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Autore: Jade Tisdale    10/01/2019    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 18: 
My only, real treasure

 

 

 

 

Oscurità.
Tenebre.
Demoni.
Era questo ciò di cui si nutriva ogni notte, ciò che lo manteneva ancora in vita dopo tutti quegli anni sulla Terra.
«Quando la luna splenderà nel cielo, il nuovo Dio risorgerà.»
Teneva tra le mani un libro impolverato e malridotto, scritto in una lingua antica, addirittura più vecchia di lui. Lo aveva riletto così tante volte da riuscire a scovarne i significati più profondi, nascosti dietro la china secca e un po’ sbavata.
«Mostrerà ai propri seguaci la sua vera forma, rivelandosi per ciò che è davvero: un essere superiore e onnipotente. Per questa ragione, solamente i veri fedeli continueranno a seguirlo nel suo viaggio, e le loro anime verranno premiate per questo nobile gesto.»
Rivolse lo sguardo verso il cielo, immobile e silenzioso. Quella notte era più buio che mai, con una sola, minuscola stella a illuminare l’universo.
L’ultima speranza.
«I corrotti, invece, verranno puniti. I traditori uccisi. E gli infedeli... torturati.» Abbassò lentamente le palpebre, lasciando che il vento gli accarezzasse il viso. Iniziò quindi a recitare la profezia a memoria. «Gli verrà confiscato ogni bene. Saranno costretti a veder morire i propri cari. Si sentiranno esclusi dal resto del mondo. E quando inizieranno a implorare la morte, il Dio li torturerà con la sua spada. Espierà i peccati dai loro corpi e li farà rinascere. Ma nessuno di loro sopravvivrà davvero. Ognuno di loro andrà all’inferno.»
Aprì di colpo gli occhi, così chiari e minacciosi, e li puntò contro la luna piena. Anche lei lo fissava dall’alto, impassibile. Perché la luna sapeva ogni cosa.
«Un inferno chiamato vita.»
Chiuse il libro e sorrise alla luna.
La profezia si stava avverando.

*

«Vorrei che restasse così per sempre.»
Nyssa si voltò verso Sara, guardandola di sbieco. «Vuoi dire ferma? Perché se è quello che intendi, mi spiace deluderti, tesoro mio, ma nel giro di qualche mese si muoverà così tanto che faticherai a tenerla d’occhio.»
Sara scosse il capo in segno di diniego, accarezzando con un dito la guancia di Kaila. «Così... piccola.»
Sarebbe rimasta a osservarla mentre dormiva per ore, Nyssa glielo poteva leggere negli occhi. Dopotutto, come biasimarla? Kaila sembrava un vero e proprio angioletto.
L’Erede del Demonio si avvicinò all’amata, poggiandole le mani sulle spalle. «Lei sarà sempre piccola» le sussurrò all’orecchio, per poi darle un bacio sulla guancia. «Ma vederla crescere sarà la parte più bella dell’essere genitori. Non credi?»
Sara annuì appena, senza staccare gli occhi da sua figlia nemmeno per un istante. Le sembrava quasi incredibile pensare che meno di sei mesi prima aveva scoperto di essere incinta, mentre adesso sua figlia stava dormendo serenamente davanti a lei. Il tempo era proprio volato.
«Credi che dovremmo farle i buchi alle orecchie?» domandò Sara poco dopo, tornando seria.
Nyssa corrugò la fronte, confusa. «Perché dovremmo?»
L’altra rispose con un’alzata di spalle. «Non lo so. Tu ce li hai dalla nascita.»
Quel ragionamento non aveva alcun senso dal momento che lei era cresciuta in un contesto e in un ambiente completamente diversi, ma la figlia di Ra’s decise di assecondare la sua amata. «Sarebbe carino, ma forse dovremmo aspettare ancora qualche anno. Dopotutto, non possiamo sapere se lei li vorrà oppure no.»
Canary ruotò leggermente la testa di lato. «Hai ragione. Non so come mi sia venuto in mente.»
Nyssa trattenne a stento un sospiro di sollievo. Tuttavia, prima che potesse dire un’altra parola, Sara le mise le braccia al collo.
«Il battesimo, invece? Insomma... la vogliamo battezzare? O forse sarebbe meglio lasciare che sia lei a decidere quale strada prendere?»
«Beh, io credo che...»
«E cosa potremmo regalarle per il suo quinto compleanno? Sai, a quell’età i bambini chiedono un sacco di cose impossibili, tipo un pony o un’astronave... Oh, aspetta, ci sono! Un cucciolo!»
«Sara, no.»
«Hai ragione, potrebbe essere allergica ai cani. Allora che ne dici di un coniglietto? O magari un gatto?»
Con una rapidità quasi impercettibile, Nyssa attirò Sara verso di sé e la baciò con così tanta veemenza da spaventarla. Malgrado ciò, la bionda assecondò il bacio con le palpebre spalancate, confusa e preoccupata.
«Perché...?»
«Dovevo trovare un modo per calmarti» rivelò Nyssa poco dopo, a un soffio dalle sue labbra. «E per farti tacere» aggiunse con un sorrisino.
Sara rispose con un sospiro. «Ho ricominciato con la mia parlantina nervosa, non è vero?»
«Giusto un pochino. Stavi diventando irritante» ammise l’Erede. Subito dopo prese le sue mani tra le proprie, stringendogliele dolcemente.
«Habibti, ascolta» esordì, accarezzandole le nocche con i polpastrelli. «Tra una settimana è Natale. E il tuo compleanno. E voglio che tu possa trascorrere una giornata intera facendo quello che vuoi in completa tranquillità.»
«Non capisco dove vuoi arrivare.»
«Voglio arrivare al punto in cui capisci che ti stai facendo del male» spiegò la donna, accarezzandole la guancia con il dorso della mano. «Ricordi qual è stata la prima cosa che ti ho insegnato quando sei arrivata a Nanda Parbat?»
«A meditare» rispose prontamente Sara, un velo di malinconia negli occhi. «A liberare la mente dai fantasmi del mio passato. A trovare la mia pace.»
Nyssa annuì fiera. «Esattamente. Ed è quello che voglio che tu faccia anche adesso.»
Sara abbassò il capo, sentendosi in colpa. Perché continuava a riempirsi la testa di pensieri? Era questo che succedeva quando diventavi madre? No, per lei era sempre stato così, ma ultimamente la situazione era peggiorata. E Nyssa, ovviamente, se n’era accorta.
Fin dal loro primo giorno insieme, Sara aveva sempre sostenuto di essere un peso per lei. Perché era l’ultima arrivata. Perché era un bersaglio facile. Perché sapeva di essere la sua debolezza più grande. Perché era una distrazione. Perché era una donna.
Nyssa aveva sempre smentito tutto ciò, ma in cuor suo, Sara sapeva che era vero. Se Nyssa non l’avesse mai trovata, probabilmente ora non si sarebbero trovate in questa situazione. Probabilmente non avrebbe costretto Nyssa a scegliere di schierarsi dalla sua parte, ribellandosi così al volere di suo padre.
Sara si allontanò dalla culla, muovendo alcuni passi incerti verso il corridoio. Si fermò sulla soglia e si voltò in direzione della sua amata.
«Scusami.»
«Non è a me che devi le tue scuse. Lo sai.»
Certo che lo sapeva. «Come potrei perdonarmi tutte le cose che ho fatto?»
«Vuoi dirlo a me?» ironizzò la mora, sforzandosi di sorridere. «Lo so come ti senti, Sara. Credimi. Lo so. Sono sua madre anch’io. E se dovesse capitarle qualcosa, non me lo perdonerei mai.»
«Ne sono consapevole. L’ultima volta che abbiamo avuto questa conversazione sei riuscita a convincermi con le tue parole.»
«L’ultima volta che abbiamo avuto questa conversazione è stato tre mesi fa, e tu non mi sembravi molto contenta all’idea che io mi sacrificassi per voi.»
Sara esitò per un istante. «Non mi riferisco alla conversazione che abbiamo avuto dopo il ritorno di Thea e... di Merlyn. Intendo quello che mi hai detto pochi giorni prima del parto.»
Nyssa ci impiegò qualche istante per capire di cosa stesse parlando la sua amata. E quando lo capì, spalancò d’istinto le palpebre per lo stupore.
«Quindi non stavi dormendo» sussurrò, incredula di fronte a quella rivelazione.
Sara sorrise con fare malizioso sotto lo sguardo impotente di Nyssa. Quest’ultima si portò lentamente una mano davanti alla bocca. Possibile che Sara si fosse davvero presa gioco di lei in quel modo? Sapeva bene quanto fosse sempre stato difficile per lei esternare i propri sentimenti, e nonostante in quegli anni avesse mostrato più volte il suo lato amorevole, non le piaceva l’idea che Sara l’avesse spiata in un momento così intenso e non le avesse fatto capire che fosse sveglia.
Si sentiva terribilmente indifesa. E anche un po’ derisa.
«Avanti, Nyssa. Esprimiti» la punzecchiò Sara, avvicinandosi a lei con estrema lentezza. «Cos’è che ti infastidisce di più?»
Nyssa indietreggiò a sua volta, e prima che potesse rendersene conto, si ritrovò con le spalle al muro.
«Il fatto che sia riuscita a prendermi gioco di te? Oppure...»
Sara le mise una mano sulla guancia e l’altra sulla nuca, fermandosi a un soffio dalle sue labbra.
«L’idea che ti abbia scoperta senza il tuo muro a proteggerti?»
La figlia di Ra’s al Ghul si mordicchiò impotente il labbro inferiore. Odiava quella situazione. Sara sapeva perfettamente che le piaceva avere il controllo della situazione. Sapeva anche che doveva essere lei a decidere quando uscire dal suo potente e impenetrabile guscio, e mostrarsi così per la donna generosa e sdolcinata che in realtà era.
«Entrambi» rivelò, rilassando la mascella.
«Non puoi avere il controllo su tutto, Nyssa al Ghul» le sussurrò la bionda all’orecchio, per poi lasciarle una scia di baci e di morsi lungo il collo.
«Potrei iniziare ad abituarmi all’idea» concesse l’Erede, afferrando Sara in vita e attirandola a sé. «Habibti.»
La baciò, costringendola ad alzarsi in punta di piedi per poter raggiungere le sue labbra. Trattenne il respiro e iniziò a muovere entrambe le mani lungo la schiena di Sara, accarezzandogliela con estrema dolcezza, su e giù, su e giù, su e giù. Sara si strinse di più a lei e Nyssa le mise una mano sotto alla maglietta, instaurando un contatto con la pelle della sua amata, scatenando una serie di intensi brividi lungo la sua colonna vertebrale, fino a quando...
Sara aprì gli occhi di colpo e si staccò da lei nel giro di un secondo, ergendo il suo muro.
«Devo andare» bisbigliò, nonostante lo sguardo implorante della mora. «Ho una bambina da allattare e tu un bagno da pulire.»
Nyssa espirò profondamente mentre Sara si allontanava da lei indietreggiando. Aveva lo sguardo fisso su di lei e sembrava soddisfatta. Subito dopo, prese una Kaila ancora addormentata in braccio, ma prima di andarsene le dedicò un’altra, intensa occhiata.
«E comunque, sappi che non dimenticherò mai quello che hai detto quella notte, habibti» disse la bionda, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. «Sono certa che questo vale anche per nostra figlia.»
Le scoccò un lungo bacio sulla guancia, dopodiché si diresse verso la camera da letto con un sorriso soddisfatto.
Nyssa ci mise qualche istante per elaborare l’accaduto. Poteva ancora sentire il gusto di Sara in bocca e il collo pizzicare a causa dei suoi morsi. Sorrise senza nemmeno rendersene conto, ma quando il suo sguardo si posò sull’orologio appeso al muro, sul suo viso si fece spazio un piccolo broncio.
«Ma non è l’ora della poppata» rifletté tra sé e sé. «E Dinah ci ha consigliato di non svegliare mai la bambina mentre dorme...»
E quando capì che Sara si era presa gioco di lei per la seconda volta, ormai era troppo tardi.
«Sara! Torna subito qui, razza di muhtal[1] che non sei altro!»

*

La Queen Consolidated era ancora più imponente di quanto ricordasse. Passava quasi tutto il giorno chiuso dentro il suo ufficio, perciò vedere con i propri occhi la maestosità dell’impero costruito dalla sua famiglia dall’esterno lo rendeva orgoglioso. E un po’ spaventato.
In terza elementare andava a trovare suo padre al lavoro quasi tutti i giorni. All’uscita da scuola, l’autista non riusciva quasi mai a portarlo a casa; le piccole soste alla Queen Consolidated per salutare Robert si rivelavano sempre ‒ sempre ‒ delle scuse per sgattaiolare nell’ascensore e nascondersi nell’ufficio di suo padre.
Adorava quell’ufficio. C’erano le penne colorate, una ciotola di caramelle al limone e tante, tantissime foto di lui e papà. Adesso che l’ufficio era diventato suo, Oliver aveva rimosso le caramelle e le foto, ma aveva tenuto le penne colorate. Sperava tanto che un giorno anche sua figlia sarebbe andata a trovarlo in quell’ufficio, e che anche lei avrebbe passato ore e ore a disegnare con quelle penne mentre il suo papà lavorava al computer.
«Testa rivolta verso l’altro, mani nelle tasche, cravatta con un nodo perfetto... sembri uscito da un episodio di “Law & Order”.»
Oliver si voltò, un piccolo sorriso stampato sulle labbra. Sara sorrise a sua volta, per poi lanciare uno sguardo alla carrozzina che stava spingendo. Oliver si sporse quanto bastava per vedere il visino sereno di Kaila mentre dormiva.
«Diventa sempre più bella ogni giorno che passa» confessò il vigilante, con un’intensa luce negli occhi.
«Tale madre, tale figlia, giusto?»
Sara rise alla sua stessa battuta, mentre Oliver scosse la testa divertito.
«Sara Lance, non cambi proprio mai.»
«Disse quello sempre vestito di verde.»
Oliver abbassò lo sguardo, poggiando una mano sul proprio petto. «Ti riferisci alla cravatta? È il mio regalo di Natale da parte di Felicity. Dice che è un modo per ricordarmi che la città ha bisogno di Arrow anche alla luce del sole.»
Sara sembrò pensarci su per qualche istante. «Beh, devo dire che il suo ragionamento non fa una piega.»
«Già. È proprio da Felicity. E a proposito di Felicity, stavamo pensando di festeggiare il Natale a casa nostra quest’anno. Sempre che tu e Nyssa non abbiate già altri impegni.»
«No. Certo che no. Quali altri impegni dovremmo avere?» domandò, iniziando a dondolare lentamente la carrozzina avanti e indietro.
«Beh, credevo che, essendo il tuo compleanno, aveste programmato qualcosa. Dopotutto, immagino siano passati anni dall’ultima volta che lo hai festeggiato.»
Sara prese a tossire nervosamente, ma riuscì a calmarsi nel giro di qualche secondo. Se solo sapessi come ho festeggiato i miei ultimi compleanni alla Lega, Ollie...
«No... In effetti, no. Sono anni che non festeggio» mentì. «Ma ormai sono adulta, Ollie. E sono una mamma. Non ho più bisogno di festeggiare il mio compleanno.»
«Tutti hanno bisogno di festeggiare il proprio compleanno. A qualsiasi età.»
«A quanto pare, non io» replicò, sistemando la copertina di Kaila in modo che le riparasse tutto il corpicino. «Da quando c’è lei, non ho altre priorità.»
Oliver avrebbe tanto voluto dire che lo stesso valeva per lui, ma sapeva che sarebbe stata una menzogna. Kaila era sua figlia, e la amava con tutto il suo cuore, ma non era la sua unica priorità. C’erano Arrow, la Queen Consolidated, l’aver scoperto che Thea aveva stretto un legame con Merlyn, la Lega degli Assassini, e Felicity. Anche se avrebbe fatto i salti mortali per lei, anche se avrebbe ucciso per lei, Kaila non era l’unica persona a dominare i suoi pensieri al momento. Non poteva nemmeno confidarsi con John, perché sapeva che l’amico avrebbe sicuramente cercato di giustificarlo dicendo che era normale, che era umano e padre, e che ci sarebbero sempre state cose peggiori di un pannolino sporco a invadergli la mente. Dopotutto, sicuramente anche Sara aveva altri pensieri per la testa. Tra la Lega degli Assassini che le stava alle costole e Laurel che rischiava di ricadere nell’alcolismo, non doveva essere stato facile per lei ritrovarsi con una bambina a cui pensare ventiquattro ore al giorno.
Ma era felice. Immensamente felice. Oliver glielo poteva leggere negli occhi. Perciò, quando Sara gli spiegò il motivo per cui aveva voluto incontrarlo, a Oliver si spezzò il cuore.
«Ricordi quello che mi hai detto in ospedale?»
«Di non fidarti delle infermiere e di non toccare il pasticcio di patate per nessun motivo al mondo?»
Sara scosse il capo, abbozzando un sorriso. «No, idiota. Mi riferivo all’altra cosa.»
Oliver si infilò nervosamente le mani in tasca, il petto all’infuori a causa dell’aria che stava trattenendo.
«Oh.»
«Ne ho parlato con Nyssa» proseguì Sara, con voce tremante. «E... avevi ragione tu. Sì, insomma, se la situazione precipitasse... credo che dovremmo dare Kaila in adozione.»
L’uomo annuì, deglutendo sommessamente. «È stata Nyssa a farti cambiare idea?»
Questa volta, fu Sara a trattenere il respiro. «Più o meno. Diciamo che ho capito che sarebbe la cosa migliore da fare. Non voglio che cresca con il peso dei fardelli del nostro passato sulle spalle. Merita di più.»
«Sono d’accordo con te» sorrise Arrow a labbra strette.
Sara ricambiò a fatica il sorriso. Aveva lo stomaco sottosopra. «Però, se dovesse accaderci qualcosa, Ollie... Kaila dovrà sparire. Letteralmente. Voglio che sia lontana da Starling City e da chiunque possa ricondurla a noi. E voglio che cresca insieme a qualcuno che non le faccia mancare nulla, che la tratti come se fosse la sua stessa figlia, e che non le riveli mai ‒ Oliver, mai ‒ chi fossero i suoi genitori. Voglio che abbia una famiglia che la ami davvero e che le dia tutto quello che noi non potremo darle perché...»
Lasciò la frase a mezz’aria, troppo sconvolta per riuscire a pronunciare quella parola.
«Perché a quel punto noi saremo morti» concluse Oliver per lei, altrettanto scosso.
Canary annuì con forza, mentre le lacrime scorrevano leggere sul suo viso. «Avere un figlio ti cambia la vita. E come ha detto Nyssa, essere genitori significa essere disposti a fare qualsiasi cosa pur di garantire ai propri figli una vita migliore. E io non voglio costringere Kaila a vivere con i nonni o le zie perché i suoi genitori sono morti in battaglia. Non voglio che cresca pensando che sia successo tutto a causa sua, peggio ancora con un mirino sulla testa. Non posso farle questo, Ollie. Proprio no.»
Prima che Sara potesse aggiungere un’altra parola, Oliver si avvicinò a lei e la strinse con tutte le forze che aveva in corpo. Sara spalancò le palpebre distrutta, mentre il padre di sua figlia le metteva una mano sul capo.
«So quanto è difficile» rivelò l’uomo, sussurrando quelle parole con un immenso dolore al petto. «Per questo dirò a Felicity di cercare le persone più affidabili e più adatte a crescere nostra figlia. Okay?»
Sara annuì a fatica tra un singhiozzo e l’altro. Anche Oliver avrebbe tanto voluto scoppiare a piangere, ma non poteva. Doveva essere forte per Sara. E per Kaila.
«E ti prometto che farò del mio meglio per evitare di arrivare a quel punto. Sono certo che lo stesso vale per Nyssa. Preferirei che fosse lei a diventare la madre di Kaila in maniera ufficiale piuttosto che darla in adozione a due perfetti sconosciuti. E anche se fosse, prima di costringerci a rinunciare a nostra figlia, Maseo dovrà passare sui nostri cadaveri. Te lo prometto.»

*

Sara fu svegliata da qualcosa che le solleticava il naso, ma non avrebbe saputo dire cosa fosse. Sapeva solo che quel qualcosa era decisamente fastidioso. E sgradevole.
Essendo ancora nella fase di dormiveglia, si voltò dall’altra parte, mettendo la testa sotto alle coperte. Il prurito al naso sparì nel giro di qualche minuto, segno che, con ogni probabilità, si era trattato semplicemente di un sogno. Tuttavia, prima che potesse riaddormentarsi di nuovo, la vigilante fu colpita da un’aria gelida che le fece rizzare i peli delle braccia. Qualcuno le aveva tolto le coperte di dosso.
In preda alla rabbia, la donna aprì gli occhi di colpo e scattò a sedere in men che non si dica, desiderosa di scoprire chi aveva osato svegliarla. Ma prima che potesse muovere anche solo un dito, si ritrovò faccia a faccia con Nyssa.
«Eid milad sayid, habibti.»[2]
La figlia del Demonio sorrise, uno di quei sorrisi che riuscivano sempre a scaldarle il cuore, e si affrettò a baciare Sara prima che quest’ultima potesse arrabbiarsi con lei.
Dopotutto, come avrebbe potuto? Certo, la sua ragazza l’aveva svegliata di prima mattina, ma era pur sempre il suo compleanno. E il giorno di Natale. E poi, i risvegli di Sara erano sempre meravigliosi quando la prima persona ad occupare il suo raggio visivo era Nyssa.
Dopo pochi istanti, le due lasciarono andare esitanti le labbra dell’altra, congiungendo le mani e le fronti.
«Shukran jaziilan, habibti»[3] rispose la bionda con uno sguardo complice.
Non si spiegava come mai lei e Nyssa comunicassero ancora in Arabo. Capitava quasi ogni giorno nonostante non vivessero più a Nanda Parbat e non fossero più obbligate a parlare quella lingua; eppure, continuavano a farlo. Forse perché potevano capirsi solo loro, il che rendeva tutto più intrigante. O forse, semplicemente perché era diventata un’abitudine. Una bellissima abitudine.



Più o meno diciassette baci e nove frasi dolci dopo, Nyssa convinse Sara a dare inizio ai festeggiamenti. Senza dare spiegazioni, la figlia di Ra’s al Ghul coprì gli occhi dell’amata con le proprie mani e la condusse in salotto. Kaila stava ancora dormendo, perciò aveva ancora un po’ di tempo per mostrare a Sara la sua sorpresa prima che la bimba reclamasse il suo latte.
«Quando siamo venute a vivere qui, non mi sembrava che il corridoio fosse così lungo.»
«Spiritosa. Sto cercando di allungare il tragitto per depistarti» spiegò Nyssa, ripetendo le stesse identiche parole che Sara le aveva detto due anni prima.
«Immaginavo» ammise la bionda tra sé e sé, sorridendo all’idea che Nyssa stesse ricreando la caccia al tesoro che Sara aveva organizzato per il suo ventisettesimo compleanno.
Poco dopo, Nyssa si fermò e ritrasse le mani, per poi poggiarle sulle spalle dell’amata.
«Diamo inizio alla festa» sussurrò a un soffio dall’orecchio di Sara, mentre quest’ultima apriva lentamente gli occhi.
La cameretta di Kaila era illuminata soltanto dalla luce che filtrava attraverso la finestra. Da quando Sin se n’era andata, la stanza sembrava più vuota di prima: avendo rimesso a posto il materasso, a parte la cassettiera di Sin c’era soltanto il mobile che Oliver aveva comprato per la bambina. Per questo motivo, Sara non ci mise molto a individuare l’intruso. Sopra alla cassettiera c’era una busta colorata, contenente, senza ombra di dubbio, il primo indizio.
«“In questo giorno così bello, ti regalerei un gioiello.”»
Sara si voltò in direzione di Nyssa con la fronte aggrottata.
«Fai sul serio?»
«Finisci di leggere il biglietto prima di trarre conclusioni affrettate.»
La bionda scosse lentamente il capo con fare rassegnato. «“Ma siccome siamo al verde, dovrai accontentarti di alcune perle.”»
Di fronte allo sguardo confuso dell’amata, Nyssa alzò gli occhi al cielo. «Sì, okay, non siamo davvero al verde, ma mi serviva una rima.»
«Meglio così. Dunque, le perle... Di quali perle starà parlando la mia Neisse
Nyssa rispose con una smorfia di disgusto. Odiava quel soprannome, Sara lo sapeva bene. Se lo era inventata lei tanti anni prima, e sebbene non le piacesse neanche un po’, ogni tanto si rivolgeva a Nyssa con quel nomignolo solo per il gusto di stuzzicarla.
«Se mi chiami ancora così, giuro che ti farò passare il peggior compleanno della tua vita.»
«Sì, certo, come no. Hai detto così anche l’ultima volta, e sappiamo benissimo entrambe com’è andata a finire.» Nyssa arrossì lievemente, e la bionda sorrise sotto ai baffi. «Ora basta con le minacce. Mi devo concentrare» disse poi, rileggendo attentamente le parole scritte nel pezzo di carta. «Le perle... saranno i miei orecchini? No, troppo banale. Eppure il primo indizio è sempre il più facile...»
Nyssa inarcò un sopracciglio. «Ah, sì? E chi l’ha deciso?»
In tutta risposta, Canary ruotò la testa di lato. «Sono le regole base della caccia al tesoro, Neisse. Però davvero, adesso basta distrarmi.»
L’Erede del Demonio alzò gli occhi al cielo. Non ci sarebbe voluto molto prima che la sua amata le chiedesse aiuto, perciò si appoggiò allo stipite della porta, in attesa del momento decisivo.
Sara iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza vuota, ripetendosi quelle due righe nella testa, ma non riuscì a risolvere l’enigma. La parola “perla” era piuttosto generica, e di certo non sarebbe riuscita a decifrare il suo significato nascosto in così poco tempo.
«Okay, a meno che tu non mi abbia comprato delle ostriche, non ho la più pallida idea di che cosa siano queste perle di cui parli.»
«Ostriche? Hai idea di quanto costino? Ovvio che non ti ho comprato delle ostriche. Però ti stai avvicinando.»
«Peccato. Mi era quasi venuta voglia di ostriche.»
Sara rifletté a lungo sulle parole di Nyssa, e si chiese quali perle avessero in casa ‒ tralasciando gioielli vari, ma quelli erano da escludere. Forse il gioiello a cui si riferiva era Kaila? Dopotutto, si poteva considerare la loro perla. Ma no, Nyssa era più astuta di così. Sicuramente la metafora era più semplice di quanto pensasse, ma avrebbe dovuto usare la logica per arrivarci.
«Ti do un indizio: non è un regalo di Laurel.» Strano ma vero, avrebbe voluto aggiungere, ma riuscì a trattenersi. E dopo non molto, Sara ebbe come un’illuminazione.
All’incirca tre mesi prima, Nyssa era tornata a casa dal supermercato con una serie di soprammobili per abbellire la casa. Tra i tanti oggetti di varie forme, Sara ricordava di averne visto uno a forma di conchiglia. E dove si possono trovare le conchiglie se non vicino all’acqua?
Non appena ebbe preso tra le mani la conchiglia che ormai risiedeva sul bordo della vasca da bagno, Sara sorrise trionfante. All’interno, oltre a tre perle lucide, vi trovò un foglietto ripiegato.
«“Hai scovato il primo indizio, ma non prenderlo per vizio. Se il prossimo post-it vorrai trovare, in discesa dovrai andare.” Questo mi sembra molto più difficile da interpretare.»
«Davvero? E io che credevo che le cacce al tesoro fossero facili» ironizzò Nyssa, ricevendo un’occhiataccia dall’amata. «Forza e coraggio, habibti. Te ne restano ancora quattro.»



Mentre Sara si diede da fare per trovare i restanti bigliettini, Nyssa andò a preparare la colazione e a tenere d’occhio Kaila. Le premonizioni della bionda si erano rivelate attendibili: gli indizi diventavano sempre più difficili man mano che il numero di biglietti aumentava.
Dopo aver compreso che la discesa del secondo post-it si riferiva alle scale del palazzo, Sara decifrò altri due biglietti nel giro di dieci minuti ‒ il terzo recitava: “Ora che sei qui, si sarà fatto mezzodì. Siccome sei stata audace, ti meriti una Versace”, e si riferiva a una finta Versace che Sara aveva comprato tempo prima da un venditore ambulante in Ecuador e che custodiva gelosamente all’interno della cabina armadio, mentre nel quarto c’era scritto semplicemente: “Vieni da me e ti offrirò un caffè”.
Così, Sara raggiunse Nyssa in cucina, e senza dire nulla si ritrovò con una tazza di caffè bollente tra le mani.
«Se sei già qui, vuol dire che sei stata veloce» la punzecchiò la mora.
«Da bambina non avrò fatto parte degli scout come mia sorella, ma ero comunque brava a scovare gli indizi.»
«Già. Me ne sono accorta.»
A quell’esclamazione, Sara sorrise sotto ai baffi. «Anche tu te la sei cavata.»
«Vuoi scherzare? A differenza tua ci ho messo un’ora solo per capire i primi tre indizi. Tu ne hai decifrati altrettanti in un terzo del tempo.»
«Vero, ma nel tuo caso sono stata un po’ cattiva. Avevamo un’intera fortezza da esplorare.»
«Come dimenticarlo. Mio padre per poco non ci beccava nel Santuario. Come ti è venuto in mente di nascondere quel biglietto nel Pozzo di Lazzaro?»
Sara rispose con un’alzata di spalle. «Volevo vedere se l’inchiostro simpatico era resistente all’acqua.»
«E a proposito di inchiostro simpatico...» esordì Nyssa, lasciando la frase a metà.
Sara la guardò confusa, per poi spostare l’attenzione sul suo caffè. Fu allora che notò un bigliettino ripiegato all’interno della tazza.
«Non sapevi più dove mettere i post-it?»
«Volevo vedere fino a che punto avresti afferrato i miei suggerimenti.»
Nyssa si stava dimostrando parecchio abile nella caccia al tesoro, questo Sara doveva riconoscerlo.
«“Che sia estate o inverno, il mio amore per te resterà sempre eterno. Ci sei quasi, uccellino mio: vola in alto nel cielo e fammi sentire il tuo cinguettio.” Sei seria?»
Questa volta, fu Nyssa ad alzare le spalle. «Dicevi che il primo indizio deve essere il più facile. Adesso siamo quasi alla fine. Che ti aspettavi?»



Dopo aver riflettuto per dieci minuti abbondanti sulla frase poetica ‒ e molto, molto sdolcinata ‒ di Nyssa, Sara capì che c’era solo un posto nell’appartamento in cui un uccellino si sarebbe potuto alzare in volo: il balcone.
E proprio lì, appeso alla ringhiera con un pezzo di nastro adesivo, Sara trovò l’ultimo indizio.
«“Finalmente ce l’hai fatta! Mi hai fatto diventare matta. Adesso possiamo festeggiare, e i regali, finalmente, scartare.”»
«Mabrook[4], habibti. Hai completato la caccia al tesoro.»
Quando Nyssa la abbracciò da dietro, Sara rabbrividì. Dopo tutti quegli anni insieme, l’inaspettato contatto con la sua pelle le faceva ancora questo effetto.
«Se il mio tesoro sei tu, direi che ne è valsa la pena.»
A quel punto, Sara baciò con passione le labbra sorridenti di Nyssa, la quale la strinse forte a sé per evitare che cadesse, premendo il proprio corpo sul suo, quasi fossero una cosa sola. Era da tanto che non passavano un momento così: soltanto loro, senza temere di essere beccate, senza pensieri per la testa al di fuori della loro bambina.
«Il miglior compleanno di sempre» sussurrò la bionda, a un soffio dalle labbra della sua amata.
«Sicura? Perché mi sembra di ricordare che due anni fa‒»
«Shh. Non possiamo più parlare di certe cose ad alta voce adesso. Abbiamo una bambina.»
Nyssa scosse il capo divertita. «Torniamo dentro, allora. Sono sicura che la nostra bambina ci stia aspettando.»
Era vero. Kaila si era appena svegliata, e stava aspettando con ansia di vedere un viso familiare. E quando entrambe le sue mamme si sporsero sulla sua culla, la piccola regalò loro un grande sorriso.
«Qualcosa mi dice che non vede l’ora che tu apra i suoi regali» la punzecchiò Nyssa mentre prendeva in braccio la bambina.
«Mi sa che è proprio così» concesse Canary, accarezzando dolcemente la testolina bionda di sua figlia. «Ma voi due siete i miei regali più grandi.»
La figlia di Ra’s al Ghul sorrise a labbra strette, gli occhi lucidi quanto bastava per far capire a Sara che aveva fatto centro nel suo cuore anche questa volta. «Adesso però basta con le frasi fatte. Apri i tuoi regali prima che cambi idea e decida di restituirli tutti.»



L’albero di Natale sembrava ancora più imponente con tutti quei pacchi a circondarlo ‒ ce ne saranno stati poco più di una dozzina, ed erano solo i regali che Sara e Nyssa si erano fatte reciprocamente.
«Sarà il sesto pacchetto che mi fai aprire» sottolineò Sara mentre scioglieva un perfetto fiocco rosso.
«È Natale, habibti. E anche il tuo compleanno.»
«Lo so, ma comunque non ci siamo mai fatte così tanti regali prima d’ora.»
«Forse perché non avevamo uno stipendio. Perché hai quella faccia?»
«Come facevi a sapere che la volevo?!» domandò Sara, con un tono a metà tra l’incredulità e la curiosità. Teneva tra le mani una tazza fosforescente, di quelle che si illuminano in base all’umore di chi le tocca; nel mentre osservava Nyssa con occhi confusi e, al tempo stesso, carichi di gioia.
«In realtà, non lo sapevo. Classica fortuna da principiante» azzardò la mora, facendole l’occhiolino.
Canary le diede un pugno sulla spalla. «Bugiarda. Mi hai spiata mentre sfogliavo il catalogo di Toys Are We alla ricerca di un giocattolo carino da comprare a Kaila. Almeno abbi la decenza di ammetterlo.»
Nyssa scosse lievemente il capo, allargando le braccia con fare teatrale. «A quanto pare non ha più senso nascondertelo. Mi hai beccata.» Un sorriso fece capolino sulle sue labbra. «Se ti può consolare, credo che anche nostra figlia avesse capito che ti piaceva quella tazza. L’hai guardata con occhi sognanti per oltre cinque minuti.»
«Stavo calcolando quanti soldi avrei dovuto mettere da parte per comprarla. Novanta dollari per una semplice tazza mi sembra esagerato.»
«Eppure non mi sembra che tu mi stia implorando di restituirla» la stuzzicò maliziosamente l’Erede del Demonio.
«No, infatti, amore» ammise Sara, scoccandole un bacio sulla guancia.«La adoro. E adoro te. Ti amo.»
«E non hai ancora visto l’ultimo regalo» affermò Nyssa, poggiandoglielo sulle ginocchia. «Forza, aprilo.»
Sara non se lo fece ripetere due volte. Le erano sempre piaciuti i regali, ancor di più quelli fatti con tutto il cuore, come quelli di Nyssa. Quando aprì la scatola, gli occhi le si illuminarono nuovamente. Questa volta, però, Nyssa poté giurare di aver visto Sara trattenere a fatica le lacrime.
All’interno della scatola c’erano due t-shirt e un body. Sulla prima maglietta era stata stampata la parola “Me”, mentre sul body c’era scritto “Mini Me”. Ma forse fu la frase sulla seconda maglietta a darle il colpo di grazia.
«“Me’s other half”» ripeté Sara ad alta voce. Trattenne il fiato per un paio di secondi, per poi sospirare pesantemente. «È così sbagliata...»
«Che intendi dire?»
Sara puntò i propri occhi lucidi in quelli dell’amata. «Perché tu non sei la mia metà. Tu sei... tutto.»
Fu quasi impercettibile. In una frazione di secondo, Sara si sporse in avanti e afferrò nuovamente le labbra di Nyssa con le proprie. Si allontanò poco dopo, senza nemmeno dare alla figlia di Ra’s il tempo di metabolizzare quanto accaduto.
Nyssa rimase a bocca aperta, il respiro leggermente irregolare. Poi, una volta riordinate le idee, scosse il capo contrariata. «No... insomma, no. Come posso essere il tuo tutto? E Kaila?»
Sara corrugò la fronte confusa. «Kaila? Kaila chi?» Il sorriso che si formò sul suo volto subito dopo costrinse Nyssa ad alzare gli occhi al cielo.
«Sei sempre la solita.»
«Andiamo. Un giorno nostra figlia si dovrà pur vantare di aver acquisito la simpatia almeno da uno dei suoi genitori. No?»
«Non cambi mai.»
La mora incrociò le braccia e si voltò dall’altra parte, fingendosi arrabbiata. Per un istante, Sara abboccò all’amo e cercò di accarezzarle il capo con una mano; tuttavia, prima che potesse farlo, Nyssa le afferrò di colpo la mano e se la portò alla guancia. Sara fu colpita da quel gesto, ma nel giro di poco si rasserenò.
«Habibti, lo sai. Sai che tu e Kaila siete le persone più importanti della tua vita.»
«Lo so. Sei una brava mamma.»
«Continuate a ripetermelo tutti, ma io non ne sono così sicura.»
Nyssa s’incupì. «Tu sei una brava madre, Sara» ripeté l’Erede, seria come non mai.
«Come fai ad esserne così sicura?»
«Tu non abbandoneresti mai tua figlia, a meno che non fossi costretta a farlo. E non metteresti mai la mia vita prima della sua.»
Nyssa attese una conferma da parte di Sara, ma ricevette solo un’occhiata esitante. «Perché tu non lo faresti mai, giusto?»
Sara annuì lentamente, ma dentro di sé non sapeva nemmeno lei come si sarebbe comportata se si fosse trovata in una situazione del genere. In fondo, Nyssa aveva ragione: Sara non avrebbe mai abbandonato sua figlia, e l’avrebbe sempre messa al primo posto. Lo stesso valeva per Nyssa, ovviamente. Ma a differenza sua, Sara sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di scegliere di sacrificare una delle due per salvare la vita all’altra. Dopotutto, Kaila era sua figlia, ma Nyssa era l’amore della sua vita.
Solo allora si rese conto che, forse ‒ forse ‒, se aveva acconsentito all’idea di Oliver, era perché così non avrebbe mai dovuto scegliere tra Kaila e Nyssa. Se le cose con la Lega si fossero complicate, avrebbero dato Kaila in adozione, salvandole la vita, e lei avrebbe potuto concentrarsi su Nyssa e sulle loro questioni in sospeso con Ra’s.
Però, a quel punto, Kaila non avrebbe più fatto parte della sua vita. E questa cosa non le andava proprio giù.



Poco prima che Nyssa riuscisse a scartare i suoi regali, Kaila attirò improvvisamente l’attenzione su di sé con un pianto assordante. Dopo averle cambiato il pannolino e dato da mangiare, Sara tornò in salotto con la bambina in braccio più o meno mezz’ora dopo.
«Siamo o non siamo una coppia perfetta?»
Nyssa si voltò, e quando vide Sara e Kaila sfoggiare la t-shirt e il body personalizzati che gli aveva regalato, non riuscì a trattenere una risata.
«Siete proprio carine» ammise la mora, affrettandosi a scattare una foto per immortalare quel momento.
Con un gesto teatrale, Sara si scostò i capelli con una mano, rispondendo con un accattivante: «Lo sappiamo. Ma adesso basta con i complimenti. È il tuo turno.»
«È normale che abbia paura di quello che potresti avermi regalato?»
«Dipende. Di che cosa hai paura, Neisse?»
Nyssa inspirò a pieni polmoni, trattenendosi dal rispondere all’amata con un’adeguata frecciatina. «Ti consiglio di darmi quelle scatole prima che cambi idea.»
«Fidati di me, non cambieresti idea per nulla al mondo.»
La figlia di Ra’s al Ghul inarcò un sopracciglio. «Tu dici?»
Sara rispose con un’occhiata misteriosa, dopodiché iniziò a cullare Kaila mentre Nyssa scartava i suoi regali. Oltre a un inspiegabile set di freccette e a un romantico kit di lanterne galleggianti, Nyssa si ritrovò tra le mani un grembiule bordeaux con una frase ricamata sopra.
«“Best Mom Ever”» ripeté l’Erede ad alta voce. «Mi hai rubato l’idea, ammettilo.»
«Certamente. Nel corso degli anni ho acquisito il potere della telepatia. Non lo sapevi?»
«Sono sorpresa. E a che cosa sto pensando in questo momento, Miss Telepatia?»
«Stai pensando a...» Sara si portò l’indice e il medio della mano destra alla tempia, chiuse gli occhi e finse di concentrarsi, come se stesse davvero cercando di entrare nella mente di Nyssa con tutte le sue forze.
«Oh. Ma che sorpresa.»
Nyssa ruotò leggermente la testa di lato, fingendosi incuriosita.
«Qualcuno vuole baciare di nuovo la sottoscritta.»
«Non dare per scontato che riceverai un bacio da parte mia. Dipende dalla qualità degli altri regali.»
Sul volto di Sara si formò un sorriso soddisfatto. «Fortuna che ho ancora due assi nella manica.»
L’Erede del Demonio scartò l’ultimo regalo con fare divertito, lanciando qualche occhiata all’amata di tanto in tanto. Non appena si rese conto di avere tra le mani una scimitarra, i suoi occhi iniziarono a brillare.
«Ti piace?»
Nyssa strinse la mano destra intorno all’impugnatura in legno, messa in risalto dalle estremità in ottone. La lama lucida presentava una curvatura molto pronunciata, ideale per provocare ferite profonde e mortali.
«È leggera ed efficace» ammise la donna, agitando l’arma con cura. «Di certo non è una spada economica, o che si trova facilmente in giro. Non è nemmeno lontanamente simile a quelle della Lega. Perciò, la domanda che mi viene naturale porti è: dove l’hai presa? E come?»
Davanti allo sguardo impressionato di Nyssa, Sara non poté fare a meno di pensare a quanto fosse stato difficile trovare quella scimitarra.
«Diciamo che l’aiuto di Oliver e Felicity è stato essenziale» ammise la bionda. «Il fornitore di Arrow è un uomo esperto, gli basta guardare negli occhi una persona per capire di cosa ha bisogno. Mi aveva proposto una spada meno costosa di questa, ma quando gli ho mostrato la tua arma, si è reso conto che non eri il tipo da Gladio.»
«Direi proprio di no» asserì la figlia di Ra’s con una risata. «Non oso immaginare quanto ti sia costata.»
«Non preoccuparti del prezzo. Piuttosto, rispondi alla mia domanda.»
Nyssa, con ancora gli occhi pieni di amore, annuì decisa. «Sì. Mi piace molto.» Ripose con cura la sua nuova arma all’interno della scatola, dopodiché dedicò all’amata uno sguardo incuriosito. «E il tuo secondo asso nella manica?»
Sara prese un respiro profondo. «Chiudi gli occhi.»
L’Erede del Demonio seguì gli ordini e attese. Sentì Sara alzarsi in piedi, adagiare Kaila nella sua culla, frugare da qualche parte all’interno della stanza e poggiarle qualcosa di ruvido sulle gambe. Nyssa attese un nuovo comando di Sara prima di riaprire gli occhi; quando lo fece, ritrovandosi un album di fotografie tra le mani, il respiro le venne a mancare.
«Ma è...»
Non ebbe le forze di terminare la frase. Passò delicatamente il palmo della mano sulla superficie ruvida dell’album, adornato di perline colorate e fiorellini ormai appassiti. Lo aprì e si soffermò a leggere una frase scritta sulla prima pagina. Alla mia donna, partner e madre di mia figlia.
Nyssa si lasciò andare, permettendo alle lacrime di bagnarle il viso, lasciando che i ricordi e le paure sfociassero sulle sue guance come un fiume in piena. Si voltò verso Sara, scoprendo con stupore che anche lei stava piangendo.
«Come hai fatto?»
Sara tirò su col naso e la strinse in un abbraccio. Poggiò la testa nell’incavo del suo collo e pianse, piansero insieme fino a che non ebbero più lacrime da versare, ma ciò non impedì loro di allontanarsi l’una dall’altra.
«Mi è venuta l’idea quando è nata Kaila» spiegò Sara, scossa dai singhiozzi. «Ho pensato che tua madre sarebbe stata felice di conoscerla. E poi mi sono ricordata dell’album che avevate realizzato quando eri piccola, e del fatto che tuo padre se ne sia sbarazzato non appena ha saputo della sua esistenza, e così... ho voluto provarci. So che non sarà mai la stessa cosa, ma‒»
Nyssa poggiò entrambe le mani sulle guance di Sara e le sfiorò la punta del naso con la propria. Canary rimase immobile, in attesa che l’amata dicesse qualcosa. Invece, quest’ultima scosse il capo.
«Habibti... va bene così» sussurrò, col cuore che batteva a mille. «È il regalo più bello che mi potessi fare.»
«Meno male» disse Sara, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo. «Non sai quanto ci ho impiegato per realizzarlo.»
«Non l’album, stupida» replicò Nyssa, con un sorriso. «Tu.»
Sara arrossì, e a quel punto Nyssa non poté resistere alla tentazione di baciarla.
«Buon compleanno, mia amata» bisbigliò a un soffio dalle sue labbra.
«Lo è, Nyssa. Lo è davvero.»

*

L’appartamento di Felicity si trovava a Highbury Avenue, in una delle tante zone residenziali di Starling City. Non era molto distante da casa di Sara, ma ci vollero comunque più di venti minuti per arrivarci.
«Forse, se avessi guidato io, saremmo arrivati un quarto d’ora fa» puntualizzò Laurel, mentre scendeva dall’auto.
«Non è colpa mia se abbiamo trovato cinque semafori rossi lungo il tragitto» ribatté Quentin, visibilmente scocciato.
«Hai detto così anche l’ultima volta, o sbaglio?»
«Laurel, smettila di punzecchiarlo. L’importante è che siamo arrivati sani e salvi, giusto?» suggerì Sara, cercando consenso negli occhi di entrambi.
«È sempre meglio andare piano quando è buio, soprattutto con una neonata in macchina» spiegò Quentin, cercando di autogiustificarsi.
La maggiore delle sorelle Lance si trovò costretta ad alzare gli occhi al cielo. «Forse hai ragione.»
«È la prima volta che ti sento pronunciare questa frase» aggiunse scherzosa una quarta voce.
Laurel si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Felicity. «Non abituartici» replicò l’avvocato, stringendo l’amica in un abbraccio.
«Non lo farò, puoi starne certa. Piuttosto, dov’è quel piccolo angioletto che non piange quasi mai?» domandò Felicity, avvicinandosi alla carrozzina di Kaila.
«Si è appena addormentata» spiegò Nyssa sottovoce. «Ma sono sicura che si sveglierà in tempo per l’ora di cena.»
«A proposito di cena, possiamo rimandare i convenevoli a più tardi? In questa busta c’è un polletto che non vede l’ora di essere cucinato.»
Le sorelle Lance si scambiarono un’occhiata, per poi scoppiare a ridere all’unisono.
«Non cambi mai, papà!»



Il famoso pollo alla cacciatora di Quentin Lance sarebbe stato pronto all’incirca un’ora e mezza dopo il loro arrivo a casa Smoak. Nel frattempo, Nyssa aiutò John a preparare la tavola e Oliver spostò alcuni mobili per rendere la stanza più spaziosa. Thea e Roy arrivarono poco dopo e diedero una mano in cucina.
Intanto, Sara e Lyla si erano spostate in camera da letto per allattare le bambine. Kaila mangiò per una mezz’ora abbondante, mentre Lisa scoppiò a piangere dopo soli dieci minuti di poppata.
«Fa sempre i capricci dopo mangiato» spiegò Lyla, non appena fu riuscita a calmare la piccola. «Non riesco a capire perché.»
«È un periodo stressante per te?»
«Lavoro per Amanda Waller, Sara. Sono sempre stressata.»
Sara delineò un sorriso. «Credo che Lisa percepisca la tua agitazione. La scorsa settimana ho portato Kaila dalla pediatra, che mi ha sconsigliato di allattare la bambina quando sono troppo nervosa o agitata. I neonati riescono a sentire le emozioni dei genitori, e questo può farli a loro volta innervosire.»
«Tu dici?»
Sara annuì, per poi indicare Lisa con un cenno del capo. «Tua figlia piange perché sente le tue preoccupazioni. Anche con Kaila mi succede spesso, per questo a volte lascio che sia Nyssa a darle da mangiare. Lei è molto più brava di me a tenere nascoste le emozioni.»
«Lisa non ha ancora imparato a mangiare con il biberon, ma forse potrei fare un tentativo con John. Anzi, no, mi rimangio quello che ho detto. Lui è mille volte più emotivo di me, perciò la situazione non farebbe altro che peggiorare» rise la donna.
«Qual è il problema con Amanda? C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?»
Lyla scosse il capo, per poi guardare sua figlia negli occhi. «Vuole darmi una promozione.»
Sara attese qualche istante prima di rispondere. «Ed è un problema per te?»
«No, certo che no. Insomma, Johnny non ha un lavoro, perciò dipende tutto da me. Un aumento mi farebbe solamente comodo. Però...» Si lasciò andare ad un sospiro. «Le nostre vite sono pericolose. E a volte mi capita di pensare all’eventualità che uno di noi non torni a casa, e a quel punto... cosa ne sarà di nostra figlia?»
Era per quel motivo che Oliver aveva tirato in ballo l’adozione, pensò Sara. Mai come in quel momento si pentì di aver avuto dei ripensamenti. Lyla aveva ragione, e forse era quella la vera causa del suo stress.
«Tu e Nyssa... e Oliver... non ci pensate mai?»
Sara trattenne a stento un sospiro. «Di continuo» ammise. «Ma la vita è fatta anche di questo. Di paure e di rimorsi. E, Lyla, onestamente io darei la vita pur di sapere che mia figlia sarà al sicuro fino all’ultimo dei suoi giorni. Ma non sarà mai così, e forse il primo passo per allontanarla dal pericolo è farsene una ragione.»
«Non ti seguo. Come fai ad essere così tranquilla sapendo che un tuo vecchio nemico potrebbe rapirla e usarla come ostaggio, o addirittura‒»
«Ucciderla?» Sara rimase in silenzio per qualche istante. «Faccio del mio meglio per non pensarci.»
Lyla serrò la mascella, visibilmente turbata. «Non posso lasciare il lavoro. Ma non voglio nemmeno che sia Johnny a farlo. Non sarebbe giusto.»
«No, infatti. Le nostre bambine saranno sempre in pericolo, Lyla. Insomma, hanno dei vigilanti come genitori! Come potrebbero non esserlo?» Un piccolo sorriso di assenso si fece spazio sulle labbra di entrambe. «Perciò, credo che l’unica cosa che possiamo fare è sperare. Non appena sarai pronta, va’ da Amanda e chiedile in cosa consiste la tua promozione. E se ti farà sentire più sicura, chiedile un lavoro da ufficio.»
«Non sarà per niente facile abbandonare il campo dopo tutti questi anni, ma‒»
Lyla fu interrotta per la seconda volta, questa volta da Felicity.
«Indovinate un po’? È pronta la cena!» esclamò l’hacker, per poi dileguarsi in corridoio subito dopo.
Le due donne si scambiarono un’occhiata divertita, e Lyla sorrise all’amica. «Grazie della chiacchierata. Ora ci aspetta una cena impegnativa.»



La cena fu lunga e piena di risate. Anche se il pollo alla cacciatora di Quentin era stato il piatto più atteso della serata, tutti si erano dati da fare. Oliver aveva preparato un purè di patate delizioso, mentre Nyssa aveva cucinato i suoi famosi falafel, polpette fritte a base di legumi. John aveva portato l’eggnog, Thea i brownies e Laurel il pane di mais.
«Non so voi, ma a mio parere il purè di Oliver ha dato del filo da torcere al pollo del capitano Lance» esclamò ad un tratto Roy, nel tentativo di punzecchiare Quentin.
«Davvero? Ho vinto la sfida?» chiese ironicamente Arrow.
«Rallenta, cappuccio verde. Sbaglio o eri proprio tu quello che si infiltrava a casa nostra perché adorava la cucina di papà?» s’intromise Sara.
«Già, ben detto!» proseguì Laurel, tenendo il gioco alla sorella. «Al liceo ogni domenica mi imploravi di venire a cena a casa mia. Non riuscivo a capire se volevi fare colpo su di me o su mio padre!»
Il gruppetto scoppiò in una sonora risata. Oliver alzò le mani in segno di resa, ma prima che potesse aggiungere altro, il suono del campanello attirò l’attenzione dei presenti.
«Chi sarà mai?» domandò Thea, passandosi distrattamente una mano tra i capelli.
«Probabilmente saranno i bambini del quartiere. È l’ora dei canti natalizi!» esclamò Felicity, visibilmente allegra. «Torno tra un secondo.»
Felicity si alzò da tavola e andò ad aprire la porta. Tornò nella sala da pranzo letteralmente pochi secondi dopo, ma non da sola.
«Consegna espressa da parte di Babbo Natale!»
Sara alzò lo sguardo e incontrò quello di una persona che conosceva bene. Sin. Aveva gli occhi lucidi, ma non tristi. Sembrava felice. Sara aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Aveva la testa piena di pensieri e lo stupore le fece bloccare le parole in gola.
D’istinto, Oliver si alzò per andare a salutare i nuovi ospiti. «Sono contento che siate venuti» disse, abbracciando prima Sin, poi Richard.
«Il piacere è nostro. Grazie davvero per averci invitati» rispose Richard, scambiando un’occhiata complice con la fidanzata. «Però, ecco… ci dispiace avervi interrotti nel bel mezzo della cena.»
«Oh, no no no, abbiamo finito! Anzi, stavamo giusto per spostarci in salotto per aprire i regali di Natale!» continuò Felicity, rivolgendosi a tutto il gruppo. «Chi vuole aprire le danze?»
«La padrona di casa, ovviamente» scherzò Dig, facendole un occhiolino.
Il tecnico informatico assunse un’espressione compiaciuta. «Beh, se proprio lo desideri… sono pronta! Sappiate che se non mi avete fatto un regalo, non avrete diritto alla tazza di cioccolata calda che avevo promesso.»
«Questo non lo avevi specificato» sottolineò Roy, puntandole l’indice contro.
I presenti risero, e subito dopo si sedettero tutti intorno all’albero di Natale, come richiesto da Felicity. Mentre quest’ultima iniziava a scartare i propri regali, Sara approfittò del fatto che Richard stesse parlando con Roy e si avvicinò a Cindy con un piattino in mano.
«Sono gli avanzi di questa sera» spiegò la bionda, per poi sedersi accanto all’amica. «Se avessi saputo che saresti venuta ti avrei preparato quella torta alle fragole che tanto ti piaceva.»
«Abbiamo già mangiato dai genitori di Rick, ma grazie comunque. E poi, beh… volevo che fosse una sorpresa.»
«Ti è riuscita bene» ammise Sara con un sorriso. «In ogni caso, non puoi dire di no ai falafel di Nyssa e ai brownies.»
«Questo è vero» dovette ammettere la mora. «Accetto volentieri questo dono.»
Sara rise a labbra strette. Le mancava vedere Sin ogni giorno, ma sapeva che se lo avesse ammesso, probabilmente l’avrebbe messa in una posizione difficile. Invece, decise di porle la domanda più corretta e scontata.
«Allora, come procede la convivenza?»
«Direi bene. Insomma, stasera ho conosciuto i suoi e sono molto gentili. E affettuosi. Fin troppo per i miei gusti.»
Sara scosse il capo divertita. «La solita vecchia Sin.»
«Che vuoi che ti dica? Tu e Rick siete gli unici da cui accetto degli abbracci.»
«Ed è giusto che sia così» ironizzò Canary. «Lui sa… di noi?»
«No. Non gli ho detto che siete dei vigilanti. È per questo che non volevo venire, ma Felicity ha insistito.»
«Tranquilla. Non è facile che ci lasciamo sfuggire qualcosa in presenza di civili.»
«Hai ragione. Ma non voglio essere d’intralcio. Insomma, mi fido di lui, ma se per qualche ragione venisse a sapere del vostro segreto e lo raccontasse a qualcuno… non credo che me lo perdonerei mai.
Sara osservò Sin dritta negli occhi per qualche istante, rimanendo in silenzio. Nel giro di poche settimane si era trasformata in una giovane donna responsabile, e lei non se n’era nemmeno accorta. Si sporse verso di lei e la strinse forte, accarezzandole amorevolmente la schiena. «Non cambiare mai. Hai capito?»
Sin corrugò la fronte. «Come potrei? Io sono unica!»
Sara rise ancora, questa volta riuscendo a contagiare anche Sin. «Hai ragione. Nessuno è come te.»
A turno, tra una tazza di cioccolata calda e l’altra, i presenti si scambiarono i regali – ovviamente le persone a riceverne più di tutti furono Kaila e Lisa –, fino a quando sotto l’albero rimase una sola scatolina.
«Manca ancora un regalo» disse Oliver, afferrando il pacchetto.
«Per me?» domandò ingenuamente Thea, rivolgendo uno sguardo complice al fratello.
«No» rispose lui, scuotendo il capo. «Per te.»
Sara alzò lo sguardo, confusa. «Cosa…?»
«Aprilo» la spronò il vigilante. «È da parte di tutti noi.»
«Ollie, devo preoccuparmi?»
«Avanti, aprilo e basta!» esclamò Laurel, fingendosi spazientita.
Sara si scambiò un’occhiata confusa con Nyssa, la quale la incitò ad aprire il pacchetto con un cenno del capo. Quando ne vide il contenuto, Sara sgranò istintivamente gli occhi.
«È uno scherzo, spero.»
«Cos’è? Sono curioso anch’io» rivelò Roy, sporgendosi leggermente verso Sara. «Ho contribuito alla spesa, ma alla fine non so cosa ti abbiamo regalato.»
In tutta risposta, Thea gli diede uno schiaffo sulla nuca, facendogli sfuggire un piccolo grido di dolore. «Sei il solito idiota, Roy.»
«Ragazzi, davvero» riprese a dire Sara, sventolando un paio di chiavi di un’auto. «Cosa significa?»
«Secondo te cosa potrebbe significare?» la punzecchiò nuovamente Laurel.
«No» sentenziò Sara, scuotendo lentamente il capo. «Non se ne parla.»
«Eh?»
«Non posso accettare, Laurel. È un regalo troppo impegnativo.»
«Beh, se tu non la vuoi, posso sempre accettarla io» propose Nyssa, strappandole le chiavi di mano. «Sono sicura che a Kaila non dispiacerebbe se la portassi a fare un giro domani mattina.»
«Il seggiolino per neonati era incluso nel prezzo!» scherzò Sin, cercando di sdrammatizzare.
«Con quale patente? Quella falsa di Nanda Parbat?»
«Ti ricordo che guido meglio io con la mia patente falsa che tu con quella vera, habibti.»
«Per la cronaca, il regalo era per entrambe» sottolineò Oliver.
«Non ha importanza, Ollie. Non possiamo accettare, punto.»
«Perché no, tesoro?»
«Perché è una spesa troppo grande, papà. Un’auto? Veramente? Io e Nyssa abbiamo ancora un debito da saldare con Laurel per l’appartamento. Ci vorranno mesi, se non addirittura anni. Aggiungere una macchina al conto non risolverà il problema, lo peggiorerà.»
«Sara, questo è un regalo, non un prestito» spiegò dolcemente Diggle, poggiandole una mano sulla spalla.
«È vero. È un regalo da parte di tutti noi. E non è carino rifiutare un regalo» concluse Felicity, con un occhiolino.
Canary si lasciò andare ad un lungo sospiro. «Io vi ringrazio di vero cuore, però... non voglio più essere un peso.»
«Ma tu non sei affatto un peso, bambina mia» la rimproverò Quentin. «Se lo abbiamo fatto vuol dire che potevamo permettercelo, ma soprattutto che desideravamo farlo.»
«Sì, è vero. E poi è un’auto usata – un’auto in ottime condizioni, ma pur sempre usata –, perciò non si è trattato di una spesa così grande.»
Questa volta, fu Felicity a tirare uno schiaffo a Roy, ma il ragazzo non emise alcun lamento e asserì il colpo.
«Comunque, se foste così gentili da seguirci fuori, il vostro regalo dovrebbe arrivare a breve, perciò potremmo-»
«Felicity» esclamò Sara, costringendo la ragazza a lasciare la frase a metà. «Cosa intendi esattamente dicendo che il nostro regalo sta arrivando
Un attimo dopo, il suono di un clacson attirò l’attenzione dei presenti, spronandoli ad uscire all’esterno dell’abitazione. Ad attenderli c’era una Mercedes-Benz grigio platino che sembrava tutt’altro che usata, e nel mentre il conducente al suo interno li stava salutando animatamente con la mano. Dopo non molto, la persona in questione spense l’auto, raggiunse il gruppetto e lanciò il secondo paio di chiavi a Nyssa, che le afferrò al volo.
«Mamma...?» sussurrò Sara, incredula.
«Piaciuta la sorpresa?» domandò Dinah, stringendo la figlia minore in un abbraccio.
«Sì... sì! Insomma, credevo che avresti passato le feste con...»
«Con Jeff?»[5]
Sara annuì piano, in attesa di una risposta da parte della madre.
«Scherzi? Non mi sarei mai persa il primo Natale della mia nipotina! A proposito, dov’è? Voglio prenderla in braccio! Siete così tanti che per imparare tutti i vostri nomi dovrete darmi tempo almeno fino a Capodanno!»
Sara inspirò profondamente. Non serviva che sua madre aggiungesse altro: lo aveva capito dal suo sguardo che lei e Jeff si erano lasciati. Eppure, Dinah sembrava felice, perciò arrivò alla conclusione che, probabilmente, lo aveva lasciato lei. E, probabilmente, c’entrava il fatto che fosse diventata nonna. O forse il motivo era un altro, ma non le importava granché. Sua madre era lì con lei il giorno del suo compleanno, completando il pezzo mancante del puzzle.
«Io mi sento pronta a guidarla» affermò Nyssa, cingendo l’amata per le spalle.
«E io mi sento pronta a iscriverti a scuola guida.»
«Stai scherzando? Non riuscirai a convincermi. Piuttosto, è più probabile che Kaila riesca a prendere la patente prima di me.»
Sara rise sotto ai baffi, per poi poggiare il capo sulla spalla dell’amata. «Sono felice.»
Nyssa sorrise a sua volta, mentre un fiocco di neve andò a posarsi dolcemente sulla punta del suo naso.
«Non volevo sentire altro.»










[1] “Imbroglione/a” in Arabo.
[2] “Buon compleanno, amore mio” in Arabo.
[3] “Grazie mille, amore mio” in Arabo.
[4] “Congratulazioni” in Arabo.
[5] Qualcuno di voi se lo ricorda? Ovviamente no xD anyway, era il vecchio-nuovo compagno di Dinah che è stato nominato nella 2x14.





Sono viva! È passato un bel po’ e non ci crederete, ma sono viva ahahaha
Capitolo molto soft, ma direi che ci voleva dopo tutti questi mesi di pausa.
Vi chiederete, ma quell’album? Questo sarà probabilmente uno dei misteri irrisolti di questa long LOL
Ovviamente scherzo. Ulteriori informazioni verranno fortine in seguito, in un mio progetto futuro, ma per ora... dovrete attendere ;)
Inoltre, chi sarà il misterioso Dio di cui si parla all’inizio del capitolo? Beebo, il Dio della guerra, forse? (No va beh, questo è un crossover con LoT, ma è un’altra storia xD) E la profezia?
Lo scopriremo nella prossima puntata!
...o forse no xD

   
 
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