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Autore: OcaPenna    13/01/2019    2 recensioni
Madlene non sarebbe mai stata una Douglas. Riuscirà a trovare se stessa a Nassau?
Gates/NuovoPersonaggio
Prequel di "Maschere e catene" (coming soon, link in storia)
Genere: Avventura, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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A New Hope

di Oca Penna

 
 
 

Benvenuti!
Prima di tutto lasciate che vi ringrazi per aver scelto di leggere e se vorrete lasciare una recensione raddoppiate i ringraziamenti. :D :D
Questa storia è in realtà il prequel di una storia che uscirà a breve sull'account di Astral Della Rovere dal titolo Maschere e Catene. Qui conosciamo uno dei due nuovi personaggi introdotti nel mondo di Black Sails e scopriamo il suo arrivo a Nassau, ed è per questo che è segnata come incompiuta. 
Cercherò di pubblicare con scadenza settimanale regolare, così da permettere anche a voi una continuità di lettura senza perdere il filo del discorso ;)
Spero vi divertiate a leggere :D 

 
 

 Appena nata già si capiva che non sarebbe stata una Douglas.

Piccola, scura, con i grandi occhi neri spalancati sul mondo, aveva spaventato la levatrice con quegli occhi mai visti e col suo pianto a pieni polmoni. Un pianto di vita urlata con una voce impossibile da ignorare. Isabel, la più grande delle sorelle Douglas, si era tanto impressionata a sentirla che i lunghi capelli dorati, identici fino ad allora a quelli di sua madre, le erano diventati ricci.

La signora Douglas aveva pianto per giorni interi: quattro figlie aveva avuto, e nemmeno un maschio che portasse avanti il nome del marito. E la quarta, quell’esserino scuro, prova vivente del suo peccato, come avrebbe potuto farla sposare? Quando gliela avevano messa in grembo, nel silenzio attonito della balia, aveva davvero temuto che il marito le chiedesse di disfarsene. Ma il signor Douglas, uomo rigido per certo, e severo, non era privo di dolcezza e compassione: aveva atteso quella quarta creatura sperando in un maschio, ed era nata femmina, e tanto scura, per giunta, eppure non aveva avuto cuore di farla portare via dalla balia. Avrebbero potuto sostenere una morte durante il parto, e lasciare che la piccola crescesse lontano dalla casa, ma vedere la moglie stringerla al seno in lacrime con tanto affetto, gli tolse la forza di imporre quella soluzione. In fondo era appena nata, e i neonati cambiano col tempo e talvolta la natura gioca strani scherzi. In questo caso, per sfortuna di tutti, il signor Douglas sperava invano e i tratti di Madlene non si conformarono mai a quelli degli altri membri della famiglia.

Va detto che i Douglas non solo vinsero la repulsione per la pelle olivastra e i capelli corvini, ma le diedero anche la migliore delle educazioni possibili, in tutto pari a quella delle sorelle, facendola vivere come una Douglas di nome e di fatto e non accennando mai, per nessun motivo alla sua diversità.

Non c’era bisogno di farlo, ad ogni modo. I colori lattei e dorati delle sorelle, i loro lineamenti morbidi e la loro somiglianza ai genitori rendeva evidente la sua differenza. Oltre all’aspetto, rispetto alle sorelle, Madlene dimostrava una naturale avversione ad ogni insegnamento che ben si conveniva a una donna della sua posizione. Non aveva la grazia nel ballo di Elena, nemmeno la precisione nel ricamo di Charlotte o la voce dolce di Isabel. Quella figlia disgraziata cresceva, senza che i signori Douglas ne avessero colpa, senza nessuna qualità ma con troppe troppe domande nella testa. Il precettore, uomo dotto e di grandi studi, era l’unico entusiasta di lei e sempre le fu complice anche in quelle materie che, come si dirà, le vennero più tardi proibite.

Conoscere la filosofia o la storia, le belle lettere e la geografia, non le servì in ogni caso a trovare marito. I raffinati vestiti tagliati alla moda parigina e le pettinature più elaborate, non facevano che mettere in risalto le sopracciglia folte e le spalle larghe. Ai balli, schierate una accanto all’altra, le bellezze e le grazie delle sorelle apparivano ancor più desiderabili paragonati alle sue fattezze grezze. Nessuno la invitava mai, nonostante la ricchezza del padre fosse un premio più che ambito. Le poche volte in cui qualche giovane aveva avuto il coraggio di chiamarla, per lei era stato un Inferno: le gambe irrigidite dall’emozione e dal batticuore, sembravano essersi dimenticate anche il passo più semplice appreso durante le estenuanti ore di lezione. Si era dovuta concentrare talmente tanto per riuscire a non cadere, che non sarebbe stata in grado nemmeno di ricordare i volti di quei temerari che, in ogni caso, si erano sempre ben guardati dal ripetere l’invito.

Il perché di quella sensazione di inadeguatezza perenne, Madlene lo conosceva già da tempo.

 

...


A svelarglielo era stata Faith, la cuoca negra, madre della piccola Hope che, da quando ne era stata in grado, serviva in casa nelle camere. L’amicizia tra lei e Madlene risaliva ai tempi in cui, bambine, giocavano di nascosto chiuse nel grande armadio della signora Douglas, o correvano a nascondersi in cucina per sentire Faith raccontare storie delle colonie da cui proveniva, in mezzo ai profumi dei biscotti e del pane caldo. In quel rifugio materno e misterioso, in mezzo a quella gente più nera di lei e con i denti bianchi come perle, Madlene per la prima volta non si era sentita in difetto verso qualcuno. Hope le aveva insegnato, paziente, i segreti del lavoro di sua madre facendole infilare le manine nella farina bagnata d’olio e uova, raccontandole quello che anche lei andava scoprendo su come si lavano i panni per farli venire bianchi, d’un bianco perfetto, o come si fa a tirare brillante l’argenteria. Quei giochi la divertivano per la scoperta dei sensi che portavano con loro: la consistenza degli impasti e la sensazione di averli sulla pelle, i fumi di rosmarino dell’acqua bollente con le lenzuola ammollate dentro. Il mondo di Hope le appariva una danza di sensi vivida e vorticosa in confronto alle lezioni pedanti di ricamo a cui era costretta a sottoporsi con le sorelle. Ma più di ogni altra cosa, in quei momenti rubati alla disciplina dei genitori, amava i racconti di Faith. Alla donna piaceva raccontare della piantagione in cui era nata e cresciuta e in cui aveva servito prima di essere imbarcata su un mercantile che da New Providence l’aveva trascinata fino a Londra, durante l’ultimo viaggio a cui i signori Douglas in persona avessero preso parte.

Un giorno in cui Madlene si era rifugiata nelle cucine dopo un litigio con Charlotte, le guanciotte rigate di lacrime e gli occhi arrossati di stizza, l’aveva consolata raccontandole delle mulatte e delle creole che popolavano le colonie: donne scure come lei, bellissime e ricercate da tutti gli uomini per le lunghe ciglia, proprio come le sue, e i grandi occhi neri, proprio come i suoi, e le labbra scure e carnose proprio come quelle che lei teneva tanto  imbronciate. Le aveva spiegato che non doveva darsi cruccio, perché lei non aveva nessuna colpa se sua madre, col ventre già gonfio di lei, aveva visto un mulatto così bello, ma così bello, che ne era rimasta tanto impressionata da stamparle addosso quel colore un po’ a metà e quei lineamenti così graziosi. Nelle colonie succedeva spesso e nessuno ne rimaneva impressionato.

Da allora il Nuovo Mondo, con i suoi abitanti, le piante sgargianti e ricche di frutti dai sapori indescrivibili, i negri alti e forti come giganti, il mare, il vento, erano diventate il regno della sua fantasia e, crescendo, l’oggetto privilegiato dei suoi studi tanto che, per prudenza, i signori Douglas avevano presto deciso di censurare tutto ciò che riguardasse l’argomento. La loro sorveglianza, però, non aveva impedito a lei di proseguire le sue ricerche grazie alla preziosa complicità di Hope, del precettore compiacente e al silenzio di Isabel, ottenuto in cambio dei romanzi che la signora Douglas definiva “licenziosi”. Se Daisy Douglas avesse saputo delle letture a cui si dedicava Madlene! Ore e ore col naso incollato ai giornali per leggere dei pirati, delle loro scorribande, dei processi e delle decisioni del senato. Poi correva dal precettore, prendeva le mappe e ritrovava la geografia di quei luoghi, imparando a calcolare le miglia marine per figurarsi dove potessero aver atteso le navi alla fonda, studiando i venti e i fondali per capire le rotte a cui i mercantili potessero essere costretti a seconda del pescaggio e della capacità di stiva.

Quegli studi occuparono buona parte dalla sua vita dall’infanzia fino all’età matura e quando le venne il primo sangue si emozionò meno di quando seppe dell’elezione a governatore del senatore Ash. La sua esistenza si divideva in due: una votata alla vita così come i suoi genitori l’avevano confezionata per lei, fatta di stoffe sopraffine, corsetti asfissianti, balli, lezioni, il confronto continuo con le sorelle e le umiliazioni. Dall’altra parte il sogno di quella terra lontana, le chiacchiere nascoste con Hope, intrecciarle i capelli indomabili di nastri colorati prima che scendesse al porto, a mostrare quel corpo fino da gatta agli scaricatori e ai portuali. A volte, con una scusa, era riuscita anche lei a scendere fino al porto, accompagnata sempre, come si conviene, per vedere quella sconfinata distesa di acqua e respirare il profumo della salsedine, ascoltare il richiamo dei gabbiani che, ad ali spiegate, guidano lo sguardo fino all’orizzonte. Quando gli occhi tornavano a terra, i volti bruciati e consumati dei marinai dalle spalle larghe come scafi, gli occhi duri di mare cattivo e i corpi legnosi, le davano il capogiro e doveva stringersi al braccio che la sorreggeva, un po’ per non scappare, un po’ per non correre da loro. Nessun altro uomo la faceva sentire sull’orlo di un burrone, indecisa se cadere nel vuoto o ritrarsi, come i marinai. Tutte le risatine delle sorelle quando in casa entrava il futuro pretendente di questa o quella, la lasciavano estranea e indifferente. Quegli uomini non avevano nessun orizzonte dentro agli occhi, ma titoli e ricchezze da sfoggiare nei salotti, le loro mani erano morbide e affusolate come quelle delle donne, senza spessore e senza storia e le loro spalle più minute delle sue. Chi invidiava era Hope: con i suoi occhi da cerbiatta e i suoi ricci aveva incantato un negro giù al porto che scaricava i bancali di merci dalle navi. Una volta lo aveva visto anche lei, imponente, scuro come il carbone, occhi profondi e languidi e mani callose e grandi come badili. Ma a lei un uomo così non avrebbe mai nemmeno guardato e lei non avrebbe mai dovuto guardare lui. Anche perché ormai la decisione era stata presa: stava per compiere sedici anni, anche Elena era promessa sposa e se per il giorno del suo prossimo compleanno non avesse ricevuto una proposta rispettabile anche lei, sarebbe stato il convento.

 

              ...                   


Mason Hutson non era una persona cattiva. Era un uomo dabbene, figlio di una borghesia nascente senza titoli, con pochi soldi ma molte speranze. Suo padre aveva lavorato per anni con il signor Douglas e per lui sarebbe certo stato un onore imparentarsi col ricco mercante. Mason era giovane, come Madlene, e magari sarebbe diventato un uomo, un giorno, ma di certo non prometteva bene: gracile, un po’ gobbo e di carnagione lattea, occhi di un azzurro acquoso e capelli di un giallo spento, refrattario a ogni tipo di apprendimento, tanto che ancora non era in grado di firmare col proprio nome. Quello che più Madlene trovava repellente, era l’odore della sua pelle lucida e fiorita di foruncoli rossi e purulenti. Il pensiero che quella pelle potesse toccarla le dava il voltastomaco, quasi quanto l’idea di ascoltare la sua voce querula cianciare di frasi vuote.

Ma più ancora del soggetto di quel rito, il pensiero del vincolo che avrebbe rappresentato le chiudeva lo stomaco rendendole indigesto qualsiasi pasto e facendola sbiancare quando se ne parlava. Lontana da Hope, lontana da Faith, lontana dai varchi che si era saputa scavare nella maglia di vita dei signori Douglas, le sarebbero state proibite le sue letture, gli studi, le passeggiate al porto. La sua vita più bella e più sua l’avrebbe abbandonata per sempre per ridursi a una copia malfatta di quella di Isabel. Con sgomento, una notte che si rigirava nelle lenzuola candide, al pensiero si rese conto che avrebbe preferito morire. Quella consapevolezza per poco non la uccise per davvero perché le salì una tale febbre, così persistente ed alta, da tenerla a letto per giorni e giorni, col medico che le controllava la temperatura allarmato e la madre che piangeva come non era più successo dal tempo della sua nascita. Quando la febbre scomparve, lasciandola esausta, decise che la morte avrebbe aspettato, ma che Hutson non sarebbe mai stato il suo nome.

La sera del suo compleanno, il corredo già pronto e gli accordi per la dote già presi, si sedette alla specchiera. Indossava ancora l’abito di broccato azzurro che, nel pomeriggio davanti a una tazza di tè e a un piatto di pasticcini, aveva lasciato senza parole il suo futuro sposo e suo padre, non perché le donasse, ma perché dimostrava tutto lo sfarzo che la famiglia Douglas poteva permettersi. Si sciolse i lunghi capelli scuri raccolti con raffinata eleganza dalle mani abili di Hope, li pettinò con calma lasciando scorrere le dita sulle ciocche morbide. Per un momento, forse, si rese conto che quel momento di mondano sfarzo sarebbe stato l’ultimo ricordo che avrebbe conservato di casa sua, di sua madre, delle sorelle, del padre. Quando si è giovani non si pensa a ciò che si lascia, ma solo all’avventura che ci attende oltre alla porta di casa, eppure è difficile pensare che, nemmeno per un momento, la sua mente abbia indugiato sulla malinconia del pensiero. Se avvenne fu davvero fatto di un istante solo: il richiamo del mare, l’adrenalina per quanto stava per fare e il terrore della condanna che sentiva pendere sulla propria testa, le tolsero il lusso dell’esitazione. Richiuse le ciocche in una lunga treccia e con le forbici da cucina che l’amica le aveva portato, li tagliò di netto.

A poco a poco, nello specchio che era stato testimone impietoso della sua umiliazione, Madlene Douglas scomparve e comparve un giovane dai lineamenti affilati e forse un po’ femminei: John, giovane mozzo che di lì a poche ore si sarebbe imbarcato su un mercantile in partenza per New Providence.  

 
 
 
 

Benvenuti!
Prima di tutto lasciate che vi ringrazi per aver scelto di leggere e se vorrete lasciare una recensione raddoppiate i ringraziamenti. :D :D
Questa storia è in realtà il prequel di una storia che uscirà a breve sull'account di Astral Della Rovere dal titolo Maschere e Catene (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3822951). Qui conosciamo uno dei due nuovi personaggi introdotti nel mondo di Black Sails e scopriamo il suo arrivo a Nassau, ed è per questo che è segnata come incompiuta. 
Cercherò di pubblicare con scadenza settimanale regolare, così da permettere anche a voi una continuità di lettura senza perdere il filo del discorso ;)
Spero vi divertiate a leggere :D 

 
 
   
 
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