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Autore: Kim WinterNight    12/01/2019    4 recensioni
Stronzate.
Quelle che si raccontano spesso ai giornalisti invadenti.
Quelle che si dicono per nascondere una verità spinosa.
Quelle che si portano fuori per non ammettere che la situazione è peggiore di come sembra.
Quelle che Daron e John si ripetono per non affrontarsi.
[TERZA CLASSIFICATA a "Imagine your Otp Contest" organizzato da Arianna.1992 e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP.]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ReggaeFamily

WHAT A BULLSHIT!





Non lo avevo mai visto così nervoso. Da quando ci trovavamo in albergo, infatti, John non aveva fatto che camminare avanti e indietro per la hall, uscendo molto spesso a fumare.

Lo sentivo, era stanco di quella situazione, di quelle continue pressioni da parte della stampa; lo ero anche io, ma forse riuscivo a non pensarci troppo per via del mio attuale lavoro con gli Scars On Broadway, il mio ormai avviato progetto parallelo ai System.

Dal canto mio, me ne stavo seduto su uno dei divanetti della hall; quello era solo uno dei tanti alberghi che avevo visitato da quando viaggiavo in quanto musicista, non facevo neanche più caso ai dettagli di arredamento. Era come se fossero tutti uguali.

Stavamo aspettando che l'ennesimo giornalista venisse a intervistarci. Ormai, io e John avevamo accettato e non potevamo più tirarci indietro, altrimenti il nostro manager ci avrebbe strozzato. La voglia di correre in camera e dar buca a quegli avvoltoi era fin troppa, ma tentai di essere ragionevole.

Ci provai perché notai che John non lo era, lui che in genere riusciva sempre a mantenere la calma e non dare di matto. La cosa mi faceva sorridere, era buffo rendersi conto che io, Daron Malakian l'impulsivo e burbero, sembravo il più rilassato in quel momento.

John rientrò nella hall seguito da un'avvenente giornalista bionda e ben vestita, che già cinguettava con il corpulento batterista e gli posava distrattamente una mano sul braccio.

Detestavo quando ciò accadeva, perché puntualmente mi ritrovavo a dover accettare ciò che provavo per John, il che mi mandava ancora di più nel pallone.

«Daron Malakian, che piacere conoscerti!» mi si rivolse la giovane, piegandosi in avanti per tendermi la mano, con il chiaro intento di mostrare il suo fondoschiena a John.

Non ricambiai la stretta e la fissai, finché lei non si raddrizzò e frugò nella sua borsa con un leggero imbarazzo nell'atteggiamento.

Stavamo decisamente cominciando con il piede sbagliato.



«Allora, ragazzi... parlatemi un po' di quali sono le intenzioni dei System Of A Down. I vostri fan non sentono nuova musica dal 2005, è logico che siano un po' infastiditi» cominciò la bionda giornalista.

Si chiamava Tricia Andersen e non faceva che fissarmi con insistenza, accavallando le gambe e lanciandomi occhiate eloquenti.

Strinsi le mani sui braccioli della poltrona in pelle color crema e lasciai che fosse Daron a parlare. Non mi sentivo assolutamente in vena di interviste, ma mi toccava almeno fare la mia presenza.

Mentre Tricia fissava me, io lanciavo occhiate di sottecchi al mio amico, osservando come i suoi capelli lunghi e lisci ricadevano sulle sue spalle rilassate e come le sue labbra si muovevano piano e controvoglia per fornire una risposta a Tricia.

«Abbiamo dichiarato più volte che qualcosa non va, che non siamo ancora pronti a far uscire un album, nonostante il materiale non ci manchi. Io mi sto dedicando agli Scars, John ha il suo negozio di fumetti, gli altri ragazzi hanno un sacco da fare... prima o poi ci incontreremo e decideremo qualcosa» borbottò Daron.

La giornalista annuì poco convinta. «Avete del materiale pronto. Perché non farlo uscire?» proseguì imperterrita.

Il chitarrista rise sarcastico. «L'ho appena detto, no?»

Lei fece un sorriso accattivante nella mia direzione. «Tu cosa mi dici, John?»

Mi lasciai sfuggire un sospiro. «Dico che sono d'accordo con il mio collega» mi limitai a replicare.

Incrociai per un attimo gli occhi scuri e grandi di Daron e vi lessi una scintilla che non mi piacque per niente.

Non avevo idea di cosa avesse in mente, e non mi sentivo pronto a scoprirlo.



«Tricia, senti... non sei stanca di fare sempre le stesse domande?» apostrofai la bionda, protendendomi in avanti per risultare un po' più vicino e invadente con lei.

Mi ero già stufato di quelle stronzate e notavo che John non ne poteva davvero più; volevo divertirmi un po' e tastare il terreno, in fondo nessuno mi impediva di provarci con quella tipa.

Avevo notato che ultimamente il batterista sembrava piuttosto seccato nell'assistere alle mie conquiste amorose, perciò volevo capire se ciò fosse concreto o se si trattasse solo di una mia stupida illusione.

«È il mio lavoro, Daron» puntualizzò la giovane, ostentando una professionalità che non le apparteneva affatto.

Allungai una mano e la poggiai sul suo ginocchio, fasciato solo dalla stoffa trasparente delle calze. «Ti andrebbe di bere qualcosa con noi?» mormorai suadente, senza staccare gli occhi dalla sua provocante scollatura.

Tricia si sciolse in un sorriso malizioso. «Con voi

Annuii. «O forse preferisci che vi lasci soli?» domandai, accennando appena a John.

Gli lanciai una rapida occhiata e lo trovai teso e pallido, con le mani strette sui braccioli della poltrona che occupava. Mi dovetti trattenere per non sorridere trionfante.

«No, ma figurati! Siete due ragazzi simpatici! Però, vi faccio prima un paio di domande ancora... poi...»

«Scusate» gracchiò il batterista, per poi mettersi di scatto in piedi. «Non mi sento molto bene. Tricia, grazie per l'intervista, puoi continuare a intervistare Daron se vuoi.»

Io e la giornalista ci guardammo confusi, mentre il mio amico si allontanava e camminava a passo spedito verso l'ascensore.

«Mi dispiace, oggi John è molto stanco, perdonalo» dissi, sorridendo forzatamente in direzione della bionda.

In realtà avrei voluto soltanto alzarmi e seguire il batterista. Forse avevo esagerato, non avrei dovuto infastidirlo in una giornata negativa come quella.

«Può capitare. Bene, Daron, dimmi un po': cosa pensi dei tuoi fan? Perché credi che siano così accaniti nei vostri confronti?» insistette Tricia.

Non sopportavo più quelle stupide domande, eppure decisi di resistere un altro po'.



La giornata era già di per sé una merda, in più Daron aveva fatto lo stronzo e ci aveva provato con quella giornalista bionda e ficcanaso.

Me ne stavo nel balcone della nostra stanza doppia a fumare l'ennesima sigaretta, mentre cercavo di calmarmi. Non era da me comportarmi in quel modo, avrei dovuto essere professionale, rispondere alle domande con pacatezza e non dare a vedere ciò che stavo provando mentre le dita di Daron si posavano sensualmente sul ginocchio di quella donna.

Mi chiedevo perché avesse toccato in quel modo una sconosciuta e non lo avesse mai fatto con me.

Scossi il capo e aspirai un'altra boccata di fumo.

Perché lei è una donna e tu un uomo, idiota!

La mia coscienza aveva ragione, non dovevo neanche pensarci.

Sentii la porta della stanza aprirsi e richiudersi di scatto, poi la voce squillante di Daron mi chiamò: «John, dove cazzo sei? Che ti è preso?».

Rimasi in silenzio e aspettai che mi trovasse. Non fu difficile, poiché avevo lasciato la portafinestra socchiusa.

Il chitarrista mi raggiunse e mi affiancò, appoggiando i gomiti sulla balaustra in ferro battuto. Si accese una sigaretta e fumò in silenzio per un po'.

Cercai di ignorare l'impulso che sentivo di toccarlo, afferrarlo per le spalle e dirgli che mi aveva fatto male notare quell'atteggiamento nei confronti di quella giornalista.

Socchiusi le palpebre e diedi l'ultimo tiro alla stecca di tabacco che tenevo tra l'indice e il medio della mano sinistra.

«Che ti è preso, John? Senti, lo so che questa cazzo di situazione non ti piace, amico! Non piace neanche a me, sia chiaro, ma cerco di distrarmi. Finché non riusciremo a risolvere le cose, però...»

«Sta' un po' zitto» tagliai corto, schiacciando la cicca sul ferro, poi la lanciai lontano e diedi le spalle al panorama notturno della città.

Daron si voltò a guardarmi e si mostrò perplesso dal mio inconsueto comportamento.

Rimasi a fissarlo con durezza e freddezza per un po', incrociando le braccia sul petto per evitare di mostrare le mani che tremavano leggermente.



Ero seriamente senza parole. Non capivo cosa avesse, era nervoso come lo avevo visto davvero poche volte nella mia vita.

Mi pentivo amaramente di averci provato con quella donna, a me non importava niente di lei e non era neanche il mio tipo. Troppo impicciona e spudorata per i miei gusti. Forse avevo colpito John nel punto giusto, ma avrei dovuto andarci piano.

Feci un passo verso di lui e gli posai cautamente una mano sulla spalla. «Ehi, dai, calmati» sussurrai, leggermente spaventato da lui.

John si scrollò la mia mano di dosso e distolse lo sguardo dal mio, liberando dalla morsa gelida dei suoi occhi scuri e penetranti.

Sospirai e sollevai le mani in segno di resa. «Okay, me ne vado a fare un giro» conclusi, poi feci per avviarmi verso l'interno della stanza.

Quando ero ormai sulla soglia della portafinestra, però, fui costretto ad arrestarmi. Sentii la mano grande e forte di John afferrarmi saldamente per un polso e il cuore fece una capriola disordinata all'interno del mio petto.

Non ebbi il coraggio di voltarmi, mi limitai a stare immobile, in attesa che facesse o dicesse qualcosa.

La sua mano libera, la sinistra, si spostò sulla mia nuca, mentre le sue dita si insinuavano tra i miei capelli. Lasciò andare il mio polso e fece lo stesso con la mano destra, prendendo ad accarezzare lentamente i miei capelli. Districò qualche nodo e proseguì con dolcezza a toccarmi come non aveva mai fatto.

Io non riuscivo a respirare, ero pietrificato.



Non aveva idea di che cazzo stessi facendo. Perché avevo cominciato a toccare Daron in quel modo? Eppure, lo stavo facendo e non riuscivo a fermarmi, ormai era troppo tardi.

Avevo sognato di sentire le ciocche dei suoi capelli tra le dita, avevo desiderato di percorrerle in tutta la loro lunghezza, avevo voluto farlo da tempo immemore per rendermi conto di quanto fossero morbide e setose.

Socchiusi gli occhi e continuai ad accarezzarlo, sentendo la pelle della sua nuca e del suo collo rabbrividire sotto il mio tocco leggero e gentile.

«John... cosa cazzo stai facendo?» sbottò Daron in tono stridulo, senza però ritrarsi.

Non sapevo come giustificarmi, non ero bravo con le parole. Provai a pensare a qualcosa, ma il risultato fu piuttosto disastroso.

«Quella giornalista... aveva dei capelli bellissimi, ma certo non potevo toccarglieli...» buttai lì, sentendomi un vero e proprio coglione. Ringraziai tutti i santi del Paradiso perché Daron era voltato di spalle e non poteva vedere quanto stessi arrossendo.

«Cosa? Secondo me le sarebbe piaciuto molto» replicò il chitarrista confuso, poi aggiunse: «E io sarei il sostituto della bionda sexy dai capelli bellissimi?».

«Sì. Sono incazzato, perché le hai toccato il ginocchio? Ci provava con me, non hai visto?» proseguii, senza riuscire a staccare le dita dalla seta soffice e bruna dei suoi capelli.

«Ecco cosa ti è preso, allora.» Di scatto, Daron si scostò da me e si voltò a fissarmi. I suoi occhi risultarono ancora più grandi, dilatati per la rabbia improvvisa che si era impossessata di lui.

«Ho immaginato che quei capelli fossero di Tricia» proseguii, peggiorando ulteriormente la mia già critica situazione.

Quel giorno non ero proprio in me, dovevo aver fumato troppo.

Daron inclinò leggermente il capo di lato e sorrise con malizia. «Te la vado a cercare, se proprio ci tieni. Ma ho la vaga impressione, Dolmayan, che tu stia dicendo un mucchio di stronzate.»

Feci un passo indietro e abbassai lo sguardo, avvampando violentemente per l'ennesima volta.

Sei un grandissimo coglione, mi dissi, fissandomi le mani.

Poi avvertii un tocco leggero sulla guancia e sollevai di scatto il capo.



Era tenero, dolce e adorabile. A vederlo così, grande e grosso, pareva quasi incutere timore. In effetti ero stato un po' spaventato dalla sua rabbia di poco prima, ma mi diedi dell'idiota: John non avrebbe mai fatto male a una mosca.

Carezzai piano la sua guancia rotondetta e punteggiata di barba, mentre i miei occhi percorrevano il suo viso e si spostavano sulle sue braccia forti e muscolose.

«Allora? Hai il coraggio di ripetermi tutte quelle stronzate guardandomi negli occhi?» gli chiesi, desiderando ardentemente che le sue mani tornassero a intrecciarsi tra i miei capelli e che le sue braccia si avvolgessero attorno al mio corpo, scaldandolo e tenendolo al sicuro come avevo sempre voluto.

John scosse impercettibilmente il capo e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, lasciando che le mie carezze cullassero la sua pelle rovente. Aveva il viso in fiamme e teneva gli occhi socchiusi.

Feci un passo avanti e afferrai le sue grandi mani, guidandole sui miei fianchi. Mi premetti contro di lui e lo strinsi in un abbraccio, sentendo il suo calore intenso pervadermi completamente.

John sospirò contro il mio orecchio e fece scorrere le mani fino a raggiungere nuovamente i miei capelli. «Sono morbidi. Usi un balsamo speciale?» domandò.

Risi, affondando il viso contro la sua spalla. Il suo odore era un misto di fumo e tensione, era indescrivibilmente dolce e sensuale per le mie povere narici.

Sollevai il capo e tenni le braccia attorno al suo collo, cercando i suoi occhi. Li trovai lucidi, caldi, senza alcuna traccia della durezza e la freddezza che vi avevo letto poco prima.

«Se continui a toccarli, si sporcheranno nel giro di un'ora» buttai lì.

John si chinò in fretta su di me e premette le sue labbra sulle mie, tenendomi premuto contro di sé e spingendo delicatamente sulla mia nuca per accostarmi maggiormente a lui.

Non poteva essere successo davvero, non tra noi due, non dopo tutto il tempo che avevo trascorso a desiderarlo.



Lo baciai con calma, prendendomi tutto il tempo er assaporare le sue labbra e per giocare sensualmente con la sua lingua. Daron sapeva di tabacco e di erba, le stesse fragranze che impregnavano sempre i suoi vestiti e i suoi capelli.

Le sue mani percorsero le mie spalle e presero a tracciare il profilo dei miei muscoli nascosti dal tessuto leggero della mia felpa in cotone. Ogni carezza era un brivido profondo, ogni bacio era un'emozione indescrivibile da aggiungere alla miriade che solo Daron sapeva trasmettermi.

Ci staccammo per riprendere fiato e rimanemmo, naso contro naso, a guardarci negli occhi e a sorriderci come due ragazzini alle prese con la loro prima cotta adolescenziale.

«Lo abbiamo fatto davvero?» chiese Daron.

«Mi sa di sì. Non ti andava?»

Portò le mani sulle mie guance e mi lasciò un leggero pizzicotto. «Idiota» gracchiò.

Avvolsi la sua vita con un braccio e lo spinsi dentro la stanza, per poi chiudere la portafinestra con una spinta decisa. Quella sbatté con un tonfo secco e la camera fu immersa nel silenzio più totale, isolata dai rumori della città.

Osservai con fare critico i due letti posti al centro dello spazioso ambiente, rendendomi conto che erano separati e che sarebbe stato impossibile stare comodi.

«Li attacchiamo? Sai, quando ero piccolo, con i miei cugini lo facevamo spesso. La scusa era di fare un pigiama party, ma finivamo sempre per addormentarci dopo neanche mezzora» raccontò Daron.

«Allora facciamo il pigiama party anche noi?» proposi con una sottile ironia nella voce. Mi sentivo decisamente più rilassato, ero contento che tutta la tensione che avevo provato si fosse finalmente dissolta quasi del tutto.

Daron si voltò e mi rivolse un'occhiata languida. «Senza pigiama però» sghignazzò.

Gli mollai uno scappellotto. «Datti una mossa e aiutami a spostarli.»



Ci eravamo sdraiati sul letto e rintanati sotto le coperte, senza però osare spogliarci. Avevo scherzato con John, ma non avevo alcuna intenzione di accelerare i tempi.

Me ne stavo appallottolato contro il suo ampio petto e dormicchiavo, mentre lui continuava ad accarezzare delicatamente i miei capelli e teneva il braccio destro attorno alla mia vita.

«Ma ti piacciono proprio i miei capelli, eh Dolmayan?» lo punzecchiai, allungandomi per lasciargli un piccolo bacio sul mento.

«Si nota tanto?» chiese.

«Abbastanza.»

«Non sai da quanto tempo volevo toccarli» ammise, facendosi mortalmente serio. Non potevo vederlo, ma ero quasi certo che fosse arrossito in quel modo così tenero che mi faceva perdere la testa.

«Allora non sarò io a fermarti» lo rassicurai, carezzando lentamente il suo torace.

Era rassicurante stare tra le sue forti braccia, sentivo come se niente potesse ferirmi, come se tutti i problemi legati alla band non esistessero più, come se nessun giornalista potesse scalfirmi.

E mentre mi lasciavo cullare dalla sua infinita dolcezza, mi resi conto che era successo davvero, che finalmente potevo stargli vicino come avevo sempre voluto.



Un'altra intervista, un'altra tortura.

Tuttavia quella mattina, dopo aver dormito abbastanza scomodamente su quei due letti con il corpo intrecciato a quello di Daron, non mi sentivo più nervoso né indisposto nei confronti dell'uomo sui quarant'anni che ci raggiunse nella hall per intervistarci.

La situazione dei System non era cambiata, ma era cambiato completamente il mio mondo.

«John, Daron, grazie per avermi concesso il vostro tempo» esordì il tizio, un nero corpulento vestito di tutto punto, con tanto di giacca e cravatta. Avevo già dimenticato il nome della rivista online per cui lavorava.

Io e Daron sedevamo fianco a fianco, stravaccati sul divano in pelle color crema, lasciando la poltrona monoposto al giornalista. Io tenevo un braccio sulla spalliera, lasciando scivolare ogni tanto le dita sulle ciocche morbide dei capelli di Daron. Lo facevo con discrezione, senza risultare invadente né mettere a disagio il nostro interlocutore.

«Cosa potete dirmi sui progetti futuri dei System Of A Down? I vostri fan sono impazienti di sapere qualcosa» ci interrogò il tizio, tale Dayton Moore.

Io e Daron ci scambiammo un'occhiata complice, poi sorridemmo.

«Ci sono tante cose in cantiere, ma per ora preferiamo aspettare di essere tutti pronti per pubblicare del nuovo materiale» presi la parola con calma, arrotolando attorno al medio della mano sinistra una ciocca bruna del chitarrista.

«Capisco» disse educatamente Moore.

«Sai, siamo sempre al lavoro, siamo molto creativi, ma spesso le nostre idee non combaciano. Siamo in quattro, e ciò significa quattro teste pensanti, quattro modi di vedere e vivere la musica...» proseguì Daron, rilassato e sorridente.

«Certo, immagino non sia facile. Avete del materiale pronto o sbaglio?»

Annuii. «Ce l'abbiamo, ma bisogna ancora lavorarci. Non appena saremo pronti, non esiteremo a comunicarlo.»

Dayton Moore assentì con un breve cenno del capo. «Daron, cosa puoi dirmi sugli Scars On Broadway? Dall'uscita di Dictator hai avuto pareri contrastanti.»

Il chitarrista si sistemò meglio al mio fianco e poggiò la mano destra sul mio ginocchio, tamburellando distrattamente con le dita. «Mmh... le canzoni sono datate, non è un mistero. Ma sono già al lavoro su altro. Compongo musica perché non posso farne a meno.»

Rabbrividii appena, ma mi concentrai sulla chiacchierata con quel giornalista. Era simpatico, cordiale e educato, così l'intervista non fu poi così terribile.

Prendemmo qualcosa da bere con lui prima che andasse via e lui ci ringraziò calorosamente per essere stati così gentili e disponibili.

Mentre ci dirigevamo verso il ristorante dell'hotel per pranzare, Daron prese a sghignazzare.

«Che hai, Malakian?» gli chiesi, guardandolo di sottecchi.

«Ha detto che siamo stati gentili e disponibili... per fortuna non ci ha visto ieri sera» commentò divertito.

Gli diedi di gomito. «Ieri c'era aria di pigiama party, amico mio.»

Lui rise e alzò gli occhi al cielo. «Allora sono ancora tuo amico?» volle sapere, fermandosi poco prima di varcare la soglia della sala da pranzo.

Gli poggiai due dita sotto il mento e lo costrinsi a guardarmi. «Certo. Il mio migliore amico. E non solo.»

Daron si sciolse in un sorriso birichino e si ritrasse dal mio tocco, per poi rivolgermi un occhiolino ed entrare con passo spedito nella sala.

Scossi appena il capo e lo seguii, rendendomi conto di quanto avessi desiderato di sentire quell'intesa incredibile tra noi due.

E mentre camminavo dietro di lui e osservavo i suoi capelli oscillare dolcemente sulle spalle, le gambe magre fasciate dai jeans neri e la sua schiena ossuta coperta da una leggera camicia a scacchi neri e rossi, non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse accaduto tra noi.

È il tuo uomo, John.

Sorrisi appena.






♥ ♥ ♥ ♥


Ciao a tutti, carissimi lettori!

Ed eccomi qui, come potete ben vedere anche io sono cascata nella trappola della Jarohn, accidenti ^^”

Questo è successo per diversi motivi: in primo luogo, da quando Soul e Selene hanno cominciato a trattare questa ship, mi hanno fatto venir voglia di scrivere qualcosa su questi due; solo che non sapevo mai cosa buttar giù, non volevo essere banale (non che magari io non lo sia stata anche in questo caso, eh XD), ma poi è arrivata l'illuminazione, ovvero la seconda e definitiva motivazione che mi ha portato a scrivere finalmente questa OS: un contest!

Ebbene sì, sul forum di EFP ho trovato un contest che si chiama Imagine your Otp Contest, organizzato da due ragazze che hanno gentilissimamente (ma esiste questa parola? o.o) accettato il fandom System Of A Down, visto che uno dei loro prompt mi ha ispirato tantissimo!

Dovevo scrivere basandomi su questa situazione: «B passa le mani tra i capelli di A, che sono super soffici. A chiede cosa B stia facendo, ma B mormora solo cose senza senso».

Che dite, ci sono riuscita almeno un po'? :D

Inoltre, volevo trattare marginalmente l'argomento piuttosto spinoso delle interviste e delle dichiarazioni richieste e rilasciate dai ragazzi dei System; tutti noi sappiamo – credo – che loro non fanno nuova musica dal 2005, ma insomma, io credo che sia sì normale voler sapere qualcosa sui loro progetti, ma che sia altresì pesante per loro sentire addosso tanta pressione!

E in questo caso, se aggiungiamo la tensione che c'era tra John e Daron, be'... la povera Tricia Andersen ha dovuto subire il malumore di chitarrista e batterista, cosa che poi con Dayton Moore non è avvenuta perché i due erano decisamente più rilassati ;D

Ultima cosa e poi vi lascio: la storia è ambientata più o meno ai giorni nostri, in questo periodo più o meno, vista l'uscita di Dictator degli Scars il 20 luglio 2018 e le recenti notizie che dichiarano che Daron è già al lavoro su nuovo materiale per il suo progetto parallelo ^^

Ora basta dilungarsi, grazie a tutti coloro che hanno letto e tutti coloro che recensiranno, fatemi sapere se vi è piaciuto il mio modo di trattare questa dolce coppietta :D

Alla prossima ♥

  
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