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Autore: Stardust87    11/01/2019    2 recensioni
"L’uomo di fronte a lui scosse vibratamente la testa spingendo con un dito gli occhiali sul naso, un gesto che da sempre palesava la sua irrequietudine.
Philip era snervato a tal punto da non aver nemmeno più la forza di replicare, stanco di dover insistere così tanto per essere creduto."
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raggio di luna
 





L’orologio posto sul travertino del caminetto ticchettava ininterrottamente. Le lancette nere sullo sfondo bianco segnavano quasi le sei e mezza del pomeriggio. 
<< Tu hai seriamente bisogno d’aiuto >> disse Josh accomodato elegantemente sulla poltrona accanto alla libreria.
Posò la tazza da thè sul tavolo facendo tintinnare il piattino di porcellana, cercando di celare la forte preoccupazione che gli offuscava gli occhi.
L’uomo di fronte a lui scosse vibratamente la testa spingendo con un dito gli occhiali sul naso, un gesto che da sempre palesava la sua irrequietudine.
<< Non sono matto! >>
Era stato solo un flebile sussurro. Philip era snervato a tal punto da non aver nemmeno più la forza di replicare, stanco di dover insistere così tanto per essere creduto.
L’amico lo fissò. Aveva un’espressione tra il compassionevole e lo spazientito.
Non era la prima volta che intraprendevano quello strano discorso e Josh era seriamente preoccupato per lui. Philip si era smagrito in quei pochi mesi, il suo volto era emaciato e pallido. Profonde occhiaie gli solcavano il viso e i capelli gli si erano ingrigiti sulle tempie. Lo psicologo da cui lo aveva costretto ad andare gli aveva spiegato con infinita calma che un forte stress poteva comportare un precoce invecchiamento della pelle, e addirittura causare lo sbiancamento e la caduta dei capelli. Philip non era ancora arrivato a quel punto, ma se non avesse preso in seria considerazione di farsi veramente aiutare - magari da qualcuno migliore dello psicologo in questione - non avrebbe potuto escludere che sarebbe andato incontro anche a quello.
<< Non c’è nessuna presenza nello specchio in soffitta, te lo vuoi mettere bene in testa? Abbiamo controllato sia io che il Dott. Jekins. È solo nella tua mente >>
Philip si rabbuiò. Lui sapeva benissimo che c’era. Anche se il suo amico e lo psicologo non erano riusciti a vederlo e a constatare la sua presenza, lui c’era.
Perché lui non voleva essere visto da nessun altro se non dallo stesso Philip.
E quindi non poteva dimostrare loro la sua esistenza. Non che per lui avesse poi tutta questa importanza.
<< Perché non te ne liberi? Così, anche se ci fosse veramente qualcosa o qualcuno, sparirà dalla tua vita >> disse Josh alzandosi in piedi.
Si stiracchiò le braccia sopra alla testa lasciandosi sfuggire un gemito. Con il suo metro e novanta di altezza, le spalle larghe e le braccia muscolose, Josh era sempre stato il suo modello da seguire. Affascinante e caparbio, aveva un’intelligenza fuori dal comune. Il suo viso non era di una bellezza classica, ma era interessante, con gli occhi verdi vispi e arguti e la mascella pronunciata. I capelli neri, tenuti corti, enfatizzavano la sua carnagione chiara. Ma quello che colpiva maggiormente di lui era il carattere, estroverso e affabile con tutti.
Quello che Philip gli aveva sempre invidiato.
Lui era decisamente il contrario dell’amico: statura nella media (non superava il metro e settantacinque), fisico magro e asciutto, occhi e capelli castani. Un volto slavato e banale, contornato da un paio di occhiali dalle lenti piccole e rettangolari. Un tipo insignificante tra tanti. Il suo carattere chiuso e schivo, lo rendeva ancora più invisibile di quanto non lo fosse già ai suoi stessi occhi.
<< Non posso sbarazzarmene. È un oggetto che si tramanda nella mia famiglia. È prezioso >> gli rispose nervosamente.
In realtà non era quello il solo motivo. La verità era che aveva paura, paura di farlo arrabbiare. Di scatenare la sua furia e le sue ritorsioni. E anche perché – gli doleva ammetterlo – da una parte lo sentiva suo. Si era in un certo senso affezionato a lui seppur al contempo gli provocasse brividi di terrore. Ne aveva una fifa blu ma ne era anche estremamente affascinato.
Si alzò anche lui e accompagnò l’amico alla porta.
<< Comunque hai ragione, è sicuramente tutto nella mia mente. Prenderò le medicine che mi ha prescritto il Dott. Jekins e bloccherò la porta della soffitta. Niente specchio, niente visioni >> affermò strizzandogli l’occhio.
Cercò di sembrare il più rilassato e convincente possibile, sperando di riuscirci.
Josh gli sorrise soddisfatto e gli diede una sonora pacca sulla spalla.
<< Bravo! Ora si che ti riconosco! >>
Si congedarono velocemente e Josh promise che lo avrebbe chiamato la mattina dopo per andare a pranzo insieme.
Philip richiuse la porta e si appoggiò a essa con la fronte, avvertendola talmente bollente da avvertire un urgente bisogno di refrigerio.
Gli aveva mentito.
Non era una sua abitudine dire bugie, ma non aveva potuto fare altrimenti, il suo amico non avrebbe capito. Non gliene faceva una colpa, semplicemente non poteva.
Si raddrizzò e fissò per qualche istante l’atrio inondato dalla luce del tardo pomeriggio. Il pulviscolo si muoveva nell’aria, nel cono di luce formato dai tiepidi raggi del sole autunnale che filtravano dalla vetrata nel salotto e che evidenziavano le vecchie assi del pavimento scuro in legno di ciliegio.
Prese un profondo respiro e, avvertendo il cuore palpitare come un forsennato, si accinse a salire i gradini della scala in legno che conduceva al piano di sopra. A ogni suo passo seguiva un sinistro scricchiolio del legno tarlato. Era un rumore a cui non aveva mai fatto caso, ma che da qualche tempo gli provocava una morsa alla bocca dello stomaco.
Si appoggiò tremolante alla balaustra, anch’essa in legno ma verniciata di un bianco lucido in modo da spiccare contro il legno scuro dei gradini.
Avanzava lentamente come ogni sera, con la fronte imperlata di freddo sudore e le mani gelide.
Quella specie di rituale andava avanti da mesi ormai, più precisamente da quando aveva scoperto l’esistenza di lui, eppure ancora non si era abituato a quelle strane e forti sensazioni.
No, era sicuro che non ci si sarebbe mai abituato.
Si avviò lungo il corridoio oltrepassando e ignorando tutte le altre camere e arrivando al cospetto dell’ultima porta in fondo.
Era quasi giunta l’ora, ormai il sole stava per sparire dietro l’orizzonte.
Posò la mano sulla maniglia e la spinse verso il basso, tirando la porta verso di sé.
Avanzò cauto salendo altri scalini, una decina in tutto.
L’odore di stantio lo investì facendogli storcere il naso. Il puzzo di muffa e polvere pervadevano l’aria rendendola acre e opprimente. Ma non si sarebbe di certo fatto scoraggiare per così poco.
Salì ancora e finalmente, arrivato in cima, lo vide di nuovo.
Si stagliava sulla parete di sinistra, proprio accanto alla finestra incassata nel muro e lasciata senza tende né persiane. Non sapeva da quanto tempo lo specchio fosse lì, ma dalla cornice d’argento ormai quasi completamente annerita, supponeva fosse da parecchi anni. La sua forma tondeggiante allungata verso il basso e la cornice intarsiata,  facevano pensare a quelli utilizzati dai nobiluomini nel periodo barocco. Un tempo doveva essere stato un oggetto lussuoso. Oppure era solo una squallida copia. Comunque, ora era solo un’anticaglia rovinata dalla muffa e dall’usura del tempo. Ricordava che anche da bambino quella cosa gli aveva sempre provocato delle strane e malevole sensazioni e se ne era sempre tenuto alla larga.
In fondo, che bisogno c’era di andare in una stanza piccola e umida, polverosa e praticamente vuota?
All’infuori di quello specchio e di un vecchio baule, lì dentro non c’era nulla.
Lui ci era capitato per caso, dopo tanto tempo, una sera di tanti mesi prima. Stava cercando delle vecchie foto della propria abitazione per partecipare a un concorso fotografico indetto nel suo paese. Lo scopo era quello di mostrare ai giovani e ai turisti il cambiamento - o la differenza - tra le case antiche erette lì tanti anni prima e quelle di nuova costruzione. Come il design si era evoluto, in pratica. Essendo la sua casa stata edificata prima della Grande Guerra, Philip intendeva partecipare e sperava di trovare delle vecchie polaroid nel baule che sapeva giacere abbandonato in soffitta.
Così, dopo essere tornato dal lavoro e aver cenato, una sera qualunque decise di salire in soffitta a cercarle. E quello che era inaspettatamente accaduto in quella stanza, lo aveva traumatizzato al punto di non essere stato capace di alzarsi dal letto e andare a lavorare per parecchi giorni.
Aveva creduto di essere completamente pazzo o sotto l’effetto di qualche strana allucinazione. Dopo giorni di solitudine forzata e vari tentennamenti, si era confidato con Josh. Ma naturalmente l’amico non gli aveva creduto. Si era rivolto allora al Dott. Jekins in cerca di sostegno e anche lui lo aveva compatito, parlando di un’eventuale e iniziale forma di schizofrenia. Ma Philip sapeva di non essere pazzo. Ed era tornato in quella soffitta ogni sera, dimentico delle foto e delle opinioni degli altri sul suo stato di salute.
Nonostante il terrore e la sensazione di fare qualcosa di sbagliato e forse blasfemo, la tentazione di vedere e di sapere era troppo grande.
Si avvicinò guardingo allo specchio e pulì con una manica del maglione la fredda e liscia superficie ricoperta da polvere e ragnatele.
Voltò il viso verso la finestra e un sorriso tirato gli arcuò le labbra. Quella sera il cielo era terso, non c’era nemmeno una nuvola che potesse offuscare e impedire alla luna di risplendere e alla magia di manifestarsi.
Si sedette sul baule e attese impaziente il definitivo tramontare del sole e il sorgere dell’agognato astro notturno.
 




Continua…

 
  
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