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Autore: WhiteLight Girl    11/01/2019    5 recensioni
Fanfiction Crossover tra le varie serie di Digimon, in questa prima parte Tamers e Frontier, nella prossima Adventure.
Qualcosa si muove nell'acqua, non è un mistero che sia parte del problema, perché quando Izumi esce dall'ascensore l'acqua scorre sul corridoio davanti a lei e fino ai piedi dei suoi amici. Cosa ci fa quell'acqua putrida nell'ascensore del centro commerciale 109 di Shibuya? Da dove viene? Izumi probabilmente lo sa, ma non è in grado di rispondere a questa domanda.
Personaggi: Takato, Ruki (Rika), Henry, Ryo, Zoe (Izumi), Takuya, Koushi, Kouichi, Junpei (JP), Tomoki (Tommy), Guilmon, Renamon, Terriermon, MonoDramon...
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
Dietro quella porta


SHIBUYA

Izumi rallentò per selezionare i diversi tipi di caramelle che aveva sul palmo della mano, Takuya pensò che temporeggiare nel mezzo del corridoio del centro commerciale nell’ora di punta non fosse una buona idea, ma si riguardò bene dal dirlo.

«È come se Natale fosse arrivato in anticipo.» gli disse Kouji all’orecchio.

Takuya non lo aveva sentito arrivare, ma anche prima di voltarsi sapeva che Kouichi era al suo fianco. Sorrise ad entrambi, poi fece loro un cenno di saluto, mentre Izumi divideva le caramelle tra Tomoki e Junpei secondo i loro gusti personali. Poi la ragazza passò quelle che le rimanevano sul palmo agli amici appena arrivati, facendo un cenno con la testa alla busta ancora mezza piena che le spuntava da uno dei sacchetti che portava appeso al polso.

«Tenete, tanto per me sono comunque troppe.» disse.

Takuya fece schioccare la lingua, strizzò gli occhi e la fissò, pronto a lamentarsi del fatto che a lui non fossero state offerte, ma proprio in quel momento Izumi fece scivolare la mano sotto il suo naso per assicurarsi che ne prendesse anche lui. Accettò di buon grado la caramella e, dopo averla scartata, la infilò in bocca e lasciò che essa si sciogliesse sulla lingua dopo averla spostata prima contro una guancia e poi contro l’altra.

Kouichi infilò in tasca la caramella che aveva scelto, Takuya era sicuro che se la sarebbe dimenticata e l’avrebbe ritrovata la settimana successiva, decidendo di passarla a qualcun altro. Probabilmente Junpei non vedeva l’ora che succedesse, così da potersi offrire di prenderla perché non andasse sprecata.

«Di chi è il turno di decidere cosa fare?» domandò il ragazzo.

Takuya avrebbe preferito che non l’avesse fatto, che si fosse limitato a riempirsi la bocca e a far finta di nulla come avevano fatto tutti fin da quando erano arrivati, perché il far finta di nulla quando scegliere cosa fare era il turno di Izumi era una tradizione ben oliata come lo stesso appuntamento settimanale al Magazzino 109. Fino a quel momento tutto era andato bene ma ora, dopo la fatidica domanda, Izumi aveva gli occhi che luccicavano; già pregustava una noiosa sessione di shopping, l’inconcepibile quantità di negozi in cui andare, le cose da comprare, i giri da fare. Niente a che vedere con le proposte dei ragazzi, che di solito viravano dal cinema, al negozio dei videogiochi o alla sala giochi. Izumi amava usarli come portaborse e, in quei momenti, loro sentivano di amare un po’ meno lei.

«Dunque...» iniziò, premendo un dito contro la guancia e spingendo le labbra in fuori in un’adorabile espressione forzatamente pensierosa. Come se quella suspense fosse divertente, come se non sapessero già cosa avrebbe detto. «Ci sarebbe quel negozietto di scarpe al secondo piano che l’altra volta non abbiamo fatto in tempo a visitare...»

Takuya chinò il capo, perfino Junpei, che avrebbe seguito Izumi in capo al mondo, doveva sforzarsi di non dimostrarsi troppo infastidito. Tomoki si era fatto furbo, aveva preso l’abitudine di portarsi sempre dietro i suoi videogiochi, per cui se la cavava sedendosi in un angolo a giocare, mentre Kouji reggeva scatole, pacchi e vestiti facendo la guardia al camerino, con le gote rosse dall’imbarazzo e gli occhi serrati come per autoconvincersi di non essere davvero lì. Forse, pensò Takuya, Kouichi in fondo sperava che la ragazza proponesse un’altra volta un cambio di look per tutti loro, doveva ammettere che quando era successo, settimane prima, si era divertito anche lui.

«Allora forza» esclamò Izumi saltellando. «chi arriva ultimo al secondo piano mi offre il biglietto per il prossimo film al cinema.»
Tomoki le corse dietro, Kouichi si accigliò. «Questo avrebbe senso se per arrivarci non dovessimo prendere tutti lo stesso ascensore contemporaneamente.»

Takuya, Kouji e Junpei si scambiarono un’occhiata, Takuya si domandò se anche loro si stessero chiedendo se pagare un biglietto del cinema a una ragazza, anche se in seguito ad aver perso una sfida, sarebbe potuto essere considerato come un appuntamento. Si riscossero tutti e tre contemporaneamente, apprestandosi con uno scatto a raggiungere gli amici, Izumi attese che l’ascensore si svuotasse, poi si infilò dentro e fece loro la linguaccia.

«Ehi! Aspettaci!» le disse Junpei.

Tomoki si era fermato a metà strada, le dava le spalle, probabilmente certo che non sarebbe andata avanti se prima non l’avessero raggiunta, ma non fu così. Le porte dell’ascensore si chiusero, Izumi sgranò gli occhi e si mosse in avanti per bloccarle, ma non fece in tempo. Davanti allo sguardo spalancato di Takuya, il contatore dei piani iniziò a contare a ritroso, passò dal piano terra al parcheggio, al seminterrato, poi passò dallo zero e scese all’infinito, tanto rapido da impedire loro di leggerne i numeri, ammesso che stesse ancora segnando quelli.

Takuya sgranò gli occhi, raggiunse le porte, vi premette le mani sopra, cercò di infilare le dita nell’apertura per costringerle a dischiudersi, con gli amici al suo fianco.

«Credete sia il Digital World?» domandò Tomoki. «Che abbia di nuovo bisogno di noi?»

«Se è così allora perché ha portato giù solo Izumi?» domandò Kouji.

Takuya si fermò a rifletterci, sorrise ad un’anziana signora che si era fermata ad osservarli, preoccupata da tutto il trambusto che stavano facendo.

«Se è il Digital World tornerà a prenderci, o ci farà una telefonata.» disse, ma premette comunque il tasto per richiamare l’ascensore.

Rimasero in attesa, in silenzio, per alcuni minuti. Takuya pensò che avrebbe quasi preferito fare un altro giro nel negozio di cosmetici al terzo piano, piuttosto che rimanere lì come un idiota a domandarsi dove fosse Izumi. Quando fosse tornata, si disse, l’avrebbe accompagnata in tutti i centri commerciali in cui sarebbe voluta andare, a meno che non fosse solo uno scherzo di cattivo gusto. Ma quello degli scherzi idioti era Junpei, Izumi non avrebbe mai fatto una cosa simile a nessuno di loro.

Guardò l’orologio, desideroso di aver tenuto conto di quando l’ascensore era partito per poter capire quanto tempo era passato, ma non era stato abbastanza lungimirante.

Alla fine, quando i talloni cominciarono a fargli male e Tomoki si era arreso a sedersi per terra con la schiena appoggiata al muro, l’ascensore si riaprì. Tomoki scattò in piedi, tutti e cinque si sporsero per vedere chi ne sarebbe uscito, dietro di loro si era raggruppato un piccolo drappello di persone in attesa del loro turno.

Una piccola ondata d’acqua si riversò sul corridoio, Takuya la seguì con lo sguardo mentre raggiungendo le sue scarpe, sollevò il viso per incrociare gli occhi di Izumi, che era rimasta immobile al centro dell’ascensore. Il suo sguardo era vacuo, li fissava ma non li vedeva davvero, Junpei fu il primo ad avere il coraggio di parlarle.

«Izumi? Stai bene?» le domandò, ma lei non rispose.

Nell’incertezza del momento, solo Kouichi ebbe il coraggio di avvicinarsi. «Izumi.» disse, allungando una mano per raggiungerla.

La gente attorno a loro bisbigliava, si domandava cosa fosse successo, ma la domanda che si poneva Takuya era ben più specifica.

«Era il Digital World?»

Izumi non rispose, fece un passo verso Kouichi, tese le bracca e premette i palmi contro le sue guance per trattenerlo, poi spinse il viso contro il suo e, inaspettatamente, lo baciò.

O almeno fu ciò che tutti in quel momento pensarono.

   
 
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