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Autore: Gemini_no_Aki    10/01/2019    0 recensioni
Il piano era semplice, talmente semplice che anche un bambino sarebbe stato in grado di seguirlo, – seguirlo, non metterlo in atto, e spesso temeva che Jacopo lo vedesse ancora come un bambino. - uccidere entrambi i fratelli nel momento in cui il Cardinale avesse alzato l’ostia, era davvero semplice e rapido, nulla poteva andare storto, eppure il pensiero di quel piano lo tenne sveglio fino alle prime luci dell’alba quando decise che non sarebbe mai riuscito a prendere sonno e desistette dal provarci.
Il fix-it che la serie ovviamente non può darci, con un contorno di angst che ci sta sempre bene (E chi mi conosce sa che c'è sempre dell'angst in mezzo a quello che scrivo.)
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francesco Pazzi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The choices we make make us who we are



Il piano era semplice, talmente semplice che anche un bambino sarebbe stato in grado di seguirlo, – seguirlo, non metterlo in atto, e spesso temeva che Jacopo lo vedesse ancora come un bambino. - uccidere entrambi i fratelli nel momento in cui il Cardinale avesse alzato l’ostia, era davvero semplice e rapido, nulla poteva andare storto, eppure il pensiero di quel piano lo tenne sveglio fino alle prime luci dell’alba quando decise che non sarebbe mai riuscito a prendere sonno e desistette dal provarci.

Il cuore gli martellava nel petto ad ogni passo che faceva verso la Cattedrale, pareva quasi impazzito, per un attimo temette che Lorenzo se ne fosse accorto quando lo abbracciò, era impossibile non accorgersene, c’era una sorta di inspiegabile terrore che allungava i propri tentacoli dentro il giovane Pazzi, un singolo passo falso avrebbe rovinato ogni cosa e non poteva permetterselo, non quella volta, non quel giorno. Non era un bambino. Era perfettamente in grado di portare avanti quel piano che aveva portato a così tanti crucci e notti insonni.

Eppure adesso aveva paura, mentre la Cattedrale si riempiva e le persone prendevano posto, mentre il Cardinale camminava lungo la navata e la messa iniziava, mentre parole di perdono e bontà divinità venivano dette. Francesco non riusciva a staccare lo sguardo da un punto fisso davanti a sé, a malapena batteva le palpebre, in una concentrazione che era più dovuta al suo non voler lasciar trapelare nulla più che alla convinzione di ciò che stava per accadere.

In un attimo fu il caos. Il giovane Cardinale sollevò l’ostia verso il crocefisso e ogni ingranaggio scattò al proprio posto. Francesco si mosse con una finta decisione, si sporse avanti verso Giuliano, lo sguardo sempre fisso davanti a sé, strattonò indietro il più giovane e lo colpì. Era poco più di un graffio, lo sapeva, ma il sangue non sembrò farsi attendere andando a colare lungo la camicia come se fosse più grave di quel che era in verità, sussurrò qualcosa in tono talmente basso che non era nemmeno certo che il destinatario potesse averlo sentito, e ancor meno era certo se gli avrebbe creduto.

Per un attimo, uno soltanto, provò la tentazione di voltarsi ed assicurarsi che suo zio Jacopo lo avesse visto, che avesse visto il sangue che imbrattava la veste del più giovane dei fratelli Medici che era scivolato a terra, una mano sulla ferita al collo, e giaceva semi nascosto tra le panche. Non voleva la sua approvazione, solo sincerarsi che avesse visto che ogni cosa era andata secondo i piani, o quasi almeno. Lorenzo stava ancora combattendo mentre Clarice cercava di trascinarlo con sé verso la sagrestia tenendo ferma anche Lucrezia che gridava e piangeva disperata per il figlio più giovane, voleva fuggire e trovare un rifugio sicuro in cui nascondersi, ma non lo fece, non c’era tempo.

Un uomo, in quel momento Francesco non riuscì nemmeno a riconoscerlo, si stava avvicinando, la spada levata e pronta a calare su di lui, – o su Giuliano, per infierire di più, per dare il colpo di grazia – il pugnale lasciò la mano prima ancora che la mente avesse tempo di registrare il gesto o l’intenzione, l’uomo stramazzò a terra senza un suono se non quello metallico della lama sulle mattonelle della chiesa. Non si accorse di quello alle sue spalle finché non lo sentì.

Fino a quel momento aveva sempre creduto che alla fine della propria vita, quando si stanno vivendo gli ultimi istanti concessi nel mondo terreno, ogni cosa attorno a sé rallenti, ogni sbaglio torni alla mente, ogni decisione presa dal primo momento di vita, ogni singolo ricordo, anche i più repressi e dimenticati, si presenti davanti a te come a volerti sbeffeggiare, come a volerti provare che ancora esiste e non importa quanto tu possa aver lottato, non verrà mai dimenticato del tutto. Lo credeva davvero ma mai convinzione si rivelò più errata. Invece di rallentare il mondo attorno a lui accelerò di colpo, prese a vorticare in un turbinio di urla e sagome. E di dolore. Non riusciva quasi a respirare dal dolore.

Poi di colpo tutto si fermò, ogni cosa si fece immobile e fu come restare sospesi nel nulla, il dolore era ancora lì, non sembrava intenzionato ad abbandonarlo, ma il mondo aveva smesso di muoversi e si era fatto silenzioso, ad eccezione di quella voce che lo aveva chiamato, era sorpresa, inspiegabilmente preoccupata, familiare e velata da un panico che mai aveva sentito prima, non per lui, non chiamando il suo nome. C’era qualcosa di sbagliato, tremendamente sbagliato e Francesco non era più sicuro che si trattasse della voce o del pugnale – il suo pugnale, quello che ricordava di aver usato per ferire Giuliano e per uccidere l’uomo con la spada – che era affondato nel suo petto. Forse entrambe le cose erano sbagliate, ma il pugnale soprattutto, non aveva ragione di trovarsi lì, ma forse estrarlo non era stata la sua mossa migliore. - molte sue scelte, pensò Francesco in quel momento, non erano state le migliori che avesse mai preso. Una in più, una in meno, che male poteva fare? -

In sottofondo, distante e ovattato, una donna piangeva e gridava, qualcuno che per qualche ragione suonava familiare, eppure non riusciva a darle un nome, la mente era annebbiata quanto la vista, probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a riconoscere il suo stesso fratello.

«Francesco…?» Giuliano era in piedi, fuori dal nascondiglio tra le panche ora che la Cattedrale si era svuotata, una mano premeva sulla ferita che gli aveva inferto, ormai aveva smesso di sanguinare ma Francesco sperava che avesse convinto Jacopo in un primo momento, le cose erano rapidamente sfuggite al suo controllo nonostante il piano fosse semplice come si era ripetuto centinaia di volte. Ora Giuliano torreggiava su di lui, il volto contratto in una smorfia preoccupata, non poteva distogliere lo sguardo. Non era mai stato così tanto più alto di lui, né lui così basso. Francesco si rese conto solo in quel momento di trovarsi inginocchiato sulle mattonelle sporche di sangue – il suo sangue, quello che colava dalla sua veste, da dietro le mani premute sul petto. Il suo. - della Cattedrale.

«Francesco… Francesco.» La voce giunse da lontano nonostante sapesse che il giovane Medici era a pochi passi da lui, poi il mondo si inclinò sempre di più, un velo scuro sembrò avvolgerlo mentre cadeva di schiena e restava fermo a fissare il soffitto che ricordava più luminoso di quanto non vedesse. Giuliano si era avvicinato, non aveva smesso di chiamarlo, mai in tutta la loro vita aveva ripetuto il suo nome così tante volte, stava dicendo altro, qualche domanda o almeno così sembrava a Francesco ma non riusciva a capire più di una o due parole e messe insieme non avevano alcun senso.

C’era una seconda voce, ancora più familiare di quella di Giuliano, in lontananza, c’era il rumore di una porta aperta in fretta e furia, il legno che sbatteva contro il muro di pietra, qualcuno che chiamava a gran voce Giuliano, e lui rimaneva lì, inginocchiato accanto al suo corpo, incerto se toccarlo o meno. Ma non c’era disgusto sul suo volto, o almeno, Francesco non lo vedeva, c’era preoccupazione e paura.

«Sono qui… - disse a mezza voce, poi voltò il capo verso la sagoma che si avvicinava correndo seguita da altre due – Sono qui fratello.»

Qualcuno lo mosse, gli sollevò la testa con una gentilezza e una delicatezza che non era certo di meritare. Li aveva traditi. Aveva tradito Lorenzo, aveva complottato per ucciderlo, per ucciderli entrambi, aveva quasi ucciso Giuliano, una singola scelta giusta alla fine di ogni cosa non bastava a cancellare le sue innumerevoli colpe. Non meritava quella gentilezza e quella preoccupazione. Meritava di morire da solo, – Perché sì, non era stupido, stava morendo, lo sapeva e non vi era nulla che potessero dire o fare per cambiare le cose. Stava morendo. Stranamente il pensiero non lo spaventò. - di venir abbandonato sulla pietra fredda della Cattedrale. Meritava quella sorte, ne era sicuro.

Invece non era solo, Giuliano era lì, aveva smesso di fare domande ma non si era mosso, Lorenzo era al suo fianco davanti al fratello, gli passava una mano tra i capelli neri in una confortante carezza, lo chiamava lui adesso, con quella voce che Francesco conosceva quanto quella del suo stesso fratello.

- Per un attimo pregò che Guglielmo fosse al sicuro come gli aveva scritto nella lettera, che lui e sua moglie fossero lontani da quella chiesa macchiata di sangue, da quella famiglia che aveva portato solo dolore e lo avrebbe distrutto. Pregò che stesse bene, ignaro di ogni cosa finché le acque non si fossero calmate. E che lo perdonasse, almeno un poco. -

«Francesco, apri gli occhi. Devi guardarmi, so che mi senti, non farmi questo, non questa volta.»

Francesco voleva spiegarli ogni cosa, spiegargli del suo piano, quello vero, quello che aveva messo in atto e che gli si era ritorto contro ma che, al tempo stesso, aveva funzionato, dirgli di come avesse voltato le spalle alla stessa famiglia che non aveva esitato un attimo a rinnegare Guglielmo, per lui, perché in fondo credeva alle sue parole, al suo idealismo, voleva credere che se qualcuno poteva davvero cambiare le cose quello sarebbe stato Lorenzo. Ma era troppo in quel momento, così Francesco si limitò a guardarlo con gli occhi socchiusi abbozzando un sorriso e lasciandosi sfuggire un flebile lamento quando premette entrambe le mani sulla ferita concentrandosi sulle parole che diceva. Promesse vuote, come quelle di Jacopo che gli avevano avvelenato la mente così a lungo, Lorenzo continuava imperterrito a dire che sarebbe stato bene, probabilmente più per convincere sé stesso che lui. Eppure, a dispetto di ogni altra cosa, nonostante sapesse che era una bugia, Francesco decise di credergli. Perché era Lorenzo, perché sapeva non gli avrebbe mai mentito, non su una cosa del genere, non in quel momento, non sarebbe stato onorevole mentire ad un uomo che sta morendo.

E ancora gli credeva quando la stanchezza e il dolore ebbero la meglio sulla sua volontà di restare cosciente e l’ultima cosa che sentì fu Lorenzo chiamare il suo nome mentre lasciava chiudere gli occhi.





Guglielmo non si era mosso per quasi una settimana, se non si contavano quei brevi momenti in cui Bianca era riuscita a staccarlo dalla sedia su cui sembrava aver fatto radici, per mangiare qualcosa o dormire un paio d’ore. Ore durante le quali Lorenzo aveva promesso di rimanere al suo posto e di svegliarlo qualora fosse accaduto qualcosa, qualunque cosa.

Le cose erano cambiate, in modo graduale, stavano ancora cambiando. Jacopo Pazzi era morto, Lorenzo non aveva mostrato alcuna pietà per l’uomo che aveva cercato di uccidere la sua famiglia.

«Siamo ancora vivi. Entrambi. - Gli aveva detto con disprezzo poche ore dopo il tentato omicidio, i vestiti ancora sporchi di sangue, come le mani. - Hai ucciso una sola persona quest’oggi, ed è tuo nipote.» Lo aveva fatto impiccare davanti ad una folla esultante ed era tornato a casa. Giuliano sembrava più disposto ad avere i due fratelli sotto il suo stesso tetto, aveva tenuto per sé, custodito gelosamente come il segreto di un’amante, quelle poche parole che Francesco gli aveva detto prima che il caos esplodesse. “Ho scelto voi, Medici.” , non c’era rabbia o sarcasmo, al contrario c’era l’ombra di un sorriso. “Non farmi pentire.”

Alla fine Guglielmo aveva trascinato una sedia accanto al letto e vi aveva preso residenza. Anche in quel momento era lì, addormentato con la testa appoggiata ad una mano, pericolante, rischiando di cadere di faccia per terra. – e non sarebbe stata la prima volta -

«Non sarebbe più comodo… un letto?» Mormorò una voce roca che lo svegliò di colpo. Per un attimo Guglielmo si guardò intorno disorientato prima di posare lo sguardo sul fratello steso a letto che lo osservava stancamente con un mezzo sorriso.

Il giovane fu tentato di scattare in piedi, di abbracciarlo, o di correre fuori dalla stanza urlando a pieni polmoni, di chiamare qualcuno, non importava nemmeno chi. Invece sospirò, e venne fuori come un singhiozzo strozzato, allungò una mano prendendo quella di Francesco, ancora lievemente fredda, ma poco importava. Era vivo. Sveglio. Cosa poteva chiedere di più?

«La prossima volta… - Iniziò con voce tremante. Deglutì e prese un respiro profondo chiudendo gli occhi, quando li riaprì non distolse lo sguardo dal fratello. - La prossima volta che pensi di farti pugnalare almeno abbi la decenza di indossare un’armatura.»


Angolino dell'Autrice: *che di tanto in tanto resuscita* Capitolo 1 di 4, gli altri 3 coprono l'arco di tempo tra la prima parte e la scena finale che, a conti fatti, è la ragione per cui ho scritto il fix-it. Tutto a causa di Guglielmo e della sua battuta finale.

Ai prossimi.
Aki
   
 
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