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Autore: Roscoe24    09/01/2019    7 recensioni
"Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa?"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Magnus si svegliò con il suono martellante della sveglia nelle orecchie. Si voltò sotto alle coperte, finendo con l’imitare involontariamente un baco da seta, mentre allungava un braccio per spegnere quell’aggeggio. Odiava quando la sveglia cominciava ad emettere quella serie irrefrenabile di bip metallici così insistenti da sembrare il timer di una bomba che sta per esplodere.
Avvolto nelle coperte, si mise a pancia in su, fissando il soffitto. Dalle tende chiuse alla finestra, filtrava una sottile striscia di luce, tenue e timida come l’alba da cui derivava. La stanza era inondata dalla luce grigio-celeste tipica delle prime luci del mattino e Magnus tese l’orecchio verso la radiolina che teneva sul comodino per sentire se Erin fosse già sveglia. Il respiro rilassato che emise l’oggetto gli comunicò che la sua bambina stava ancora dormendo nel suo lettino, così decise di rimanere a sua volta sotto le coperte, aspettando che anche l’ultimo residuo di sonno lo abbandonasse. Appoggiò una mano sull’addome, dove incontrò il cotone della maglietta con cui aveva dormito. Non dormiva mai con magliette simili, di solito i suoi pigiami erano di seta, ma la sera prima la sua testa era altrove. Mentre si vestiva per la notte, la sua mente era su Alec. Lui portava magliette di cotone, semplici, che ricadevano delicatamente sulla sua schiena e aderivano all’addome quel tanto necessario a stuzzicare la fantasia di Magnus, facendogli intuire che c’era la buona possibilità che Alec fosse ben fatto, definito.
Si stupì nel costatare che il secondo suo pensiero, dopo Erin, quella mattina, era stato lo stesso con cui si era addormentato la notte prima: Alexander.
E in particolare, Alexander che parlava con Erin.
“Allora Erin, domani cominci l’asilo?”
“Sì, ma non ho paura. Papà mi ha già detto che non devo averne.”
Alec si voltò verso Magnus, un sorriso soffice sul viso. “Scommetto che ha più paura papà.”
Erin, seduta sulla sua seggiolina a tavola, aveva guardato Alec con gli occhi a mandorla accigliati, come se le sfuggisse qualcosa. “Ma papà non comincia l’asilo, domani. Perché dovrebbe avere paura?”
Alec rise. “Hai ragione. Nessuno di voi due deve averne.”
“Diana ha paura?”
“Anche il suo papà le ha già detto che non deve averne. L’asilo è un bel posto per fare amicizia.”
Erin aveva annuito, prendendo una rotellina di carota dal suo piatto. Per lei niente riso fritto, Magnus pensava fosse troppo presto per cominciare a darle cibi di quel genere, così aveva optato per carne e verdure. “Anche papà l’ha detto. Farò amicizia, gli ho detto, ma Diana rimane la mia preferita.” Precisò e Alec sorrise. L’amicizia che legava le due bambine era palese anche per lui, che le aveva avute sott’occhio insieme solo poche volte. Era una cosa bellissima avere già un amico del cuore a quell’età.
Magnus si trovò a guardare Alec che parlava con Erin, chiedendole altre cose. Se le piaceva disegnare, o qual era il suo animale preferito. Erin rispondeva e faceva domande a sua volta. Era una scena dolce, un quadretto che faceva galoppare il cuore di Magnus in un modo che lo preoccupava anche un po’, ma che, soprattutto, gli risvegliava pensieri che aveva assopito da quando si era lasciato con Camille. Certo, non voleva fare la figura del matto che appena incontra una persona gentile e affettuosa sente già la marcia nuziale in testa, ma… Alexander gli faceva venire voglia di innamorarsi di nuovo. Aveva sbloccato qualcosa, in lui. Fiducia, avrebbe detto su due piedi Magnus.
“Verrai, domani?” domandò Magnus, inserendosi nella conversazione tra Erin e Alec. La principessa più coraggiosa, secondo Erin era Mulan – questo le aveva fatto venire in mente che avrebbero potuto guardare il cartone tutti insieme, dopo cena. Alec, dopo aver risposto di sì alla richiesta della bambina, guardò Magnus.
“Non penso. Clary ci ha banditi. Dice che se poi ci vede tutti insieme si mette a piangere. Saranno solo lei e Jace.”
Magnus annuì. “Piangerà in ogni caso.”
“Oh lo so. Con ogni probabilità, se venissi e guardassi la mia nipotina varcare quella soglia per la prima volta, lo farei anche io.”
Magnus sorrise, annuendo con comprensione. “Io lo farò sicuramente.”
“Terrai compagnia a Clary.” Sorrise, le fossette comparvero sulle guance e Magnus si trovò a guardare quel viso con più attenzione del dovuto. La sua forma, il modo in cui gli occhi cercavano di attirare l’attenzione più di ogni altra cosa, senza che, tuttavia, il loro proprietario lo sapesse. Gli occhi di Alec erano speciali – e non solo per il loro colore mozzafiato ed indefinito. Trasmettevano tranquillità, ma anche sicurezza e calore. Erano occhi che avresti sempre voluto avere addosso, per sentirti protetto. E Magnus aveva la strana certezza che era meglio non esserne nemico perché come erano capaci di proteggere, erano anche capaci di ferire, di mutilare. Una parte di sé, recondita, che gli trasmise una sensazione più che un pensiero razionale, gli fece sperare di non essere mai guardato con freddezza, da quelle iridi, perché sarebbe stato peggio che ricevere un proiettile in pieno petto.
Alexander aveva gli occhi più suggestivi e potenti che avesse mai incrociato.
“Indubbiamente.” Sussurrò, ancora un tantino incantato e preda dei suoi pensieri. Alec sorrise comprensivo e Magnus pensò che era necessario che i suoi occhi facessero di tutto per attirare l’attenzione, quando avevano un rivale simile che poteva prendere il loro posto. Il sorriso di Alec, accecante e raro, era così bello da far smettere di scorrere il tempo per fare in modo che chiunque si fermasse a guardarlo. Come poteva Alec non rendersi conto di tale bellezza? Come poteva il cuore di Magnus rimanere indifferente a tutto ciò? Non lo faceva. Il solo che rimaneva indifferente era il proprio cervello, che gli ricordava costantemente di non lasciarsi abbindolare, di non guardare la luce come se fosse necessariamente il luccichio riflesso dell’oro perché, aveva imparato, non tutto ciò che luccica lo è.
A volte ciò che sembra oro, altro non è che un metallo misero, povero di qualsiasi cosa che conti. Come Camille.
Lui non è Camille, aveva pensato.
Non puoi saperlo, aveva risposto il suo cervello.
Ed era vero. Sebbene Magnus avesse la sensazione che Alexander fosse totalmente all’opposto di Camille, quella rimaneva, appunto, una sensazione. Non lo conosceva a tal punto da poterlo dire.
Ma, tuttavia, la fiducia che sentiva di provare nei suoi confronti, rimaneva. In ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni parola. C’era fiducia. E a Magnus, per ora, bastava.

Gli bastava, pensò mentre scostava le coperte e si alzava dal letto, lasciando che quel ricordo riecheggiasse ancora per qualche istante nella sua mente, prima di relegarlo in un angolino speciale.
Gli bastava, pensò mentre usciva dalla sua camera e si dirigeva verso quella di Erin, per svegliarla. Era un giorno importante e voleva che tutto andasse bene. Aveva fiducia che sarebbe stato così.
Fiducia, qualcosa che a quanto pareva era nell’aria; qualcosa che, volente o nolente, avrebbe associato ad Alexander.

*

“Staranno bene, vero?” domandò Clary, stringendosi le braccia al petto. I suoi occhi verdi guardavano la figura della figlia che seguiva la maestra all’interno dell’asilo.
“Sì, amore. Devi stare tranquilla.” Rispose Jace, abbracciandola da dietro. Il viso appoggiato alla spalla della fidanzata. Le lasciò un bacio sulla guancia, prima di osservare a sua volta la sua bambina. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, ma le ricacciò testardamente indietro per due motivi:  primo, se avesse pianto lui, poi avrebbe dato il via ad una catena di pianti a cui si sarebbero uniti sia Clary che Magnus; due, se l’avesse fatto, Clary se lo sarebbe inevitabilmente fatto scappare, parlando con Alec, Izzy e Max. E quei tre screanzati non vedevano l’ora di prenderlo in giro. Già li sentiva, appellarlo come l’uomo grande e grosso che piagnucola. Infidi, ecco cos’erano. Infidi traditori. Vatti a fidare dei fratelli.
Tuttavia, quando vide la bionda testina riccioluta della sua piccola voltarsi verso di loro e agitare una manina per salutarli, un groppo otturò inevitabilmente la sua gola e allora la presa sui fianchi di Clary si fece più salda, come se aggrappandosi a lei sarebbe effettivamente riuscito a non piangere. Funzionò. Clary ricambiò il saluto della bambina e così fece Jace. Diana teneva Erin per mano, così poco dopo anche lei si voltò per salutare Magnus, che si trovava a vicino alla coppia. L’uomo rispose al saluto della figlia e la osservò varcare la soglia dell’edificio.
Quando le porte si chiusero – riconobbero David farlo, ma nessuno disse nulla – i tre rimasero a fissare la porta a vetro con i disegni qualche istante e in silenzio. Magnus si asciugò gli occhi due volte, prima di spezzarlo.
“Diventano grandi così in fretta.” Sospirò.
Clary e Jace lo guardarono e annuirono. “A me manca già,” aggiunse il biondo, sospirando. Strinse Clary ancora un po’, prima di sciogliere l’abbraccio.
“Devo andare.” Annunciò. Clary si voltò verso di lui e gli occhi bicromatici del biondo percorsero il viso della fidanzata, come se cercasse di memorizzarlo meglio e avere qualcosa che gli desse la forza di superare quella giornata. Non aveva bisogno di memorizzare niente, in realtà. Con gli anni, aveva guardato il viso di Clary così tante volte da conoscerne ogni dettaglio, ma non si sarebbe mai stancato di farlo. Non si sarebbe mai abituato alla bellezza dei tratti delicati di Clary. Era bella, ogni giorno di più. E lui l’amava, ogni giorno di più. “Ho una lezione e se arrivo tardi il rettore mi scuoia. Sono il più giovane professore universitario della città, una specie di prodigio vivente, e mi trattano come uno zerbino.”
Clary lo guardò nel modo tipico che aveva di tenerlo con i piedi per terra. Come a voler impedire a Jace di montarsi troppo la testa. Impresa titanica, ma lei ci provava comunque. In ogni caso, avrebbe mentito se avesse detto di non essere orgogliosa di lui: Jace, a soli ventinove anni, era riuscito ad ottenere una cattedra universitaria. Un evento che non succede mai, ma Jace aveva un cervello fuori dal comune e una passione inarrestabile per tutto ciò che coinvolgeva le lingue antiche. Aveva lavorato sodo per arrivare dov’era. Nessuno gli aveva regalato niente. Ciò che aveva, se l’era ampiamente meritato. “Il prodigio vivente è già in ritardo. Sbrigati!”
Jace sorrise. “Sì, signora!” Si chinò per lasciarle un bacio a stampo. “La passa a prendere mamma, ok?”
“D’accordo.” Annuì Clary, “In ogni caso, chiamerò Maryse per dirle che è andato tutto bene.”
“Perfetto. Ci vediamo stasera!” La baciò di nuovo, stringendola in un abbraccio questa volta e poi, appena la lasciò andare, salutò anche Magnus, che era rimasto in disparte. Il ballerino ricambiò il saluto, mentre il biondo era già partito in direzione della propria auto.
Clary rimase a guardarlo finché non entrò in macchina e partì, poi si voltò verso l’amico. “Mi accompagni in negozio?”
Magnus annuì. Quella mattina, non aveva alcun tipo di lezione da tenere, quindi decise di prendersela libera. Avrebbe aperto il pomeriggio alle tre per la lezione di yoga. Alle quattro, poi, avrebbe tenuto la lezione di danza classica per le bambine, dove avrebbe rivisto Erin. Madelaine sarebbe andata a prenderla all’asilo, accompagnandola poi da Magnus. “Ma certo, biscottino.”
Clary sorrise e insieme si avviarono verso la macchina di Magnus.


Clary aveva un negozio in centro città, ereditato dalla madre, che gliel’aveva lasciato prima di morire.
Dorothea Rollins, Dot per gli amici (e lei e sua madre lo erano state parecchio, prima della morte di Jocelyn), aveva gestito il negozio fino a quando Clary non aveva compiuto la maggiore età. E anche dopo, se dobbiamo essere onesti. Sia Dot che Luke volevano che Clary finisse il college, prima di occuparsi del negozio. Clary era riuscita ad entrare all’accademia d’arte di New York e sapevano tutti quanto fosse importante per lei quella scuola. Sognava di diventare una pittrice da quando aveva l’età della figlia e adesso era una delle disegnatrici migliori della città.
Il negozio, Alicante, era pieno delle sue opere, che venivano vendute quasi regolarmente. Quando non vendeva quadri, Clary vendeva gioielli che lei stessa faceva, con la stoffa e le perline. Dot la aiutava a fabbricare bigiotteria con materiali diversi, che ancora la rossa non riusciva a maneggiare bene. Tuttavia, dietro ogni gioiello c’era il disegno di Clary. Quella mattina, seduta al suo tavolo da lavoro, la ragazza si sentiva particolarmente ispirata, quindi si munì di fogli e matite, mentre Magnus, seduto di fronte a lei, la osservava disegnare.
“Sai, mi ricordo quando imbrattavi i muri di casa mia con i pennarelli, quando venivi a trovarci.”
Clary sorrise, senza alzare gli occhi dal foglio. “Un’altra donna mi avrebbe tagliato le dita, ma non tua madre. Madelaine è la donna più paziente del mondo.”
“La verità era che voleva lasciarti esprimere la tua arte.”
“Avevo cinque anni, Magnus. Non era esattamente arte.” Clary sfumò con la matita un cerchio che si ritorceva su se stesso, come il guscio di una lumaca.
“Quella che fai adesso però sì. E da qualche parte bisogna partire, non pensi?”
Clary alzò gli occhi dal foglio, il verde delle sue iridi incontrò l’ambra di quelli dell’uomo. “Non posso dire che tu abbia torto.”
Magnus sorrise e annuì, abbassando a sua volta gli occhi sul foglio. Clary fece lo stesso, tornando a disegnare.
“Cosa diventerà?” chiese l’uomo, i gomiti appoggiati al tavolo, mentre una mano reggeva il mento.
“Una collana, penso. Ho immaginato il ciondolo troppo grosso per farci un paio di orecchini.”
“Sai già che materiale usare?”
“Non ancora. Lo mostrerò a Dot e sentirò lei cosa ne pensa.”
Magnus annuì in silenzio. Osservò l’amica mentre dava sempre più forma al ciondolo. Le righe tonde e concentriche che prima lo facevano assomigliare ad un guscio di lumaca, vennero tratteggiate in modo più calcato, dando vita ad un nuovo disegno. Ora più che una lumaca sembrava un conchiglia, di quelle allungate, come i gusci dei paguri che si trovano sulle spiagge, vicino al mare.
“Dovresti farla blu.” Commentò quindi, seguendo la fila dei suoi pensieri.
La matita di Clary si fermò e la ragazza spostò la propria attenzione dal foglio all’amico. “Blu?” chiese, un rosso sopracciglio sollevato.
“Sì, come il mare. E quella sembra decisamente una conchiglia, biscottino.”
Clary guardò il suo disegno, analizzandolo. “Sì, mi piace blu.”
Anche ad Alexander, gli comunicò una voce fulminea nella sua testa, ricordandogli la sera precedente. Che fosse stata quell’informazione recondita a condizionarlo, piuttosto che il vero ricordo del mare? Improbabile, ma non impossibile. Soprattutto se si tiene conto del fatto che Alexander, quella stessa mattina, fosse stato il suo secondo pensiero. Non si erano ancora sentiti, realizzò, e di norma durante la giornata qualche messaggio se lo scambiavano. Era vero che Magnus, quella mattina, aveva avuto molto a cui pensare: vestire Erin, prepararla psicologicamente al primo giorno di asilo, accompagnarla, guardarla oltrepassare la soglia. Si chiese se anche Alexander avesse avuto una mattinata impegnativa al lavoro, mentre prendeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni e sovrappensiero controllava se ci fossero dei messaggi. Non ce n’erano e forse Magnus risistemò il telefono in tasca con più delusione del necessario perché Clary gli domandò: “Aspetti un messaggio che non arriva?”
La rossa lo conosceva abbastanza bene da riuscire ad interpretare le sue espressioni.
“No, io… lascia perdere.”
Clary gli sorrise, incoraggiante. “Dai, non è da te farti cavare le parole di bocca.”
È più una cosa da Alexander, pensò ancora. Alec era ovunque nella sua mente e Magnus si chiese se non stesse impazzendo.
“Niente, biscottino, è una stupidaggine.”
Clary lo guardò con attenzione, studiando il modo in cui le sue spalle si erano incurvate, o l’espressione fattasi pensierosa nel giro di un attimo. “Non lo è, se ti rende pensieroso. In ogni caso, se il messaggio che vuoi non arriva, mandalo tu per primo.”
La scintilla di incoraggiamento nelle iridi verdi dell’amica lo spronò a riafferrare il cellulare. Magnus, mentre apriva l’applicazione della chat istantanea, si domandò se Clary sapesse chi fosse l’oggetto dei suoi pensieri. Aveva anche solo una vaga idea che fosse il suo futuro cognato? E se lo sapeva, lo stava spronando a farsi avanti lo stesso? Non poteva davvero saperlo, sapeva solo che la rossa aveva ragione. Se il messaggio non arrivava, poteva sempre mandarlo lui per primo. Stava giusto per digitare qualcosa, quando il suo cellulare squillò, costringendolo ad uscire dall’applicazione e a rispondere ad Isabelle. Lightwood sbagliato, rifletté, mentre si portava il cellulare all’orecchio.
“Ciao, mia cara.”
“Ciao, Magnus. Hai da fare domani pomeriggio?”
“Mh, devo fare lezione fino alle cinque. Ma dopo sono libero.”
“Perfetto!” squittì la ragazza dall’altro capo del telefono. “Ho già chiesto ad Aline se le sta bene chiudere la palestra, domani, e ha detto sì. Vorrei andare a fare shopping. Mi accompagni?”
“Oh, tesoro, il giorno in cui risponderò di no a questa domanda, dovrai farmi internare!”
Isabelle rise, una risata fluida e cristallina, e inevitabilmente Magnus si trovò a paragonarla con quella del fratello. Isabelle aveva una risata decisa, non fastidiosa, ma comunque non temeva di essere sentita. Quella di Alexander, invece, era più timida, più musicale. Magnus in qualche modo la preferiva.
“Perfetto, allora. Ci vediamo domani!”
“A domani.” Magnus stava per chiudere la telefonata, quando notò Clary che mimava con le labbra un salutamela. “Ti saluta anche biscottino!”
“Ciao Clary!” esclamò la ragazza, così intensamente che la rossa la udì comunque attraverso il telefono. Conclusero la chiamata dopo essersi salutati un’altra volta e Magnus prima di rimettersi il cellulare in tasca, sorrise notando un messaggio.

> From: Alexander, 10.07
Sono fuori allenamento. Ho bevuto un po’ e questa mattina mi sono svegliato con il mal di testa. Mi sento come uno zombie che cammina tra i reparti.

Magnus sorrise.
> To: Alexander, 10.07
L’allenamento non c’entra, zuccherino. È l’età. La vecchiaia fa brutti scherzi.
> From: Alexander, 10.07
Ah sì? Allora tu cosa dovresti dire?

Piccolo impertinente!
> To: Alexander, 10.07
Mi stai dando del vecchio?
> From: Alexander, 10.08
Preferisci saggio?

“Izzy mi ha mandato un messaggio dicendo che se non fossi allergica allo shopping potrei venire con voi, domani.” La voce di Clary gli arrivò alle orecchie come se provenisse da un altro pianeta, lontana e ovattata.

> To: Alexander, 10.08
Preferirei non avere a che fare con gli impertinenti.
> From: Alexander, 10.08
Sarei io l’impertinente?
> To: Alexander, 10.08
Esatto.

“Magnus? Mi ascolti?”
Solo allora l’uomo alzò gli occhi dallo schermo per portarli su Clary che lo stava guardando con curiosità.
“Onestamente no.”
Clary sorrise sorniona. “Capisco.”
“Puoi ripetere?” le chiese, ma la vibrazione del cellulare lo distrasse di nuovo.

> From: Alexander, 10.09
Sai chi appella i più giovani come ‘impertinenti’? I vecchietti, Magnus.

Gli occhi di Magnus si sgranarono, leggendo quell’ultimo messaggio. La sua bocca si schiuse per la sorpresa e quando guardò Clary, la rossa rinunciò all’impresa di comunicargli ciò che le aveva scritto Isabelle. Era evidente che l’attenzione dell’amico era rivolta a tutt’altro.
“Lui…lui…” Boccheggiò. “Quel piccolo insolente!” esclamò, alzandosi dalla sedia dove si trovava. “Glielo faccio vedere io chi è vecchio!” continuò, sotto lo sguardo perplesso – e un tantino preoccupato – di Clary, che lo fissava con un sopracciglio alzato. Magnus indossò il giubbotto di pelle con le spalle borchiate che aveva lasciato sull’attaccapanni all’entrata. Le piccole borchie emisero un suono metallico, quando cozzarono l’una contro l’altra come tante piccole campanelle.
“Va tutto bene, Magnus?” domandò Clary, che l’aveva seguito alla porta del negozio.
“Sì, cara. Devo solo… provare qualcosa a qualcuno. Tu che volevi dirmi?”
Clary sbatté le palpebre due volte, prima di rispondere. “Ehm, Izzy ha detto che se non fossi allergica allo shopping, potrei venire con voi, domani.”
“Isabelle ha ragione, biscottino. Sarebbe bello averti, se non avessi l’espressione di una condannata a morte ogni volta che entriamo in un negozio!”
Clary non replicò, perché sapeva benissimo che era vero. Odiava fare shopping e si annoiava subito. Magnus, davanti al suo silenzio, si chinò verso di lei, lasciandole un bacio sulla guancia. “Vado. Porti tu Diana a lezione, più tardi?”
“No, Maryse. Io la vengo a riprendere.”
“Perfetto, allora ci vediamo dopo!”
“A dopo.” Disse Clary, mentre guardava l’amico uscire. Era stato strano, pensò la rossa, quando la porta da dove era uscito Magnus si richiuse. Ma, in ogni caso, Magnus aveva un temperamento vulcanico e delle reazioni tremendamente istintive, quindi pensò che trattandosi di lui, poteva essere un comportamento plausibile. Insolito e non così frequente, ma plausibile.
Solo in un secondo momento, realizzò che aveva parlato di un lui. E solo dopo, la possibilità che potesse trattarsi di Alec le sfiorò la mente. Impertinente come tutti i Lightwood, era decisamente possibile che fosse Alec. Clary sorrise e scosse la testa affettuosamente, mentre tornava al suo tavolo da lavoro per finire il suo disegno.


Magnus mise piede in ospedale quaranta minuti dopo aver lasciato il negozio di Clary. Era rimasto imbottigliato nel traffico a rimuginare sulle parole di Alec e più ci pensava, più gli venivano esempi da fargli per mostrargli il contrario.
Quando entrò, la prima persona che incontrò fu Catarina che, con la divisa da infermiera, gli andò in contro. Un’espressione preoccupata tirava i suoi lineamenti.
“Magnus!” lo chiamò, vedendolo entrare a passo spedito. “Cosa succede, perché sei qui?”
Magnus arrestò la sua marcia. “Devo vedere Alexander.”
Catarina sbiancò, la sua pelle scura assunse una tonalità pallida di preoccupazione. “È successo qualcosa ad Erin?”
Solo allora Magnus fece due più due: era entrato in un ospedale come un ciclone e aveva chiesto di un pediatra alla capo reparto del pronto soccorso. Era più che logico che la povera Catarina avesse pensato al peggio. L’uomo si diede dello sciocco e rivolse un sorriso all’amica, accarezzandole un braccio per tranquillizzarla.
“Erin sta bene, è all’asilo. Devo solo parlare con Alexander di…” di come io in realtà non sia un vecchietto! “…una cosa.”
Catarina emise un sospiro di sollievo e tornò alla sua postazione, al banco dell’accettazione. “Vuoi chiedergli se può prendere in cura Erin? Mi ricordo che ultimamente ti lamentavi dell’assenteismo del tuo pediatra.”
Magnus ponderò se fosse meglio assecondare quell’idea, o dirle la verità. Si immaginò mentre informava Catarina dello scambio di messaggi avvenuto tra lui e Alec solo poco prima e della reazione che aveva avuto nel sentirsi definire vecchio. Il tempo di realizzare che Catarina gli avrebbe fatto lo scalpo per essere venuto fin qui (e averla spaventata a morte, facendole credere che fosse successo qualcosa ad Erin) per una stupidaggine simile, bastò a fargli decidere che la cosa migliore da fare era assecondare l’ipotesi di Cat. D’altronde, era una cosa da adulti e decisamente plausibile.
“Sì, sì. Vorrei chiederglielo.”
Catarina annuì, prendendo un modulo da una pila che si trovava vicino al computer. “Pediatria è al quarto piano. Cerca la porta con scritto Dottor Lightwood e parlagliene. Se dovesse accettare, consegnagli quel modulo firmato.”
“Sì, signora!” Magnus annuì e mimò un saluto militare a cui Catarina rispose con un’occhiataccia. Poi si diresse verso l’ascensore. Quando le porte si aprirono, lasciò che la gente uscisse, prima di salire. Digitò il pulsante del quarto piano e attese. Guardò ogni pulsantino contrassegnato dal numero illuminarsi mano a mano che raggiungeva il piano corrispondente: primo piano, 1; secondo piano, 2; terzo piano, 3; quarto piano, 4. Le porte si aprirono e Magnus uscì, ritrovandosi in un corridoio che si apriva sulla sinistra mostrando una sala d’attesa piena di disegni appesi alle pareti e firmati alla bene e meglio da bambini. Il reparto di pediatria era diverso dagli altri: odorava di antisettico e detersivo, ma non era bianco e pallido come gli altri reparti. Aveva i muri verdi che facevano da sfondo a piccoli fiori dipinti, come se fosse un unico grande prato. Magnus sorrise, sedendosi in uno dei posti liberi della sala d’attesa. C’erano tre mamme sedute vicine ai loro rispettivi figli. Magnus si stava giusto chiedendo se fossero tutte lì per Alexander, quando lo vide comparire sulla soglia. Non appena i loro occhi si incrociarono, Alec li sgranò per la sorpresa, arrossendo repentinamente.
“Buongiorno, dottor Lightwood.” Lo salutò Magnus, un sorriso soddisfatto sul viso. Alec, che ancora non si era abituato all’idea di averlo effettivamente davanti agli occhi in carne ed ossa, lo osservò per qualche istante senza dire una parola, studiando il modo in cui aveva accavallato le gambe fasciate peccaminosamente in un paio di aderentissimi pantaloni viola. Una parte del suo cervello gli fece notare il giubbotto di pelle e si chiese se avesse qualcosa a che fare con la confessione che gli aveva fatto la sera precedente. Quando il suo raziocinio gli ordinò di smettere di pensare fesserie e di comportarsi come un adulto professionale, Alec riprese l’uso semi-corretto della parola.
“B-buongiorno.” Rispose, le guance che non volevano saperne di smettere di arrossire. Alec riusciva a percepire vagamente le altre persone, ma non gli interessava granché. A quanto pareva, era solo in grado di concentrarsi su Magnus, sui suoi occhi perfettamente truccati con una riga di eyeliner viola metallizzato che riprendeva in modo esplicito il colore dei pantaloni. Alec si concesse solo un attimo per lasciarsi cullare dalla consapevolezza che l’uomo che aveva davanti fosse il più bello su cui avesse mai posato lo sguardo, prima di ricacciare indietro quel pensiero. Magnus doveva rimanere off-limits, almeno sotto quel punto di vista.
“Ha un momento libero, dottore?”
Solo allora Alec passò lo sguardo sulle donne in attesa. Quando notò che i figli che erano con loro erano tutti pazienti di Lydia, fece cenno a Magnus di seguirlo. “Ma certo.” Guardò Magnus alzarsi dal suo posto e dirigersi verso di lui. Non appena fu abbastanza vicino, Alec sentì il suo profumo invadergli piacevolmente le narici e fu sicuro di percepire la sua colonna vertebrale diventare di pasta frolla. Non gli era mai piaciuto il legno di sandalo così tanto come in quel momento. Si schiarì la gola per destare se stesso da pensieri che erano decisamente poco consoni e si incamminò, con Magnus al suo fianco, verso la porta del suo ambulatorio. Quando la aprì, fece entrare Magnus per primo.
“Prego, entra.”
Magnus gli sorrise, prima di entrare e dirigersi direttamente alla scrivania di Alec, dove si sedette al posto riservato ai pazienti. Se per tutto quel breve tragitto, Alec si incantò a guardarlo camminare è un altro discorso. E se, nel mentre, associò i movimenti aggraziati di Magnus a quelli del più elegante felino che potesse esistere, è un altro discorso ancora. Magnus emanava grazia ed eleganza, e aveva un'aura carismatica che lo caratterizzava in ogni momento. Magnus affettava gamberetti? Era affascinante. Magnus gli porgeva un bicchiere? Era affascinante. Giocava con i ciondoli della sue collane? Affascinante! Respirava? Ancora affascinante.
Qualsiasi cosa facesse emetteva fascino. E Alec si sentiva pericolosamente attratto da tutto ciò. Magnus lo incuriosiva, lo spingeva a rivedere quelle barriere di riservatezza che alzava automaticamente ogni volta che incontrava qualcuno che non conosceva. Con Magnus era diverso. Le difese c’erano sempre, Alec riusciva a percepirle, ma era come se Magnus conoscesse le crepe e sapesse da dove passare per raggiungere ciò che Alec cercava di proteggere: il nucleo del suo cuore titubante.
Il pediatra si sedette sulla sua sedia girevole, guardando Magnus che appoggiava i gomiti sulla scrivania e congiungeva le mani anellate per usarle come sostegno al mento. Alec si trovò a deglutire rumorosamente quando gli occhi magnetici di Magnus incrociarono i suoi.
“Non mi chiedi perché sono qui?” Le sue labbra si incurvarono in un sorriso scaltro che attirò tutta l’attenzione di Alec e lo privò momentaneamente della capacità di articolare una frase di senso compiuto.
Ti ha fatto una domanda, rincitrullito, rispondigli!
Giusto, sì.
“Cosa ti porta qui, Magnus?”
Il sorriso del ballerino divenne ancora più ampio, mostrando i denti bianchi e perfetti. “Sono felice tu l’abbia chiesto, zuccherino.” Sciolse l’intreccio delle mani e si appoggiò allo schienale della sedia. Estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare e lo porse ad Alec, che guardò l’oggetto con perplessità.
“Avanti, tesoro, prendilo.” Lo esortò.
Il medico, con titubanza, afferrò l’oggetto che gli veniva porto, mentre Magnus tornava alla sua posizione iniziale, i gomiti appoggiati alla scrivania e le mani a sostegno del mento. Accavallò anche le gambe, in quel modo (indovinate un po’?) affascinante e ipnotico che mandò in tilt il cervello di Alec per qualche secondo. Sul serio, che gli prendeva?
Magnus e le sue bellissime gambe ecco che gli prendeva, dannazione!
“Apri la galleria, troverai una cartella con scritto estate. Vorrei l’aprissi, cortesemente.”
Alec, un sopracciglio alzato in un’espressione di esplicito dubbio, fece come gli era stato detto. Sbloccò lo schermo – si trattenne dal sorridere quando vide Magnus ed Erin sullo sfondo – e aprì l’applicazione della galleria. Cliccò sulla cartella estate e rimase in attesa.
“Se scorri, puoi vedere il sottoscritto impegnato in varie attività. C’è stata l’arrampicata in montagna, il bungee jumping, la volta che ho fatto sub – per la cronaca, ho accarezzato uno squalo – e il surf.”
Più Magnus parlava, più Alec scorreva le varie foto, trovando la conferma digitale alle parole dell’uomo seduto di fronte a lui. Ma, ancora, non capiva dove Magnus volesse arrivare.
“È tutto molto bello, Magnus, ma qual è il punto?” Gli occhi di Alec si alzarono dallo schermo e si posarono sul ballerino. A quel punto, Magnus si alzò dal suo posto, sporgendosi verso Alec. I palmi appoggiati alla scrivania, il viso così vicino a quello del più giovane che i loro nasi si sfioravano.
“Il punto, fiorellino, è che sono tante cose, ma di certo non un vecchietto!”
Alec deglutì due volte, a vuoto. Quella misera distanza gli aveva fatto seccare la gola e riscaldare le guance. I suoi occhi erano inevitabilmente attratti dalle iridi ambrate di Magnus, che brillavano di una luce sicura, determinata, come il faro saldo di un porto, piazzato nell’oscurità. Alec si sentiva come una barca che, preda di una mareggiata violenta, agognava quella luce per non cadere vittima delle tenebrose profondità oceaniche. Un punto fermo che riesce sempre a fare da guida, indipendentemente da quanto possa essere impetuosa la tempesta.
Si chiese, seguendo quel pensiero insensato, come sarebbe stato essere guardati perennemente da quegli occhi. Cosa si prova ad essere l’oggetto di un paio di iridi in grado di emettere luce pura? Una tale fermezza, forza?
Alec si schiarì la gola, allontanando quella domanda, respingendola come se avesse la certezza che, assecondandola, l’avrebbe portato verso un percorso inevitabilmente doloroso, un sentiero pieno di rovi.
“Be’, di certo non si può dire che sei uno che si fa scivolare le cose di dosso. Non pensavo te la saresti presa, soprattutto se si conta che hai cominciato tu.”
Magnus lo guardò con sorpresa, ma non si allontanò. “Io?”
Alec annuì. “Sei stato tu a tirare fuori la carta dell’età. Hai parlato di vecchiaia, Magnus.”
“E hai pensato bene di sottolineare che sono più vecchio di te?”
Alec fece spallucce. “Ho solo esposto i fatti. Hai cinque anni più di me, no?”
Magnus si risedette sulla sedia, sconfitto. “Saranno cinque a dicembre!” Precisò, consapevole di non poter negare niente di ciò che usciva dalla bocca di Alec. Il medico si appoggiò allo schienale morbido della propria sedia. Intrecciò le dita delle mani, lasciando alzati solo gli indici che usò per picchiettarsi le labbra arricciate, come se stesse pensando a qualcosa.
“Quando?”
“L’8.”
Alec sorrise. “Festeggerai?”
“Che domanda futile, fiorellino. È ovvio che festeggerò! Ogni scusa è buona per una festa.”
Le labbra di Alec si strinsero all’interno della bocca, mentre i suoi occhi ridenti guardarono altrove. Magnus si chiese il motivo di quella reazione. Si chiese perché se una cosa lo faceva ridere, Alexander tendeva a fare di tutto per camuffare la risata, trattenerla. Non avrebbe dovuto farlo, dal momento che quando rideva emetteva uno dei suoni più belli che l’umanità poteva conoscere. Gli vennero in mente le parole che il più giovane aveva pronunciato la sera prima riguardanti il non essere notato. Chissà se anche questo modo di nascondere il suo riso era una reminiscenza adolescenziale, come il vestirsi di nero, volta a non attirare l’attenzione su di sé.
“Sembra molto una cosa da te, in effetti.”
“È un grosso dito medio allo scorrere del tempo. Inevitabile, ma ciò non vuol dire che dobbiamo accettarlo passivamente, no? Non puoi fermare le lancette del grande orologio universale, puoi solo impegnarti per migliorare la tua vita e apprezzare ciò che di buono ti riserva.”
Alec lo guardò impressionato, pienamente consapevole di essere stato positivamente colpito – e un tantino intrigato – da quella risposta. Si era sbagliato: la luce che aveva visto negli occhi di Magnus non caratterizzava le sue iridi. Magnus era luce, un nucleo palpitante che brilla in mezzo all’oscurità di un universo sconosciuto e vastissimo, qualcosa che irradia luminosità, nonostante tutto. E tale luce era talmente intensa che arrivava ad essere riflessa nei suoi occhi, ma Alec era sicuro che partisse da qualcosa di più profondo, come il nucleo della sua anima o il centro del suo cuore.
Magnus era il sole, un corpo celeste vivo, pulsante, fatto di fuoco e fiamme. E Alec, inevitabilmente, non riusciva a non guardarlo. Come una falena attratta da una lampadina, Alec era attratto da Magnus e da ciò che irradiava. Voleva solo sperare che, guardandolo, non avrebbe finito col bruciarsi le retine.
Deglutì, quindi, facendosi coraggio per dire qualcosa, per rispondergli in modo sagace, ma un lieve bussare alla porta interruppe la risposta sul nascere.
“Avanti.” Mormorò, con meno decisione di quanta avrebbe dovuto. La porta si aprì e Lydia fece capolino. Impiegò qualche secondo prima di notare che il collega era con qualcuno.
“Scusa, Alec! Pensavo fossi solo…”
“Non preoccuparti. Cosa volevi dirmi?”
“La signora Warren e Timmy sono arrivati.”
Alec annuì. “D’accordo, li chiamo io appena ho finito.”
Magnus, che fino a quel momento era stato in silenzio, prese parola. “Me ne vado subito. Non voglio disturbarti oltre!”
“Non mi disturbi, Magnus.” Lo rassicurò Alec, a cui tuttavia non sfuggì l’occhiata che gli riservò Lydia non appena associò il nome all’uomo seduto di fronte al collega. La bionda sorrise e guardò Alec con malizia.
“Bene, ti ho informato. Torno di là, ho una bambina con un principio di bronchite!” Salutò con una mano Magnus e non appena questi si voltò nuovamente verso Alec, Lydia ne approfittò per guardare l’amico e mimare con le labbra è davvero sexy. Alec le lanciò un’occhiata omicida che fu più eloquente di mille parole e che esortò la bionda a chiudere la porta, uscendo definitivamente dall’ambulatorio del collega.
“Lei è Lydia.” Lo informò.
“La ragazza che ti ha minacciato di non andartene più?”
Alec sorrise. “Proprio lei.”
“Dovrai dirmi dove sei andato, prima o poi.”
“La prossima volta.”
Magnus annuì e si alzò dalla sedia. Fece il giro della scrivania e si abbassò all’altezza di Alec che era ancora seduto. Gli lasciò un bacio sulla guancia e si risistemò in posizione eretta.
“Ciao, zuccherino. Ti lascio lavorare.”   
Alec avvampò e sentì – di nuovo – la gola essiccarsi come se avesse inghiottito cartavetra. Deglutì, cercando di riprendere, in qualche modo, controllo di sé, ma trovò incredibilmente difficile farlo.
“C-ciao.” balbettò, dandosi del cretino. Trent’anni e si comportava ancora come il disastro ambulante che era quando ne aveva quindici.
Magnus gli regalò un ultimo sorriso, prima di voltarsi e dirigersi alla porta. Solo quando la sua mano fu sulla maniglia, si ricordò cosa aveva detto Catarina.
“Un’ultima cosa, posso?” chiese, voltandosi nuovamente verso il pediatra.
Alec annuì. “Certo.”
“Puoi prendere in cura Erin? Il mio pediatra è un fan dell’assenteismo, a quanto pare.”
“Posso sì, dovrai portarmi il modulo di richiesta firmato e mi occuperò io di tutto.”
Magnus notò il piccolo cambiamento in Alec, che era passato da essere un adorabile cucciolo dalle guance rosse ad un professionista che ha il controllo. La cosa gli piacque parecchio. Estrasse il modulo dalla tasca interna del suo giubbotto. “Catarina ha già provveduto a darmi il modulo.”
Alec annuì. “Siediti e compilalo, allora.”
Magnus fece come gli venne richiesto, sedendosi di nuovo dove era seduto poco prima. Impiegò cinque minuti a riempire tutti i campi richiesti, poi firmò e consegnò il foglio ad Alexander.
“Perfetto, farò una telefonata al tuo ex pediatra, ma possiamo già dire che Erin è una mia paziente.”
“Devo chiamarti dottore, adesso?”
“Solo quando ci sono altre persone, sai per non far credere che abbia delle preferenze.”
“Mi sembra giusto.” Magnus si alzò di nuovo e questa volta Alec si alzò con lui. Lo accompagnò alla porta, aprendogliela. Magnus rimase sulla soglia per qualche istante.
“Grazie.” Disse, prima sporgersi e lasciargli un altro bacio sulla guancia. Era Alec quello che non doveva avere preferenze, lui le preferenze ce le aveva eccome e non voleva farsi remore a dimostrarle.
“Di nulla.” Sussurrò Alec, mentre le sue guance si coloravano per l’ennesima volta. Magnus gli sorrise un’altra volta, prima di uscire dalla porta. Alec uscì in corridoio per seguirlo con lo sguardo fino a che non lo vide sparire dietro le porte chiuse dell’ascensore.
Sentiva ancora l’impronta delle labbra di Magnus sulla sua guancia, quando il suo cervello gli ricordò della signora Warren e di suo figlio Timmy, dei quali si era completamente dimenticato, in sala d’attesa.
“Merda!” sussurrò a denti stretti, prima di dirigersi verso la sala d’aspetto.


*

Magnus era pienamente consapevole di doversi concentrare. C’era una dozzina di donne, che lo pagava anche piuttosto bene per i suoi corsi di yoga, che attendevano le sue istruzioni, ma la mente del ballerino era altrove. Catarina era ancora a lavoro, quindi non aveva nemmeno nessuno con cui sfogarsi – o che, più probabilmente visto che si parlava di Catarina, lo rimettesse in riga, spronandolo a concentrarsi.
In assenza dell’amica, dunque, Magnus decise di farlo da solo. Smetterla di pensare a quanto stesse bene Alexander con il camice, o di quanto fosse adorabile con i capelli in disordine, e di concentrarsi sul suo lavoro come un adulto responsabile.
Scacciò, quindi, il pensiero di Alec dalla mente e si concentrò sulla lezione. Alzò le braccia sopra alla testa, congiungendo le mani.
Anche Alexander l’ha fatto, quando era seduto alla scrivania.
Decisamente non era d’aiuto pensare a certe cose. Soprattutto perché adesso la sua mente era invasa dalle immagini delle mani di Alec, che erano belle e grandi, le dita lunghe e affusolate – trasmettevano una certa delicatezza, ma anche altrettanta forza e… BASTA!
Concentrazione, Magnus! CONCENTRAZIONE!
Poteva farcela, aveva fiducia in se stesso. Autocontrollo, gli serviva solo quello. Bandire Alec e le sue bellissime mani dalla sua mente, ecco quello che doveva fare.
Si schiarì la gola, mentre allungava la schiena in avanti, andando a toccare le punte dei piedi con le mani. Le donne in quella stanza fecero lo stesso e tennero la posizione con lui per circa trenta secondi. Magnus passò il resto della lezione di yoga a impegnarsi per non pensare ad Alec.

Fu inutile. Cercare di smettere di pensare ad Alec era difficile come cercare di intrappolare l’acqua con le mani: non importa quanto ci si prova, l’acqua riuscirà sempre a sgusciare via dalla nostra presa. Lo stesso valeva per Magnus e i suoi pensieri. Cercava di trattenerli, di intrappolarli in un angolo più o meno remoto del suo cervello, ma quei piccoli impertinenti continuavano a scappare via dal loro angolo e a piazzarsi al centro della mente di Magnus, quasi volessero urlargli la sua impotenza.
Rassegnati, gioia. Passerai la giornata a pensarlo.
E Magnus, mentre salutava le donne che avevano appena finito la lezione, si arrese all’idea che altro non poteva fare che assecondare la sua mente. Così lasciò che il pensiero di Alec lo cullasse un po’. Pensò ai dettagli del suo viso e improvvisamente si chiese dove potesse essersi fatto la cicatrice che solca il suo sopracciglio sinistro. Si appuntò di chiederglielo perché era curioso e perché, si rese conto in quel momento, Magnus aveva decisamente parlato più di se stesso, rispetto ad Alexander – che sì aveva risposto alle sue domande, ma non era stato abbastanza esaustivo. Alec era più il tipo di persona che tende ad ascoltare gli altri parlare di sé, piuttosto che farlo a sua volta. O almeno, questa era l’impressione di Magnus.
“Papà!” La voce di sua figlia lo destò dai suoi pensieri. Magnus alzò lo sguardo verso l’entrata della sala e notò Erin che gli correva in contro. Aveva i capelli d’ebano legati in uno chignon e il tutù sobbalzava ad ogni suo passo. Quando fu abbastanza vicina al padre, si lanciò letteralmente tra le sue braccia, spiccando un piccolo salto. Magnus la prese al volo e la strinse a sé, baciandole una guancia.
“Ciao, bintang! Com’è stato il primo giorno?” domandò. La piccola strinse le braccia intorno al collo del padre ancora per un istante, rimanendo in silenzio, così Madelaine, che aveva accompagnato la nipote ed era rimasta in disparte, prese parola. “È andato tutto bene. Ha giocato con Diana e altri bambini.”
Erin, allora, sciogliendo la presa sul padre, lo guardò e annuì. “Ho anche disegnato.”
“Davvero?”
La bambina annuì con decisione. “E abbiamo appeso i disegni al muro.”
Magnus sorrise e le baciò la fronte. “Ma che bello!”
Erin sorrise a sua volta e abbracciò di nuovo suo padre. Magnus strinse la presa a sua volta e guardò sua madre. Madelaine era una donna di mezza età. Aveva avuto Magnus a vent’anni e spesso la gente faticava a vederli come madre e figlio, se non altro perché lei dimostrava meno dell’età che aveva. Sua madre era bella, se lo si chiede a Magnus, ma lui potrebbe essere un tantino di parte. I suoi occhi a mandorla erano dello stesso colore del figlio e, di conseguenza, di Erin.
All’uomo piaceva che avessero tutti e tre quella caratteristica, come se fosse una palese testimonianza del fatto che fossero una famiglia. Un tratto distintivo dei Bane. Oltre alla bellezza stratosferica, ma quello è un altro discorso.
“Vuoi rimanere a lezione?” chiese Magnus a sua madre.
La donna si sistemò una ciocca di capelli lisci e scuri dietro l’orecchio. “Posso?”
“Certo. Almeno staremo un po’ insieme.”
“Come sei sentimentale, tesoro!” Madelaine allungò una mano per accarezzare la guancia del figlio e Magnus le riservò un’occhiata che doveva essere risentita, ma non lo fu nemmeno la metà di quello che aveva pianificato. La verità era che avere sua madre intorno gli piaceva. A causa della sua carriera, avevano passato anni interi separati. Si chiamavano spesso su Skype e ancora più spesso si telefonavano, ma averla con lui in carne ed ossa era una cosa totalmente diversa. Una voce filtrata attraverso un telefono non ha lo stesso calore di quando arriva direttamente alle orecchie quando la persona con cui stiamo parlando è di fronte a noi. E Magnus, quando era più giovane, nei momenti in cui aveva dubitato di se stesso e delle sue capacità, avrebbe voluto che sua madre fosse nella stessa stanza con lui e non a chilometri e chilometri di distanza. L’aveva rassicurato via telefono, ovviamente, ricordandogli costantemente che, se ballava in giro per il mondo con una delle compagnie più famose dello spettacolo, un motivo c’era – ed era il fatto che fosse pieno di talento, ma… adesso che potevano vedersi con più facilità, stare insieme con più facilità era decisamente meglio.
“Da qualcuno dovrò aver preso!” esclamò Magnus e Madelaine gli diede un buffetto sul braccio. Il figlio le sorrise e poi si rivolse ad Erin. “Mettiamo le scarpette, bintang?
La bambina annuì e si lasciò posare a terra dal padre. Stavano per sedersi e dedicarsi all’allaccio delle punte, quando udirono la porta aprirsi. Magnus controllò l’ora all’orologio appeso alla parete che segnava le quattro e un quarto del pomeriggio, l’ora in cui sarebbe dovuta iniziare la sua lezione. In genere cominciava sempre più tardi per via delle madri ritardatarie, quindi a quell’ora, puntuale come il sorgere del sole, poteva essere una donna sola: Maryse Lightwood. La donna, infatti, comparve nel campo visivo dell’uomo dieci secondi dopo, i tacchi che rimbombavano sul parquet, lo sguardo deciso e i capelli neri legati in una precisissima coda alta. Maryse trasmetteva la stessa forza che trasmetteva Isabelle e la somiglianza tra le due era più che palese, ma Magnus si trovò – per la prima volta – a cercare nel volto della donna anche una somiglianza con il maggiore dei suoi figli. La trovò nella forma del viso, nell’altezza degli zigomi che a quanto pareva era una caratteristica fisica tipica dei Lightwood, così come gli occhi ambrati lo erano per i Bane.
“Mangus!” esclamò Diana, andando in contro al suo insegnante. Magnus sorrise e salutò la bambina, chinandosi alla sua altezza. “Ciao, farfallina!” Quando la bambina portò la sua attenzione su Erin, cominciando a giocare insieme, Magnus si concentrò su Maryse.
“Salve, Maryse.”
La donna gli rivolse un cenno del capo. “Ciao, Magnus. La viene a riprendere Clary, più tardi.”
Magnus annuì. “Me l’ha detto.”
La donna lo guardò con decisione. Maryse aveva gli occhi color antracite, come sua figlia Isabelle, e quel colore così scuro da non riuscire a distinguere l’iride dalla pupilla, le dava uno sguardo severo – trasmettendo, quindi, anche l’impressione che la donna stesse sempre giudicando chi aveva di fronte. La verità era che Maryse non era propriamente una donna espansiva – l’unica eccezione erano forse i suoi figli e sua nipote – ed era veramente di poche parole. Chiusa, riservata. E se la somiglianza fisica con Isabelle era evidente, sul piano caratteriale le due donne erano completamente diverse. Magnus si chiese, in una frazione di secondo, se per trovare una somiglianza con suo figlio, avrebbe dovuto cercare nel carattere della donna più che nel suo aspetto.
Aveva l’impressione la riservatezza di Alexander derivasse tutta da sua madre.
“Bene, allora io vado.” Affermò, rivolgendosi a Magnus. Successivamente, la donna attirò l’attenzione della nipote, abbracciandola e lasciandole un bacio sulla guancia. “La nonna deve andare, tesoro.” Disse, il tono di voce improvvisamente più morbido e carico di un affetto palese. “Viene la mamma a prenderti.”
Diana annuì e circondò il collo della nonna con le sue piccole braccia. “Ciao nonna!”
Maryse strinse a sé la nipote ancora per qualche istante, prima di lasciarla andare e rimettersi in posizione eretta. Diana tornò da Erin e Maryse si rivolse a Magnus. “Arrivederci, allora.”
Magnus annuì. “Arrivederci.”
Maryse rivolse un saluto anche a Madelaine, la quale ricambiò, e poi girò i tacchi dirigendosi verso l’uscita.
“Dimmi, anakku” cominciò Madelaine sottovoce, per farsi sentire solo da Magnus, guardando la porta da cui era appena uscita Maryse, “Quella donna lo sa che sbavi sul suo primogenito?”
L’uomo si voltò repentinamente verso la madre, un’espressione sorpresa – e un tantino risentita – solcò i suoi lineamenti. “Cos- io non sbavo su nessuno!”
Madelaine gli rivolse un sorriso onnisciente. “Certo, anakku, e io sono bionda.” Gli rivolse un occhiolino compiaciuto. Magnus era sul punto di ribattere, ma l’ingresso di un gruppetto di mamme con relativa prole lo costrinse a lasciar cadere il discorso per andare loro in contro.


*

Magnus aveva una tradizione: dal primo ottobre, avrebbe cominciato ad indossare qualcosa di arancione per tutto il mese, fino all’arrivo di Halloween. E quel martedì, alle cinque del pomeriggio, mentre si dirigeva verso casa per andare a cambiarsi, già pensava all’outfit che avrebbe indossato per la giornata di shopping che avrebbe passato con Isabelle. Madelaine era passata a prendere Erin dalla scuola di Magnus per portarla a casa con sé e aveva detto al figlio di godersi la giornata senza preoccupazioni. «Erin starà bene, non cominciare ad ossessionarmi. Sono stata un genitore prima di te, anakku.»
Magnus doveva ammettere che sua madre aveva ragione. L’idea di lasciare Erin lo preoccupava sempre un po’ e non perché non si fidasse di Madelaine – di lei si fidava ciecamente – ma era l’idea di essere separato dalla sua bambina che lo angosciava.
Magnus, quindi, prima di mettersi nell’ottica di godersi la giornata, mandò un messaggio alla madre, chiedendole se andava tutto bene.

> From: Ibu, 17.06
Va esattamente come sei minuti fa, tesoro. Tutto benissimo. Devo cominciare a pensare che non ti fidi di me, piccolo disgraziato?

Magnus scosse la testa, sorridendo con affetto mentre leggeva quel messaggio.
> To: Ibu, 17.06
Mi fido, mamma. Ciecamente.
> From: Ibu, 17.06
Appurato questo, allora, lasciami passare del tempo con mia nipote senza far suonare questo aggeggio infernale ogni tre secondi.

Magnus liberò una vera e propria risata, leggendo quel messaggio. Sua madre e la tecnologia non andavano particolarmente d’accordo – il che non sempre era un bene, visto che, da agente immobiliare, la maggior parte degli incontri con i clienti li doveva organizzare usando cellulari ed email.
Magnus bloccò lo schermo del suo telefono e salì in macchina, poi partì verso casa.


Si incontrò con Isabelle alle diciassette e quaranta del pomeriggio. Contando i tempi di Magnus, era riuscito a prepararsi in pochissimo tempo – e a risultare favoloso in ogni caso. Indossava una camicia di seta arancione, abbinata a dei pantaloni a sigaretta grigio scuro, infilati dentro ad un paio di anfibi dello stesso colore. Si era truccato usando una matita grigia per il contorno occhi, abbinata ad una sfumatura di ombretto di un grigio più scuro. Nei capelli, di un castano molto scuro, spiccava una singola ciocca arancione.
“Penso tu sia uno dei pochi esseri umani che riesca a farmi sfigurare!” Commentò Izzy, non appena lo vide. Lo abbracciò e Magnus ricambiò la stretta.
“Non dire sciocchezze, cara, sei meravigliosa.” E lo era davvero. Magnus non lo diceva tanto per dire. Isabelle era di una bellezza quasi divina e aveva un gusto nel vestire che Magnus approvava in pieno. Quel pomeriggio, in particolare, la ragazza indossava una blusa verde smeraldo, infilata accuratamente dentro ad una gonna nera a vita alta che metteva in risalto la sua vita stretta. Ai piedi, stivali con un tacco vertiginoso, che arrivavano fin sopra al ginocchio.
“Grazie.” Sorrise Isabelle, le labbra accuratamente truccate di un rosso scuro si tesero, mostrando la sua dentatura perfetta.
Magnus pensò al sorriso di un altro Lightwood, un sorriso che era in grado di mozzargli il respiro. Isabelle era bella, indubbiamente, ma non lo sarebbe mai stata quanto suo fratello.
“Vogliamo entrare?” domandò, indicando con un cenno del capo il negozio alle loro spalle. Izzy annuì e, a braccetto, si diressero verso l’entrata.


Magnus ed Isabelle avevano delle batterie inesauribili, se si trattava di girare per ogni negozio della città. Adesso, si trovavano in una boutique di abbigliamento maschile, dove Magnus aveva messo gli occhi su più capi di quanti potesse ricordarsi. Stava girando nel reparto delle camicie, con Izzy al suo fianco, quando si affiancò un commesso.
“Buon pomeriggio.” Sorrise, guardando Isabelle come se stesse assistendo ad un miracolo. Magnus lo trovò persino divertente. Chissà se il ragazzo si rendeva conto di sembrare un pesce lesso, mentre la fissava. “Posso esservi utile?”
Izzy ricambiò il sorriso e un leggero rossore colorò le guance del commesso. “Vorremmo vedere delle camicie. Può consigliarci qualcosa?”
“Ne abbiamo alcune che sono sicuro piaceranno al suo ragazzo.” Rispose il commesso e Magnus dovette fare uno sforzo enorme per non alzare gli occhi al cielo: era il tentativo più palese che esistesse al mondo per scoprire se Isabelle avesse o meno qualcuno nella sua vita.
“Oh, ma lui non è il mio ragazzo!” esclamò Izzy, civettuola. Si arricciò una ciocca di capelli corvini sull’indice e il commesso guardò quel gesto come se ne venisse incantato. “Siamo amici!”
Il ragazzo arrossì un poco e si schiarì la gola. “Oh, bene, sì. Se volete seguirmi, vi mostro qualcosa.” Si avviò e Magnus, prima di seguirlo, bloccò l’amica per un gomito e le lanciò un’occhiata laterale.
“Ti prego, Isabelle, dimmi che non ci stai provando.”
“Perché no? È carino e non esco con qualcuno dal paleolitico!” 
Magnus roteò gli occhi al cielo. “Per favore, tesoro. È uno sciattone! Puoi decisamente avere di meglio, mia cara!”  
Isabelle gli lanciò un’occhiata di traverso, ma non rispose. “Andiamo, o si chiederà se siamo fuggiti.” La ragazza si incamminò seguendo la direzione presa dal commesso. A Magnus altro non rimase da fare che seguirla.

“Abbiamo questa di Gucci che sono sicuro vi piacerà!” disse Mark – il commesso – con una punta di malcelata disperazione nella voce. Magnus aveva visto una marea di camicie, ma nessuna aveva catturato particolarmente la sua attenzione. Era sicuro che il povero Mark stesse prendendo in considerazione l’idea di ucciderlo a sangue freddo proprio lì, di fronte ad una decina di testimoni. Ma Magnus non poteva farci niente, era un perfezionista e in quanto tale non comprava mai, mai, capi a caso. I suoi indumenti, così come i suoi accessori, venivano accuratamente scelti in base al colore, al materiale, alla qualità del prodotto e per ultimo, ma non meno importante, per come apparivano una volta indossati da Magnus nel camerino. Isabelle gli passò la camicia infilando una mano nella tenda, ma senza guardare l’amico – che comunque era vestito. Magnus afferrò la camicia dalla mano della ragazza e se ne innamorò a prima vista. Era di un bellissimo tessuto lucido e liscio, di un blu cobalto che lo fece immediatamente pensare ad Alexander, a come le sue ampie spalle sarebbero state egregiamente all’interno di quella camicia, o di come se le sue braccia ne sarebbero state fasciate alla perfezione. Quella camicia non gridava sono fatta apposta per te, Magnus! – No, sembrava più urlare sono il regalo perfetto per Alexander.
Sorrise. D’altro canto, era passato il suo compleanno – da un bel po’ si trovò a riflettere, dal momento che era stato il 12 settembre – e Magnus non gli aveva fatto nessun regalo. Poteva sempre rimediare, no?
“Pasticcino?” chiamò Magnus, scostando la tenda e attirando l’attenzione di Isabelle. La ragazza, intenta a flirtare nemmeno troppo velatamente con Mark, portò i suoi occhi scuri sull’amico. “Che taglia porta il tuo delizioso fratello?”
Isabelle sgranò gli occhi per una frazione di secondo, prima che lo stupore lasciasse posto alla consapevolezza. “Dipende. Penso che di quella ti serva una taglia in più.” Izzy notò il colore dell’indumento e sorrise, compiaciuta.
“Penso anche io, è irresistibilmente alto!”
Isabelle ridacchiò e poi si voltò verso Mark. “C’è di una taglia più grande?”
Mark annuì e si incamminò verso una porticina che dava sul magazzino del negozio. Quando sparì al suo interno, Isabelle si voltò verso Magnus.
“Hai intenzione di fargli un regalo di compleanno in ritardo?”
“Trent’anni non possono passare inosservati, cara.”
Izzy sorrise. “Volevo fargli una festa, sai? Ma lui me l’ha vietato categoricamente. Con la scusa che è tornato tre giorni dopo il suo compleanno, ha detto che ormai era passato e quindi non si poteva fare niente.”
Magnus si fece pensieroso, l’indice picchiettò il mento. “Però potremmo fargli una festa a sorpresa in ritardo!”
Isabelle gli lanciò un’occhiata mortalmente seria. “Alec odia le feste a sorpresa.”
“Questa gli piacerà. Sarà discreta e nessuno gli canterà buon compleanno, almeno non lo mettiamo al centro dell’attenzione. So che non gli piace.” Fece una pausa, guardando Isabelle negli occhi. La ragazza era ancora un tantino titubante, così Magnus proseguì. “Ci saranno solo poche persone. E una torta. Non puoi dire di no alla torta!” L’uomo la guardò con due occhi da cucciolo a cui Isabelle, inevitabilmente, si arrese. Un sorriso tenero le tese le labbra, mentre acconsentiva a quel piano. Si domandò quanto peso dovesse dare alla volontà di Magnus di voler fare qualcosa di carino per Alec. L’uomo era inevitabilmente attratto dal fratello e Izzy sapeva per certo che anche Alec lo era – sebbene non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce –, ma non aveva idea di che cosa ci fosse tra quei due. Decise di tenere le sue domande per sé, non volendo in alcun modo intromettersi tra i due – per ora. Era solo felice che Magnus, in quel momento, volesse trovare un modo per festeggiare il suo fratellone.
“Dobbiamo informare Jace e Max. Vorranno sicuramente partecipare all’organizzazione.”
Magnus annuì. “Penso lascerò a te questo compito, tesoro.”
Isabelle acconsentì a quella richiesta e si appuntò mentalmente di informare i fratelli non appena sarebbe tornata a casa. Qualche istante dopo l’essersi accordati, Mark riemerse dal magazzino con la camicia in mano. Magnus gli chiese gentilmente se poteva impacchettarla perché era un regalo. Mark acconsentì di buon grado e Magnus, mentre si immaginava Alec  con addosso quella camicia, non riuscì a trattenere un sorriso che ne aveva dell’accecante.




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Ciao a tutti!
Allora… non so bene come cominciare, in realtà, quindi inizierò dicendo che Magnus ha fatto un po’ il re del dramma quando si è sentito dare del vecchio e spero che la cosa sia risultata divertente e non spiacevole. Non vorrei mai rischiare di rovinare un personaggio come Magnus, quindi se pensate sia stata una cosa troppo OOC, fatemelo sapere!
Devo fare una piccola precisazione: il dialogo tra Magnus ed Izzy, dove lei punta Mark e Magnus se ne accorge, è stato suggerito da _itsbea due recensioni fa. Pensavo fosse un’uscita divertente e quindi ho pensato di inserirla. Spero non ti dispiaccia! (:
Altra precisazione: nell’ultima parte del capitolo siamo al primo di ottobre, e questi primi cinque capitoli si sono svolti in circa due settimane. Alec è tornato il 15 di settembre, quando è andato a prendere Diana a danza. E siccome è un grumpy-cat nell’anima non ha voluto festeggiare i suoi trent’anni, ma Mr. Magnus Bane provvederà a questo nel prossimo capitolo. Ad Alec farà piacere? Si sotterrerà? Morirà di imbarazzo? Non lo so, forse tutte e tre le cose insieme!
Comunque, è tornata Madelaine e a questo proposito vorrei dire due cose: secondo google traduttore (sempre lui), annaku e ibu vogliono dire rispettivamente figlio mio e mamma. Succederà durante i capitoli che i due useranno parole in indonesiano, ma non ne garantisco l’autenticità perché, appunto, saranno prese da google traduttore che non sempre è preciso. Quindi, se qualcuno ne dovesse sapere di più, me lo faccia sapere così, in caso, provvederò a correggere!
Parlando di madri, c’è stata la prima apparizione di Maryse, che cercherò di rendere un misto tra la seconda stagione e la terza – onde evitare di renderla troppo austera.
Ultima cosa: Aline ed Izzy lavorano insieme e questo porterà ad un piccolo accenno alla storia tra Aline ed Helen perché ho visto una foto delle due attrici che le interpreteranno nella 3B (sbaglio, o Aline è cambiata?) e ho pensato aaawww. Come sempre, spero di non fare un casino, volendo inserire troppi personaggi! *incrocia le dita*
Penso di aver detto tutto! Ringrazio chiunque legga la storia, l’abbia messa tra le seguite/preferite/ricordate e chi trova il tempo per recensirla. Sono ripetitiva, ma lo apprezzo immensamente, quindi grazie, grazie e ancora grazie!
Vi saluto, un abbraccio e alla prossima! <3 
   
 
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