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Autore: elfin emrys    16/01/2019    5 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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I Grant - Capitolo 1
 
Non era passato un giorno che Merlin aveva visto una nuova striscia di fumo nel cielo. Il mago sospirò amaramente e continuò a raccogliere mirtilli. Ne aveva trovato una distesa, una specie di prateria di bacche quasi in cima alla montagna, e tutto quel verde e quel blu scendeva giù, tanto che sembrava dovesse arrivare a valle da un momento all’altro. Il cielo era azzurro e Merlin aveva incontrato pochi animali per strada, perché sapeva essere periodo di caccia per le popolazioni.
Drizzò il capo, tentando di sentire i canti, per capire quale tribù stesse celebrando il funerale di cui vedeva il fumo. Strinse le labbra. Negli ultimi tempi, qualcosa si stava muovendo fra i boschi, i villaggi, le macerie delle antiche città. Sempre più spesso Merlin si sentiva chiamato nelle foreste da gente che cercava lo stregone che si diceva vivesse nelle selve. Aveva dovuto cambiare sembianze, ritornare al suo aspetto giovane, per quanto questo gli facesse male ogni volta che si rifletteva su un ruscello o un laghetto, o sul coltello che portava al fianco. Doveva ammettere che c’era stato un lungo periodo di pace dopo… quello che era successo. Tuttavia, ecco che da qualche mese Merlin aveva cominciato a vedere pire funerarie sempre più presenti, urli di caccia e di battaglia stavano iniziando a saettare nell’aria, tanto da farsi sentire fin dentro le caverne dove, a volte, si rifugiava.
Merlin aspettava e aspettava. Nella sua vita lunga, immortale, aveva visto più di quanto avrebbe mai voluto vedere e aveva atteso più di quanto avrebbe mai potuto auspicarsi. Aveva sognato spesso il ritorno di Arthur e i suoi sentimenti erano stati altalenanti, incoerenti.
La prima volta che ci aveva davvero sperato con tutto se stesso, era stato alla caduta di Camelot, quando, alla morte di Gwen, i nobili si spartirono il regno, combattendo gli uni contro gli altri. In seguito, era stato un continuo sperare e risperare, promettersi di non farlo più e ogni volta ricascarci. Con la Prima Guerra Mondiale ne era stato quasi certo, ma era passata e nulla era avvenuto. Con la Seconda, Merlin si era arrabbiato, ma Arthur non era tornato. Poi era arrivata la Terza, poi la Quarta e alla fine poco o niente era rimasto del mondo che era stato costruito. Il mago non era neppure certo di quanti anni fossero passati da quell’ultima guerra.
L’unica cosa di cui era certo era che quell’epoca, quasi selvaggia rispetto a quella che l’aveva preceduta, gli riportava ricordi strazianti e ormai molto –troppo- lontani. E che per quanto la gente parlasse di lui, per quanto si trovasse costretto, quelle poche volte in cui veniva trovato (o si faceva trovare), ad ascoltare ancora i problemi del mondo, ormai, a lui, della Terra non gliene poteva più importare nulla.
C’era stata la sua epoca del dolore. Poi, quella della speranza. L’epoca della rabbia era durata troppo poco. Dopo, c’era stata quella dell’indifferenza.
Ma in quegli ultimi anni, Merlin non sentiva nient’altro che attesa.
Forse, qualcosa si era definitivamente rotto dentro di lui, o forse si era semplicemente arreso all’evidenza, non lo sapeva e, comunque, ormai contava poco.
Il mago mise l’ultimo mirtillo nel contenitore che continuava a portarsi in giro, poi ne prese qualcun altro in mano per mangiarne un po’ mentre riscendeva e si allontanò dalla distesa di bacche, camminando sempre più giù.
La grotta dove doveva rifugiarsi era poco lontano e la raggiunse in meno di una mezzora. I muschi che crescevano nella sua profondità erano molto rari e utili per le medicazioni… inoltre, si doveva nascondere, in qualche modo, dalla popolazione. Arrivato di fronte alla caverna, accese una sfera di luce, che però si spense immediatamente. Riprovò e questa volta sembrò andare bene, quindi cominciò ad avanzare nell’oscurità della spelonca, cercando un posto idoneo per la notte.
Continuò a camminare per molto tempo, prima di ritrovarsi un lago sotterraneo davanti ai piedi. Alzò lo sguardo, aspettandosi del panico che non arrivò. Osservò il mezzo del lago da lontano, come aspettandosi di vederci qualcosa (magari una torre spezzata ergersi come una meridiana rotta) e, stancamente, si sedette alla riva, sentendo gli occhi riempirsi (ancora e ancora e ancora) di lacrime.
Si sdraiò, lasciandosi andare sulla roccia umida e osservò il soffitto, tentò di vederci un cielo, scuro per la notte imminente. Chiuse gli occhi, senza neanche asciugarsi le guance.
Sperò di riuscire ad addormentarsi.
 
Si risvegliò sudato, ancora più stanco di quando si era sdraiato. Merlin si passò una mano sulla fronte e si guardò intorno con fatica. La sfera luminosa si rifletteva sul lago placidamente, come fosse stata la luna. Sarebbe stata una notte molto bella, luminosa e calda. Il mago chiuse gli occhi e deglutì, poi si rimise in cammino velocemente. Erano ormai molti giorni che non riusciva a dormire bene a causa dei suoi continui incubi. Trovarsi fra le braccia Arthur, così freddo, così rigido, sempre, ogni volta che chiudeva gli occhi, era qualcosa che non gli succedeva da secoli.
Merlin strinse le labbra, sentendo il dolore al petto scemare e il respiro tornare regolare.
Agli inizi, quando ancora Camelot era in piedi, gli era sembrato di vederlo anche da sveglio. Apriva gli occhi, nel suo giaciglio, e lo vedeva, appeso sopra di lui, bianco, le sue labbra viola e i suoi occhi vitrei, e il panico lo invadeva perché non riusciva a muovere nulla, come se il suo intero corpo fosse bloccato, inerme, paralizzato come se anche lui, senza saperlo, fosse un cadavere. Quello, tuttavia, era stato tanto tempo prima. Merlin si aspettava che da un momento all’altro quegli incubi a occhi aperti ricominciassero, ma ancora non era successo.
Sussultò, vedendo finalmente il muschio sulle pareti, e prese un coltellino per iniziare a staccarlo dalla roccia. Lo osservò attentamente, per assicurarsi non si trattasse di un gemello, quasi uguale all’apparenza ma senza alcuna proprietà o, addirittura, nocivo. Soddisfatto, iniziò a metterselo nella bisaccia, concentrandosi su ogni singolo pezzo. Alla luce del sole avrebbe fatto un lavoro più accurato, ma era importante che ne avesse abbastanza. Non era un viaggio lungo, ma Merlin odiava scendere fino a là, odiava il fastidio che sentiva alle orecchie e la difficoltà ad abituare gli occhi al buio. Senza contare l’umidità, che nei periodi in cui preferiva un aspetto da anziano gli faceva sentire un forte dolore alle ossa.
-Qua e là… va e sta…
Cominciò a canticchiare stancamente, risalendo fino in superficie. Non si sarebbe fermato neanche per dormire per tornare all’aria aperta. Il mago si trovò a sorridere, ricordandosi di quando si vestiva da “se stesso” ad Halloween e si regalava una notte di divertimento totale perché nessuno si sarebbe stupito di qualche semplice trucco di magia fatto da un vecchio in costume.
Fu con quei pensieri che superò il lago sotterraneo e con altri analoghi, ridendo da solo ai suoi stessi aneddoti e continuando a mangiare mirtilli, che raggiunse, anche se a stento, l’uscita dalla grotta. Si sedette sull’erba e guardò in alto, vedendo che era notte e che ci aveva messo una giornata intera a uscire dal punto dove era arrivato. Chiuse gli occhi per godersi la brezza estiva sul viso.
Alzò pigramente le palpebre, sentendosi cullato dalle cicale. Il cielo era come un manto blu, scuro e pesante, incastonato di gemme. Era bello e le labbra si stesero; lui, intorpidito, incrociò le mani per mettersele dietro il capo, sdraiandosi totalmente fra l’erba. Era una notte pacifica.
Improvvisamente, vide una striscia di fuoco in cielo. In un primo momento, pensò a una stella cadente, ma era troppo grande, tanto vicina da poter vedere le fiamme. La fissò a occhi spalancati e ne seguì il percorso. La meteora tagliò il cielo in due.
Non riuscì ad arrivare a terra, probabilmente. Non ci fu alcun botto, semplicemente sembrò spegnersi dopo un tragitto molto lungo. Merlin si accorse in quel momento del vociare lontano che stava riecheggiando nella foresta: evidentemente, una sentinella aveva visto la meteora e aveva avvertito la tribù. Dopo qualche secondo, senza alcun preavviso, Merlin si ritrovò per aria e non fece neanche in tempo a capire quello che stesse succedendo che ricadde a terra con un tonfo. Ora, il vociare soffuso era diventato urla. Il mago si rotolò nell’erba, cercando di pensare se fosse possibile che in realtà la meteora fosse precipitata o fosse solo una coincidenza e aveva assistito a una semplice scossa di terremoto. Cercò di rialzarsi, ma gli ci volle qualche secondo di troppo a causa del forte dolore sul braccio dove era caduto. Si alzò a fatica e dondolò, non riuscendo a reggersi bene. Si mise una mano sulla testa, stordito, e batté le palpebre per rimettere a fuoco l’erba.
Cos’era stato? Merlin ne aveva vissuti di eventi naturali, ma quello, nella sua quasi normalità era stato sorprendente. L’aveva totalmente colto alla sprovvista e si sentiva per questo confuso, frastornato…
Alzò il capo e lo girò, come ad ascoltare meglio i rumori che sentiva provenire dalla foresta, poi guardò il cielo, aggrottando le sopracciglia.
Ciò che aveva turbato gli uomini e gli animali era stata la meteora, era stato il terremoto, per quanto lieve. Ciò che aveva turbato il mago era, semplicemente, che non li aveva visti arrivare.
 
Era da tempo nascosto fra i cespugli quando sentì una nuova scossa. Ce n’erano state tantissime da quella notte di tre giorni prima e cose strane erano iniziate ad accadere. La gente di ogni tribù aveva iniziato a cercare maghi, indovini o sacerdoti per cercare di capire la ragione di quegli eventi. Qualche scienziato pure era stato chiamato, ma a poco valeva la loro conoscenza senza una strumentazione adatta e quella, ormai, era andata persa molti, molti anni prima. Merlin, quindi, aveva deciso di celarsi per non dover rispondere alle domande che, sicuramente, gli sarebbero state poste, per il semplice motivo che… non avrebbe saputo cosa dire.
Era sconvolto almeno quanto la popolazione normale da quello cui stava assistendo in quei giorni. Erano tutte cose che, prese singolarmente, non avevano un peso particolare, né avevano portato tragedie o disturbi eccessivi, ma messi tutti insieme, invece, stavano creando una grande confusione e, soprattutto, grandi dispute interne. Merlin sapeva bene che ogni singolo problema di ciascuna tribù era stato sviscerato fuori dagli avvenimenti di quegli ultimi giorni.
Non era stata la meteora a farlo, e neanche la prima scossa, non fu la seconda o la terza… ma quando arrivò la quarta e la quinta, e aveva iniziato a nevicare (ed era estate!), e la notte erano cominciate a scendere stelle cadenti a manciate, sciami interi che sembrava il cielo stesse per cadere… allora, la gente aveva cominciato ad agitarsi davvero.
Merlin si appiattì ancora meglio contro il tronco dell’albero, guardando in basso, attraverso i rami, due esploratori passare, chiacchierando fra loro.
-Lo sciamano non si fa vedere.
-Quelli della tribù Donald lo stavano cercando qui proprio perché qualcuno l’aveva avvistato. Quindi deve essere in zona.
-Ma se non l’hanno trovato loro, perché dovremmo trovarlo noi?
-Pensavo davvero ci avrebbero mandato a chiamare qualcun altro, ma non avevo il coraggio di chiedere… questo qui non si fa trovare mai quando serve.
-L’altro più vicino è già nel villaggio dei Macbeth.
-E quello che abita nelle rovine della Città Vecchia?
Uno dei due esploratori rise.
-Perché, tu ci saresti andato dopo quello che abbiamo saputo?
-Solo voci.
-Hanno detto un mostro che sputava fuoco e…
-Sì, ma non sono stati i nostri a dircelo, ma i Niall! Che, guarda caso, sono rimasti senza sciamano, né nulla! Secondo me ce l’hanno detto solo per impedire ci andassimo noi per primi.
-Loro sono più vicini.
-Sì, ma hanno cavalli che sono lenti da diventarci vecchi in sella.
-Anche questo è vero.
-Sono stati fortunati i Lamont, te lo dico io. Dicono che la figlia di una delle loro lavandaie abbia acceso delle luci la notte con la forza del pensiero. Quella diventerà un’ottima sciamana, e questo è quanto.
Un esploratore si poggiò al tronco dell’albero su cui si era nascosto Merlin e quest’ultimo alzò gli occhi al cielo. Si guardò intorno, per quanto possibile, e decise di far smuovere un cespuglio abbastanza in là da farli allontanare. Guardò attentamente l’arbusto e pronunciò, sottovoce, l’incantesimo.
-Pare i suoi occhi diventino dor-Cosa è stato?
Merlin li vide guardare nella stessa direzione e tentennò prima di far muovere un altro cespuglio. I due si diedero una gomitata di intesa e partirono all’inseguimento. Il mago attese qualche minuto prima di scendere dall’albero. Ci si appoggiò, alzando il capo, e iniziò a riflettere. Quando li stava sentendo parlare, alcune delle cose che avevano detto avevano fatto tremare il suo cuore. Di mostri sputafuoco ce n’erano stati tanti e si era sempre trattato di semplici leggende o, peggio ancora, di truffe, quindi una parte di sé si era trattenuta molto bene a sentire quelle parole, ma… ma l’ultima cosa che avevano detto…
Merlin aggrottò le sopracciglia, tenendo gli occhi chiusi. Non ne aveva mai sentiti di maghi dagli occhi dorati. Possibile? Possibile che tutti quegli eventi naturali stessero segnando il ritorno della magia? In fondo, avrebbe avuto addirittura senso, o era solo la sua mente molto vecchia a illudersi?
Avrebbe dovuto far visita ai Lamont?
Merlin scosse la testa e iniziò a dirigersi nella direzione opposta, ma dopo pochi passi si rigirò.
In fondo, il villaggio dei Lamont non era lontano da lì…
Sospirando e dandosi dell’idiota, l’uomo ritornò indietro, verso la sua nuova meta.
 
Non c’era neanche stato bisogno di presentarsi al capo tribù per capire che i due esploratori non avevano raccontato una menzogna. Merlin, con l’intero corpo che fremeva, tremava tanto forte da far male, aveva sentito fin da fuori l’alto steccato del luogo che là vi risiedeva qualcuno che aveva il dono. L’idea lo aveva fatto quasi piangere e per diversi minuti, forse addirittura un’ora intera, era rimasto lì, nascosto, a contemplare quella novità tanto inaspettata quanto gradita.
Aveva visto la magia sparire dal mondo, lentamente, ma inesorabilmente, molto tempo prima. Non era stato solo a causa dell’intensificazione in ogni regno delle purghe, no, era stato come addormentarsi, come se la natura stessa delle cose avesse iniziato ad assopirsi. Dopo qualche secolo, già Merlin si era reso conto che i suoi stessi poteri sembravano come intorpiditi e fare un qualunque incantesimo che non fosse semplice gli valeva un grandissimo sforzo.
Ne aveva sofferto, perché dopo il pensiero di Arthur la sola cosa che lo manteneva al mondo, l’unica che faceva ancora in modo rimanesse se stesso, erano i suoi poteri. Aveva sentito come se, spariti quelli, nulla sarebbe rimasto di lui. Tuttavia, la magia non era scomparsa del tutto, non l’aveva mai abbandonato totalmente, era sempre rimasta lì, a volte troppo silenziosa, ma comunque presente.
In quel momento, mentre osservava lo steccato che delimitava il villaggio, si sentì grato al mondo per quella che gli sembrò una grazia improvvisa.
 
Stava tornato al lago senza pensarci su, quasi saltando per strada, e ormai si stava facendo notte. Pensò che il giorno era stato insolitamente breve per la stagione, tanto che il corpo percepiva quell’oscurità anticipata come estranea. Non trovò altri esploratori per strada, solo qualche uomo della tribù dei Niall che aveva sforato il territorio alla ricerca, probabilmente, di qualche bacca o radice in più, e Merlin arrivò presto ad Avalon. La torre si rifletteva, scura, sull’acqua del lago e lo stregone iniziò a seguire la costa per arrivare dall’altra parte, nel luogo che, poche notti prima, gli era sembrato che la meteora avesse indicato, anche se non sapeva se si sarebbe assopito presto. Troppa era l’emozione di aver trovato una giovane strega e si ripromise di tenerla d’occhio, anche se da lontano, per non ostacolarne la crescita. Quel mondo era tanto simile a quello in cui lui era nato, eppure era straordinariamente diverso, a causa dei rimasugli dei secoli precedenti, dominati dalle grandi città e dalla continua ricerca del nuovo.
Merlin iniziò a canticchiare sottovoce, sorridendo inconsciamente.
Si guardò intorno, riconoscendo un luogo adatto ad accamparsi e si sedette sull’erba, poggiando la schiena contro il tronco di uno degli ultimi alberi della foresta, che si sporgevano di più verso il lago. Lasciò che la testa scivolasse all’indietro e le palpebre calarono pigramente. Forse per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, non aveva paura di addormentarsi.
 
Si svegliò per il freddo. Quando aprì gli occhi, per qualche secondo pensò di averli ancora chiusi. Era la notte più buia che avesse mai visto e faceva paura. L’aria era gelida e in cielo non c’era nessuna luna, nessuna stella. Era come essere coperti da un grande, immenso velo nero. Non si sentiva un singolo rumore dal bosco e, forse, era questo quello che faceva più paura: era come se ogni cosa si fosse ritirata per indicare un pericolo.
Merlin si maledì per non aver acceso un fuoco, ignorando gli strani avvenimenti di quegli ultimi giorni, e si diede dell’idiota. Si guardò intorno e, lentamente, indolenzito, accese una piccola luce nella sua mano. Tremò inconsciamente, avendo paura di cosa avrebbe potuto vedere al chiarore del suo incantesimo, ma si rasserenò quando vide che tutto, in realtà, sembrava normale.
Sempre che, improvvisamente, non arrivassero delle falene enormi a mangiarlo. Rabbrividì al pensiero stupido e si disse che era da tempo che non vedeva un film.
Se aguzzava la vista poteva intravedere le acque placide del lago. Parevano immobili e opache, come gelate, e Merlin si disse che, fra tutti gli avvenimenti curiosi che erano avvenuti, quello era il più strano. Respirò piano, notò che dalla sua bocca usciva del vapore.
Si guardò intorno. Le mani si muovevano lentamente e il mago decise di agire.
-Forbaerne yfel.
Subito un cerchio di fuoco gli apparve intorno. Sorrise al pensiero che la sua magia sembrava essersi svegliata e si sedette in mezzo all’anello di fiamme. Guardò nuovamente in alto, ma la luce del falò si perdeva subito in mezzo a quel buio sconfinato. Cominciò a contare i secondi, poi i minuti, poi le ore e nulla accadde.
Capì che l’alba doveva essere già arrivata, eppure niente sembrava scuotere quella densa cortina di oscurità. Merlin si chiese se ovunque potevano farne esperienza e se le tribù stessero tutte bene. Provò a chiamare a gran voce se ci fosse qualcuno, ma nessuno rispose.
La notte sembrava eterna e pareva tanto più vasta perché né suono né luce sembravano propagarcisi. Il mago seppe fin dentro le ossa che poteva chiamare, urlare, muoversi, accendere luci, addirittura appiccare incendi e non avrebbe ottenuto alcuna reazione. Sotto certi punti di vista, pensò amaramente, era una situazione che gli era familiare. Tentò di addormentarsi, allora, per fare in modo che il tempo gli passasse più velocemente, ma qualcosa gli impediva di farlo, un tremolio che gli veniva da in fondo alla mente e che gli sussurrava costantemente “Veglia”.
Tante volte guardò in alto senza vedere alcuna alba, ma se c’era qualcosa che aveva imparato in tutti quei secoli era la pazienza, perciò restò in mezzo al cerchio di fuoco che aveva creato ad attendere che qualcosa accadesse.
Quando gli sembrò di vedere, in lontananza, un lieve bagliore, spense le fiamme e si mise a osservarlo trepidante. Presto quello che sembrava a malapena un riflesso divenne raggi e, quando il sole cominciò ad apparire da in fondo al lago, la torre di Avalon ne segnava il mezzo, come a spartire le acque. La luce accarezzò gentilmente gli alberi, le onde morbide e Merlin si chinò a toccare l’erba. Si morse le labbra sentendo che non vi era rugiada.
Sentì un gemito. Alzò il capo, guardando verso il lago, e sentì ogni muscolo del corpo gelare. La figura di un uomo stava in piedi sulla riva e il sole che sorgeva stava riflettendo qualcosa –metallo- sulle sue spalle.
-A… Arthur?
Merlin si ritrovò a camminare incontro alla figura febbrilmente, tanto da inciampare  un paio di volte in quei pochi metri, tanto da arrivarci quasi a gattoni.
-Arthur…
L’altro alzò gli occhi, la sua pelle bianca che stava riiniziando a prendere colore e le sue labbra viola, bagnate, che si aprivano a stento, cercando di parlare. I suoi occhi, blu e liquidi, però, lo avevano riconosciuto e l’uomo –il re ritornato- posò una mano fredda sul suo zigomo, le dita gelate fra i suoi capelli neri.
-Mer…
Il mago, l’intero corpo che tremava, lo abbracciò. Lo abbracciò forte, come se avesse paura che scomparisse da un momento all’altro, beandosi del calore che sentiva ritornare nelle sue membra, ora flessibili, ora vive.
Pianse.
E si sorprese quando scoprì di avere ancora lacrime disponibili.
Pianse e le sue lacrime si mischiarono con l’acqua del lago che ancora gocciolava dai vestiti e dall’armatura dell’altro.
Pianse più forte, quando Arthur (perché era lui, era lui, dèi misericordiosi, ed era lì) gli avvolse un braccio intorno alla spalla e quando sentì il gorgogliare del suo collo, in una risata un po’ roca.
Quasi gridò quando l’altro, non sapeva quanto consciamente, affondò il naso nei suoi capelli, il suo respiro caldo e profondo sulla sua cute. Merlin non si ricordava neppure di aver mai urlato per il dolore in vita sua, ma quella sorta di ululato che gli uscì dalla gola, finalmente libera, finalmente aperta, se lo sarebbe ricordato per sempre.
Perché Merlin l’aveva aspettato, l’aveva aspettato più di quanto avrebbe fatto chiunque altro, più di quanto fosse sano, più di quanto fosse giusto. E l’aveva fatto con tutto l’amore che possedeva.
 
Note di Elfin
Tempo fa dissi di aver iniziato una one-shot PostApocalypse!Post5x13 Merthur… dissi che però, forse, sarebbero diventati tre capitoli. Bene, questa ff è Revolution Roots e ora è una long :3
O meglio, ancora non lo è. Infatti sono andata già parecchio avanti, ma, per la prima volta dopo tanto tempo, ho deciso di iniziare a mettere una ff senza prima averla completata. Semplicemente perché non ho idea di quando la finirò e non voglio che mi stia lì fino a marcire, ahahah. Insomma, molte cose anche successive sono già scritte e già decise, però voglio vedere come mi va “a braccio” e linearmente…
"Ma cosa vuol dire 'I Grant, capitolo 1'?", lo scoprirete solo vivendo.
“Sì, ma… Eleanor?”. Bella domanda, giuro che è fatta in realtà e che la metterò entro la fine di gennaio.
Prendo un momento per ringraziare Flitwick, che ha recensito “Pensieri Sparsi di Arthur Pendragon”, visto che non l’ho potuto fare nelle note di quella ff.
Ditemi che ne pensate, invece, di questa storia :)
Kiss
   
 
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