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Autore: reggina    14/01/2019    5 recensioni
Il torneo di Yomiuri Land si è interrotto alle semifinali per la Muppet e la Mambo. I capitani delle due squadre ne sono usciti piuttosto malconci e in una notte atipica, in un'atmosfera quasi irreale, forse riusciranno ad aprire una porta su un'intimità segreta: quella dei sentimenti.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Couk…Couk…Couk…

Quella tosse non gli dava respiro!

Sua madre gli aveva detto che aveva anche delirato a causa della febbre alta mentre lei lo aveva curato con degli impacchi di aceto sulla fronte e spugnature fredde, cercando di farlo bere ogni volta che le sembrava un po’ più vigile.

Ora era ancora a letto, ma stava meglio.

Era riuscito ad alzarsi da solo e, per alcuni secondi, aveva giocato con il suo riflesso nel vetro della finestra passandosi una mano tra i capelli e sulla fronte imperlata di goccioline di sudore.

Fu scosso da un brivido che lo convinse ad indossare la felpa più calda che avesse sulle braccia infreddolite.

Si annoiava e si era inoltrato fuori dal reparto, nei corridoi immensi e muti: da una finestra era entrata rapidamente la notte e un alito fresco aveva percorso l’ambiente come una muta ombra invisibile.


Era spossato ma i suoi piedi lo avevano guidato fino agli ascensori e poi fino al reparto di cardiologia, fino alla soglia di quella che era davvero ben arredata per essere una semplice camera d’ospedale .

Il suo sguardo annebbiato si era posato su un quadro appeso alla parete color burro, sull’elegante sedia accanto al letto, sul soffitto isolato da una raffinata struttura fono-assorbente.

Un esame più accurato aveva rivelato anche, in vari punti della stanza, le solite apparecchiature degli ospedali.

Mark aveva corrugato la fronte non sapendo come comportarsi davanti a quel corpo impigliato in una ragnatela di flebo e macchinari.

Stava per muoversi, per fare dietrofront, quando una voce graffiante lo aveva inchiodato sul posto.

“Non te ne andare!”


Finalmente aveva trovato il coraggio di fare quei due passi che lo separavano dal letto dove riposava Julian Ross.

Il bip della macchina incaricata di monitorare il suo battito cardiaco aveva emesso un debole suono regolare.

“Quante volte ci sei finito in questo postaccio dimenticato da Dio?”

Il tono era brusco e perentorio, la domanda forse anche sbagliata ma perlomeno era servita a rompere il ghiaccio.

L’oscurità era stata come bruciata dai bagliori dello sguardo di Julian che avevano lacerato le ombre in girandole misteriose.

“Tredici!”

Aveva risposto con sicurezza e con un sorriso buono ma meccanico, che non era arrivato ad illuminargli gli occhi.

“Ovviamente questa non conta, finché non mi avranno dimesso!”

Aveva concluso con un inaspettato occhiolino complice, dietro il quale celava la rassegnazione di chi aveva dovuto imparare ad accettare ciò che non si poteva cambiare.

Mark si era limitato a commentare quell’informazione con il silenzio di chi non è abituato a curarsi nemmeno un raffreddore.


Era una situazione assurda! Lui e Julian si erano sempre e solo sfiorati, mai conosciuti per davvero e ora, improvvisamente ed impulsivamente, stavano aprendo una porta su un’intimità segreta: quella dei sentimenti.

Quella notte due universi, quello del campione burbero ed antidivo e quello del leader raffinato e leale, si erano fusi e tutto sembrava diventare possibile.

“Ma come fai ad essere così di buon umore?”

Gli occhi di Mark erano ancora lucidi, non più per il fuoco della febbre, e la sua voce era rimbombata per la stanza con la potenza di un tuono.

“Non potrai più giocare a calcio. Al tuo posto non avrei nemmeno voglia di respirare!”

Si era pentito immediatamente di non aver misurato i suoi pensieri e, nella penombra, gli era sembrato che Julian serrasse le labbra.

Era incredibile come fosse elegante anche nella sua fragilità, nonostante i capelli arruffati e il viso cereo e un po’ scavato riusciva , in qualche modo, ad apparire sempre affascinante.

“Non hai paura?”


Una strana tristezza era scivolata sugli occhi di Julian. Una tristezza così profonda, così quotidiana da adattarsi perfettamente ai tratti del viso e da costruirne l’espressione più naturale.

“In questi anni mi sono divertito molto, a dispetto della mia malattia!”

Aveva risposto con un sorriso e con una calma invidiabile.

“E questo pomeriggio ho giocato la mia partita perfetta. Non è poco sai?”

Quel ragazzino schivo e riservato si stava confidando con il più improbabile degli interlocutori , senza una parola di recriminazione o di sconforto e con una sicurezza che meritava soltanto ammirazione.

Mark non lo aveva mai considerato un amico ma dopo che era sceso in campo con indomito coraggio sfidando i suoi limiti, dopo che il cuore lo aveva fatto salire in gola agli altri , credeva di scorgere negli occhi di Julian molto più del semplice riflesso delle sue emozioni.

“Sono sicuro che l’operazione andrà bene, vedrai! Poi chissà…Magari potrai tornare a giocare quando ti sarai ripreso. Non è ancora detta l’ultima parola!”

Mark aveva socchiuso gli occhi e agitato le mani.

Quella notte atipica aveva portato anche questo: un inaspettato incoraggiamento somministrato con il contagocce ma che aveva avuto sul cuore di Julian l’effetto di un abbraccio caldo.

La forza che lo aveva sostenuto per tutto il tempo era svanita ed era crollato sui cuscini, esausto.

“E tu invece? Qual è la partita più importante che hai giocato?”

La domanda lo aveva preso in contropiede e Mark si era concesso di pensarci un secondo.

“Quella di domani!”

Aveva ammesso senza esitazioni.

Julian era rimasto in silenzio: senza parole, senza fiato e forse anche con un pizzico d’invidia che gli aveva solleticato lo stomaco mentre la stanchezza gli segnava anche il contorno degli occhi. Aveva sfoderato il miglior sorriso che gli riuscisse.

“Allora credo di non poter stare troppo male perché ho intenzione di guardare la tua partita fino all’ultima azione!”

Ne era sicuro: la tigre, silenziosa come la neve che cade, era pronta a ruggire con la forza di un terremoto.

   
 
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