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Autore: Tenar80    12/01/2019    4 recensioni
Devono metterlo in conto questi ragazzetti che giocano con i pattini. Il ghiaccio è duro e freddo. Ed è spietato, come tutte le cose dure e fredde.
Di chi prova a diventare un campione.
Di chi diventerà Victor Nikiforov e di chi non ci riuscirà.
Della fatica di crescere dei campioni, o almeno di farli diventare adulti.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Victor Nikiforov, Yakov Feltsman
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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E con questo ultimo capitolo e l'epilogo arriviamo in fondo a questa storia anomala, che di sicuro verrà invalidata dal film di Yuri on Ice, che avevo comunque bisogno di scrivere.
GRAZIE, GRAZIE DAVVERO DI CUORE A TUTTI COLORO CHE SONO ARRIVATI A LEGGERE FINO A QUI


Appena era giunto a San Pietroburgo, poco più di un anno prima, Victor si era innamorato della pista secondaria del palaghiaccio, con le vetrate che davano su tre lati. Aveva pensato che avrebbe voluto pattinare lì per il resto della sua vita.

    Georgi si avvicinò. Con il suo viso affilato, a Victor sembrava un topo, ma si sforzò comunque di sorridere.

    – Siamo rimasti noi due – disse Georgi.

    – Così pare – non aveva davvero voglia di parlare.

    – Tu lo sai cos’è successo a Kirill.

    Non era una domanda. 

    – Domani torna a casa sua – disse Victor. – Il padre ha litigato con Yakov. Se lo rivedremo, sarà in qualche gara, con il suo vecchio allenatore.

    Victor, volente o nolente, aveva ascoltato la metà di quel litigio telefonico, dato che Yakov, quando si arrabbiava, faceva in modo che tutta San Pietroburgo lo sentisse. Padre e allenatore si erano accusati a vicenda di essere la causa di quello che era capitato. Alla fine Yakov aveva buttato giù il telefono ed era uscito di casa sbattendo la porta. Lilia era via per lavoro e l’allenatore era rientrato tardi, aveva lasciato in cucina del cibo d’asporto per lui e poi si era chiuso in camera. Per la prima volta Victor aveva avuto la sensazione che forse anche Yakov potesse essere un essere umano.

    – Sei stato un bastardo con quella combinazione – disse Georgi.

    – Lo so. Ma io volevo solo vincere – replicò Victor.

    Adesso non era più sicuro di essere contento per quella vittoria. O, peggio, si sentiva in colpa per esserne ancora contento. 

    La sera prima aveva chiamato Irina, la donna che lo aveva accompagnato, in una vita precedente, alla gara in cui aveva conosciuto Yakov. A quanto pareva, lassù erano tutti estasiati per quella vittoria. Lui, però, non era stato in grado di raccontare tutto ciò che era successo. Cosa doveva dire? Ho fatto uno sgarbo al mio compagno di allenamento che poi ha cercato di uccidersi, anche perché, forse, era innamorato di me e io neppure me n’ero accorto? Invece la ragazza di cui forse sono innamorato io ha abortito il figlio di un tipo che non è neppure andato a trovarla in ospedale, e io non dovrei neanche saperlo, perché ufficialmente si è fatta male in allenamento… Era stato più semplice, anche più bello, offrire la versione breve della storia. A un anno dalla sua partenza aveva vinto la sua prima competizione internazionale. Irina aveva fatto in modo che gli altri ragazzi vedessero la registrazione della gara. «La maggior parte di voi è convinta di non valere niente» aveva detto. «È bello dimostrare che non è vero. Ricordatelo, Vitya, se diventerai famoso, un sacco di ragazzi trarrà ispirazione da te, non solo gli sportivi». Non sapeva come rapportarsi con quelle parole o con le proprie omissioni. Quando quella notte Yakov era rientrato, ormai erano quasi le cinque del mattino, dopo aver raccontato in breve quello che era accaduto, gli aveva messo una mano sulla testa e gli aveva detto solo: «non è colpa tua». Victor non sapeva neppure se lo pensasse. Si sarebbe comportato diversamente, se avesse saputo cosa passava nella testa di Kirill? Forse la verità era che del compagno d’allenamento non gliene era mai fregato niente.

    – Lo so – disse Georgi, riportandolo al presente. – Sai, è una fortuna che io non abbia il talento di Kirill. Io lo so che potrò batterti solo se ti troverò in una pessima giornata, ma sapere di avere la possibilità di pattinare come te e non riuscirlo a fare dev’essere terribile.

    – Kirill, qui, era più bravo di me – replicò Victor.

    Lo pensava davvero. Aveva iniziato prima di lui, con allenatori migliori. Era più tecnico e preciso.

    Georgi scosse il capo.

    – Tu non ti vedi, quando pattini. Ah, non sei sempre perfetto. Ogni tanto fai degli errori imbarazzanti… Però ipnotizzi. Mi spiace per tutti quelli che si scorneranno con te, anche perché della maggior parte di loro non ti accorgerai neppure… Vuoi venire al cinema, sabato pomeriggio?

    La domanda prese Victor in contropiede.

    – Perché me lo chiedi?

    – Perché io vado al cinema con i miei amici del pensionato e tu mi sembri piuttosto sprovvisto di compagnia… E io non posso passare il resto della mia vita fingendo che tu non esista o odiandoti.

    – Non Harry Potter…

    – L’era glaciale. Tranquillo, è un cartone animato per bambini, al tuo livello intellettuale.

    Victor gli fece una linguaccia. 

    Non vedeva molte possibilità di diventare davvero amico di Georgi, ma provare non costava nulla…

    Guardò fuori e, attraverso le vetrate, vide una figura magra che camminava verso il palaghiaccio.

    – Ekaterina! – esclamò.

    Senza pensarci, senza chiedere il permesso a Dimitri, Victor uscì dalla pista per correrle incontro.

    

    La intercettò nell’atrio e le gettò le braccia al collo prima ancora che lei avesse il tempo di metterlo a fuoco.

    – Ekaterina! Sei tornata!

    – Ehi, ragazzino, mi soffochi…

    Lei gli mise le mani sulle spalle e arretrò di un passo.

    – Non sono tornata, vado via, ero passata per salutare Dimitri… Non fare così, ragazzino, vieni fuori, parliamo un po’.

    Victor annuì, usando tutta la sua forza di volontà per non piangere.

    Finirono sulla solita panchina. Per i pochi metri necessari a raggiungerla, Ekaterina aveva evitato di guardarlo in faccia, ma non aveva lasciato la sua mano.

    – Tu sapevi quello che mi era successo e non l’hai detto a nessuno, credo di doverti ringraziare – esordì, quando furono seduti, sempre senza guardarlo.

    – Ekaterina, non avrei mai…

    – Pensavo che, tra tutti, tu fossi quello più arrabbiato con me.

    – E perché mai?

    Poteva sentirsi ferito da Ekaterina, ma non avrebbe mai provato rabbia nei suoi confronti.

    Lei sorrise, un sorriso triste, nel viso che era ancora più magro di quanto Victor ricordasse.

    – Sei proprio strano, ragazzino.

    – Che cosa farai adesso?

    – Vado via. I miei mi hanno iscritta a una scuola internazionale, a Parigi. Per aiutarmi a dimenticare, dicono. In realtà sono loro che vogliono dimenticare. E dimenticarmi. E evitare che la cosa si sappia. Perché loro farebbero una brutta figura.

    Victor annuì. La Francia era lontana, ma, aveva scoperto, non irraggiungibile.

    – Tornerai ad allenarti? Potremo vederci durante le gare, quando anch’io passerò tra i senior.

    Ekaterina scosse il capo.

    – Non lo so. Non credo di voler pattinare sotto qualcuno che non sia Yakov. Non credo neppure di voler pattinare… Iniziare di nuovo, una vita in cui non ci sia sempre qualcosa che mi faccia male, in cui essere solo una qualsiasi, non è un’idea che mi dispiaccia.

    Anche se non voleva, una lacrima scese sulla guancia di Victor.

    – Ekaterina, ma tu sei… Sei come una dea sul ghiaccio.

    Lei raccolse la sua lacrima con la punta dell’indice e rimase a guardarla. Il cielo era di un grigio uniforme e la lacrima non rifletteva alcuna luce.

    – Forse lo sono, ma non è una cosa che ho scelto io… – Ekaterina prese un respiro. – Ascolta, ragazzino, mi sono quasi distrutta nel tentativo di essere quello che volevano gli altri. Volevo essere la bella bambolina da esibizione per i miei, l’atleta perfetta per Yakov… Con Igor ci sono finita a letto, senza pensare davvero al dopo, solo perché speravo che poi mi guardasse come a volte mi guardi tu, quando dici che sono una dea. Non ne vale la pena. Non ci ho guadagnato niente. A parte Yakov, se la sono data tutti a gambe quando le cose sono andate storte… Noi siamo uguali, ragazzino, ma tu non fare come me. Fregatene di quello che vogliono gli altri. Tutti quanti, persino Yakov. Vivi la vita che desideri, pattina fino a che ti va di farlo, smetti quando non ti va più. Fai il contrario di quello che la gente si aspetta da te, perché forse è quello ciò di cui la gente ha bisogno.

    – Resta qui – mormorò Victor, anche se sapeva che era una richiesta puerile e impossibile.

    Sapeva anche, però, che non era in grado di dire se quello che provava per Ekaterina fosse amore, ma di certo lei era l’unica persona con cui, lì a San Pietroburgo, non si sentisse solo.

    – Lasceresti tutto per venire tu via con me? – chiese lei, con dolcezza.

    – No – rispose Victor.

    Neppure Ekaterina valeva la sensazione che aveva provato al termine della gara, in Francia.

    – E allora resta… Ma se un giorno tu trovassi una persona per cui senti di poter andare anche in capo al mondo, non chiederti se sia o no un capriccio, se ne valga la pena. Vai.

 

EPILOGO

 

    Sofia – Gennaio 2004    

 

    Non voleva dire niente. Potevano andare storte una marea di cose. Nessuno meglio di lui lo sapeva. Era la terza volta in cinque anni che si trovava in quella situazione e due volte le promesse non si erano realizzate. Beh, si concesse, non era proprio la stessa cosa. Questa volta sul podio del mondiale juniores due gradini su tre erano occupati dai suoi atleti, Vitya primo e Georgi terzo. Tra tutti e due gli avevano fatto perdere dieci anni di vita. Georgi, con una mezza crisi di panico prima della gara e Vitya con quella sua maledetta mania di fare di testa propria, anche a costo di sbagliare e di finire quinto dopo il programma breve. Lo avrebbero fatto morire giovane quei due. Guardò il maledetto cagnolino di peluche che Vitya gli aveva affidato. Beh, almeno quella era l’ultima volta, il ragazzo aveva promesso  che una volta approdato alla massima categoria avrebbe smesso di portarselo dietro.

    Sospirò, più stanco che se avesse gareggiato lui. Due volte. Almeno adesso, mentre i suoi atleti andavano a cambiarsi e a fare il giro delle foto e delle interviste, avrebbe avuto il tempo per un panino.

    – Yakov! – lo chiamò Dimitri. – Guarda chi è venuto a salutarci.

    Dietro il suo collega c’era una giovane coppia. Lui era sui vent’anni, alto, bruno e con un accenno di pizzetto. Yakov lo fissò interdetto, poi ne riconobbe gli occhi grigi.

    – Ivan! – esclamò.

    L’adolescente spigoloso che ricordava era diventato un giovane uomo proporzionato, in grado, sopratutto, di mostrare quel piglio sicuro che una volta mostrava solo in gara.

    – Cosa ci fai in Bulgaria? – chiese, stingendogli la mano con calore.

    – Sono qui per lavoro, la mia ditta sta aprendo qui un nuovo stabilimento e io devo controllare che i macchinari siano montati a dovere. La mia ragazza è venuta a trovarmi per il fine settimana e non potevo perdere l’occasione di presentartela.

    Così dicendo invitò la biondina a fare un passo avanti.

    – Anna – disse Ivan. – Questo è Yakov, che una volta è riuscito a farmi diventare campione del mondo e poi ha raccolto i cocci quando sono andato in pezzi.

    L’allenatore le diede un buon voto, anche se era un po’ troppo bassa e rotondetta per i suoi gusti, ma aveva uno sguardo buono, e Ivan si meritava tutta la bontà del mondo.

    – Venite, andiamo a prenderci qualcosa da bere, prima che debba recuperare i due scapestrati – li invitò.

 

    In pochi sorsi di caffè Ivan aggiornò i suoi vecchi allenatori sulla propria vita, il ginocchio che faceva male solo se lo forzava, i viaggi di lavoro e i propositi a lungo termine di Anna, che studiava lingue all’università. Non era la vita che Yakov aveva immaginato per lui, ma era, ammise, comunque una vita. 

    – Hai fatto carriera – constatò.

    Ivan si strinse nelle spalle.

    – So cosa vuol dire la fatica, parlo bene inglese, sono abituato a viaggiare e non mi spaventa alzarmi presto – disse. – Sono tutte cose che davo per scontate, perché le fa anche quello che oggi è arrivato ultimo, ma a quanto pare nel vasto mondo esterno non è poi così comune per i ragazzi della mia età.

    Anna, intanto, stava guardando il peluche appoggiato al tavolino del bar, ma non osava chiedere.

    – È di quel pazzo che ha vinto – si giustificò Yakov. – È in grado di rimontare cinque posizioni con tre salti, ma se gli perdo il pupazzo è capace di fare una crisi isterica.

    La ragazza sorrise.

    – Lei è davvero come Ivan l’ha descritto.

    Yakov fece una smorfia.

    – È il capitano di una nave in continua tempesta – citò Anna, mentre Ivan arrossiva per l’imbarazzo. – Non è il padrone del destino, ma se tutto dovesse andare storto, ci ha comunque insegnato anche a nuotare.

NOTE A MARGINE
Qui si conclude questo escursus nel passato di Victor. Ekaterina e Kirill escono da questa storia, ma non dai miei pensieri. Ekateriana continuerà a vivere a Parigi, non tornerà mai più a pattinare. Non so se riuscirà mai a essere davvero felice, ci sono troppi nodi irrisolti dentro di lei. Nella mia testa, lei e Victor si incontreranno di nuovo, brevemente, molti anni dopo.
Kirill per un certo tempo continuerà la sua carriera di pattinatore seguito dal proprio vecchio allenatore, ma senza Yakov non riuscirà più a competere davvero con Victor. Proverà di nuovo a fingere di essere il figlio perfetto che desidera suo padre, ma a un certo punto troverà il coraggio di trasferirsi all'estero. Lo immagino molti anni dopo in Germania, professore di educazione fisica in un liceo, ormai in pace con se stesso e con qualcuno al suo fianco. Penso che comunque il fatto che Yakov gli abbia sempre detto, in totale sincerità, che non c'era nulla di sbagliato in lui lo abbia aiutato a ricostruire la propria personalità.

Infine devo ringraziare di cuore tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui. Chi ha speso un poco del proprio tempo per commentare, Syila, che mi ha preso per mano e accompagnato per tutta la storia, le ElinaFD, senza di loro neppure avrei guardato Yuri on Ice, Lele (che forse non passa di qui), che aveva paura di questa storia ma mi ha comunque incoraggiato a scriverla.

Che  ne è dei personaggi ora? Nei miei archivi c'è ancora parecchio materiale su di loro. Ho bisogno di qualche giorno per riogranizzarmi e riorganizzarlo, ma, per chi vorrà, credo  ci sarà la possibilità di leggere qualcosa. Ho una mezza idea di portarvi alle olimpiadi.
    

   
 
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