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Autore: Old Fashioned    15/01/2019    16 recensioni
Berlino, fine anni '20. Una bella ma (forse) ingenua ragazza, Cordula Kerschbaumer, arriva nella Capitale con l'intenzione di diventare una famosa artista di varietà. Una volta giunta in città, la fanciulla trova un impiego come ballerina al celebre night club Schatztruhe, anche detto Truhe (= scrigno). Peccato che una volta lì si scontri con Regine, una vecchia gloria del cabaret, ormai quasi in disarmo ma molto decisa a non lasciarsi mettere i piedi in testa dall'ultima arrivata.
Prima classificata al contest Villains against Heroes indetto da missredlights sul forum di EFP, a pari merito con "Ha i capelli d'oro degli Æsir", di Shilyss. Premio "Miglior Villain".
Genere: Commedia, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Truhe 5 Care amiche, cari amici,
siamo giunti alla fine di questa vicenda a metà tra il serio e il faceto, in cui abbiamo visto una rivisitazione della favola di Biancaneve ambientata nella Berlino di fine anni ‘20. Spero che vi sia piaciuta e che leggendola abbiate passato un piacevole quarto d’ora.
Per quanto riguarda me, io ringrazio tutti voi per la vostra attenzione, le vostre belle parole e il vostro supporto nei momenti critici.
Grazie davvero a tutti^^





Capitolo 5

Florian sedeva a un tavolino del Truhe sognando che al posto di Regine paludata di nero ci fosse sul palcoscenico Cordula con il suo succinto Dirndl.
Aveva parlato con suo padre e con il signor Spiegel e il responso unanime era stato: una delle due va tolta di mezzo, non possono coesistere.
Conti alla mano, la mannaia si sarebbe abbattuta sul collo di Regine.
Peccato che nonostante lo pseudonimo scelto, Regine non fosse per nulla disponibile a farsi decapitare come un'Anna Bolena qualsiasi.
Grazie anche ai preziosi suggerimenti di Spiegel, era stata concertata un'operazione segreta: il ritorno di Cordula sarebbe stato organizzato senza che nessuno ne sapesse nulla. Alla fine Regine sarebbe stata messa davanti al fatto compiuto ed eventualmente anche a un paio di avvocati, qualora il fatto nudo e crudo non fosse stato sufficiente.
Il ragazzo sorrise fra sé e sé al pensiero.
In quel momento, una voce conosciuta lo salutò: “Buona sera, signor König.”
Si voltò in quella direzione e riconobbe l'uomo che aveva visto a casa di Regine. Nonostante ogni buon proposito di considerarlo un normale avventore del Truhe, il cuore gli fece una capriola nel petto. “Buona sera a lei, signor Jäger,” rispose. Si alzò per stringergli la mano.
L'altro gli rivolse un sorriso. “Si ricorda come mi chiamo,” disse con voce morbida.
Florian alzò gli occhi fino a incontrare i suoi. “Anche lei.”
Jäger annuì. “Difficile dimenticarlo.” Sorrise appena, senza spostare lo sguardo dal suo.
Il ragazzo arrossì lievemente. Con voce vagamente incerta chiese: “È venuto per Regine?”
L'altro scosse la testa e rispose: “Non direi. Più delle regine mi interessano i re.” Fece una breve pausa, quindi soggiunse: “O i principi.”
Florian aveva sempre creduto di apprezzare solo le ragazze, eppure a quella frase sentì il respiro bloccarsi. Gli occhi di Jäger, verdi e venati di grigio, non lo abbandonavano, ma la cosa non gli comunicava il fastidio che si sarebbe aspettato. Era piacevole, anzi. Gli suscitava il desiderio di stare in sua compagnia, di addentarsi pian piano nel mistero di quello sguardo cupo.
Perché non si siede a bere qualcosa con me?” propose.

§

Cordula abbandonò con discrezione la sala da pranzo, dove era in corso la solita gazzarra serale, e si diresse quatta quatta verso il salotto. Ne aveva abbastanza della Ruhr, ne aveva abbastanza degli Zwerg – specie di bestioni senza nessuna classe – e ne aveva abbastanza di zia Trude, che tra una moina e l'altra la faceva sgobbare come una specie di schiava. Per come la vedeva lei, era arrivato il momento di fare una bella sorpresa a tutti e di partirsene per Berlino, ma doveva stare attenta: e se la zia si metteva in testa di crearle problemi? Molto meglio continuare a farle credere che non si sarebbe mai più spostata da lì e poi sparire di punto in bianco.
Controllò che il corridoio fosse vuoto, quindi si chiuse la porta alle spalle e si diresse al telefono. Compose un numero.
L'apparecchio squillò un po' di volte, poi una giovane voce maschile disse: “Schatztruhe, parla König.”
Come ogni volta, balenarono davanti agli occhi della ragazza immagini di saloni illuminati, coppie in abito da sera, gioielli e macchine costose. “Florian,” disse, ponendosi una mano a coppa su bocca e microfono per smorzare la voce.
Cordula, tesoro!”
Oh, Florian. Ti penso sempre, sai?”
Anch'io, Cora.”
Lo strimpellare del pianoforte cessò, Cordula sentì qualcuno fare il suo nome. “Non ho molto tempo,” disse precipitosa. “Come stanno andando le cose?”
Tutto a gonfie vele, papà e il signor Spiegel non vedono l'ora che tu torni. Posso fare qualcosa per te nel frattempo?”
La ragazza guardò il proprio abito: un orribile straccio fuori moda, di un colore che le ricordava i camicioni delle carcerate. Se l'era sistemato un po' alla meglio, ma di certo non era nulla che potesse rivaleggiare coi capi provenienti dalle boutiques della Capitale. “Ho bisogno della mia roba, mi servono biancheria, vestiti, scarpe. Potresti mandarmi un pacco?”
Ma certo, lasciami l'indirizzo.”
Mettici dentro il vestito rosso, mi raccomando, e quello verde scuro. E poi le scarpe nere di vernice e la trousse del trucco.”
Sì, ma dove li devo mandare?”
Cordula gli dettò attentamente l'indirizzo, quindi gli disse: “Scusa, ma ora devo lasciarti. Mi aspettano di là.”
Chiuse rapida la comunicazione, troncando senza pietà le frasi zuccherose del ragazzo, poi tornò in sala da pranzo. “Eccomi qui!” esclamò, “Vi sono mancata?”
I fratelli Zwerg risposero con vigorose acclamazioni.

§

Da qualche giorno Regine aveva una brutta sensazione. Chissà, forse essendo donna da tanti anni aveva anche messo insieme il famoso intuito femminile, fatto sta che percepiva nell'aria qualcosa di strano.
König era troppo accomodante, per esempio, Spiegel troppo prodigo di lodi. Florian gentile al limite del servilismo.
Per quanto non gli avesse ancora restituito i compromettenti documenti, Jäger passava più tempo allo Schatztruhe che a casa sua. Prima della nota faccenda non ci aveva praticamente mai messo piede.
C’era qualcosa che non andava.
Indossò un completo da uomo con tanto di lobbia, prese le chiavi della Ford nera e andò al Truhe.
Essendo pomeriggio il locale era chiuso al pubblico, ma lei aveva la chiave della porta sul retro da cui passavano personale e artisti.
Entrò cauta, stando attenta a non far cigolare i cardini, chiuse con cura l’anta alle sue spalle e subito si diresse verso il piano superiore, con l’intenzione di frugare nei cassetti della scrivania di König.
Arrivata al corridoio che conduceva allo studio si immobilizzò: dall’interno della stanza proveniva una voce.
Rimase in ascolto. Era una voce maschile giovane, non se ne percepivano altre. Era senza dubbio Florian, che o stava recitando un monologo o stava telefonando.
Arrischiò un altro passo verso la porta e trattenne anche il respiro per sentire meglio.
Il ragazzo disse: “Oh, Cora, sapessi quanto mi manchi. Ti sogno tutte le notti, tesoro.”
Regine si impose a fatica l’immobilità. Cora? Quindi la disgustosa sciacquetta era ancora viva? Si mantenne in scrupoloso ascolto sperando di aver capito male, ma no, il ragazzo stava parlando proprio a quella Cora, era chiaro dal tono e dal contenuto del discorso.
Presto sarai qui con noi,” disse Florian in tono sognante, facendola quasi sussultare, “e quella strega maledetta dovrà lasciarti il posto, altrimenti ci penserà mio padre a farla sloggiare.”
La cantante strinse i pugni fin quasi a farsi penetrare le unghie nei palmi, costringendosi però a rimanere in perfetto silenzio.
Dovette sopportare una serie infinita di frasette smielate, ma alla fine Florian disse: “Certo che ti ho mandato il pacco, all’indirizzo che mi hai dato: Pensione Trude, Eichenstraße 11, Gladbeck.”
Seguirono altre svenevolezze, poi la cornetta tornò finalmente sulla sua forcella.
Regine rinculò lentamente, scese in fretta le scale e si dileguò silenziosa com’era arrivata.

Solo quando fu nella solitudine del suo appartamento, Regine si concesse di dar sfogo alla sua rabbia: tirò un pesante cofanetto portagioie contro la specchiera, mandandola in frantumi; afferrò un bastone da passeggio e con il suo pomo d’argento fracassò una pantera di ceramica a grandezza naturale che un ammiratore straniero le aveva donato; si avventò con il tagliacarte sui quadri e li fece a brani.
Quando ebbe devastato mezza casa si fermò, ansante e scarmigliata, meditando vendetta.
Andò alla ricerca di uno specchio che si fosse salvato dalla sua furia distruttrice e appena l’ebbe trovato vi si sedette davanti. Si accese una sigaretta, si ravviò alla meno peggio i capelli e rimase a fissarsi per un po’ in silenzio, mentre il respiro si normalizzava lentamente e il cuore smetteva di martellarle nel petto.
Fece il punto della situazione:
Chiaramente Jäger non aveva ucciso la ragazza. Nessuno poteva salvarsi se veniva buttato nel Landwehrkanal con la gola tagliata, e in ogni caso, anche se il miracolo fosse accaduto, la vittima di una tale aggressione non sarebbe certo stata in grado di fare telefonate zuccherose e progetti di viaggio dopo così poco tempo.
La catenina con il ciondolo gliel’aveva verosimilmente data lei, dal momento che non era né strappata né sporca di sangue. Il che significava che come minimo i due avevano comunicato e forse avevano anche stretto qualche genere di accordo.
Come se ciò non fosse bastato, la ragazza era in contatto con i due König, padre e figlio, che stavano meditando di farla tornare. Il fatto che tutto ciò stesse accadendo in segreto la diceva lunga sulla limpidezza delle loro intenzioni nei suoi confronti.
Inspirò a fondo, trattenne il fiato a occhi chiusi per alcuni secondi, quindi lo emise lentamente attraverso le narici. Fatto ciò, riaprì gli occhi e di nuovo fissò a lungo la propria immagine riflessa.
Avrebbero imparato tutti quanti che con lei non era il caso di scherzare.

§

Regine prese la scatola di cioccolatini e la pose sul tavolo della cucina, quindi si infilò un paio di guanti da chirurgo.
Aprì il contenitore, rivelando magnifiche praline aromatizzate alla mandorla, fatte a forma di piccola mela, con tanto di foglia sul picciuolo.
Prese poi una siringa e con essa aspirò da un flacone farmaceutico un liquido di colore rosso scuro.
Estrasse dalla scatola la prima delle praline, tenendola fra le dita la voltò col fondo verso l’alto, vi inserì l’ago e spinse dentro un po’ di liquido. La rimise al suo posto.
Ripeté l’operazione con tutti i cioccolatini, consumando in quel modo tre siringhe della misteriosa sostanza.
Fatto questo, distrusse tutti gli strumenti che aveva usato, buttò quel che rimaneva del contenuto del flacone nel lavello e fece scorrere parecchia acqua, quindi avvolse il flacone stesso in un giornale vecchio, lo frantumò accuratamente con un peso e gettò tutto il cartoccio nell’immondizia.
A quel punto ricompose la scatola e la chiuse con un magnifico fiocco di raso rosso.

§

Cantando allegramente, Cordula stava rassettando le camere dei fratelli Zwerg. “Quanti ne farò ancora, di questi stupidi letti?” gorgheggiò sulla melodia della sua canzone. “Quanti ne farò? Pochi, pochi, pochissimi!”
Danzò su e giù per la stanza, volteggiando col lenzuolo a mo’ di gonna. “Pochissimi!” ripeté.
Era appena arrivata una busta per lei da Berlino, Florian le aveva mandato il biglietto del treno: solo andata, in prima classe.
Prima classe!” cantò garrula. “Prima classe, vita nuova. Berlino, arrivo!”
Sospirò felice: certo, lo Schatztruhe era già un buon locale, ma sarebbe stato solo un trampolino, poi sarebbe passata a ben altro. La gente avrebbe fatto la fila per sentirla cantare, sulle riviste ci sarebbero state le sue fotografie. E poi, chissà? Magari le si sarebbero spalancate le porte del cinema, o avrebbe potuto aspirare a un matrimonio ben migliore di quello con un borghesuccio un po’ più ricco della media.
In quel momento suonarono alla porta.
Cordula si immobilizzò perplessa. Il postino era già passato, il droghiere anche. Chi poteva essere?
Scese per le scale rassettandosi il vestito, andò ad aprire e si trovò davanti un uomo. Si trattava di un signore di mezz’età alto e magro, con un impeccabile completo gessato e una gardenia all’occhiello. Aveva folti capelli neri e la carnagione leggermente olivastra. In una mano teneva una piccola valigia di pelle simile a una borsa da medico e nell’altra una scatola color crema larga e piatta, chiusa da un nastro di raso rosso.
Buon giorno magnifica, sublime Cordula Kerschbaumer,” la salutò. Aveva la voce bassa e un’inflessione vagamente straniera, forse russa o ungherese.
Cordula sorrise. “Magnifica? Chi è lei, signore, che mi rivolge questo appellativo?”
L’uomo alzò le sopracciglia e rispose: “Oh, Divina, io sono un suo grandissimo ammiratore, finora non mi sono perso uno solo dei suoi spettacoli. Lei non sa che piacere e che onore sia poterle parlare di persona.” Abbassò il tono e proseguì: “Da indiscrezioni so che dovrebbe presto tornare a Berlino. È vero, per caso?”
La ragazza lo fissò stupita. “Oh, ma… chi gliel’ha detto?”
Un mio buon amico, che l’aspetta con ansia: il signor König.”
Lei è amico del signor König?”
L’uomo annuì. “Direi che ci conosciamo da anni.”
Viene allo Schatztruhe qualche volta?”
Direi che lì sono di casa, mia cara. Gliel’ho detto: non ho perso uno solo dei suoi spettacoli.”
Strano, non l’ho mai vista,” rispose Cordula perplessa.
L’altro sorrise con una vaga nota di indulgenza. “Si vede che non ci ha mai fatto caso, mia cara.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Del resto, è naturale: è lei che guardano tutti, non certo il sottoscritto.”
Oh, lei è un signore molto distinto,” si affrettò ad assicurargli la ragazza. “Davvero, sembra un attore del cinema.”
Oh, no. È lei la stella, signorina Kerschbaumer.”
L’uomo le porse poi la scatola legata dal nastro rosso e disse: “Questo è un modesto segno della mia stima, Divina.”
Cordula riconobbe il nome della pasticceria migliore di Berlino. A Gladbeck non c’era nulla che somigliasse neppure lontanamente a uno degli squisiti cioccolatini che sicuramente c'erano in quella scatola, per cui assunse un’espressione estasiata e rispose: “Oh, grazie, la mia marca preferita. Lei è veramente gentile.”
Omaggi del genere saranno all’ordine del giorno, se lei tornerà a Berlino,” le fece sapere il misterioso signore.
Davvero?”
Può starne certa.” L’uomo tirò fuori un orologio dalla tasca del panciotto, sollevò le sopracciglia e disse: “Ora però devo andare. Si ricordi, Divina: se tornerà a Berlino, sarò pronto ad attenderla!”
Con un ultimo cenno di saluto si incamminò per la strada.
Cordula lo seguì per un po’ con lo sguardo, poi tornò in casa, corse nella sua camera e aprì la scatola: magnifiche praline a forma di piccola mela, di sontuoso, dolcissimo cioccolato al latte, profumate all’aroma di mandorla.

A Bochum, l’uomo con la borsa da medico scese dall’autobus che proveniva da Gladbeck e si diresse verso la stazione. Una volta entrato nell’atrio si avvicinò alle toilette e quando fu certo che nessuno lo stesse guardando, si infilò in quella delle donne.
Cinque minuti dopo, uscì dalla stessa porta una signora alta e snella, pallida e dalla chioma fulva, con un tailleur scuro. Portava un cappello a cloche ornato di piume e una borsetta di coccodrillo.
La signora prese il treno per Berlino.
A Berlino scese dal treno una signora dai capelli neri, pettinata à la garçonne, con un vestito intero e una pochette di raso, che subito salì su un taxi e si allontanò facendo perdere le proprie tracce.

§

Gerhold irruppe correndo in cucina ed esclamò: “Signora Staerkel, corra, presto! Cordula sta male!”
Trude sussultò e poco mancò che lasciasse cadere il piatto che stava asciugando. “Sta male?” ripeté spaventata. “Che cos’ha?”
Corra!”
Il minatore si lanciò fuori dalla cucina e raggiunse la camera della ragazza.
Quando Trude lo raggiunse, lo spettacolo era dei più orribili. Gli altri sei fratelli Zwerg erano addossati alle pareti, inorriditi e dal primo all'ultimo paralizzati dalla paura. Al centro della stanza, sul pavimento, Cordula, scarmigliata e sporca, giaceva in una pozza di vomito alla quale costantemente aggiungeva nuovo materiale, scossa da conati che la facevano contorcere di dolore. Il fetore era insopportabile.
Che cos’ha?” osò chiedere Gerhold.
Berthold lanciò un’occhiata torva a una scatola di cioccolatini quasi vuota. “Avrà fatto indigestione, ecco che cos’ha.”
Ma i sintomi sembravano ben più gravi, rispetto a una comune indigestione, tanto che nella generale costernazione, per la prima volta si fece udire la voce di Claus: “Chiamiamo il dottore?”
Il dottore fu prontamente chiamato.
La paziente nel frattempo aveva continuato a contorcersi in preda a conati sempre più violenti: ormai aveva gli occhi iniettati di sangue per lo sforzo e a ogni contrazione dello stomaco emetteva pietosi gemiti da animale agonizzante.
Sarà necessario un ricovero,” sentenziò il medico.
No! Devo andare a...” balbettò Cordula, ma un conato particolarmente violento troncò il resto della frase.
Cercando di evitare le pozze di vomito, Trude si chinò accanto a lei. “E dove vuoi andare, cara? Non vedi come stai male?”
Devo...”
Perse i sensi.

§

Il signor König fissò alternativamente il figlio e il signor Spiegel, quindi in tono risentito chiese: “E allora, questa giovane e bellissima cantante?”
Florian ritirò appena la testa fra le spalle. “Avrà avuto un contrattempo,” mormorò.
Si è fatta sentire?”
Il ragazzo si limitò ad abbassare lo sguardo.
E tu l’hai chiamata?”
Non ce l’ho il suo telefono, mi chiamava sempre lei.”
Insomma, ragiona!” sbottò König. “Muoviamo mari e monti per darle il numero centrale, ci prepariamo a mandare a casa una stella come Regine per dare il suo posto a lei e questa non si presenta e non avvisa nemmeno?”
Potrebbe esserle successo qualcosa.”
Sì, che avrà trovato un ingaggio più interessante. Io l’avevo detto subito che non c’era da fidarsi.”
I tre si fissarono costernati. “Che facciamo adesso?” chiese König.
Prese la parola il signor Spiegel: “Non facciamo proprio niente. Ufficialmente non deve tornare nessuna cantante, quindi Regine continuerà a fare il suo numero come al solito.” Fece una pausa, durante la quale stese una mano per afferrare la bottiglia di whiskey, quindi soggiunse: “Finché dura, ovviamente.”
Certo, finché dura,” fece eco König. Recuperò un bicchiere dal carrello che si trovava alle sue spalle e lo tese a Spiegel per farselo riempire.
Florian fissò i due, quindi chiese: “Ed è tutto?”
Il genitore si voltò verso di lui. “Come sarebbe a dire?”
Una ragazza è scomparsa senza dare più notizie di sé, potrebbe essere morta o morente e voi ve ne fregate?”
Fu Spiegel a rispondere: “Sai come si dice, no? Lo spettacolo deve andare avanti. Il Truhe dà lavoro a decine di persone, la cosa più importante è che funzioni, e che funzioni bene. Poi ci sarà tempo per capire cos’è successo alla Kerschbaumer.”
E se fosse morta?” insisté Florian.
Più probabilmente avrà trovato un posto che le piace di più e ha tagliato la corda prima di impegnarsi con noi.”
Non ci credo. Non Cordula.”
E perché non Cordula?”
Florian rinunciò a rispondere. In realtà non lo sapeva perché. Forse perché Cora era ragazza a posto, o magari perché non voleva ammettere che forse della ragazza a posto aveva solo l'aspetto e lui aveva preso una cantonata. Si alzò e andò alla finestra. Stavano già calando le prime ombre della sera e lungo i viali cominciavano ad accendersi i lampioni. Ripensò alla prima volta che l'aveva accompagnata a casa, rievocò il tragitto in macchina, la salita lungo rampe di scale rischiarate solo dal debole riverbero dell’illuminazione esterna... D’improvviso aggrottò le sopracciglia: senza che se ne rendesse conto, il ricordo era scivolato verso quello della prima volta che aveva visto Jäger e i due episodi si stavano allegramente mischiando, per cui vedeva se stesso salire lungo le scale dell’appartamento di Cora, ma in compagnia di Erich Jäger, e alla fine lo salutava con il bacio che avrebbe tanto voluto dare a Cordula prima di rientrare al Truhe.
Constatò smarrito che l’immagine gli aveva fatto correre lungo la schiena brividi sulla cui natura preferì non indagare. Si passò una mano sulla fronte e per un attimo fu tentato di versarsi anche lui un bicchiere di whiskey.

§

Sdraiata in un lettino tutto bianco, in una stanzetta dell’ospedale di Bochum, Cordula rifletteva. Il medico che l’aveva curata era stato chiaro: ipecacuana. La sostanza, le aveva spiegato, era un potente emetico, che assunto a dosi alte poteva anche causare danni letali.
Il farmaco era stato rinvenuto nei cioccolatini e naturalmente non poteva esserci finito per caso.
Ripensò al misterioso uomo dall’accento russo. Presa dall’entusiasmo non ci aveva nemmeno fatto caso, ma era mai possibile che un ammiratore segreto, sapendo che stava per tornare allo Schatztruhe, si sobbarcasse il viaggio fino a Gladbeck per portarle una scatola di cioccolatini?
Omaggi del genere saranno all’ordine del giorno, se lei tornerà a Berlino.
Ecco che quella frase assumeva di colpo un significato del tutto nuovo e sinistro.
Chiuse gli occhi e sollevò a fatica una mano per passarsela sul viso. Non ci voleva un genio per capire cosa sarebbe successo se fosse tornata a Berlino. Forse l’avrebbe scampata la prima volta, magari anche la seconda, ma la terza?
Emise un sospiro sconsolato e giunse alla conclusione che quell'uomo forse non era un uomo. O meglio, lo era ma generalmente vestiva da donna.
Rammentò il sinistro ammonimento che le aveva rivolto prima di andarsene: Si ricordi, Divina: se tornerà a Berlino, sarò pronto ad attenderla.
Lì per lì l’aveva preso per il complimento di un ammiratore un po’ eccentrico, ma ecco che sapendo chi era veramente la persona che le aveva rivolto quella frase, essa acquistava di colpo tutt’altro significato.
Era ancora immersa in quei tormentosi pensieri quando si fece udire in corridoio qualcosa che ricordava la corsa di un branco di bufali.
Udì un’infermiera dire: “Non più di dieci minuti, non deve stancarsi.”
Subito dopo la porta si aprì e comparve sulla soglia zia Trude. Alle sue spalle, i sette fratelli Zwerg facevano del loro meglio per riuscire a dare un’occhiata nella stanza.
Bambina!” esclamò la donna, rivolgendole uno sguardo accorato.
Sto bene, zia Trude,” mormorò Cordula.
Bene? Ma, bambina mia, ho sentito quello che hanno detto i dottori: qualcuno ha cercato di avvelenarti! Signore Iddio!”
La donna si avvicinò al letto, afferrò una sedia e si sedette accanto a lei. Le ghermì una mano e la strinse fra le proprie. Subito dopo i minatori, uno dopo l’altro, si pigiarono nella piccola camera. Tutti rimasero a guardarla con l’espressione afflitta e il cappello premuto sul petto.
Signorina Cordula, siamo stati così in pena,” le confidò Dieter.
La ragazza gli rivolse un pallido sorriso. “Ora sto un po’ meglio, non si preoccupi.”
Bah, mangiare tutti quei cioccolatini,” brontolò Berthold. “Ma le pare una cosa sensata da fare?”
Dieter gli sferrò una gomitata.
Ahia!” protestò l’altro, poi aggiunse: “Ci siamo preoccupati, ecco. Non faccia mai più una cosa del genere, ha capito?”
Gerhold, che con la sua mole sembrava addirittura oscurare la luce che proveniva dalla finestra, sorrise e disse: “Presto tornerà a stare bene, non è vero, signorina Cordula?”
Peter represse uno sbadiglio, quindi replicò: “Ma certo che starà bene. Deve solo riposare un po’.”
Martin, rosso come un peperone, scivolò alle spalle degli altri per non farsi vedere. Eberhard a sua volta rinculò per soffiarsi il naso con discrezione. In uno dei suoi rarissimi momenti di loquacità, Claus disse: “Torni presto a casa, signorina.”
Cordula si accorse di avere le lacrime agli occhi, e non per quello che le era successo.
Certo,” mormorò, “appena starò bene tornerò a casa.”
In quel momento entrò l’infermiera e disse: “Ora basta, devo chiedere ai signori di uscire: la signorina Kerschbaumer ha bisogno di riposare.”
L’avevo detto, io, che era solo questione di riposo,” commentò Peter a mezza voce.

§

Lo squillo del telefono fece quasi sussultare Florian. Lesto, il ragazzo si avventò sulla cornetta, la sollevò ed esclamò: “Schatztruhe, parla König.”
Sono Cora.”
Egli sentì il cuore balzargli nel petto. “Cora? Ma dov’eri, cos’è successo? Perché non sei venuta?”
Dall’altra parte del filo si sentì una lieve risata, poi la ragazza disse: “Devo restare qui, Florian. Zia Trude ha bisogno di me.”
A quelle parole, il giovanotto trasecolò. “Cosa?” boccheggiò, sperando di non aver capito bene.
Devo restare,” rispose invece Cordula, “qui c’è parecchio da fare e la zia comincia ad avere una certa età.”
Ma...” A Florian pareva che il mondo gli stesse crollando addosso. “Ma se è quello il problema, Cora, coi soldi che guadagnerai cantando al Truhe potrai pagarle dieci donne di servizio, a tua zia! Potrai pagarle un intero stuolo di domestici, potrai farla vivere nel lusso.”
A zia Trude piacciono le cose semplici e non vuole estranei per casa. Staremo qui io e lei.”
Cora!” esclamò il ragazzo, col tono che avrebbe usato per chiamare aiuto.
Sì?”
Cora, ma tu hai una carriera a cui pensare, hai un futuro. Non puoi mandare tutto all’aria per fare le pulizie in una pensione.”
Ho scoperto che anche a me piacciono le cose semplici, Florian. Abbi cura di te.”

Cordula riattaccò con fare pensoso. Non era poi così vero che amasse le cose semplici. O meglio, amava semplicemente il lusso e semplicemente la fama, ma senz'altro era meglio essere certa di vivere nella pensione di zia Trude che rischiare di morire nella città del vizio e del divertimento.
E poi, comunque, la Ruhr era vicino alla Francia, e in Francia c'era Parigi, la Ville Lumière. A Parigi c'erano locali famosissimi come Moulin Rouge e Folies Bergère.
Certo, avrebbe dovuto cambiarsi il nome, in Francia non avrebbero gradito molto una tedesca di nome Cordula Kerschbaumer. Ragionò sul nome d'arte da adottare e lo sguardo le cadde sulla vetrina dei liquori, che zia Trude teneva gelosamente chiusa a chiave. All'interno del mobile faceva bella mostra di sé una bottiglia di acquavite di ciliegie.
Sorrise con la soddisfazione dell'illuminazione raggiunta e ad alta voce disse: “Cora Kirsch!” E poi pensò: Cora Kirsch, la grandissima artista, direttamente dai cabaret di Berlino, Cora Kirsch la Divina, Cora Kirsch...
La voce di zia Trude la riportò bruscamente alla realtà: “Cora! Hai messo a scaldare la zuppa di cipolle?”
La ragazza emise un sospiro e scuotendo la testa abbandonò il salotto.

§

Florian rimase impietrito con la cornetta in mano, incapace anche del più piccolo movimento. Gli sembrava di essere appena piombato in un incubo, tutto il castello di progetti che aveva edificato sul ritorno di Cordula a Berlino si era appena sgretolato.
Dal telefono proveniva il segnale di linea libera. Chiuse maldestramente la comunicazione, quasi facendo cadere la cornetta dalla forcella, poi si passò una mano sugli occhi e la ritrasse umida. Arretrò a passi malfermi, come un ubriaco.
Abbandonò lo studio del padre, percorse il corridoio e imboccò la scala che portava alla sala centrale. Il locale stava aprendo e gli avventori vi si riversavano chiacchierando e ridendo fra loro. Tra la gente vestita a festa c'era un'aria di allegra aspettativa, tutti sembravano spensierati e felici. Si appoggiò a una colonna per non essere d'intralcio alla fiumana in entrata e tenendosi in disparte rimase a guardare la folla stranito, come se stesse assistendo a qualche strana danza tribale di cui non riusciva a cogliere il significato.
Una voce lo fece sussultare: “Lei qui, Florian?”
Il ragazzo si girò e riconobbe l'uomo in piedi davanti a lui. “Buona sera, signor Jäger,” lo salutò con voce spenta.
La prego, mi chiami Erich.”
Florian chinò la testa e mormorò: “D'accordo: Erich.”
L'altro si piegò per catturare il suo sguardo. Lo fissò attento, aggrottando appena le sopracciglia, poi gli chiese: “C'è qualcosa che non va, Florian?” Sollevò una mano e gliela posò sulla spalla.
Il ragazzo non riuscì a impedirsi di annuire.
Vuoi parlarmene?”
Florian registrò che l'altro gli aveva appena dato del tu e la cosa, invece di sembrargli una mancanza di rispetto, gli diede un dolce senso di calore.
Con la mano libera, Erich gli sollevò delicatamente il mento ed egli si trovò a fissare i suoi occhi, verdi, screziati di grigio e in quel momento anche velati di apprensione. “Ti preoccupi per me?” gli chiese.
Sì.”
I volti si avvicinarono.
Davvero?” sussurrò Florian. Deglutì mentre sentiva il cuore balzargli nel petto. Forse avrebbe dovuto tirarsi indietro, liberarsi da quell'abbraccio che si stava facendo sempre più intimo, ma era come se qualcosa gli impedisse di muoversi. L’immagine di Cora in abiti di scena, fino a quel momento così vivida nella sua mente, si stava facendo sbiadita come un abito lavato troppe volte. Socchiuse gli occhi. “Erich,” mormorò, praticamente contro le sue labbra.
Mio principe,” rispose l'altro.
Come in una vertigine, Florian si sentì spingere all'indietro, via dagli sguardi indiscreti. Si abbandonò fra le sue braccia e le loro bocche si unirono in un lungo bacio.

§

Il pubblico era in delirio, le acclamazioni facevano letteralmente tremare i lampadari di cristallo del Truhe. Sul palco piovevano fiori.
Sola nel cerchio di luce dell'occhio di bue, fasciata in un lungo abito di lamè argentato, Regine si inchinava e mandava baci.
Seduti a un tavolino proprio sotto il palco, Erich e Florian si scambiarono un'occhiata.
È un trionfo,” disse il primo.
L'altro fece un lieve sorriso e rispose: “Già.” Spinse la mano fino a sfiorare la sua.
Erich si piegò per toccarlo con la spalla, quindi con voce sommessa gli chiese: “Stai bene, ora, mio principe?”
Florian annuì. “Sì, perché ci sei tu.”

E vissero (quasi) tutti felici e contenti.






   
 
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