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Autore: shilyss    13/01/2019    45 recensioni
Soulmate!AU
In un mondo dove non c’è scelta e anche la morte è scritta tra le righe di una vecchia profezia pronunciata da una veggente cieca e forse folle, l’amore imposto dal destino è solo l’ennesima catena.
Durante una delle più furiose battaglie contro il Titano, Loki è stato ferito in maniera gravissima. Per colpa di una maledizione filata dalle Norne, solo una donna può salvarlo. Ma ogni cosa, col dio degli inganni, ha un prezzo…
(Loki/Sigyn) (Alternative Infinity War) (hurt/comfort)
[ ♦ Storia Vincitrice del contest 'Share with me...', indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP, a parimerito, e Vincitrice del Premio Speciale "Real Character". ♦ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn, Thor
Note: Missing Moments, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Del dolce sapore di una maledizione

 

Dentro di te

 

Impossibile calmare i battiti del suo cuore, il respiro, il tremore che la sconvolgeva e partiva da dentro – dal centro di se stessa, dal punto più profondo e nascosto della sua anima stupita e sconvolta. Spalle al muro, i biondi capelli irrimediabilmente sciolti sulle spalle, Sigyn abbassò le ciglia scure, ma non ebbe la forza di scostare la mano dal cuore dolorante e dal battito irregolare, primo, inequivocabile, segno di un destino assurdo e beffardo. Nevicava. Piccoli fiocchi bianchi danzavano nell’aria rendendo l’atmosfera ovattata, onirica, irreale. Nel silenzio fatato di quell’istante fuori dal tempo, osò chiedersi se non stesse sognando. Se non fosse immersa in un incubo, uno di quelli così vividi e reali che rimangono appiccicati all’anima anche al risveglio, oscuri e densi come presagi. Le mancava l’aria; sentiva la testa leggera e le gambe troppo pesanti e pensò che sarebbe svenuta, perché il dolore, per le Norne, quello, era reale: partiva dal centro del cuore e si irradiava in ogni vena, bruciante e assoluto. Si accasciò lentamente, ripiegandosi come se potesse, tramite quel gesto istintivo, proteggersi.

Aveva immaginato per sé un futuro diverso Sigyn, dea della fedeltà per un disegno imperscrutabile di Skuld. Fedele al suo cuore e fiera di quest’interpretazione del fato, aveva attraversato con sicura grazia ogni momento della sua esistenza, fino a dimenticarsi completamente della profezia della Voluspa, ancora troppo lontana nel tempo e nello spazio. Anzi, era arrivata a sperare che le Norne non avessero intrecciato il filo rosso del suo destino con nessuno. Una prospettiva rara che, dopo un iniziale smarrimento, alla fine si era rivelata decisamente consolante, persino auspicabile. Nessun laccio significava essere liberi di decidere per sé senza vincoli imposti dal caso, perché c’era qualcosa di spaventoso e magnifico, nell’attrazione inequivocabile che legava ogni essere vivente all’altra metà della sua anima perduta e ritrovata. Un annullamento che dicevano fosse la sublimazione di ogni desiderio, anelito, speranza, ma che suggeriva anche l’instaurarsi di una schiavitù eterna, di un legame che aveva il sapore di una maledizione. In un mondo dove non c’è scelta e anche la morte è scritta tra le righe di una vecchia profezia pronunciata da una veggente cieca e forse folle, l’amore imposto dal destino è solo l’ennesima catena.

 

Dei passi si confusero con il battito forsennato del suo cuore. Era Thor. Le si avvicinò pallido e nervoso, con le labbra tirate e un’ombra cupa che gli velava lo sguardo franco e azzurro. Non dormiva da troppe ore e sul suo volto virile c’erano ancora le tracce inconfondibili dell’ultima battaglia, vinta per un soffio. Le sue spalle larghe e possenti erano leggermente incurvate, schiacciate da un peso inesorabile, da una disperazione stanca e senza soluzione. Il suo amore, pensò Sigyn amara, aveva la purezza della spontaneità e della scelta. Non era scritto nel cuore né scorreva nelle vene; per questo era perfetto. Gli invidiò la possibilità di guardarsi attorno e amare chi volesse. Non come lei, che non osava nemmeno pensare al suo destino già segnato.

“Vi appartenete,” le disse a bruciapelo, senza mezzi termini. “Mio fratello sta morendo e voi due vi appartenete.”

 

Sigyn si morse le labbra e sostenne il suo sguardo, ma non riuscì ad alzarsi. Il dolore la inchiodava ancora contro quella parete. La frase del principe degli Asi era, allo stesso tempo, un ordine e una supplica e un ammonimento su cui gravava il peso di un fato tremendo. Se lui morirà, morirai anche tu. Non fisicamente, ma dentro. La tua anima si prosciugherà e ti sentirai, fino alla Voluspa, vuota, spezzata, incompleta. Il tonante le tese una mano, ma lei scosse il capo e, traballando, si rialzò da sola, seguendolo attraverso i corridoi zeppi di barelle, feriti, guaritori. Rifecero lo stesso tragitto che la ragazza aveva percorso correndo non più di una manciata di minuti prima: un lasso di tempo che, nella mente di Sigyn, si era ormai dilatato a dismisura, come avviene talvolta quando si sogna. Le sembrò che fossero passati anni, decenni dal momento in cui il fato le si era rivelato bruciandole il cuore. Con occhi pietosi, prestò attenzione a ciò che prima aveva notato, sì, ma non abbastanza. Asgard aveva vinto l’ultima, atroce battaglia, ma non la guerra e il prezzo che aveva dovuto pagare per poter sventolare, ancora una volta, i vessilli conquistati dei nemici sconfitti, era stato altissimo.

 

Loki di Asgard volse con difficoltà il capo, vedendoli arrivare. Puntò loro addosso i suoi occhi febbricitanti quasi trasparenti, color dell’acqua, e provò a increspare le labbra in qualcosa che assomigliava a un ghigno mesto. Respirava a fatica. Il petto nudo, coperto solo dalle bende intrise di sangue, si alzava e abbassava a un ritmo che suggeriva quanto gli costasse anche solo tenere le palpebre aperte.

La vide avanzare verso il letto su cui forse sarebbe morto – che fine indegna, per un Ase, morire sotto l’occhio pietoso di un guaritore, anziché nel fango della battaglia – e avvertì di nuovo quello strappo all’altezza del cuore. S’inumidì le labbra nel tentativo di far uscire dalla gola l’ennesima delle sue frasi beffarde, pungenti, affilate come rasoi. Non gli riuscì.

Vide Sigyn tirare su la manica dell’abito per mostrare al guaritore la pelle bianca, mentre quello le stringeva un laccio attorno al braccio e le infilava un ago sotto la pelle. La osservò serrare le labbra, incrociare con i suoi gli occhi grigi, liquidi, dolci. L’aveva ammirata? Le Norne avevano deciso che i fili delle loro vite avrebbero dovuto intrecciarsi insieme, fondendosi in una cosa sola come il sangue che avrebbero condiviso. Sigyn, pallida e seria in volto, non guardava l’ago, ma continuava a fissare lui. Loki Laufeyson aveva fatto ogni cosa in suo potere per evitare quel momento e ingannare le Norne. Sentì il sangue della ragazza fluirgli nelle vene, avvertì, grazie ai sensi acuiti dal seiðr, il potere di quel liquido vermiglio che avrebbe impedito al suo cuore di fermarsi, sentì le sue membra contrarsi sotto la spinta di quell’impulso vitale che il caso aveva voluto derivasse da lei, solo da lei.

“È un’aberrazione unire la fedeltà all’inganno. È un errore delle Norne, una beffa del destino.” Raccolse le parole e disse questo, prima di perdere i sensi.

 

 

“Devi stenderti. Sei pallida, dovresti riposare.” La voce di Thor era carica di qualcosa a metà strada tra il senso di colpa e l’imbarazzo.

Sigyn parve non ascoltarlo. Era rigidamente seduta accanto al dio dell’inganno, intenta a scrutarne ogni lineamento e a farlo suo. Non era la prima volta che lo vedeva, ma la consapevolezza di essere legata a lui per sempre e che fosse vivo grazie a lei, glielo fece apparire improvvisamente sotto una luce nuova, diversa, strana. Si soffermò sulla mascella affilata, sul naso diritto e virile, sulle sopracciglia scure, sulle labbra sottili appena segnate da una vecchia cicatrice rimediata, chissà come, in battaglia. I suoi occhi scivolarono sul fisico slanciato e asciutto, incredibilmente tonico, fatto di muscoli e nervi pronti a scattare. Le numerose fasciature non riuscivano a nascondere le forme scultoree del suo corpo. Petto ampio e largo, torace di guerriero, braccia scolpite dall’uso costante e prolungato dei suoi pugnali affilati. Nemmeno ora che era privo di sensi, Loki sembrava innocuo. C’era, in lui, una perenne tensione che le fece pensare alle fiamme guizzanti di un falò che si rincorrevano, lambendosi e sfiorandosi. Era bello, certo. Di più, era perfetto. L’aveva mai pensato? Prima di quel pomeriggio, era mai giunta a quella considerazione o il ragionamento appena fatto era solo frutto del destino?

Alle volte, le sue amiche si erano divertite a commentare le gesta eroiche degli affascinanti figli di Odino, per poi lanciarsi in paragoni e apprezzamenti interrotti da risatine basse e imbarazzate. Alla domanda secca su chi dei due preferisse, Sigyn aveva sempre risposto sicura che, certamente, come tutte, avrebbe desiderato essere corteggiata da Thor, ma il pensiero di Loki e delle tenebre che si tirava appresso le aggrovigliava lo stomaco, generando una ridda di sensazioni che non aveva mai avuto il coraggio di confessare. Si era ritrovata più volte a detestare, però, le amiche più impavide che osavano dar voce a ciò che lei non sapeva nemmeno se era giusto provare: il figlio ribelle di Odino era bello, e non aveva importanza che si dedicasse allo studio del seiðr e padroneggiasse anche le arti più oscure, né che le sue abilità diplomatiche si sposassero fin troppo spesso con una crudeltà d’intenti rara. Chi era, Loki, per lei?

 

Thor le posò una delle sue mani grandi e forti sulla spalla e Sigyn, finalmente, si riscosse. “Potrei servirgli ancora,” gli ricordò con voce atona. “Hai sentito cos’ha detto il guaritore.”

“Sei sfinita.”

Lei si voltò appena, increspando le labbra in un sorriso mesto. “Ti dispiace. Adesso ti dispiace.”

Accanto a loro, Loki era ancora privo di sensi, ma il colorito leggermente più roseo indicava come, lentamente, si stesse riprendendo, vincendo la feroce battaglia contro la morte che l’aveva portato a un passo dai cancelli di Hel. Un braccio elegante dell’Ase giaceva abbandonato sopra coperta e Sigyn si domandò se fosse giusto o lecito, prendere la mano dell’ingannatore tra le sue. Se lui se ne sarebbe accorto, se quel tocco lo avrebbe consolato in qualche modo. Era la sua anima gemella e il destino aveva sancito che avrebbero dovuto amarsi e innamorarsi, ma lei non era certa di provare qualcosa se non vuoto, sgomento, terrore. La blanda fascinazione che il principe cadetto le suscitava non poteva essere quel sentimento profondo e totale che spezzava le vene, lasciava sfiniti.

Thor si schiarì la voce. “Non lo sapevo.”

Era sincero, Sigyn ne era consapevole, eppure non riuscì a perdonargli la violenza e la mancanza di tatto che le aveva dimostrato nelle ultime due ore. Non si era fatto scrupolo alcuno nell’irrompere nella sua casa trascinandola via e gridando che doveva fare il suo dovere e aiutarlo. Ai suoi genitori sbigottiti e preoccupati, ma soprattutto a lei, aveva regalato la verità così com’era, nuda e cruda, senza abbellimenti né giustificazioni. Non c’era tempo, certo. La vita del dio degli inganni era appesa a un filo sottilissimo e già i suoi occhi incredibilmente verdi avevano iniziato a velarsi. Senza il tuo sangue, mio fratello morirà. Sei la sua anima gemella.

 

“Per quello che vale,” proseguì il tonante con un sospiro, gettando un’occhiata preoccupata al letto dove Loki giaceva ancora privo di conoscenza, “l’ho saputo oggi anche io ed ero sconvolto quanto te. Posso immaginare come tu ti senta, adesso.”

Un sorriso triste, dita che tormentavano la gonna di velluto scuro. “No, non puoi.”

“Sigyn, è il destino.”

“Voglio rimanere sola. E preferisco rimanere qui, in questa stanza con lui, ma non per il motivo che immaginate tu o i guaritori.”

 

Thor parlò con gli inservienti. Dopo qualche minuto, le portarono una branda dove potesse stendersi, una coperta, una bevanda calda e nutriente che fosse in grado di scaldarle l’animo spezzato, costretto in un vincolo che le sembrava alieno, che cozzava contro i suoi principii, ideali, sogni. Loki.

Un nome breve, immediato, composto di due sole sillabe, capace, però, di racchiudere al suo interno promesse oscure e un destino infausto. Era il figlio maledetto di Odino, l’astuto principe e mago che si divertiva a seminare e incantare, imbrogliare e truffare. Una mente brillante e astuta quanto letale, che non si era fatta scrupolo di mentire e corrompere perché bruciata da una sete di potere che, forse, nemmeno il trono di Asgard avrebbe potuto saziare fino in fondo. Occhi verdi, sguardo inquieto, voce ironica sempre in bilico tra verità e menzogna. Condannato e fuggito dalla sua prigionia per eludere il Titano che, alla fine, lo aveva quasi ucciso. Ecco l’uomo che Sigyn avrebbe dovuto amare.

 

“Te lo chiedo di nuovo: posso fare qualcosa per te?”

La voce di Thor era stanca, eppure non priva di una nota gentile. Ora che lei aveva fatto ciò che doveva e le condizioni del fratello apparivano, seppur critiche, stabili, ogni traccia della furia con cui l’aveva trascinata presso i guaritori era svanita.

Sigyn sorseggiò la bevanda calda, concentrandosi sul volto ancora pallido di Loki. Esitò un momento, perché ciò che si apprestava a chiedere al dio del tuono contravveniva alle leggi di Asgard, ma ricordò le ultime parole che l’ingannatore aveva pronunciato prima di perdere i sensi e pensò che avesse ragione: la fedeltà e l’inganno insieme erano un’aberrazione, un ossimoro. Eppure.

“Portami uno dei pomi di Iðunn[1].”

“Sei troppo giovane,” sospirò Thor scuotendo la testa.

“Voglio sapere cosa si sente. Le Norne mi hanno legata a tuo fratello: se mangerò la mela, m’innamorerò di lui, scoprirò che è il solo che voglio e posso amare. Così dicono le nostre leggi. Prima o poi deve accadere comunque, no?”

“Ti faresti solo più male. Hai la prova che è vero. È vivo grazie a te.” Il primo figlio di Odino si rese conto di capire il senso della sua richiesta. Avrebbe violato la consuetudine degli Aesir, vero, ma in fondo lui non era stato costretto a fare lo stesso per salvare la vita di Loki? Non le aveva imposto un fardello che suo fratello, da parte sua, aveva accuratamente tenuto nascosto non solo a lei, ma a chiunque?

“È diverso, Thor. Lo sai.”

 

Thor aggrottò la fronte, incerto sul da farsi. Uscì dalla stanza avvolta nella penombra, limitandosi a lanciare solamente un ultimo sguardo alla figura supina del fratello e a quella, sottile, della ragazza. Anime gemelle. Gli tornò alla mente il lampo di divertita sfiducia che illuminava gli occhi verdi di un giovanissimo Loki quando, per una ragione o per l’altra, si ritrovavano a parlare dell’argomento. Già allora, i discorsi del futuro dio degli inganni erano intrisi di una logica lucidissima, inscalfibile, razionale. Sosteneva si trattasse di autosuggestione. Di un’illusione, in cui il malcapitato di turno sprofondava perché vittima della superstizione che girava attorno a quel concetto di predestinazione che lui riteneva fondamentalmente ingiusto. Con il passare del tempo, l’esperienza aveva avuto modo di mostrare a Loki gli effetti della presunta, enorme bugia. Impassibile, ma forse solo all’apparenza, era stato costretto a valutare con occhio critico come i destini che le Norne tessevano e intrecciavano con apparente disinteresse si fondessero effettivamente gli uni con gli altri. L’anima gemella non era un mito o una fiaba romantica, ma esisteva davvero: altrimenti, come riuscire a spiegare la forza dei legami che si venivano a creare da un momento all’altro? Donne e uomini che, fino al giorno prima, non si erano mai nemmeno guardati, dopo aver mangiato i pomi di Iðunn, non solo cristallizzavano il loro aspetto nella perenne giovinezza propria degli Aesir, ma si guardavano con occhi nuovi e cadevano nella trappola di un’attrazione fatale che c’era perché così era stato scritto.

Quando era toccato a Loki e a Thor, di diventare adulti e mordere il frutto della conoscenza, il cibo degli dèi, i fratelli si erano guardati negli occhi per cercare una traccia qualsiasi del mutamento. Nessuno dei due aveva avvertito alcuna differenza. Padre Tutto e le antichissime leggi degli Aesir avevano stabilito fosse giunto per loro il momento di fermare il tempo e i giovani principi, che scalpitavano per diventare adulti, avevano adempiuto senza riflettere troppo sulle implicazioni che il morso dato alla mela avrebbe comportato nelle loro vite. Combattevano già da anni, del resto, da quando avevano le guance lisce come quelle delle ragazze, perché così vuole la tradizione degli Aesir. Loki e Thor, giovani, arroganti e tronfi com’erano, non si erano risparmiati mai nulla, trascinati dal desiderio di veder brillare, nell’unico occhio di Odino, una scintilla, una sola, d’orgoglio. Così avevano mangiato il pomo gustandone la polpa dolciastra ed erano diventati uomini, pur senza esserlo davvero. Semplicemente, avevano compiuto un rito di passaggio che li avrebbe portati, presto, a divenire tali, aprendo alle Norne la possibilità di riconoscere – sentire – chi fosse lei, l’anima gemella, l’altra metà del proprio cielo.

All’inizio, avevano scherzato a lungo sul fiabesco e strano incontro. Erano ragazzi, dopotutto. Nelle taverne dove andavano a festeggiare la buona riuscita di qualche prodezza o durante i banchetti allietati da qualche ospite straniera o da ancelle particolarmente affascinanti, entrambi avevano finto platealmente d’innamorarsi in virtù del goliardico impulso a gonfiare ogni evento, finanche l’attrazione, attribuendogli connotati esagerati, farseschi. Giocavano e, così facendo, dissacravano il timore di un legame che appariva come odioso. L’ombra cupa e incombente dell’agognato Hliðskjálf aveva fatto il resto, cancellando dai loro volti le risate e gli scherzi legati a quel destino non cercato né voluto – donare la propria anima a un altro essere vivente in virtù di qualcosa deciso da Skuld[2], che cosa assurda – ma mentre Thor aveva continuato a guardarsi distrattamente attorno senza trovare in nessun luogo l’anima gemella promessa, Loki, invece, l’aveva incontrata. E non gliene aveva fatto parola.

 

Il dio del tuono non avrebbe dovuto stupirsi per quella scelta, in fondo. Suo fratello era questo. Un bugiardo, un mistificatore, dotato d’una mente scaltra quanto contorta. Dietro a quel suo ghigno astuto, perennemente increspato, si era nascosta, a suo tempo, l’ira terribile che lo aveva spinto a rivelare ai giganti di ghiaccio di Jotunheim i sentieri noti a pochissimi che conducevano ad Asgard. Lo aveva fatto per mettersi in luce con Odino, per persuaderlo di essere lui il figlio degno, per vincere una partita truccata in partenza. Loki era stato al suo fianco per secoli. Insieme avevano giocato, vissuto, lottato fino a prevedere esattamente l’uno le mosse dell’altro, ma, nonostante questo, suo fratello gli aveva tenuto nascosto, per chissà quanto tempo, di aver incontrato la propria anima gemella. Sentiva di essere stato tradito, eppure, allo stesso tempo, non resisteva all’impulso di domandarsi cosa potesse aver significato, tenere dentro di sé così a lungo una simile consapevolezza, correre un rischio tanto grande. Il perché non lo avesse rivelato alla diretta interessata, invece, gli era fin troppo chiaro, purtroppo.

 

 

 

La morte aveva un tocco freddo, penetrante e, forse, persino viscido.

A Loki Laufeyson restò in mente questo pensiero, mentre riemergeva a fatica dalle nebbie d’oblio in cui era precipitato. Riprendere conoscenza fu doloroso. Il suo corpo d’Ase – di Jotunn, in realtà – non era avvezzo a una tale sofferenza: mai, nella sua lunga vita di guerriero scaltro ed esperto, aveva riportato ferite tanto gravi. Era arrivato lì con uno squarcio orrendo. Lo avevano ricucito e, di questo, ne aveva contezza nella sofferenza sparsa che gli mordeva i muscoli a ogni movimento, respiro, battito del cuore, quasi. Gli ci volle del tempo, per ritornare in sé e capire esattamente dove fosse, cos’era successo. I ricordi si mescolavano continuamente ai sogni, alle idee e agli incubi, creando una matassa che persino lui, il brillante dio dell’inganno, trovò dapprincipio troppo complesso sciogliere.

Iniziò aggrappandosi a delle certezze e s’accorse, con un brivido, che erano poche.

 

Il Titano lo voleva morto perché non gli era riuscito di controllarlo, non fino in fondo, almeno. Loki si era liberato dagli influssi della Gemma della Mente che avevano esasperato quanto già c’era di oscuro nel suo petto, slegandosi dalla tenaglia di una schiavitù intollerabile; aveva alzato fieramente il capo ribellandosi contro il piano aberrante di un mostro[3].

Tentò di muoversi, ma i punti ancora freschi gli strapparono un gemito basso.

Il Titano lo voleva morto perché non poteva controllare il caos; meglio spezzarlo, allora, punendo l’irriverenza di colui che aveva osato, per curiosità o bisogno, farsi consumare dal potere delle Gemme al solo scopo di scoprire quale fosse il punto di rottura, il limite da non superare. Un gesto inevitabile e razionale, intrapreso in virtù di un ostinato desiderio di sopravvivere in attesa di tempi migliori.

La nascita è una misteriosa e imprevedibile scommessa delle Norne, ma la morte, quella, può essere scelta, decisa. La perenne oscillazione tra il male e il bene tra cui il dio degli inganni si era diviso nel corso della sua esistenza in nome di una neutralità glaciale e spesso egoistica, si era infine piegata verso l’alleanza necessaria con Thor.

Loki recuperò il ricordo del momento preciso in cui lui e il fratello si erano lanciati lo sguardo d’intesa e l’impercettibile sorriso che li aveva trasformati, di nuovo, nella squadra perfetta che aveva reso Asgard grande. Sì, le Norne avevano tessuto un destino crudele, per Loki figlio di Laufey e di Odino: lasciato a morire su un picco di ghiaccio, era stato salvato solamente dalla pietà mescolata all’arguzia di un re astuto in cerca dell’ennesima reliquia da rubare, ma aveva avuto finalmente l’occasione di poter morire in maniera degna, da re, sul campo di battaglia.

La sua fibra particolarmente robusta, tuttavia, l’aveva in qualche modo tradito, condannandolo a un’agonia da cui, forse, non si sarebbe ripreso. Se la lancia con cui Thanos lo aveva trafitto fosse riuscita a ucciderlo sul colpo, il suo destino si sarebbe compiuto; invece, era ancora più o meno vivo e la lotta contro il Titano e la morte era ancora aperta, sebbene disperata.

Deglutì a fatica. Cercò nella sua mente ancora annebbiata dai farmaci, l’immagine di Thor che, disperato, invocava il suo nome ordinandogli di sopravvivere, tamponava la ferita orrenda con le mani e tentava di tenerlo sveglio; avrebbe fatto qualsiasi cosa per non vederlo morire un’altra volta davanti ai suoi occhi. Una consapevolezza vaga e nuova lo raggiunse: batté più volte le palpebre per svegliarsi totalmente, definitivamente. Era in una delle stanze dei guaritori perché suo fratello, alla fine, era riuscito a portarlo in salvo, ma qualcosa era andato storto, terribilmente. Volse a fatica il capo di lato: accanto al suo letto, c’era una piccola branda su cui era stesa lei, per le Norne. Lei.

La memoria della battaglia lasciò posto alle immagini sbiadite e confuse degli ultimi momenti concitati che aveva vissuto prima di perdere definitivamente i sensi. Rivide i volti pallidi e terrorizzati dei guaritori, sorpresi che fosse ancora vivo nonostante l’orrenda ferita e tutto il sangue perso, disillusi all’idea che potesse superare la notte. Udì nuovamente la voce stentorea di Thor maledire e minacciare di ucciderli a mani nude se non avessero fatto qualcosa, avvertì ancora una volta il brivido di terrore che lo aveva colto quando aveva capito che suo fratello si era detto disposto a cedergli il suo sangue lì, ora. Raccogliendo le ultime forze rimaste, aveva strappato dal proprio braccio l’ago che doveva servire a trasferire nelle sue vene il fluido vitale del fratello[4]. Si erano guardati negli occhi per un momento e Loki, ormai allo stremo e tormentato dal dolore, gli aveva rivelato quel segreto che celava da anni, che non aveva osato neppure ammettere a se stesso. La voce era uscita dalla sua gola simile a un rantolo spezzato.

“Sigyn! Tu non puoi, tu mi ucciderai. Solo lei, serve lei… serve il suo sangue.” Le ultime parole, le aveva pronunciate boccheggiando. “È l’anima gemella, Thor.”



[1] Nella mitologia norrena, i pomi di Idunn servivano a mantenere gli dèi giovani. In questa storia hanno anche un’altra funzione, come si scoprirà leggendo: servono a indicare alle persone chi è la loro anima gemella, la soulmate.

[2] Skuld è la Norna che fila il futuro, Urd il passato e Verdandi il presente. La funzione delle Norne scaldiche è simile a quella delle Parche.

[3] Le ultime dichiarazioni della Marvel sostengono che Loki fosse sotto l’influenza della Gemma della Mente. Ho cercato di coniugare il canone con quanto si vede nei film e rendere coerente questa “brillante” trovata.

[4] Essendo un soulmate! AU ci troviamo in una realtà alternativa dominata da codeste regole. Per quanto concerne la trasfusione: Asgard possiede astronavi e i suoi abitanti sanno usare armi automatiche; è ragionevole che pur in un ambiente differente dal nostro, dove i medici diventano i guaritori, alcune pratiche come la trasfusione esistano e vengano svolte accanto alle pratiche runiche (?).

   
 
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