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Autore: Katie88    14/01/2019    8 recensioni
Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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35. Can You Fight The Fate? 
 
 
 
 
“’Giorno…” Debbie, taccuino alla mano e cipiglio battagliero, si presentò al tavolo dove Ted sedeva mesto e taciturno.
L’uomo sospirò, passandosi stancamente una mano sugli occhi. “Deb, ti prego. Non ho abbastanza ore di sonno per discutere con te. Mi sono bastati Emmett e Michael.”
Debbie sorrise soddisfatta dalla scoperta che, ancora una volta, i suoi ragazzi avevano fatto fronte comune per aiutare un amico: il suo cuore si riempì d’orgoglio. “Non sono qui per infierire. Sono arrivata alla conclusione che ormai siete grandi abbastanza per decidere delle vostre vite.”
Ted la guardò con espressione scettica. “Questa è nuova.”
Debbie si strinse nelle spalle, picchiettando la penna sul blocchetto. “Tanto non mi ascoltate e fate comunque come cazzo vi pare.” Vide l’uomo cercare di celare un sorrisetto. “Quindi, che ti porto?”
Il campanello della porta tintinnò, segnalando l’arrivo di un avventore. La donna rivolse un sorriso radioso al nuovo arrivato, facendo schioccare la gomma da masticare.
“Torno dopo.” Informò Ted, prima di girarsi e tornare verso la cucina.
Ted la guardò confuso. Quando Blake prese posto di fronte a lui, finalmente capì. E meno male che avevo smesso di interferire.
“Ciao, Ted.”
Ted sospirò, posando lo sguardo sul suo giovane compagno − ex compagno? − e il suo cuore mancò un battito davanti agli occhi chiari di Blake, tanta era la mancanza di averlo accanto. “Ehi.” Istintivamente allungò una mano sul tavolo e intrecciò le dita con le sue. Blake ricambiò immediatamente. “Come stai?”
“Uno schifo.” Rispose il ragazzo con sincerità, rivolgendogli un mezzo sorriso. “Tu?”
“Più o meno lo stesso.” Strizzò le dita di Blake. “Mi manchi.”
“Sei tu che mi hai detto di andarmene.”
“Volevo scuoterti. Non credevo te ne saresti andato davvero.”
Blake scosse la testa, serrando le labbra. “Non sono un bambino, Ted. Non puoi spaventarmi urlandomi contro e minacciandomi di mandarmi in collegio se non obbedisco ai tuoi ordini.”
Nonostante la situazione tesa, a Ted sfuggì un sorrisino. Blake aveva ragione. Forse troppo influenzato dalla differenza di età tra loro, Ted aveva a volte − spesso − trattato Blake come un bambino indisciplinato, spingendolo a prendere decisioni che per lui erano giuste, ma non per Blake. “Mi dispiace. Davvero. Sai come sono, credo sempre di avere ragione e speravo di evitare che tu facessi uno sbaglio.”
“Ma non è uno sbaglio per me.” Ripeté Blake per la milionesima volta.
Ted scosse la testa. “Sono ancora della mia idea, purtroppo. Detto ciò, ti chiedo comunque scusa per aver forzato la mano.”
“Lo apprezzo.”
Debbie azzardò di nuovo l’avvicinamento al tavolo. Ted la fulminò con lo sguardo. “Ben fatto, Miss-Siete-Grandi-Per-Poter-Decidere-Da-Soli.”
La donna si strinse nelle spalle. “Grandi non vuol dire necessariamente svegli.” Si chinò per baciare una guancia a Blake. “Bentornato, tesoro.”
Blake le sorrise raggiante. “Non avrei resistito ancora molto.” Si voltò verso Ted guardandolo con dolcezza. “Questo signore qui è difficile da dimenticare.”
Debbie sorrise, annuendo e dando una pacca sulla guancia a Ted. “Lo so bene. Vi porto il solito?” I due uomini annuirono. “Arrivo.” E sparì di nuovo.
Blake sospirò pesantemente, riportando lo sguardo su Ted. “Vogliamo riprendere il discorso o rischio di essere cacciato di nuovo?”
Ted inclinò la testa da un lato, inarcando un sopracciglio. “Non sono così cattivo.”
Il suo compagno rise piano. “Hai ragione. Ciò non toglie che non cambierò idea. La decisione è presa.”
“Kitty come l’ha presa?”
“Bene. Adesso lascia solo due messaggi minatori al giorno nella mia segreteria.”
Ted soffocò una risata. “Da vera persona matura.” Strizzò di nuovo la mano di Blake. “Voglio mostrarti una cosa.”
“Ted.” Blake parlò con tono ammonitore. Sapeva che Ted non si sarebbe arreso senza un ultimo tentativo disperato. “Ho già deciso.”
“Lo so, lo so.” Ted si districò dalla presa di Blake e alzò le mani in segno di resa. “Voglio solo dimostrarti che anche se in queste settimane eravamo ufficialmente in rottura, tu sei rimasto parte della mia vita.”
“Ah, lo spero bene, signor Schmidt!”
Ted sorrise, scuotendo il capo e tuffandosi nella sua ventiquattrore per estrarne una cartellina. La porse a Blake.
“Cosa sono? Documenti per l’affidamento?” Lo prese in giro, facendogli alzare gli occhi cielo. “Così potrai prendere tutte le decisioni al mio posto fino ai diciotto anni?”
“Aprila e dagli un’occhiata, spiritosone.”
Con un mezzo sorriso ancora stampato in faccia, Blake aprì la cartellina e strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando?”
Ted scosse la testa. “Per dimostrarti che Pittsburgh o San Francisco, per me non fa differenza. Tu sei il mio compagno, il mio partner.”
“Mi hai cointestato il tuo appartamento? Ma sei impazzito?” Il tono di Blake tradiva sconcerto, sorpresa e… emozione. “Non dovevi.”
“Lo so.” Confermò Ted. “Ma quella è casa nostra. E anzi, senza di te, non è nemmeno casa. È solo… un blocco di cemento con delle finestre e una porta d’ingresso. Sei tu a renderla casa, Blake.”
Blake strinse le labbra, inspirando piano. Si sporse verso Ted per baciarlo dolcemente. “Ti amo, lo sai vero?”
Ted annuì con un sorriso. “Non devi aver paura, Blake. Io non sparirò dalla tua vita.”
“Parli come se dovessi partire domani.” Osservò Blake, improvvisamente serio. “Ti ho detto già che−”
“So cosa mi hai detto, ma so anche che non vuoi partire perché non sei sicuro di noi, dì la verità.” Ted lo guardò studiandolo con attenzione.
Blake sospirò. “Ted, ho già rovinato tutto una volta.” Confessò. “E se succedesse di nuovo? San Francisco è così lontana!”
Ted gli prese di nuovo la mano. “Non succederà.” Ribatté risoluto. “Nemmeno tra mille anni.”
Blake abbassò di nuovo lo sguardo sui fogli davanti a lui. Scosse il capo, come a voler scacciare l’idea che lentamente si stava facendo strada.
Le dita di Ted, strette alle sue, gli diedero la risposta che stava cercando.
 
 
 
 
All’ingresso del suo compagno in ufficio, Justin, comodamente seduto su uno dei divani, si limitò appena ad alzare gli occhi dalla rivista che stava leggendo.
“Sì, Bill, e lo sai anche tu.” Continuò Brian con l’orecchio attaccato al cellulare. “Vuoi fare una montagna di soldi? Allora la Kinnetic è la soluzione. Vuoi essere povero e patetico? Sono certo che Vance sarà più che felice di aiutarti.” Lanciò un sorrisino soddisfatto in direzione di Justin che scosse il capo, alzando gli occhi al cielo. “Bene, a domani allora.”
Justin attese che Brian riponesse il telefono prima di parlare. “Te l’hanno mai detto che sei un arrogante e indisponente figlio di puttana?”
Brian si sdraiò sul divano posando il capo sul grembo del ragazzo e chiuse gli occhi. “Ed è una novità?”
Justin sorrise, prendendo ad accarezzargli i capelli. “L’hai convinto?”
“Avevi dubbi?”
“Nemmeno uno.”
Ad occhi chiusi, Brian sorrise. Justin e la sua completa fiducia in lui lo coglievano ancora di sorpresa. “Come mai qui?”
Justin si chinò in avanti per baciargli la fronte. “Volevo sapere com’era andata dal dottore.”
“Tutto bene. Ci siamo finalmente liberati di quei dannati punti.”
“Ottimo. Il dottore che ha detto?”
“Che la guarigione va alla grande. Mi ha consigliato di continuare a prendermela con calma comunque.”
“Sono d’accordo.”
“Scordatelo, Sunshine. Stasera si scopa.”
Justin soffocò una risata. “Senza neppure un invito a cena? Mi credi davvero così facile?”
Brian lo guardò dal basso. “Io non lo credo. So per certo che lo sei.”
Justin lo colpì con una sberla sulla testa. “Guarda che ti spedisco sul divano.”
“Brian, l’appuntamento delle sei è… Oh, scusate ragazzi!” Dalla porta, Cynthia rivolse loro un sorriso mortificato.
“Sparisci, Cynthia.” Abbaiò Brian, beccandosi un’altra sberla.
Justin lo spinse a sollevarsi a sedere prima di dirigersi verso la porta. “Cynthia, è sempre un piacere.” Le baciò affettuosamente una guancia.
La donna gli sorrise, voltandosi poi verso il suo capo. “Rimane ancora un mistero come tu abbia fatto a conquistarlo. E a farlo restare.”
Brian si diresse verso la scrivania. “Questo perché non ti ho mai scopato.” Replicò tranquillamente consultando dei documenti. “Se lo avessi fatto, sapresti perché il dolce Sunshine mi rimane arpionato ai polpacci.”
Justin sorrise, scuotendo il capo. “Il vero mistero è come abbia fatto Cynthia a non ucciderti finora.”
“E a questo proposito…” Brian si voltò verso di lei. “Come mai sei qui a ricordarmi gli appuntamenti? Non è per quello che pago Lori?”
Lauren.” Lo corresse Cynthia. “E per rispondere alla tua domanda, non mi fido di lei. Sto ancora valutando se è in grado o no.”
Brian si sedette sulla scrivania, incrociando le braccia. “In grado di rispondere al telefono e segnare appuntamenti sulla mia agenda? Non mi sembra molto difficoltoso. Potrebbe farcela persino Theodore. Forse.”
Cynthia fece un gesto con la mano. “Ad ogni modo, finché non sarò soddisfatta, la osserverò da vicino.”
“Cerca di non beccarti una denuncia per mobbing.”
“Se tu sei riuscito ad evitarne una per molestie sessuali.”
“Lexi non è il mio tipo.”
“Non mi riferisco a Lauren, ma ad ogni altro impiegato maschio di questo ufficio.”
Brian scosse le spalle. “Non rispondo a simili calunnie.” Afferrò uno dei fascicoletti ordinatamente riposti nell’archivio accanto alla scrivania e si diresse verso la porta. “Allora, vogliamo andare?”
Cynthia lo precedette fuori dall’ufficio.
“Aspettami qui, faccio subito. Poi andiamo a cena.”
Justin gli sorrise. “Guarda che era una battuta.”
Brian si chinò a baciarlo teneramente. “Avevo già prenotato.” Uscì dall’ufficio senza dire altro, lasciandosi dietro un Justin decisamente sorridente.
 
 
 
 
 
“Caffè e cheesecake cioccolato e menta.” Il cameriere sistemò gli ordini sul tavolo e tornò verso la cucina, non prima di aver lanciato una lunga occhiata a Brian. Justin scosse il capo, dando il primo morso al suo dolce.
Brian lo notò. “Che hai?”
Justin abbozzò un sorriso. “Il cameriere.”
“Il cameriere cosa?”
“Ti vuole.”
“Quale?”
“Quello che ha litigato con gli altri camerieri per fare in modo di servirci tutta la sera.”
Brian alzò le spalle. “Sono uno che lascia buone mance.”
“Sono sicuro che non è interessato alla mance.” Osservò Justin compiaciuto, prendendo un altro boccone. “Oh mio Dio, questa torta è incredibile.” Gemette di piacere.
Sotto il tavolo, una parte di Brian ebbe un guizzo. L’uomo si voltò poi verso il bar, dove il cameriere in questione parlava con uno dei suoi colleghi.
Possibile che davvero non si fosse accorto delle sue avances?
Di fronte a lui, Justin mugolò di nuovo.
Perché credi di non essertene accorto, genio? Perché come al solito, quando sei intorno a questo ragazzino, il tuo cervello va a farsi friggere…
Si voltò di nuovo verso il bar e stavolta beccò il cameriere lanciargli un’occhiata decisamente inequivocabile. Brian alzò gli occhi al cielo. “Chiediamo il conto?”
Justin finì la sua torta con un sorriso soddisfatto. “Che fretta c’è?”
“Voglio andarmene a casa.”
“Non vuoi approfittare dell’invito del sexy cameriere?”.
Brian studiò l’espressione del suo giovane compagno e rimase in silenzio.
Probabilmente Justin non avrebbe avuto nulla da ridire se si fosse divertito un po’ prima di tornare al loft, e di sicuro il Brian di qualche anno prima avrebbe colto la balla al balzo, ma in tutta sincerità, voleva davvero interrompere settimane di astinenza con un idiota rimorchiato al ristorante? Soprattutto quando aveva Justin con cui passare la notte?
“Credo che rinuncerò per stavolta.” Osservò con tono neutrale. Sperò davvero che Justin non sapesse leggerlo così bene come purtroppo temeva fosse capace. Nonostante gli anni insieme, era ancora strano quando il suo compagno riusciva a capire quanto fosse importante nella vita di Brian. “Ma se vuoi, serviti pure.”
Justin aggrottò le sopracciglia “Non sono stato con nessun altro in questo periodo.”
“Lo so.”
“Come fai a saperlo?”
“Perché ti conosco, Sunshine.” Io mi fermo ad ascoltarti gli aveva detto lui una volta. E lui aveva capito al volo cosa intendesse dire, perché era quello che facevano. Loro si ascoltavano, loro si comprendevano meglio di chiunque altro, anche attraverso – e soprattutto – i loro silenzi.
“Non avrebbe senso fare sesso con qualcuno che non può soddisfarmi. Io non ho bisogno di scopare, io ho bisogno di fare l’amore col mio uomo, col mio partner, col mio compagno, non con qualche patetico caso umano incontrato al Babylon.”
Brian cercò di non mostrarsi troppo compiaciuto di quella rivelazione.
Dieci minuti dopo, varcavano entrambi la soglia del ristorante lasciandosi dietro un cameriere alquanto deluso.
 
 
 
 
 
“Brian…”
Brian sorrise soddisfatto dai mugolii di piacere che riusciva a strappare a Justin. “Ti mancava?” Gli sussurrò all’orecchio, mordicchiandogli il lobo.
Il ragazzo gemette di nuovo. “Non ne hai idea.”
Brian sospirò pesantemente prima di spingersi ancora, con più forza, più desiderio, più voglia che mai, dentro Justin. “Oh credimi, ce l’ho, Sunshine.”
Justin sorrise nella penombra del loft e si sporse a baciarlo con passione. La sua schiena emise un sinistro scricchiolio, ma lui lo ignorò.
Appena rientrati al loft, non erano neanche riusciti ad arrivare alla camera: Brian, che aveva iniziato a stuzzicarlo già in macchina, lo avevo afferrato per il golfino e senza tante cerimonie lo aveva spogliato così rapidamente che Justin non era neanche riuscito ad opporre resistenza.
Non che volesse farlo comunque.
Il pavimento del loft di certo non era il luogo più comodo e confortevole del mondo, ma a loro era andato più che bene.
“Brian…” Justin, ormai al limite, avvertì il compagno.
Brian sfregò il naso contro il suo. “Lo so.” Lo baciò di nuovo e, con un’ultima poderosa spinta, raggiunse l’orgasmo seguito da Justin un attimo dopo.
Esausto, crollò sul corpo esile del ragazzo. “Cristo Santo…” Mormorò senza fiato.
Justin si schiarì la voce, asciugandosi la fronte madida di sudore. “Di certo non la performance più duratura che abbiamo avuto, ma abbiamo una valida scusante.”
Brian grugnì. “Un secolo di astinenza?”
“Sei il solito esagerato.”
“Per noi sono stati un secolo.”
Justin ridacchiò, baciandogli i capelli. “Vero. Ma noi non abbiamo ritmi normali.”
“Questo perché noi non siamo normali.” Mugolando un’ultima volta, Brian si sollevò sulle braccia e si alzò. Justin, ancora sdraiato a terra, si godé ogni istante di quello spettacolo meraviglioso che era Brian Kinney. Lo osservò raddrizzarsi, sgranchirsi le spalle e la schiena affinché riprendessero una posizione naturale, distendere le braccia mettendo i mostra i muscoli tonici e allenati. Il tutto rigorosamente nudo.
Sei proprio un uomo fortunato, Justin Taylor, devi ammetterlo…
“Doccia?” Lo invitò Brian, distraendolo dalle sue riflessioni.
“Mmm…?”
Brian alzò gli occhi al cielo, beccando il suo fidanzato in piena contemplazione del suo culo. Beh, come biasimarlo? “Doccia?” Ripeté lentamente. “Così poi possiamo parlare di come farti tornare a New York, prima del secondo round.”
Justin emise un verso offeso dal pavimento su cui era ancora disteso. Si alzò di scatto, recuperando i suoi boxer e infilandoseli con gesti secchi. “Puoi anche togliertelo dalla testa.”
Brian si massaggiò stancamente gli occhi e ispezionò la stanza in cerca dei suoi boxer. La doccia avrebbe aspettato. “Tu dici?”
“Oh, puoi scommetterci!” Justin indossò i jeans, prima di puntargli contro un dito con fare minaccioso. “E mi sono rotto le palle di ripetertelo! NON CI TORNO A NEW YORK!”
“Vanessa che ne pensa?”
“Me ne frego di quello che pensa lei!”
Brian scosse la testa con un sorrisino supponente che ebbe solo il potere di far vedere rosso Justin. “Chissà se i suoi avvocati saranno d’accordo. Ma tu non preoccuparti, vai avanti con le tue idee, fatti spillare fino all’ultimo centesimo da quella stronza!”
Justin lo raggiunse con due falcate e lo spinse forte al petto, Brian incespicò appena, rimanendo in piedi in mezzo al salotto. “Può prenderseli tutti, per quello che vale!”
“Quindi butti tutto nel cesso! I sacrifici, le sofferenze, la lontananza! TUTTO!” Gli gridò di riflesso Brian.
La porta del loft si aprì, rivelando le facce incredule e imbarazzate di Michael, Ben, Emmett e Ted.
“Ehm… interrompiamo qualcosa?” Tentò Emmett incerto.
Brian e Justin erano ad un metro di distanza, mezzi nudi e decisamente incazzati neri. Di certo non erano delle belle premesse. “Babylon?” Propose tentando di spezzare la tensione che si tagliava col coltello. “Vi eravate dimenticati?”
Justin emise un verso di frustrazione, dirigendosi verso il suo compagno. “Babylon, alcool, dark room. Ne riparliamo dopo.” Si voltò e si diresse a passo veloce verso la camera da letto.
“Non cambierò idea!” Gli assicurò Brian afferrando la sua camicia e indossandola con gesti nervosi. “Puoi anche farmi ubriacare, ma la mia risposta sarà sempre−” La mano di Michael lo colpì sulla nuca come era sempre solita fare Debbie. “Chiudi il becco.” Gli sibilò all’orecchio. “O stasera ti soffocherà nel sonno.”
Brian sbuffò contrariato, agguantando chiavi e portafogli. “Lasciate le chiavi di casa mia, prima di andarvene. La convalescenza è finita, io sto bene, ragion per cui le irruzioni in casa mia sono terminate. Mi dispiace per voi.” Picchiettò il bancone della cucina dove i suoi amici, uno dopo l’altro, depositarono le copie delle chiavi che Justin aveva dato loro subito dopo l’incidente. “Ora fuori di qui.”
Emmett lo guardò mortalmente offeso, portandosi una mano al petto. “Che maniere. Noi lo facevamo per te.”
“Immagino.” Brian emise un verso scettico, per nulla toccato dall’altruismo di Emmett.
“Sono pronto.” Justin riemerse dalla camera da letto. “Ho bisogno di un drink.”
“O di dieci.”
Brian gli indicò la porta del loft dove i loro amici erano in attesa. “Dopo di te, Sunshine.”
Justin gli lanciò un’ultima feroce occhiataccia prima di precederlo. Il breve tragitto fino al Babylon trascorse nel più assoluto silenzio e Brian la percepì come la calma prima della tempesta.
Justin continuò col suo ostinato mutismo anche una volta arrivati al Babylon: lui ed Emmett si stazionarono al bancone del bar a flirtare impunemente col barista in modo da farsi offrire i drink, nonostante Brian fosse il proprietario e avrebbero potuto avere qualunque cosa gratis, anche senza dover ricorrere agli occhi dolci.
È proprio deciso a farmela pagare… Brian si massaggiò la piccola − minuscola − ruga che si era formata sulla sua fronte. Gli farò pagare anche le iniezioni di botulino.
Al quinto giro di drink, generosamente offerto da Neal, Brian decise di intervenire. Il fatto che fosse stato costretto a passare la prima ora al Babylon ad osservare Theodore e Michael amoreggiare senza alcuna vergogna o dignità con i loro partner mosse la sua risolutezza.
“Non importa.” Sentì Emmett lagnarsi mentre li raggiungeva, le schiene dei due ragazzi rivolte verso di lui. “Se non è andata con John, vuol dire che non era destino.”
“Destino?” Ripeté Justin, come se non avesse mai sentito quella parola prima.
“Sì, destino, fato, disegno divino.” Emmett si strinse nelle spalle. “Lui non era giusto per me, ed è inutile accanirsi quando le cose non vanno. John non potrà mai amarmi nel modo in cui voglio io, quindi l’unica soluzione è voltare pagina. Sono certo che ci sia qualcos’altro in serbo per me.” Tracannò senza tante cerimonio quello che era rimasto del suo cocktail fin troppo rosa per i gusti di Brian e ne ordinò un altro. Di quel passo, sarebbe andato in bancarotta entro due ore. “Me lo sento. È come… non so… una sensazione.” Sorrise al suo amico e afferrò il nuovo drink che il barista gli porgeva. “Al destino! Sperando che la smetta di prendersi gioco di noi!” Svuotò metà del bicchiere e rivolse un occhiolino a Justin. “Altrimenti saremmo costretti a prendere in mano la situazione e dargli una lezione!”
Brian vide Justin osservare il suo amico con le sopracciglia aggrottate e l’aria pensierosa. Non voleva neanche sapere cosa stesse frullando in quella testolina bionda. “Okay, basta così.” Li vide sobbalzare e, approfittando della sua entrata ad effetto, sottrasse lo shot di tequila dalle mani di Justin, bevendolo tutto d’un fiato. “Vieni con me.”
“Non voglio!” Esclamò Justin, già allegrotto. Brian alzò gli occhi al cielo, maledicendo silenziosamente la mancanza di resistenza all’alcool delle nuove generazioni.
“Lui non vuole!” S’intromise Emmett, le guance rosse e gli occhi già lucidi. Cercò di liberare il polso di Justin dalla morsa di Brian, ma tutto ciò che gli riuscì fu di strappare una risatina a Brian, divertito dal suo vano tentativo. “Farò di tutto per difendere il mio amico!” Esclamò con fare melodrammatico.
“Sì! Mi difenderà Emmett!” Confermò Justin risoluto.
Brian alzò gli occhi al cielo davanti alle due regine del dramma. “EmmyLou, è arrivato tuo marito.” Lo informò invece con un cenno della testa verso i suoi amici. “Il cuoco dagli occhi blu.”
Brian non terminò neanche la frase: Emmett scomparve in un nanosecondo, lasciando Justin a difendersi da solo. “Ecco che il tuo difensore se ne va.” Lo prese in giro. “Non ci ha messo molto.”
Justin mise il broncio. “È stato un colpo basso.” Si lagnò, mentre, meno recalcitrante di un minuto prima, veniva trascinato verso la pista di ballo. “Non avresti dovuto inventarti una balla del genere.”
“Quale balla?” Brian si portò al centro della pista, indicando con un cenno del capo, John che raggiungeva gli altri. “Non mi crederai davvero capace di una cattiveria così nei confronti di EmmyLou.”
L’occhiata di Justin fu sufficiente ad avere la risposta. “Non voglio parlare con te.” Disse Justin, il broncio da bambino di cinque anni ancora presente sul suo bel viso. “Sono ancora arrabbiato.”
Brian gli passò le braccia attorno al collo, tirandoselo addosso. “Conosco un metodo molto efficace per fare pace.”
“Scordatelo.” Borbottò Justin contro il suo collo, le labbra calde e morbide contro la pelle sudata di Brian.
“Mh mh…” Brian si chinò di lui e lo baciò con trasporto. Le labbra di Justin si dischiusero al primo contatto con la sua bocca, la lingua s’intrecciò alla sua in una sensuale danza fin troppo familiare. Le mani di Justin salirono verso la sua schiena e lo sentì graffiare leggermente la stoffa della camicia. Sorrise contro la sua bocca. “Qualcuno è battagliero.”
“Vaffanculo.” Sibilò Justin, alzandosi sulle punte per tornare a baciarlo.
Forse non sarebbe stato tanto difficile farsi perdonare.
Il problema sarebbe stato convincerlo a tornare a New York. Come poteva fare quando lui era il primo a non volere che accadesse?
Brian sospirò contro la bocca di Justin e lo strinse di più a sé.
Lui capiva perché Justin non voleva andarsene e una parte − una piccola, minuscola, infinitesima parte − del suo cuore capiva anche il perché. Justin a Pittsburgh aveva la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, aveva Molly, aveva lui. Ed era certo che se si fosse messo d’impegno, l’incredibile giovane uomo che stringeva tra le braccia sarebbe stato in grado di conquistare anche Pittsburgh col suo talento e la sua arte, di questo era certo.
Quello che più spaventava − terrorizzava − Brian era la paura un giorno di vedere rimpianto, o peggio ancora risentimento, in quegli occhi azzurri che lo avevano costantemente guardato con un’ammirazione, un rispetto e un amore di cui lui si era sempre sentito immeritevole.
Quello di cui lui aveva paura era che quell’amore che gli aveva cambiato e stravolto la vita sarebbe stato soffocato dal rancore per aver perso un’occasione di carriera come quella che Justin stava avendo a New York.
Lui non voleva che Justin se ne andasse di nuovo.
Voleva solo evitare che Justin si sentisse libero di decidere senza la paura che Brian lo mollasse come era successo due anni prima.
“Che cosa frulla in quella tua testa bacata?”
La voce di Justin lo riportò sulla terra. “Niente.” Disse in un sospiro.
“Sì, sarà per quello che hai più rughe del normale.”
Brian gli schiaffeggiò il sedere facendolo sobbalzare di dolore. “Vuoi che ti porti nella dark room e ti punisca?”
Percepì Justin sorridere contro il suo collo e lo strinse di più a sé. “No, voglio andare a casa, riprendere il discorso che abbiamo interrotto e che, a quanto pare, nessuno dei due riesce ad accantonare, e poi scopare fino all’alba.”
“Per festeggiare o per salutarci?” Brian lo spinse indietro per poterlo guardare in viso nella semioscurità del Babylon.
Justin si strinse nelle spalle, unendo le mani dietro il suo collo e tirandolo verso di sé per rubargli un bacio, e poi un altro e un altro ancora. “Quello dipende da chi vincerà.”
Brian annuì mestamente, per nulla ansioso di tornare sull’argomento, ma allo stesso tempo impaziente di vederne la conclusione.
In un modo o nell’altro, il problema New York si sarebbe risolto quella sera.
 
 
 
 
Lane scoppiò a ridere, guardando il suo accompagnatore con espressione incredula. “Non l’hai fatto!”
Paul le rivolse un’occhiata offesa. “Certo che l’ho fatto! La mia terza babysitter è scappata a gambe levate. Ci mancava poco che ci facesse causa. La mia matrigna non era molto contenta.”
Lane scosse il capo. “Mi chiedo come mai. Che poi… come diavolo ha fatto un bambino di otto anni a trovare una tarantola?”
Paul si passò una mano sulle labbra, come a volerle chiudere con una zip. “Non rivelo mai le mie fonti.”
“Sei un essere spregevole.”
“Così mi lusinghi, Clarke.” Le rivolse un’occhiata furba, prima di porgerle il braccio in un gesto così palesemente non da Paul che Lane non poté fare altro che accettarlo. Si strinse a lui in quella fresca sera di metà luglio.
Alzò lo sguardo verso il cielo scuro e si ritrovò a chiedersi per la milionesima volta come fosse finita a passeggiare abbracciata a Paul, trovandosi persino ad apprezzare − e a cercare − la sua compagnia.
Quand’era stata l’ultima volta che avevano litigato?
“Tutto okay?” La voce di Paul, troppo vicina al suo orecchio, la fece sobbalzare appena.
Lane annuì quando il groppo che aveva in gola le impedì di rispondere. Si schiarì la voce per poi voltarsi verso di lui. “Anche troppo.” Ammise, quasi a malincuore.
Paul sospirò annuendo, lo sguardo di nuovo fisso davanti a lui. Lane con un certo sollievo capì che quella situazione era strana anche per lui.
“Stiamo… facendo una cazzata?” Gli domandò con voce incerta.
Paul si fermò in mezzo al marciapiede, scostandosi poi di lato per evitare di essere travolto dalle persone che camminavano di fretta lungo la via affollata. Prese Lane per mano, tirandola dolcemente con lui. La ragazza non sembrò infastidita dal contatto, posò anzi la mano libera sul suo addome. “Pensi che sia una cazzata?”
Lane abbassò lo sguardo verso le loro mani intrecciate e non riuscì a provare nulla di spiacevole. “No.” Rispose decisa.
Paul annuì, respirando un po’ più liberamente. Non si era nemmeno reso conto di aver trattenuto il respiro in attesa della risposta di Lane. “Neanch’io.”
Anche Lane parve sollevata dalla sua riposta. “Bene, allora.” Fece per staccarsi dal muro, su cui si era appoggiati, ma Paul la trattenne per la mano. “Ultima domanda.” Prese coraggio. “Che facciamo con Hunter?”
Lane lasciò la sua presa per coprirsi il viso con entrambe le mani. Si massaggiò con forza gli occhi. “Non ne ho idea, porca puttana.”
Paul represse un sorrisetto. “Potremmo non fare nulla. Per il momento.”
“Non dirgli nulla?” Chiese conferma Lane, alzando di nuovo lo sguardo su di lui.
Paul si strinse nelle spalle. “Non stiamo facendo nulla di male. Che senso ha dirgli qualcosa che sappiamo gli darà fastidio?”
Lane annuì: Paul aveva ragione. Nonostante la storia con Callie andasse a gonfie vele, il loro amico avrebbe di sicuro visto il loro avvicinamento come un tradimento. “Allora è deciso. Silenzio stampa.”
“Assolutamente. E poi magari tra due giorni torneremo ad insultarci come i bei vecchi tempi e sarà stato tutto inutile, quindi perché andare in cerca di problemi?”
Lane scoppiò a ridere, gettando indietro la testa e facendo scuotere i lunghi capelli biondi nel buio della notte. Prese Paul per mano per trascinarlo via dal muro e immettersi di nuovo nella via gremita.
“Laney?” I due ragazzi si ghiacciarono sul posto. Non poteva essere. “Laney? Chiamò di nuovo la voce di Hunter alle loro spalle.
Lane e Paul si voltarono lentamente e, alla vista del loro amico, le loro mani si separarono all’istante, troppo tardi e troppo repentinamente perché Hunter non le vedesse.
E tanti saluti al segreto pensò Lane, posando finalmente lo sguardo sul suo migliore amico. Hunter lasciò la mano di Callie e incrociò le braccia al petto, lo sguardo poco amichevole.
“Ciao, ragazzi!” Esclamò allegra Callie, correndo ad abbracciare Lane, per alleggerire l’atmosfera che si era improvvisamente fatta gelida, nonostante i trenta gradi percepiti. “Che sorpresa! Come mai da queste parti?”
Lane fece per rispondere, ma la voce secca di Hunter la interruppe. “Sì, ragazzi, come mai da queste parti?” Nel silenzio che ne seguì, Lane lesse chiaramente la domanda inespressa del ragazzo. Ti ho chiamato. Mille volte. Dove diavolo eri? Adesso lo so.
Paul mosse un passo verso i due ragazzi, celando in parte Lane alla vista, come a volerla schermare dallo sguardo accusatorio di Hunter.
Hunter aggrottò la fronte a quel piccolo gesto di tenerezza nei confronti della sua migliore amica. Non era lui di solito a proteggere Lanie dal mondo intero?
“Visto che era una bella serata, abbiamo deciso di uscire a prenderci un gelato invece di morire di caldo a casa.” Disse Paul, stringendosi nelle spalle. “Abbiamo persino promesso a Fanny di portargliene un po’.” Continuò con un mezzo sorriso, ma capì di aver commesso un errore quando Lane trattenne il fiato dietro di lui e Hunter mosse un passo verso di loro con fare minaccioso.
“Fanny?” Chiese il ragazzo, come a cercare conferma di aver sentito bene. “State andando a casa per mangiare un bel gelatino in famiglia?” Emise un verso beffardo. “Che teneri. Non sono teneri, Callie?”
Callie spostò lo sguardo dai suoi amici al suo ragazzo, aggrottando la fronte confusa. “Che ti prende, adesso?”
Lane posò la mano sul braccio di Paul. “Andiamocene.”
Paul sospirò, gli occhi ancora fissi su Hunter. “D’accordo.”
“Torni dalla suocera, Paul?” Lo schernì il suo amico. “Fa’ in fretta. Potrebbe aver trovato una bella bottiglia di vodka cui attaccarsi nel frattempo.”
Paul gli rivolse un’occhiataccia e mosse un passo verso di lui, stringendo i pugni. Lane lo trattenne, rafforzando la presa sul braccio. “Lascialo perdere. Andiamo.” Sibilò a denti stretti. Lanciò uno sguardo gelido verso Hunter. “Torneremo sul discorso quando non ti comporterai da bambino insicuro, ma da migliore amico quale professi di essere sia per me che per Paul.”
Senza aggiungere altro, voltò le spalle a Callie ed Hunter e riprese a camminare nella direzione opposta. Paul arrischiò solo una rapida occhiata verso di loro, prima di imitarla.
Sparirono nella folla in un paio di secondi.
Callie si voltò scioccata verso il suo ragazzo. “Ma che diavolo ti è preso?”
Hunter scosse il capo, infastidito. “Niente. Non è mi è preso niente.”
“Dovresti essere contento se vanno d’accordo!”
Hunter rimase in silenzio. Quante volte aveva sperato che i suoi due migliori amici la smettessero di litigare di continuo rendendogli la vita impossibile?
Eccoti accontentato, stronzo. Così imparerei a lamentarti.
 
 
 
 
Justin crollò a sedere sul divano, esausto. “Non ne usciremo mai, vero?”
Brian, dall’altra parte del salotto, seduto sulla sua preziosa poltrona Barcelona, si attaccò alla bottiglia di Jim Beam e diede un lungo sorso. “Non se continui ad essere così testardo.”
Justin emise un verso di estrema frustrazione, scattando in piedi. “Io sono testardo? Senti da che pulpito!”
Brian lo ignorò, massaggiandosi la tempia con la mano libera. “Allora ripassiamo insieme. Motivi per tornare a New York.”
Justin grugnì contrariato. “La mia dannatissima carriera.”
“A+, Sunshine. Poi?”
“Nient’altro.”
Brian lo guardò male. “La realizzazione personale? La conquista dell’indipendenza? La voglia di farcela con le tue sole forze?”
“Motivi per rimanere a Pittsburgh.” Lo interruppe Justin senza segno di averlo sentito. Brian era stanco, mezzo ubriaco e decisamente impaziente di finire in camera da letto. Doveva battere il ferro ora che era ancora caldo. Percepiva con una inquietante e serena pacatezza di essere ad un passo dalla vittoria. “Mia madre sarebbe supercontenta. E anche Molly.”
Brian sospirò, dando un altro sorso al whiskey. Il dannato moccioso sapeva benissimo come giocare le sue carte, per questo non aveva messo lui tra le prime motivazioni: sapeva che Brian lo avrebbe accusato di voler mollare tutto solo per poter stare insieme. Imprecò fra sé, decisamente stanco di tutta quella dannata storia. Ancora una volta, perché diavolo si era innamorato di Justin?
“Io sono ancora a quota tre.” Osservò, ricordandogli l’elenco delle sue motivazioni per farlo tornare nella Grande Mela.
Justin sorrise malefico. Intravedeva già la vittoria. “Emmett, sta affrontando un brutto periodo e non mi va di lasciarlo solo.”
“Cazzate. Emmett e le sue idiozie sulle forze del cosmo stanno benissimo, a mio avviso.”
“Daphne.” Continuò Justin, senza dare segno di voler cedere. “La storia di Nathan si preannuncia complicata.”
Brian sbuffò annoiato. “Quale storia? Lui è fidanzato e non la degna di uno sguardo.”
“Gus. Adesso sono un papà in seconda. Vorrò vederlo più spesso.”
“Da New York sono solo duecento chilometri in più.” Brian sorrise soddisfatto della sua logica ferrea. “Vanessa.” Ribatté prontamente, quando vide Justin esitare. “Lei che direbbe?”
“La convincerò.”
“Steve?”
Justin lo guardò male. Era un colpo basso coinvolgere forse l’unica persona di cui avrebbe davvero, davvero sentito la mancanza. “Ci vedremo lo stesso. New York e Pittsburgh non sono poi così lontani.” Concluse imitando il tono di voce di Brian con impressionante maestria.
Brian scosse il capo. “Sei senza vergogna.”
“E te ne accorgi solo ora?” Justin si passò una mano tra i capelli e iniziò a camminare per il salotto, cercando di scaricare la crescente tensione che sentiva sulle spalle. “Andremo avanti ancora molto?”
Brian scosse le spalle. “Mi pare che le motivazioni siano terminate.”
Figlio di puttana. Le parole rimasero incastrate nella gola di Justin. “Ce n’è ancora una.” Gli fece notare.
“Ah sì?”
“Noi due, brutto testardo che non sei altro.” Justin gli lanciò un cuscino colpendolo in pieno viso e rischiando di far cadere la bottiglia di Jim che ancora stringeva tra le mani.
Brian gettò il cuscino a terra, posando anche la bottiglia, e si alzò dalla poltrona. Raggiunse il suo compagno. “Sai che noi due non siamo una motivazione. Non possiamo esserlo.”
“Perché no, cazzo?”
“Perché noi continueremo a stare insieme anche dopo che−”
Justin lo spinse con forza, mettendogli le mani sul petto. “Non ci provare, Brian! Questa l’hai già detta e l’ultima volta non mi pare sia finita molto bene. Né quella prima ancora!”
Brian lo afferrò per gli avambracci, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Sei ancora spaventato per l’incidente.”
“Certo che lo sono! Sono spaventato per l’incidente che hai appena avuto, e per Chris Hobbs, e per mio padre e tua madre, e per la bomba al Babylon, e per il cancro, e per Ethan…” Brian provò un’inspiegabile fitta di piacere nel sentire il nome del violinista elencato accanto a tutte le disgrazie che lui e Justin avevano dovuto affrontare. Si guardò bene dal farlo notare al suo fidanzato per evitare di ricevere una di quelle sberle sulla nuca di cui Debbie andava tanto fiera. “… e per tutto lo schifo che la vita ci ha lanciato contro e che noi siamo riusciti, non si sa come a respingere e superare.” Justin respirò ormai a corto di fiato, le guance rosse per l’agitazione e gli occhi accesi di determinazione.
“Esatto, Justin.” Brian gli prese il viso tra le mani. “Noi abbiamo superato tutto questo. E siamo ancora qui, insieme.”
“Per quanto ancora?” Justin si districò dalla sua presa. “Quante volte ancora vogliamo rischiare di perdere tutto, Brian? Di perderci una volta per tutte?”
Brian scosse il capo. “Non succederà.”
Stavolta fu Justin a prendere il viso di Brian per fare in modo che il suo compagno capisse, una volta per tutta, che non l’avrebbe mai convinto a partire. “Ascoltami, Bri, mi stai ascoltando?” Brian gli lanciò un’occhiataccia, ma annuì con un gesto secco. “Ci siamo andati vicini troppe volte, abbiamo rischiato in così tante occasioni che mi sembra di prendere a calci la sorte a separarci di nuovo.” Si avvicinò al viso dell’uomo e posò la fronte contro la sua, socchiudendo gli occhi. “Mi dispiace se questa cosa ti offende o mette in crisi, ma non permetterò a me stesso di stare un altro giorno lontano da te. Sono passati due anni e se non fosse stato per il matrimonio di mia madre forse ne sarebbero passati anche di più.” Brian fece per parlare, ma Justin lo zittì con un bacio a fior di labbra. “Non voglio più scappare, voglio solo tornare a casa e stare con te per il resto della mia vita.”
Brian sospirò, abbracciandolo stretto e tirandolo a sé. “E se ti pentissi?” Sussurrò così piano che Justin credette quasi di averlo immaginato.
Ed eccolo lì, il bandolo della matassa.
Justin sorrise, posando un bacio contro il collo di Brian. Ora sapeva di avere la vittoria in tasca.
“È questo che ti preoccupa? Che fra qualche anno tornerò a rinfacciarti questa decisione?” Brian rimase in silenzio. “Non sarà così, Bri. Non potrei mai, lo sai.”
E Brian lo sapeva davvero. Ma sarebbe davvero stato così coraggioso da correre il rischio?
“Un amico poco fa mi ha detto che spesso le cose non capitano semplicemente perché non è destino.”
“E tu sei d’accordo?” Brian si staccò da Justin per scrutarne il volto e leggerci l’assoluta verità.
Justin scosse il capo e gli rivolse quel sorriso che faceva mancare la terra sotto i piedi di Brian. “Se avessimo seguito il nostro destino, io sarei finito con lo sposare Daphne e avere tanti piccoli Taylor che avrebbero reso mio padre fiero.” Scosse di nuovo la testa. “Tu ed io di sicuro non eravamo destinati a stare insieme eppure eccoci qua, dopo sette anni a prendere a calci il fato che continua a romperci le palle.”
Brian piegò le labbra verso l’interno per nascondere un sorrisetto. “Quindi ora la domanda è… Dobbiamo continuare a farlo? O è meglio rinunciare e lasciar perdere tutto?” Sfregò il naso contro la guancia di Justin. “Non ne abbiamo già passate abbastanza?”
Justin lo strinse forte per la vita. “Cosa mi stai chiedendo, se sia giusto o meno combattere il destino?
Brian annuì. “Ne vale la pena?”
Justin si staccò da lui e lo guardò con espressione risoluta. “Ci puoi scommettere il tuo bel culo che ne vale la pena.” Sentenziò con tono che non ammetteva repliche. “Ed io continuerò a farlo per tutti e due, se mi troverò costretto. Io combatterò per entrambi se tu non vorrai più farlo.”
Brian scosse la testa, ormai sconfitto di fronte alla tenacia e all’ostinazione dell’uomo che amava. Abbassò il capo e si arrese. “E lotta sia allora.” Concluse, stringendo Justin ancora una volta a sé. E al diavolo i rimorsi, i rimpianti e le paure. Finché lui sarà accanto a me, nient’altro conta…
Justin rispose all’abbraccio quasi incredulo per la vittoria.
Gioco, partita, incontro.
Il re si era arreso.

 






Non voglio dire nulla, se non perdono, perdono, perdono. Questo capitolo è stato scritto e riscritto mille volte, alla fine è venuto fuori questo. Poteva essere migliore, ma mi ero stancata di rimandare.
Spero non mi maledirete e spero anche che i prossimi due capitoli (ultimi due) arriveranno prima di quattro anni XD
Grazie mille DAVVERO a chi mi segue ancora. Rileggere i vostri messaggi mi ha spronato a tornare a scrivere quando credevo davvero di aver perso la voglia e la fantasia per farlo. Spero non sia così.
Un abbraccio a tutte!

Alessandra


 
 
  
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