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Autore: pattydcm    17/01/2019    4 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buonasera a tutti!
Eccoci giunti al penultimo capitolo di questa long. Il prossimo sarà l’ultimo e lo posterò nei prossimi giorni (ho troppi impegni e non so dire quando, ma sicuramente entro domenica). Spero possa essere di vostro gradimento e, come sempre, leggerò con piacere le vostre recensioni.
Buona lettura.
A presto
Patty
 
6 dicembre
 
John avanza piano lungo il corridoio. I suoi passi risuonano e rimbombano, annunciando la sua presenza in maniera sfacciata. Il rumore lo infastidisce. Vorrebbe potersi togliere le scarpe e procedere scalzo, ma non crede sia la migliore delle cose presentarsi dinanzi ad un’assassina con indosso solo i calzettoni.
<< E’ sicuro di voler andare là? >> gli aveva chiesto Hataway storcendo il naso. I manicomi penitenziari non godono di ottima fama e certo si sarebbe volentieri risparmiato il viaggio. Doveva, però, togliersi un dubbio, anche se adesso è talmente nervoso che gli sfugge quale sia.
Aveva tenuto tra le mani quei registri. Semplici quaderni a righe dalla copertina rigida. Ad aprirli gli erano sembrati innocuamente fitti dei dati di una prima nota. Solo quando aveva portato l’attenzione a cosa vi fosse stato annotato gli è passata la voglia persino di respirare.
<< 10 dicembre 1999. Reginald Connery. 38 anni. Celibe. Nessun parente vivente. Frattura esposta di tibia e perone. Prelevati 20.000 £ dal suo conto corrente e 4 titoli azionari ben quotati. Liquidato in data 30 dicembre 1999 >>.
Ce n’erano tante di note simili. Nomi di uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di ritrovarsi colti da un incidente su quelle montagne e tratti in salvo dalle persone sbagliate. Solo chi non aveva nessuno che potesse denunciarne la sparizione veniva ‘liquidato’, come la signora Abbott annotava diligentemente. E sconvolge rendersi conto di quante persone sole ci siano al mondo. Sì, perché quella macabra attività sembrava essere stata iniziata negli anni ’90 del secolo scorso e da allora aveva causato la morte di 35 persone. Per nessuna di queste era stata, in effetti, denunciata la scomparsa.
C’erano anche degli altri registri, quelli sui quali venivano annotati i ricoveri delle persone del posto e degli stranieri che, invece, qualcuno ad attenderli ce l’avevano. La signora Abbott aveva annotato le ‘gentili donazioni’, come le aveva chiamate, di queste persone. Hataway ne aveva ricontattate alcune, che avevano avuto solo parole di gratitudine per ‘quella famiglia così gentile che si è presa cura di me, salvandomi la vita’.
Punti di vista diversi, certo, che hanno fatto la differenza tra la famiglia di benefattori e quella di folli assassini. Spietati killer che non si facevano problemi a gettare un uomo ancora vivo, seppure stremato, in una fossa, lasciando che il freddo, la fame e gli stenti ponessero fine alla sua esistenza.
John giunge dinanzi alla porta indicata. Dall’oblò sbircia l’interno di una grande sala dove ci sono diverse donne. Alcune sedute attorno a dei tavoli, altre in piedi a parlottare in gruppo, altre da sole. Mary si staglia alta e possente tra tutte le altre. Indossa la divisa azzurra data in dotazione dalla struttura e che le sta decisamente stretta e corta di maniche e gambe.
John suona alla porta e una guardia compare all’oblò, gli scocca un’occhiataccia e apre la porta.
<< Sono il dottor John Watson, sono stato autorizzato dall’ispettore Hataway a incontrare la detenuta Mary Abbott >> si presenta mostrando il foglio consegnatogli dallo scettico detective. La guardia controlla il documento minuziosamente e poi azionando l’interfono convoca Mary nella stanza numero 5.
<< Lei si accomodi da questa parte >> gli dice, indicandogli una porta con lo stesso numero alla sua destra. Il dottore entra in questa stanza quattro per quattro dalle pareti grigie e spoglie. Un tavolo quadrato è posto al centro esatto con una sedia molto semplice per lato.
“Questo posto mette i brividi quasi peggio di casa sua” pensa John al quale improvvisamente manca l’aria.
Entrare in casa Abbott la seconda volta era stato paradossalmente più inquietante che la prima. Quella prima volta era spinto dal desiderio di salvare Sherlock e dalla convinzione di stare andando nel posto nel quale lo avrebbe ritrovato. Certo il dettaglio dell’eccessiva pulizia, dell’ordine maniacale e del vuoto spettrale lo aveva notato. Ieri, quanto è tornato per portare avanti le indagini iniziate da Sherlock, si è chiesto come si potesse vivere da soli in un simile posto e non impazzire. A dirla tutta si è chiesto come si potesse vivere in un simile posto e non impazzire, punto.
I registri erano in quella che è stata la camera da letto di quella donna. Una stanza che non deve essere molto diversa da quella nella quale dorme ora. Un letto semplice, un armadio da poco, una vecchia scrivania, pochi effetti personali, pochi vestiti e tutti sdruciti e vecchi di molti anni. Da l’idea di non aver avuto mai nulla, Mary Abbott. Nulla, salvo cinque bambole. Erano ferme in bella posa l’una accanto all’altra sul davanzale della finestra. Bambole di porcellana dai vestiti antichi e ben lavorati, con gli occhi vitrei, le guance rosa e le labbra a cuore. Manco a dirlo contribuivano a rendere ancora più inquietante l’ambiente. Dovevano essere state le sue compagne in quelle lunghe giornate trascorse isolate da ogni forma di vita senziente. A John si era stretto il cuore e non si era capacitato di come potesse provare tenerezza e pena per colei che ha quasi ucciso l’uomo che ama.
“Mi hai insegnato una cosa nuova Sherlock, l’ennesima!” pensa sospirando ora che la porta dinanzi a lui si apre e fa il suo ingresso, accompagnata da un'altra guardia, Mary Abbott.
Lo guarda a lungo, il volto inespressivo e le grosse braccia ferme lungo i fianchi.
<< Siediti! >> le ordina la guardia indicandole la seggiola, prima di portarsi alla parete contro la quale si appoggia. Mary non esegue l’ordine. Si avvicina alla sedia ma resta in piedi, gli occhi fissi su John.
<< Buongiorno, Mary, sono John Watson. Ci siamo incontrati davanti all’emporio di Jo qualche giorno fa’, non so se si ricorda di me >>.
La donna stringe appena gli occhi come volesse metterlo meglio a fuoco.
<< Il coinquilino >> dice.
<< Sì, sono il coinquilino di Sherlock Holmes. Sono qui perché voglio parlarle dell’indagine che lui stava portando avanti e che è passata a me, almeno finchè lui non sarà in grado di riprenderla. Che ne dice ci accomodiamo? >> le propone spostando la seggiola. La donna lo imita e si siede subito dopo di lui.
<< Sono stato a casa sua ieri >> dice John scegliendo bene le parole. Non vuole darle modo di inalberarsi e rischiare di essere punita dalla guardia che non le toglie lo sguardo severo di dosso.
<< Perché? >> domanda lei e nessuna espressione le si disegna sul viso.
<< Sherlock si è risvegliato gridando di doverla salvare e che lei aveva bisogno del suo aiuto. Ho imparato lavorando con lui che tutte le decisioni che prende e le idee che gli saltano alla testa hanno un senso. Se ha detto che lei necessita del suo aiuto allora deve avere delle buone ragioni e io ho scoperto quali sono queste ragioni >>.
Non si aspettava di vederle fare salti di gioia all’idea di essere tirata fuori da lì. Anzi, si era aspettato proprio che non reagisse come ora non sta reagendo. Non sa neppure cosa possa aver capito quella donna della situazione che si è delineata attorno a lei e ai suoi danni. Non ha un avvocato, ad esempio né lei, ovviamente, lo ha chiesto. Quello assegnato d’ufficio arriverà solo tra tre giorni, dio solo sa perché. A conti fatti potrebbe davvero succederle di tutto tra l’indifferenza generale di chi le sta accanto.
<< E chi ci dice che non fosse lei a minacciare i genitori costringendoli a uccidere quella gente? >> aveva ribattuto Hataway quando John gli aveva presentato i registri ritrovati, facendogli presente di come fossero stati i genitori e i fratelli a dare inizio a quella lunga serie di omicidi. Se addirittura l’ispettore capo del piccolo distretto del suo paese le da contro, additandola come unica responsabile dei fatti, quali possibilità può avere una donna come questa di ottenere la giusta pena?
“Per fortuna hai incontrato Sherlock sulla tua strada” si trova a pensare John, rendendosi conto di quanto sia assurdo ciò che sta penando.
Posa sul tavolo uno dei registri che ha portato via da casa sua e questo sembra causare una minima reazione in Mary. Sgrana gli occhi, infatti, e si sposta leggermente indietro. La guardia, per contro, si fa leggermente avanti.
<< Questo registro è stato redatto da tua madre >>.
<< Sì >> risponde immediatamente, lo sguardo fisso sul quaderno. << Perché lo hai preso? >> gli chiede guardandolo storto.
<< Per salvarti, Mary >> tenta di spiegarle John, ma la donna lo guarda confusa. << Vogliono dare a te la colpa di aver ucciso tutta quella gente >>.
<< Tutta quella gente >> ripete atona, tornando priva di espressione.
<< Sì. So, invece, che non sei stata tu. Eri troppo piccola quando gli omicidi sono iniziati, non puoi averne preso parte >>.
La donna resta in silenzio per un lungo istante. Poi il suo sguardo cambia. Gli occhi sembrano velarsi e resta immobile, totalmente immobile, come non respirasse nemmeno. Infine si scuote e John rivede gli occhi della bambina che gli ha rivelato dove ‘l’altra’ avesse condotto Sherlock.
<< Come sta Edward? >> gli chiede sporgendosi verso di lui, una nota di pianto nella voce.
<< Edward… >> ripete John, che ci mette un attimo a ricordarsi che il suo amico agiva in incognito. << Lui sta bene >>.
<< Oddio grazie! >> esclama Mary facendo il segno della croce. Porta le mani al volto e grandi, lente lacrime iniziano a rigarle il viso. << La coperta lo ha salvato. È stata lei, non è vero? >> gli chiede speranzosa.
<< Sì. E’ servita, sì >> mente John, riluttante a distruggere le speranze di quella creatura.
<< Sapevo che ho fatto bene a convincerla! >> esclama battendo le mani l’una contro l’altra. << Molly è con lui, ora? >> gli chiede e John tutto si aspettava tranne che tirasse in ballo la patologa del Bart’s.
<< Molly? >>.
<< Sì, Molly, la sua fidanzata! Lui aveva capito che quella voleva ucciderlo. Lui capisce tutto, sembra un mago! >> lo informa stupita. << Aveva detto che Molly si sarebbe trovata un altro capace di amarla più di lui, ma io non l’ho trovato giusto. Avrebbe pianto tanto e non volevo che piangesse. Piangono tanto le donne, lo vedo sempre alla televisione. Allora ho cercato di salvarlo per Molly >>.
<< Lo hai salvato per Molly >> ripete John che lotta per non ridere in modo isterico.
<< Sì. Si amano tanto. Da due anni. Ma tu sei il coinquilino quindi lo sai. Molly non è come quella megera di Johanna >>.
<< Johanna? >> ripete confuso da quell’insalata di parole alle quali non riesce a dare un senso.
<< Oh, sì, forse tu non c’eri ancora quando c’era lei. L’ha trattato mooolto male >>. Si avvicina a lui guardando di sottecchi la guardia, e porta la mano vicino alla bocca. << Lo ha usato solo per il sesso  >> gli sussurra confidandogli un segreto importantissimo.
John sente i visceri contorcersi e un forte senso di nausea salire alla gola. Una parte di sé cerca di rifiutare la comprensione che gli sta giungendo delle parole di questa donna.
<< L’altra pensava che tu e lui steste insieme. Lo ha picchiato taaaanto il primo giorno >> confessa triste, confermando la sua intuizione. Johanna non è altri che lui. Sherlock ha dovuto mutare al femminile il suo nome per poterle raccontare di come lo abbia usato. Perché si sia lasciato andare a simili confidenze non lo comprende. Forse lei lo ha in qualche modo minacciato, oppure… oppure, più semplicemente, nell’assurdità di quanto stava vivendo ha sentito il bisogno di sfogarsi con qualcuno. Certo Sherlock non è tipo da andare a raccontare i fatti suoi in giro, ma John stesso si sta rendendo conto di quanto questa versione bambina di Mary sia dolce, accogliente e protettiva. E si rende conto, anche, di come si sia infatuata del consulente investigativo, al punto da odiare con tutta se stessa la megera che ha osato fargli del male.
<< Mary… ti rendi conto di essere nei guai? >> le chiede diretto e la donna si stringe nelle spalle.
<< Io… volevo solo che la smettessero >> sussurra fecendosi piccola piccola. << Io mi occupavo di quelli che poi lasciavano andare. Papà non voleva mi avvicinassi agli altri, diceva che sono così scema che potevo metterli nei guai. Quando è caduto dalle scale ed è morto ho pensato che sarebbe tutto finito, che non avremmo avuto più tutta quella gente per casa e nemmeno avrebbero più buttato via quelli soli nella fossa. Invece, Freddie ne ha trovato un altro e mamma gli ha detto che potevano farlo. Era un vecchietto simpatico. Volevo portarlo di nascosto all’ispettore, ma quando Oliver mi ha scoperta me ne hanno date tante tutti e quattro e mamma stava lì a guardare, poi mi hanno chiusa nello stanzino e stavo pure io per morirci lì. Ho sempre avuto paura che avrebbero portato anche me a quella fossa >>.
John ha l’addome contratto e la pelle d’oca. È terribile quanto questa bambina gli sta raccontando tra le lacrime. Volge lo sguardo verso la guardia, alla ricerca di un sostegno, ma trova solo uno sguardo arcigno e disinteressato in quella donna. Si rende conto, il dottore, di quanto grave sia la situazione. Più grave di quanto immaginasse.
<< Perché hai portato Sher… Edward alla fossa, Mary? >>.
<< Oh, ma non l’ho portato io! >> esclama piantando le mani enormi sul tavolo. << No, io non lo avrei mai fatto. È stata lei. È tanto più forte di me, lei, e mi chiude nello stanzino per tanto tempo >>.
John sospira e posa le sue mani piccole su quelle di lei.
<< Non sono autorizzati contatti! >> esclama la guardia, alla quale scocca un’occhiataccia. Non vuole, però, mettere nei guai Mary, che guarda spaventata la donna severa che la sta privando di questo semplice gesto di consolazione.
<< Mary, farò il possibile per aiutarti, ma ti incrimineranno comunque per aver ucciso i tuoi fratelli e tua madre >> le dice e lei scoppia in lacrime. Stropiccia gli occhi prima di nascondere il viso con le mani.
<< Sono loro i cattivi, perché se la prendono con me? Se la sono sempre presa con me. Mi hanno fatto fare tanti esami, tante punture e hanno detto, tutti quei medici, che la mia testa non va bene. A nessuno, però, è venuto in mente che forse quella matta, come diceva Jason, non sono io. Che loro che uccidevano la gente lo erano più di me. Io sono scema, sì, ma non sono matta e non sono un’assassina! >> esclama decisa tirando su col naso.
John non sa cosa ribattere. È una situazione delicata che dovrebbe essere gestita con delicatezza, ma basta guardarsi attorno per capire che non c’è alcun spazio per la delicatezza tra quelle mura. La imbottiranno di farmaci e la lasceranno morire lentamente. Si rende conto che anche mettendo in moto tutte le conoscenze che sia lui che Sherlock possono avere e pagando i migliori avvocati la situazione non potrà essere diversa da quella, anche riuscissero a farla accusare dei soli omicidi dei familiari.
<< Mi dispiace, Mary >> gli dice. La donna gli sorride e scuote piano il capo.
<< Non fa niente >> sussurra facendo spallucce. << La cosa importante è che Edward sia vivo, che possa sposare Molly e avere tanti bambini bellissimi. È un lieto fine. Mi commuovono tanto >>.
John sorride e qualche lacrima sfugge al suo controllo. Un lieto fine, già. Un finale lieto per una storia inesistente costruita ad hoc per la mente sconvolta di una donna sola. Una bugia che sarebbe crudele toglierle.
 
***
 
Sherlock apre gli occhi lentamente. La luce presente nella stanza gli ferisce gli occhi. Storce il naso sbuffando. La sua disapprovazione non passa inosservata e le luci vengono abbassate. Incoraggiato dalla penombra apre le palpebre e incontra suo fratello, seduto sulla sedia al suo fianco.
<< Finalmente sei sveglio >> gli dice e le labbra si distendono a disegnare un sorriso. Strano. Se Mycroft gli sorride vuol dire che se l’è vista davvero brutta.
<< Quanto ho dormito? >> gli chiede sentendo la bocca impastata e la voce così diversa.
<< Abbastanza >> risponde il fratello avvicinandogli alle labbra un bicchiere d’acqua fresca dal quale prende qualche sorso.
<< Quella roba doveva essere tagliata male >> biascica passando una mano che sente pesantissima sul viso.
<< Dove credi di trovarti, Sherlock? >> gli domanda Mycroft cogliendolo di sorpresa. Lo guarda più attentamente per poi volgere lo sguardo alla stanza. Improvvisamente il ricordo di quanto ha vissuto gli esplode agli occhi della mente.
<< Mary! >> esclama mettendosi a sedere troppo in fretta. Un capogiro lo costringe a tornare giù. << Cristo, per un attimo ho pensato di essermi appena ripreso da un’overdose >>.
<< Da un’overdose, no. Da una crisi dì astinenza, sì >> precisa suo fratello porgendogli altra acqua.
<< Morfina >> dice tra i denti mandando giù il sorso ristoratore. << Non avrei voluto prenderla, ma avevo bisogno di restare lucido. La gamba mi ha dato notevoli problemi. A dirla tutta me ne da ancora adesso >> dice portando la mano alla coscia destra dove, al di là del ginocchio, sente salire un dolore sordo.
<< Il medico aspetta solo che ti riprenda del tutto dalla morfina per operarti e mettere a posto la frattura >>.
<< E’ necessario? >> .
<< No se vuoi restare zoppo per il resto dei tuoi giorni >> risponde Mycroft. Sherlock dapprima storce il naso poi, però, si lascia andare ad una grassa risata.
<< No, grazie, non ci tengo a girare con un bastone come John >>.
Si interrompe e lo sguardo si posa sulla sedia vuota dall’altra parte del letto.
<< E’ rimasto al tuo fianco dal momento in cui ti ha tratto in salvo fino a ieri >> lo informa il fratello. << Dopo che ti sei svegliato e hai invocato il nome della tua carceriera, adducendo la volontà di correre in suo aiuto, ha lasciato questa stanza dicendo di dover concludere l’indagine che avevi aperto riguardo alla fossa. Continuava a dire che se dicevi di volerla aiutare doveva esserci un motivo più che valido >>.
<< E c’è, infatti >> ribadisce Sherlock. << Mary non ha ucciso tutta quella gente, solo i fratelli e la madre >>.
<< Avrebbe ucciso anche te se John non fosse stato prima col fiato sul collo a quell’assurdo ispettore e poi determinato a raggiungere la fossa dopo che quella donna aveva detto di avertici buttato dentro >>.
<< Non lei. Non sarebbe stata lei ad uccidermi >>.
<< Sì, in effetti potremmo dire che sarebbe stato il freddo ad ucciderti. Che il lavoro gli sarebbe stato reso più facile dal fatto che eri nudo, avvolto da una semplice coperta, è solo un dettaglio trascurabile >>.
Sherlock ride nuovamente di gusto. La saliva gli va per traverso facendolo tossire e Mycroft, scocciato dal suo atteggiamento, in verità, gli porge dell’altra acqua.
<< Perché vuoi aiutare quella donna, Sherlock? >> gli chiede Mycroft che fatica davvero a capirlo.
<< Perché rischia di subire l’ennesima ingiustizia >> risponde serio. << Ha posto fine alla vita di cinque assassini. Dovrebbero darle una medaglia >>.
<< Stava per uccidere anche te, fratellino >>.
<< Ti ho già detto che non sarebbe stata lei ad uccidermi. Mary bambina non potrebbe farlo >>.
<< Ma ti stai ascoltando? ‘Mary bambina’ >> ripete esterrefatto. << Non importa se una personalità sola di quella donna voleva ucciderti. L’azione è stata portata da lei, indipendentemente da quale personalità governasse le sue azioni >>.
<< E quindi è giusto condannare la personalità innocente per quanto ha fatto quella assassina? >>.
<< Ma… non ha senso >>.
<< Ecco, infatti, non ha senso! >> esclama Sherlock impuntandosi << ‘Agire sotto uno stato alterato di coscienza’, questa formuletta è un’attenuante anche per il più efferato degli omicidi. Poco importa se la persona ha la coscienza alterata da una droga, dall’alcool o dalla schizofrenia >>.
<< Sarà comunque condannata >>.
<< Certo, ha commesso degli omicidi e deve pagare, ma un conto è aver ucciso cinque persone, ree di averne assassinate 35 e usato ogni tipo di violenza su di lei, un altro essere accusate del pacchetto completo, Mycroft! >>.
L’uomo di ghiaccio sospira e scuote rassegnato il capo.
<< Io so solo che ti ha gettato via come fossi immondizia. So che potrei essere in un obitorio a riconoscere il tuo corpo privo di vita, in questo momento, anziché qui >>.
<< Stai cercando di dirmi che la mia morte ti avrebbe fatto soffrire? >> ridacchia nel tentativo di spezzare l’imbarazzo causato dalle parole del fratello.
<< Sì >> risponde lui serio. << Ho sempre cercato di proteggerti e questa volta sono stato così stupido da non vedere subito quanto delicata fosse la situazione. Ho pensato fossi andato via per fare dispetto a John e invece… >>.
<< Ora sei tu che dici cose che non hanno senso! >> esclama infastidito. << Io che vado via per fare dispetto a John >> ripete canzonandolo. << Non sono certo io quello che ha fatto ‘un dispetto’ >> sottolinea incrociando le braccia al petto.
<< Conti di tagliarlo fuori dalla tua vita? >> gli domanda diretto Mycroft. Sherlock sospira. Si rende conto che è giunto il momento di affrontare davvero quanto è accaduto e soprattutto ciò che prova. Ci ha girato attorno nei giorni trascorsi segregato in quella casa e persino mentre era lì a congelare in quella fossa. Ora non può più restare nel luogo sicuro che è il suo Mind Palace.
<< Ricordi cosa mi disse papà la sera in cui scappai di casa? >>.
<< Fin troppo bene >> sospira Mycroft, che sembra proprio voler ricordare tutto tranne che quello.
<< Non ti ho mai chiesto se la pensi come lui a riguardo >> gli chiede scoccandogli appena un’occhiata. Scopre di non riuscire a sostenere lo sguardo di suo fratello in questo momento.
<< Sulla prostituzione, intendi? >>.
<< Sai bene cosa intendo >> ribatte, infastidito dal suo dover specificare l’ovvio.
<< So che non sei quel che lui aveva detto tu fossi. Che non lo hai mai fatto allo scopo di guadagnarti qualcosa >>.
<< Sembri molto convinto di questo >>.
<< Lo sono, sì. Nostro padre era… era… >>.
<< Un pazzo assassino >> conclude lui, guardandolo negli occhi. Mycroft sostiene il suo sguardo, poi prende un sospiro e lo distoglie.
<< Sì >> annuisce, lasciandolo senza parole. Benchè non abbia mai apertamente intessuto le lodi del padre, Mycroft ci ha sempre tenuto al buon nome degli Holmes. Quell’ammissione Sherlock non se l’aspettava.
<< Anche il padre di Mary lo era. E i fratelli e la madre. Una parte di lei ne è rimasta contagiata e ha sviluppato quella personalità violenta e assassina. Mi sono chiesto se posseggo anche io da qualche parte qualcosa di simile e l’ho trovato, sai? >> gli dice stringendo la coperta con la mano. << Moriarty è comparso spesso tra i miei pensieri. Mi ha parlato, mi spronava a ucciderla per salvarmi. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di seguire il suo consiglio e se non l’ho fatto è stato solo perché la voce di John mi ha aiutato a desistere >>.
<< Parli di voci, fratellino? >> .
<< Non sono pazzo, Mycroft, sai bene come funziona un Mind Palace. Persino tu mi sei venuto in aiuto. Mi hai spronato a rivivere quella scena, quel terribile momento in cui sono dovuto scappare da lui per la seconda volta >>.
Mycroft posa la sua mano calda e asciutta su quella di lui che convulsa stringe il lenzuolo.
<< A lungo mi sono chiesto quando sarebbe arrivato il momento in cui avresti rivissuto i traumi della tua infanzia e giovinezza. Dovevi imbatterti in una donna sventurata e folle per farlo >>.
<< A quanto pare >>. Sherlock lascia andare la coperta e stringe la mano del fratello. << Sei sempre stato al mio fianco ad ogni risveglio da quei viaggi spaventosi che compivo negli abissi del mio inconscio >> gli sorride vedendolo arrossire appena sulle guance pallide.
<< Questa volta non sono stato solo >> dice, volgendo lo sguardo alla sedia vuota. << Non volevo considerare davvero la possibilità che tu fossi scomparso. Non potevo credere ci fosse dietro qualcosa di così folle. John, invece, non ci ha pensato su nemmeno per un istante. È rimasto aggrappato alla convinzione che tu fossi vivo, sempre >>.
<< Perché mi parli di lui? >> gli chiede infastidito.
<< Perché ha sbagliato, è vero. Ha commesso una leggerezza ignobile, ma ci tiene sinceramente a te, Sherlock >>.
<< No, ti fa solo comodo mi faccia da badante >> dice allontanando la mano dalla sua.
<< Sherlock >> insiste il fratello, catturando la mano in fuga. << E’ possibile che tu non abbia capito di che pasta è fatto l’uomo di cui ti sei innamorato? >>.
Ancora una volta Sherlock resta senza parole. Una vampata di calore sente esplodere in viso e immagina di essere arrossito come una scolaretta, cosa che lo irrita ancora di più.
<< Mi ha trattato come una puttana, Mycroft. Non puoi neppure immaginare come ci si senta >> sussurra, la voce rotta dal pianto che si sforza di domare.
<< Ha cercato di proteggerti, invece. Sa bene quanto disastroso sia nelle relazioni e, pur di evitare di farti del male in futuro, ha preferito concluderla sul nascere >>.
<< Sta zitto! >> esclama e il cardiofrequenzimetro inizia a suonare. << Cosa vuoi saperne tu di come funzionano le relazioni? Non hai fatto altro che incoraggiarmi a stare lontano da qualunque forma di coinvolgimento emotivo e fisico con chiunque! Non accetto lezioni di alcun tipo da te su questo genere di cose >>.
La porta si apre ed entra nella stanza John, trafelato e preoccupato.
<< Ehi, che succede? >> chiede portandosi vicino a Sherlock. Guarda il cardiofrequenzimetro e gli prende il polso.
<< Stavamo solo parlando >> gli risponde Mycroft.
<< Non deve assolutamente alterarsi, Myc. Non voglio che gli sparino in vena altro sedativo, non ora che finalmente si è svegliato >> dice sorridendogli.
Sherlock distoglie lo sguardo dal suo e, in modo deciso, libera il polso dalla sua stretta.
<< Sto bene >> dice.
<< Ne sono felice >> ribatte John.
Restano in silenzio. Un silenzio carico di imbarazzante tensione. Il cardiofrequenzimetro rivela quanto forte gli batta il cuore e Sherlock vorrebbe strapparsi gli elettrodi dal petto. Non sopporta di sentirsi così a nudo, non dinanzi a John e persino a suo fratello.
<< Ho incontrato Mary >> gli dice il dottore riconquistando la sua attenzione. << Io… ho pensato che il tuo continuare a dire di doverla aiutare non fosse un delirio. Sono andato a casa sua, ieri, e ho trovato tanti quaderni come questo >> dice porgendo uno dei registri a Sherlock. Questi si tira su a sedere e sfoglia il quaderno.
<< Sì, Mary me li aveva mostrati. Il giorno prima che l’altra mi portasse alla fossa. Avevo già capito che con gli altri omicidi lei non c’entrava nulla. Questi me ne hanno dato la prova >>.
<< Sì >> annuisce John. << Non è lei la seriale. Non so, però, quanto imputarle i soli omicidi dei fratelli e della madre potranno cambiare la sua pena >>.
<< Lei non li ha uccisi. Li ha giustiziati >> precisa Sherlock.
<< E come pensi che questo possa fare la differenza agli occhi di un giudice? >> gli domanda Mycroft, sfogliando il registro. << Se esiste una legge è per impedire che ci si faccia giustizia da soli, fratellino >>.
<< Lo so bene, fratello >> ribatte stizzito. << Mary, però, non aveva altro modo se non farsi giustizia da sé. Hataway non le avrebbe creduto e chiedere il suo aiuto l’avrebbe solo portata ad essere gettata nella fossa per aver rischiato di rovinare gli affari di famiglia. Quel matto del fratello maggiore, Freddie, non faceva altro che minacciarla dicendole così >>.
<< Resta il fatto che ha tentato di uccidere anche te, dimostrando di essere un potenziale pericolo e di poter aver preso parte a qualcuno degli omicidi perpetrati dai familiari >> ribatte spietato Mycroft.
<< No, non lo avrebbe mai fatto! >> esclama Sherlock e il cardiofrequenzimetro trilla nuovamente. << Io sono stato la prima persona che ha tratto in salvo dopo che ha eliminato la famiglia. E’ impossibile pensare che non abbia introiettato parte dei comportamenti che per tutta la vita ha visto mettere in atto da loro. Questi hanno preso corpo in questa personalità crudele, fatta di pregiudizi e comportamenti violenti, gli stessi che subiva lei. Mary lotta in continuazione con questa parte. Abbiamo trascorso lunghi giorni insieme, io e lei, senza che la Mary cattiva si palesasse. Avevamo trovato una sorta di equilibrio e sono sicuro che se non ci fosse stata la bufera ad impedirlo mi avrebbe portato da Hataway >>.
<< Allora perché quando ha incontrato l’ispettore, John e Greg all’emporio non ha detto loro nulla? >> domanda Mycroft, che sembra non volerne sapere di rinunciare alle sue idee.
<< Perché io le ho mentito >> ribatte Sherlock. << Ho sbagliato a mentirle, avrei dovuto dirle fin da subito chi sono >>.
<< Così ti avrebbe ucciso subito >>.
<< No, Mycroft, lo avrebbe portato quanto prima da Hataway >> si intromette John. << Uccidevano coloro che erano soli. Se gli avesse detto di essere stato mandato lì per un’indagine non ci avrebbe neppure provato a derubarlo e ucciderlo, come erano soliti fare i suoi familiari. Scoprirsi presa in giro l’ha fatta infuriare >>.
<< Già >> annuisce Sherlock. << E la furia le ha fatto perdere di vista il pericolo nel quale si sarebbe messa uccidendomi. Mary non è riuscita a farla ragionare. La parte cattiva è pura follia >>.
<< E’ questo che farai, allora? >> gli chiede Mycroft. << Ti addosserai la colpa di quanto ha fatto, dicendo di aver sbagliato a mentirle? >>.
<< Se questo servirà ad attenuare la pena sono pronto a farlo >>.
<< E’ assurdo >> scuote il capo Mycroft incredulo. << E’ meglio che vada ad avvisare il medico del tuo risveglio e a chiedergli quando ha intenzione di operarti. Se resto qui un minuto di più so che quel macchinario prenderà a suonare di nuovo >> dice alzandosi dalla sedia.
Sherlock e John lo guardano andare via e quando la porta si chiude alle spalle di Mycroft si ritrovano in un silenzio carico di tensione.
<< Pensi che davvero si riuscirà ad aiutarla in qualche modo >> domanda John, rompendo il silenzio.
<< Voglio almeno provarci >>.
<< Sì. pensavo solo che sarebbe meglio se non scoprisse che le hai mentito anche su Molly >> gli dice riportandogli alla mente quel particolare che ha tanto facilmente dimenticato. << Lei è davvero felice di averti salvato e ti immagina ora con lei al tuo fianco, pronti a convolare a giuste nozze. Si è creata questo lieto fine e sarebbe brutto rovinarglielo >>.
Sherlock scuote il capo e passa la mano sul viso.
<< Quell’assurda storia! >> esclama scuotendo il capo.
<< L’hai dovuta inventare per evitare ti uccidesse  >>.
<< Sì >> ammette. << Mary cattiva è un’omofoba convinta e parecchio aggressiva. Penso che dovrei ringraziare Molly. È solo grazie a lei che mi sono aggiudicato le attenzioni di Mary bambina, infondo >>.
<< Oh, penso che sapere che hai detto a qualcuno che siete fidanzati e in procinto di sposarvi la renderebbe davvero felice, sì >>.
<< Oh, ti prego >> esclama Sherlock alzando gli occhi al cielo.
<< Quella Johanna, invece… >> .
Sherlock sente il corpo percorso da mille spilli che lo pungono contemporaneamente. Scocca appena un’occhiata a John per poi distogliere lo sguardo .
<< Ti ha… ti ha parlato di… >>.
<< Di me, sì >> conclude John. << Ovviamente lei non sapeva che fossi io, in realtà, la megera che ti ha usato solo per il sesso. Penso che se lo avesse scoperto non sarei uscito vivo da quel manicomio >> dice abbozzando una risatina.
I loro sguardi si incontrano e John torna subito serio. Tossicchia un po’ e raddrizza la schiena.
<< Sono stato uno stronzo, Sherlock >> sussurra. << Io… potessi tornare indietro non direi nulla, nemmeno una delle parole assurde che ho detto domenica mattina. Io… ho dato un calcio alla cosa più bella che mi sia mai capitata e mi dispiace. Vorrei chiederti di perdonarmi e darmi una seconda possibilità, ma… cristo, io stesso non me la darei. Ho temuto di perderti. È stato bruttissimo >> dice cacciando giù il magone. << Sono felice di saperti vivo e… questo mi basta >>.
Il silenzio cala sulle parole bisbigliate del dottore. Sherlock non sa cosa ribattere, non sa se ribattere.
<< Hai risolto il caso. Perché? >> gli chiede spostando l’argomento su qualcosa di più confortevole per lui.
<< Perché ti ho visto così convinto nel tuo desiderio di aiutare quella donna. L’ho trovato strano, ma ho pensato che dovevi avere le tue buone ragioni >>.
<< Sì, le ho >> ribatte lui deciso. << Perché hai permesso ai tuoi amici di condurmi al pub? Perché, se sapevi che avrebbero finito col farmi bere e mettermi in imbarazzo? Quel Bryan… avevo le sue mani dappertutto, ma tu non hai alzato un dito. Come posso pensare che tu ci tenga a me, che non sia stata davvero un’avventura mossa dall’alcol? >> dice tutto d’un fiato, sentendo ora l’impellente bisogno di chiarimenti. John umetta le labbra e sposta il peso da un piede all’altro, nervoso.
<< Io… mi piaceva l’idea di averti con me in una situazione che non comportasse indagini e omicidi. Di essere insieme come due amici in un pub davanti ad una birra. Tutte le volte in cui ho provato a coinvolgerti per una delle uscite solite con Greg non c’è stato verso di convincerti. Lo vedevo che Bryan stava esagerando, ma non sono riuscito a fermarlo. Mi dava fastidio vedere come ti stava addosso e alla fine ti ho trascinato via perché ne avevo abbastanza. Mi sono reso conto troppo tardi di aver fatto un terribile sbaglio. Non ti ho protetto, me ne rendo conto, e non ho scusanti. Anche per aver… per non essermi fermato pur sapendoti ubriaco non ho scusanti >>.
<< No, non ne hai >> sottolinea, vedendo il capo di John chinarsi ancora di più. << Io… mi sono sentito usato >>.
<< Non era mia intenzione >> .
<< Allora perché mi hai detto quelle cose? >>.
<< Perché ho avuto paura >>.
<< Di cosa? >>.
<< Di te >>.
Sherlock resta senza parole. Aveva già valutato nel suo Mind Palace quella possibilità, accennata anche da Mycroft. Sentirla, però, messa a parole da John stesso è ben altra cosa.
<< Non dovevo dirti… quel che ho detto. Mi rendo conto di aver sbagliato >> gli dice assumendosi la sua parte di responsabilità.
<< E’ quel che provi? >> gli chiede John facendolo arrossire. Si limita ad annuire guardando altrove.
<< E’… è lo stesso per me, Sherlock >> confessa John tutto d’un fiato. << Mi rendo conto che può non valere nulla, non dopo quanto ho detto. Suona come un tentativo di salvarsi in extremis, ma non è così. Guardami, Sherlock >> dice aprendo le braccia prima di farle ricadere lungo i fianchi. << Io sono questo. Zoppo, acciaccato, grasso e idiota. Tu, invece >>, sospira, << sei geniale, brillante, bellissimo e atletico. Sabato sera è stato come se avessi preso per me qualcosa che non mi spetta, qualcosa che non merito. Ti ho visto così felice e ho avuto paura di poter mandare tutto a rotoli, perché io una relazione importante non l’ho mai avuta e, caspita, tu sei importante. Allora ho distrutto tutto subito. Forse per me è più facile farmi disprezzare, come lo è per te accettare sfottò e critiche piuttosto che i complimenti >>.
Sherlock resta colpito da quest’ultima frase. Una prospettiva diversa e che finora non aveva presa in considerazione gli si apre dinanzi. Comprende ora cosa volesse dire sua madre con quelle semplici parole. ‘L’amore salva’, aveva detto, e ora gli sembra di capire che la prima cosa dalla quel salva sia da se stessi. Dall’idea distorta che si ha di sé. John fin dall’inizio si è mostrato entusiasta dinanzi alle sue deduzioni, dandogli modo di apprezzarle lui stesso in modo genuino e non ostentato per difesa dall’altrui giudizio negativo. Ora il dottore gli ha detto quanto si veda poco attraente e idiota, cosa lontana anni luce da ciò che invece è. Sa dei suoi problemi di autostima, ma che fossero così marcati non lo aveva capito.
<< John… >> dice incontrando lo sguardo mesto del suo dottore. << Mycroft mi ha detto che dovrò subire un’operazione alla gamba per evitare di restare zoppo. Non sarà per nulla bello e dovrò fare una lunga riabilitazione e non ho per nulla voglia che ci sia Mycroft al mio fianco. Non farebbe altro che sottolineare quanta poca buona volontà ci metterei. Tu sei un dottore e poi… beh, anche se era psicosomatico, zoppo lo sei stato. Penso che avrò bisogno del tuo aiuto, se ti va >>.
<< Certo che mi va, Sherlock >> gli sorride John prendendogli titubante la mano. << Voglio prendermi cura di te. Tento di farlo dal giorno in cui ti ho conosciuto. Ti ringrazio per questa opportunità >>.
E’ così piacevole il calore della sua mano. Sente la propria, sempre fredda, scaldarsi piacevolmente. Un’opportunità, infondo, la si offre a tutti. Greg l’aveva offerta a lui, aiutandolo a uscire dalla dipendenza da cocaina e a strutturare il suo metodo. Lui vuole tentare di offrirla a Mary che lo ha quasi ucciso. Può, quindi, offrirla anche a John, sebbene lo abbia ferito. John che ho fatto di tutto per salvarlo e che c’è riuscito anche questa volta.
Sherlock gli sorride. Non sa cosa accadrà, ma sente che sta facendo la cosa giusta.
 
   
 
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