newton sorrise.
Gadge decise di alzarsi. Si sentiva stanco, affamato, ancora assetato ma sapeva di doversi muovere, a un certo punto. Erano ore che se ne stava lì, appoggiato al muro.
Si alzò, inizialmente sentendosi le gambe stanche e pesanti. Vedendolo, Newton si alzò a sua volta. Senza dire nulla al riguardo, ciascuno stringendo i propri zaini, iniziarono entrambi a camminare in direzione ovest.
Dopo che ebbero camminato per un po’, in totale silenzio, Gadge si ritrovò a dire: «senti, Newton?»
«Sì?»
«Quel Robin-come-si-chiama...»
«Robinson Crusoe».
«Sì, lui».
«Alla fine, come finisce il libro?»
«Perché?»
Gadge si strinse nelle spalle. «Così, per sapere» disse.
«Beh, alla fine… torna a casa».

 

Nota: Ero indeciso se includere o meno Robinson Crusoe in questo capitolo perché non so esattamente quanto della cultura passata sia rimasto a Panem, e in particolare nei distretti. Sappiamo, per esempio che è rimasta una certa influenza dalla cultura romana, ma da quel che ricordo Katniss non dice molto riguardo alla letteratura. Immagino che nei distretti, in particolare in quelli poveri, sia un hobby poco diffuso; ma pensandoci non mi sembrava assurdo che certi classici della letteratura siano rimasti anche a Panem, e quindi ho deciso di mantenere la citazione a Robinson Crusoe. 
 

   
 
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