Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: StarCrossedAyu    18/01/2019    1 recensioni
L'essere umano si è sempre spinto oltre i propri limiti: ha modificato la natura, valicato confini inaspettati, seguito il progresso incessantemente.
Eppure per Hanji Zoë nulla è più interessante delle radici che hanno dato origine alla civiltà odierna e, quando Historia Reiss le offre su un piatto d'argento la possibilità di mostrare al mondo la veridicità delle sue teorie, si butta a capofitto nell'impresa.
Levi Ackerman è un uomo dai saldi principi, dotato di un carattere ruvido e scostante che nasconde innumerevoli ferite e spaccature profonde nel suo animo martoriato.
Insieme, affronteranno uno sconvolgente e pericoloso viaggio all'altro capo dell'universo, dove un antico nemico li attende minacciando ciò che hanno di più prezioso.


|EreRiren||Storia liberamente ispirata al film "Stargate" (1994)|


|¦🏆 Vincitrice del contest Instagram - La Grande Sfida - nella categoria "Undiscovered Gems" indetto dal profilo @AmbassadorsITA¦|
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stargate




- Capitolo 1 -


Quel giorno diluviava. Agli sfortunati che camminavano per strada sembrava di trovarsi sotto l'incessante flusso di una cascata, dove gli ombrelli erano pressoché inutili e scarpe ed abiti erano ridotti a stracci zuppi e sudici.

Questo non impedì alla giovane donna di mettere piede fuori dalla costosa auto, scortata fino all'ingresso dell'hotel da un uomo di cui non ricordava neanche il nome, troppo presa dai propri pensieri che la conducevano verso il loro fulcro. Superò la hall col suo passo lento e aggraziato, la veste larga e una sciarpa leggera al collo, dirigendosi verso il salone indicato dal cartello affisso lungo il corridoio. Il vociare, proveniente dalla sala in cui stava svolgendosi la conferenza, le confermò che si trovasse nel posto giusto.

«Insomma, non abbiamo prove che all'epoca la civiltà eldiana fosse già presente.»

Hanji Zoë, dottoressa plurilaureata e fervida ricercatrice di tutto ciò che concerneva l'antica Eldia, gesticolava animatamente sull'alta pedana dalla quale esplicava le proprie convinzioni.

«Chi avrebbe costruito allora le Mura...?» fu la domanda che giunse dal pubblico, da un punto imprecisato.

Calò il silenzio più totale.

Ognuno dei presenti fissava Hanji in attesa di una sua spiegazione, compresa Historia che sostava, curiosa, vicino alla porta d'ingresso. La bruna calò lo sguardo sistemandosi gli occhiali, quasi stesse indugiando appositamente per aumentare la suspense prima di fare la rivelazione del secolo.

Quando le sue iridi nocciola scrutarono la folla, serie e decise, tutti trattenero il fiato.

«Non ne ho la più pallida idea..!» esclamò infine ridendo, le ciocche castane sfuggite all'acconciatura improvvisata che ondeggiavano allegre.

«Magari i giganti o, ancor meglio, gli alieni..!» la scherní un uomo, basso e baffuto. Uno ad uno iniziarono ad uscire dal salone, incuranti dei tentativi della Dott.ssa Zoë di riportare la loro attenzione all'argomento su cui si incentrava la conferenza. Anche Historia, mestamente, lasciò la donna ai propri sproloqui fin quando non si ritrovò sola, tra decine di sedie vuote e sconsolati depliant lasciati al loro triste destino.

Scrollò le spalle, sconfitta.

«Pausa pranzo» decretò, raccogliendo l'enorme quantità dei suoi disordinati appunti mentre la pioggia batteva sulle vetrate dell'edificio.


-


Quando a tarda sera Hanji si decise a uscire dall'hotel - ormai la sala era prenotata, tanto valeva sfruttarla per studiare alcuni articoli - la situazione all'esterno non era cambiata di molto: l'acqua continuava a cadere copiosamente allagando il marciapiede, le temperature erano calate e si era persino alzato un venticello freddo che si insinuava al di sotto del suo impermeabile sgualcito e piuttosto vissuto.

«Dottoressa Zoë, una persona desidera parlarvi.»

La bruna sollevò il capo, trovandosi faccia a faccia con un uomo che, riparandola con un ombrello scuro, la esortava a entrare nell'auto parcheggiata di fronte al Karanese. Perplessa ma incuriosita, si accomodò sul sedile posteriore inumidendone la stoffa e ritrovandosi accanto una giovane donna dal viso angelico, lunghi capelli biondi e grandi occhi limpidi come i cieli in primavera. Il sorriso che le rivolgeva, però, non raggiungeva le iridi celesti, spente e malinconiche.

«Buonasera. Mi presento: il mio nome è Historia Reiss, e sono qui per offrirle un lavoro.»

«Lavoro? Che tipo di lavoro...?»

«Traduzione. Geroglifici eldiani, il suo ambito di studio.»

«Ho le mie ricerche da portare avanti.»

Historia inclinò il capo, scrutandola, quasi divertita da quell'ultima affermazione.

«Davvero? A quanto mi risulta l'università le ha tagliato i fondi, è stata sfrattata e il suo conto in banca è in rosso da un pezzo.»

Hanji sgranò gli occhi, incredula.

«Come -»

«Vuole dimostrare a tutti di aver ragione, che le sue supposizioni sono esatte? È la sua occasione, quella che capita una sola volta nella vita: prendere o lasciare.»

La bionda le consegnò un biglietto da visita mentre qualcuno - probabilmente lo stesso uomo di prima - apriva nuovamente lo sportello intimandole tacitamente di scendere dalla vettura.

«Ha ventiquattr'ore» decretò Historia e in un battito di ciglia Hanji si ritrovò sola, sotto la pioggia battente, ad osservare i fanali posteriori dell'auto che si allontanava.

Squattrinata, senza un tetto e soprattutto derisa dalla comunità archeologica. Cos'aveva da perdere...? Strinse il biglietto tra le dita, cercando di metterlo al riparo dall'acqua all'interno dell'impermeabile mentre andava a recuperare i due bagagli all'ingresso dell'hotel: in uno, tutti i suoi appunti e le sue teorie; nell'altro, ciò che restava della propria vita.


-


Levi si trovava seduto nel proprio giardino, il Sole alto nel cielo oltre le fronde degli alberi che gli concedevano ombra e riparo. Piegato in avanti, gli avambracci sulle ginocchia, custodiva nel pugno destro due piastrine. Due vite, il cui ricordo sarebbe rimasto impresso solo su del freddo metallo e nel suo animo, arido e avvizzito.

Accanto a sé, sulla panca, una rivoltella. Con la mano libera la afferrò rivelando il contenuto del tamburo, vuoto ad eccezione di un proiettile. Con un gesto secco lo fece tornare al proprio posto, portando lentamente la canna nera e lucida dell'arma alla tempia.

Un solo istante e avrebbe scoperto il vincitore di quella scommessa con la morte, mentre l'indice faceva pressione sul grilletto.

Non lo seppe mai.

Un fruscio alle sue spalle lo fece scattare, alzandosi e puntando la pistola verso la fonte di quel suono, i sensi allerta e i riflessi pronti più della propria mente che invece avrebbe solo voluto piegarsi e soccombere.

«Capitano Ackerman...?»

Due soldati in uniforme ufficiale sbucarono oltre i cespugli di rose trovando un uomo dall'aspetto trasandato, capelli lunghi e barba incolta, armato e pericoloso. Il suo sguardo vacuo la diceva lunga sulle condizioni in cui fosse. Sollevarono le mani, il più basso dei due che avanzava a piccoli passi verso il corvino.

«Capitano Ackerman, sono il soldato scelto Schultz e vengo da parte del Comandante Smith» a quel nome le iridi plumbee di Levi sembrarono avere un guizzo, calando lentamente l'arma. «Mi manda a comunicarle che è richiamato a prestare servizio.»

Levi, guadagnandosi un sospiro da parte dei due intrusi, abbassò definitivamente la pistola andando a strofinarsi stancamente il ponte del naso.

«Che giornata del cazzo...»


-


Hanji spostava il proprio peso da un piede all'altro, fortemente a disagio nel trovarsi in quello che a tutti gli effetti le sembrava un bunker a prova di esplosione nucleare. Non si aspettava certo di svolgere quel lavoro in una base militare. La giovane donna al suo fianco, minuta e dai capelli ambrati, le sorrideva cordialmente tenendo le mani in grembo. Il tailleur militare le conferiva un aspetto professionale, mentre la bruna sembrava appena precipitata giù dal letto e caduta direttamente nell'armadio.

«Nervosa?»

«Piuttosto, direi sorpresa: è un luogo poco consono alla mia materia di studi» la dottoressa si grattò la testa, perplessa.

Il soldato Ral mantenne la sua aria serena e rilassata.

«Le verrà spiegato tutto a tempo debito.»

Le porte dell'ascensore si aprirono ed Hanji seguì la sua accompagnatrice lungo un corridoio, dove il via vai di persone era frettoloso e incessante. Un uomo andò loro incontro, stringendo calorosamente la mano della studiosa.

«É un piacere fare la sua conoscenza Dottoressa Zoë! Sono Moblit Berner» si presentò questi, emozionato. «Venga, da questa parte.»

Entrarono in un'ampia sala, e non appena Hanji posò gli occhi sulla reliquia iniziò a saltare in preda a un'incontenibile euforia, emettendo gridolini e versetti eccitati: un enorme disco di pietra, del diametro di almeno tre metri, era poggiato verticalmente alla parete in modo che i caratteri incisi al di sopra fossero ben visibili, illuminati da numerosi fari.

«Benvenuta» Historia, alle loro spalle, fece il proprio ingresso. «Allora, cosa ne pensa?»

Le mani di Hanji trovarono le spalle della bionda, scuotendola energicamente ma senza eccessiva forza.

«É favoloso! Dove lo avete trovato?!» esclamò estasiata. L'altra ridacchiò a quella reazione decisamente fuori dalle righe.

«In un sito di scavi presso il Wall Maria, nelle vicinanze di Shiganshina.»

«Come può vedere» iniziò Moblit, illustrandole i fatti «sono presenti geroglifici eldiani sulla fascia più esterna; la zona centrale invece presenta simboli di cui non conosciamo il significato né le origini.»

La bruna, sistemandosi con un calcolato gesto della mano le lenti perennemente graffiate, si avvicinò alla lavagna poco distante, su cui vi era trascritta la traduzione del testo. Aggrottò la fronte, afferrando il cancellino ed eliminando con poca grazia ciò che l'aveva infastidita sotto lo sguardo basito di Berner, quello curioso di Petra e l'espressione pacata di Historia.

«Questo passaggio è sbagliato. Sigillato e sepolto...» scrisse, calcando sull'ardesia quasi volesse inciderla col gessetto. «Qui è per sempre - diamine, si può sapere chi accidenti l'ha tradotto?!»

Il povero Moblit si fece rosso per la vergogna, dimenticando di possedere un dottorato sull'argomento.

«I-io» sollevò timidamente la mano ma Hanji non lo stava affatto ascoltando, impegnata a decifrare quei versi arcani.

«Un milione di anni fa nel cielo é Ymir, Dio della Luce, sigillato e sepolto per sempre - questa non è porta del cielo, ma porta delle stelle» recitò, correggendo il termine per poi voltarsi sorridente verso la sua piccola audience improvvisata. «Stargate!»

«Impressionante» mormorò Historia.

«Allora, cosa spinge la Legione Esplorativa a interessarsi di gufi e zampe di gallina vecchi cinquemila anni?» chiese, ripulendosi le mani dalla polvere bianca e imbrattandosi le vesti.

«Diecimila.»

Hanji, così come i presenti, si voltò in direzione del nuovo arrivato. Un uomo, basso e sulla trentina, li fissava con cipiglio serio; i capelli corvini dal taglio undercut, il viso pallido e liscio; la divisa verde scuro su cui, esattamente come quella del soldato Ral, svettavano le ali della libertà.

«Sono il Capitano Ackerman, agli ordini del Comandante Smith. Dirigo io l'operazione, adesso» illustrò, breve e conciso.

«Ma se diecimila anni fa gli eldiani neanche esistevano!»

«Secondo voi cervelloni, le analisi al carbonio non mentono.»

«É vero» si intromise Moblit. «I test effettuati sul coperchio -»

«Coperchio? C'era una tomba sotto?!»

Lo studioso se la ritrovò a pochi millimetri dal proprio naso, una scintilla quasi folle che animava gli occhi della bruna. Il suo interesse di conoscenza, però, venne istantaneamente respinto dal militare col grado più alto presente nella stanza.

«Questa informazione non è divulgabile a meno che io non dia espressamente la mia autorizzazione. Sono stato chiaro?»

Il suo tono, basso e duro, spense ogni tentativo di protesta ad eccezione di Historia, la quale seguì l'uomo che con passo deciso stava già dirigendosi verso l'ascensore.

«Esigo una spiegazione, Capitano. Il Comandante mi aveva garantito piena autonomia sul progetto.»

«Ora non più.»

«No, lei non capisce.»

La donna gli afferrò un braccio, costringendolo a voltarsi, e Levi si trovò faccia a faccia con qualcosa che conosceva troppo bene: lo vedeva nei propri occhi ogni maledetto giorno, quando si guardava allo specchio; lo sentiva lacerargli il petto, ad ogni battito del suo cuore; consumargli l'anima, pezzetto dopo pezzetto.

Dolore.

«Smith me lo deve...!» sibilò, quasi sollevandosi sulle punte per meglio chiarire il concetto. Il corvino si liberò gentilmente dalla sua presa, senza scomporsi.

«Deve molto a tante persone, glielo assicuro. Tuttavia, ciò non cambia lo stato delle cose» replicò, lapidario.

«Perché è qui, Capitano...?»

Tante, troppe risposte a quella domanda. Si limitò a fornire quella essenziale.

«... In caso abbiate successo.»


-


Hanji fissava l'enorme coperchio addossato alla parete, insistendo sui simboli all'interno del cartiglio centrale. Erano trascorse ben due settimane, eppure non riusciva a venirne a capo in nessuna maniera: aveva confrontato quei geroglifici con qualsiasi forma di scrittura conosciuta, primitiva e non, ma non aveva trovato alcun riscontro o vaga somiglianza. Nessun archivio o fonte le era stato utile. Sospirò, sconsolata.

«Non mi pagheranno mai...»

Portò la tazza di caffè che aveva tra le mani alle labbra, alzando gli occhi al cielo un istante dopo. Vuota.

Stancamente, si trascinò fino al corridoio dove una guardia notturna controllava i social dal proprio tablet. La bruna udì distintamente gattini miagolare, schiamazzi e bombe esplodere, mentre l'uomo scrollava la bacheca di facebook e i video partivano incontrollati. Riempì nuovamente la tazza di carburante, le occhiaie che le solcavano il viso ed i capelli - se possibile - ancora più in disordine del solito, quando un'immagine sul piccolo schermo catturò il suo interesse. Si avvicinò al dispositivo quasi attaccandovi sopra il naso, la guardia che la guardava stranito e piuttosto seccato da quell'invasione di campo, per poi sfilarlo dalla sua presa e rientrare a passo svelto nella stanza.

«Lo prendo in prestito!» si affacciò un istante dopo per poi sparire nuovamente, con l'uomo che osservava la porta come un pesce lesso e le mani ancora nella stessa posizione con cui reggevano il tablet.

Hanji poggiò la tavoletta sulla scrivania, zoomando sull'immagine che l'aveva colpita. Era una di quelle citazioni strappalacrime da cioccolatini, ma lo sfondo stellato aveva qualcosa di tremendamente familiare che faceva ronzare i suoi neuroni alla velocità della luce.

Inviò il file alla stampante, la quale inchiostrò velocemente il foglio, e allora lo vide. Con un pennarello tracciò alcune linee e con la carta stretta tra le dita si fiondò davanti al gigantesco disco di pietra, sollevandola per accostarla a uno dei disegni presenti nel cartiglio. Gli occhi le brillarono di gioia, mentre saltava da un punto all'altro della sala.

I simboli non erano parole, ma costellazioni.


-


Le più alte cariche militari presenti, in quel luogo remoto e nascosto tra le montagne, si trovavano rigidamente sedute al centro di una stanza troppo piccola per un meeting.

Historia, pacata come sempre, sostava accanto a Moblit in un angolo. Gli ufficiali presenti si scambiavano occhiate spazientite, tamburellando le dita sulla superficie grigia dinanzi a loro, mentre il Comandante Smith, le mani intrecciate sul tavolo, aveva un'espressione serafica che mal si accostava con la sua fama di uomo spietato e pericoloso.

Il Capitano Ackerman, alle sue spalle, teneva le braccia incrociate. In quelle settimane di convivenza forzata all'interno della base, aveva imparato a conoscere quanto bastava la Dott.ssa Zoë da sapere con certezza che avrebbe fatto il suo ingresso da un momento all'altro e in maniera plateale, come suo solito.

Neanche il tempo di formulare quel pensiero che la porta si spalancò, una miriade di scartoffie e carta arrotolata che piombava nella sala insieme alla bruna dai modi esuberanti.

Infatti.

«Scusate il ritardo!» fece la donna, traballando nel tentativo di non inciampare contro nessuno e nei suoi stessi piedi, facendo atterrare ciò che trasportava a piene braccia in mezzo al tavolo sotto gli sguardi perplessi e sconcertati di tutti ad eccezione di Levi, Smith ed Historia. «La fotocopiatrice mi ha dato filo da torcere, è incredibile come al giorno d'oggi si clonino facilmente le pecore e non dei semplici fogli...!»

Decine di occhi puntati su di lei la convinsero a tacere, prima di schiarirsi la voce e darsi un contegno.

«Dottoressa Zoë, solo due settimane per comprendere ciò che all'equipe della Signorina Reiss è sfuggito in due anni. Lodevole.»

«Cosa...?» il viso di Hanji palesava il suo evidente stupore.

«Prego, siamo tutt'orecchi.»

La donna si riscosse, iniziando a distribuire depliant e volantini ai suoi interlocutori, rovesciando al contempo il bicchiere d'acqua di uno degli ufficiali. La sentirono blaterare parole di scuse, mentre imperterrita continuava nel suo lavoro e Levi si accendeva stancamente una sigaretta. Il Comandante Smith si voltò quanto bastava, infastidito dal fumo, per rivolgergli una significativa occhiata che il Capitano volutamente ignorò. Non era suo desiderio trovarsi lì, che almeno lo lasciasse fumare in pace..!

«Ciò che è inciso nella fascia interna non sono parole da tradurre, bensì...» Hanji interruppe un attimo il suo discorso, srotolando un enorme quadro astrale «... costellazioni stellari, disposte in modo da formare un percorso - una mappa del tesoro!»

La studiosa ridacchiò, gelata dal silenzio generale. Riprese il filo, scribacchiando su di una lavagna bianca alle sue spalle con un pennarello.

«Sette punti: sei per tracciare la destinazione, uno per il luogo da raggiungere. In poche parole il traguardo» concluse, ricoprendo la punta con il tappo.

La voce di Moblit in quel momento di quiete risuonò chiara e limpida.

«Ce ne sono solo sei nel cartiglio.»

«Perché il settimo si trova subito sotto, guardate» rispose la bruna, estraendo nuovamente il fidato strumento per disegnare. «Tre cerchi concentrici all'interno di un emblema, forse reale per quanto ne sappiamo.»

Le iridi gelide di Levi la scrutarono, impassibili, soffiando via il fumo dalle labbra sottili. Era eccentrica, ma intelligente.

«Ce l'ha fatta...» mormorò Historia, ammirata.

«Ma non è possibile!» sbottò invece Berner. «Un simbolo simile non è presente sul congegno!»

«Quale congegno...?»

La domanda di Hanji permeò l'aria, satura di verità taciute troppo a lungo. Il Capitano Ackerman, dopo aver scambiato uno sguardo d'intesa con Smith, spense la sigaretta con la suola della scarpa.

«Glielo mostri» ordinò il Comandante.

Il corvino, con l'ausilio di un piccolo telecomando, sollevò quella che sembrava una semplice lavagna - sulla quale Zoë aveva bellamente scarabocchiato - ma che invece si rivelò essere un pannello che nascondeva un'ampia vetrata, oltre la quale c'era quella che chiunque avrebbe definito la scoperta del secolo.

La bruna si appiccicò al materiale trasparente, osservando come decine di addetti si affaccendassero, con indosso i loro camici bianchi, attorno un enorme anello del diametro di circa tre metri, lo stesso del coperchio in pietra. Nonostante la notevole distanza da cui poteva osservarlo, gli occhi di Hanji brillarono nel notare i dettagli incisi su di esso. Si voltò verso i presenti, raggiante ed eccitata a quella vista sconvolgente e inaspettata.

«Che cos'é?» chiese così velocemente da mangiarsi le parole. Historia le sorrise, facendole cenno di seguirla.

«Il suo Stargate.»

Poche decine di minuti e si trovarono in quella che la svampita ricercatrice avrebbe superficialmente definito "la sala dei bottoni", ma era molto di più: apparecchi ultratecnologici, schermi al led, centinaia di fili che si intrecciavano per collegare i server sulla parete in fondo mentre, attraverso l'ennesima vetrata, lo Stargate sembrava persino più imponente di quanto già non fosse. Più misterioso. Pericoloso.

Un giovane in divisa, dal caschetto biondo e gli occhi cerulei, si alzò immediatamente in piedi nel vedere la bruna.

«Dottoressa Zoë, benvenuta. Io sono Armin Arlert, ho letto i suoi studi e trovo le sue teorie davvero interessanti. Come vede, potrebbero essere fondate.»

La donna si trovò a stringergli la mano, mentre il Comandante Smith faceva il suo ingresso col suo passo imponente.

«Arlert, al tuo posto.»

«Signorsí, signore» il più piccolo chinò il capo, tornando rispettosamente alla propria postazione. Toccando lo schermo, fece partire i bracci robotici che muovevano il cerchio esterno dello Stargate, sul quale erano impressi numerosi simboli. Hanji, grazie alla telecamera che riprendeva dettagliatamente l'oggetto, scrutava il monitor sul quale si susseguivano infiniti disegni. Poi urlò.

«Fermati!»

Il giovane Armin, con la semplice pressione dei polpastrelli, bloccò il movimento del congegno.

«Eccolo, è questo!»

Nascosto sotto il loro naso da sempre, il settimo simbolo comparve dinanzi agli occhi di tutti: tre piccoli anelli, uno dentro l'altro, privi di quei contorni ingannevoli che lo avevano celato fino a quel momento.

«Procedi.»

«Signorsí signore!»

Picchiettando a una velocità inaudita per Hanji, che aveva seri problemi con tutto ciò che possedesse anche solo una pila alcalina al suo interno, il soldato Arlert trascinò il simbolo in una casella laterale denominata "blocco".

«Blocco uno: in posizione.»

Lo Stargate, guidato dai robot, prese a girare nuovamente fino a quando il primo simbolo non venne identificato e fissato da grossi fermi appartenenti al congegno stesso.

«Blocco uno: agganciato.»

«Era questa l'informazione non divulgabile...?»

«Esatto» Historia rispose alla domanda quasi sussurrata di Hanji. «Mio nonno lo trovò vicino il Wall Maria quasi cento anni fa, ormai. Il materiale con cui è stato creato è sconosciuto sul nostro pianeta.»

Mano a mano che la sequenza veniva eseguita, l'ambiente prese a tremare mettendo in allerta l'intero personale.

«Fate liberare la zona!» intimò Levi da un interfono, e le persone ancora presenti nella sala in cui il congegno era custodito evaquarono immediatamente, chiudendo ermeticamente l'hangar alle loro spalle.

«Blocco sette: in posizione.»

I macchinari emettevano segnali acustici preoccupanti, mentre numerose spie luminose lampeggiavano come impazzite neanche fosse Natale. Le braccia robotiche si fermarono nella giusta collocazione, facendo sì che lo Stargate bloccasse l'ultimo tassello del rompicapo. Tutti fremevano, impazienti e intimoriti al tempo stesso.

«Blocco sette: agganciato» disse Armin, la voce tremula per l'emozione nell'assistere a quel che sarebbe accaduto - cosa, non lo sapeva.

Per un istante lungo un'eternità, nessuno emise un solo fiato tenendo lo sguardo fisso dinanzi a loro.

Poi, un'esplosione di energia rimbombò attraverso la struttura e scosse la terra, disturbando persino il loro senso dell'equilibrio. Un vortice d'acqua - o almeno era quel che sembrava - fuoriuscí dall'enorme anello e squarciò l'etere, facendo spostare i carrelli in metallo nelle vicinanze dando l'impressione che potesse risucchiarli da un momento all'altro. Si stabilizzò invece in uno specchio liquido, calmo e cristallino.

La porta delle stelle era aperta.

«Inviate la sonda, presto!»

L'ordine fermo e deciso di Smith quasi spaventò il piccolo pubblico che aveva il privilegio di essere presente a quell'evento straordinario.

Le porte dell'hangar si aprirono e un gruppo di soldati, tra cui Hanji riconobbe Ral, scortò la sonda fino alla passerella puntando le armi verso il congegno. Il robot, cingolando, avanzò lentamente verso la propria missione mentre il drappello si ritirava senza abbassare la guardia e sigillando la zona. Giunto a destinazione, allungò un braccio metallico oltrepassando la superficie inconsistente della bolla, proseguendo per poi svanire nel nulla più assoluto.

«Dov'é finito?» quasi urlò la Dott.ssa Zoë, il palato arido e la gola secca come non mai.

Un ologramma venne proiettato al centro della sala comandi, miriadi di puntini scintillanti disseminati su di un manto scuro, ed eccolo lì: un pallino rosso che schizzava da un estremo all'altro - da una costellazione a un'altra - fino a fermarsi lontano in una zona remota della galassia.

«É...»

Non trovava le parole, troppo stupita da quell'accadimento impossibile sotto ogni punto di vista e contro ogni logica.

«Esattamente» intervenne allora in suo aiuto Historia «É dall'altra parte dell'universo conosciuto.»

Un nuovo boato e il portale si richiuse, come se non fosse mai esistito.


-


Hanji, come poche volte nella sua vita, stava in religioso silenzio. Era quel tipo di persona che difficilmente riesce a stare zitta per più di trenta secondi - e neanche di fila - ma le immagini che aveva davanti agli occhi meritavano il giusto rispetto e ammirazione.

La sonda, ad intervalli regolari, aveva inviato le informazioni raccolte nell'arco delle ultime ore. Ovviamente la prima cosa che aveva rilevato erano i dati atmosferici, simili in tutto e per tutto a quelli del loro pianeta e quindi compatibili con la vita. C'era ossigeno e, anche se il tasso di umidità era scarso, acqua. Poi, le prime foto.

Un altro Stargate.

Una seconda porta delle stelle comunicante con la prima, che permetteva il passaggio tra i due mondi - sempre se di quello si trattava, magari era solo un grosso asteroide. Pulendo i vetri delle lenti con l'orlo della maglia, sotto lo sguardo infastidito del Capitano Ackerman, Hanji scrutò con attenzione i fotogrammi sul tablet che le aveva passato il soldato Arlert.

«I simboli di questo Stargate sono diversi dal nostro» decretò, rivolgendosi dapprima a Historia e poi al Comandante. «Aprirlo richiede una sequenza diversa da quella in nostro possesso.»

«Probabilmente ci sarà qualcosa, dall'altro lato, come il cartiglio presente sul coperchio» aggiunse la bionda, pensierosa.

«Da quando la Legione ha acquisito il congegno nessuno, prima di oggi, era riuscito a portare risultati ragguardevoli, ma il progetto fallisce senza una missione ricognitiva. I miei uomini non sono in grado di interpretare i simboli e non ho intenzione di inviare una squadra col rischio che non faccia mai ritorno.»

Historia, alle parole di Smith, storse il naso pronta ad obiettare: di gente al macello ne aveva mandata eccome, ma una voce alle sue spalle la costrinse al silenzio, sbigottita.

«Posso farlo io.»

Hanji sorrideva come se non stessero parlando di una spedizione militare. Come se non stessero discutendo di un viaggio interstellare ai confini dello spazio. Come se non stesse proponendo di rischiare la propria vita.

Il Comandante Smith cercò le iridi gelide del suo uomo migliore, consapevole di dovergli almeno quella scelta. Se avesse accettato, avrebbe guidato dei soldati - ancora - in quella che probabilmente si sarebbe rivelata una missione suicida.

«Spetta a lei, Capitano» disse soltanto.

Levi tacque, fissando la Dott.ssa Zoë intensamente per poi emettere una probabile sentenza di morte.

«Si unirà alla mia squadra.»


-


Il Capitano Ackerman, prima di ogni spedizione, svolgeva un piccolo rituale scaramantico: preparava delle tazze da tè vuote da riempire con la bevanda calda una volta tornati a casa. A volte qualcuna restava malauguratamente intoccata, ma erano occasioni molto rare. Levi era un soldato attento e scrupoloso, e non lasciava che i suoi uomini corressero più pericoli di quanto già non facessero. Aveva concluso innumerevoli missioni con successo, riportato i suoi sottoposti alle famiglie.

Tranne loro.

Erano partiti in tre, e lui era l'unico superstite.

Non si perdonava di aver fatto ritorno.

Tra tanti che aveva avuto il dovere di proteggere, non vi era riuscito con gli unici per cui desiderava davvero farlo.

Guardò la credenza nel piccolo cucinino della base in cui si era rifugiato, tornando poi a pulire la canna della propria pistola con solerzia.

Niente tazze, stavolta.

«Capitano Levi.»

Historia entrò nella stanza, richiudendo la porta alle proprie spalle. Restò lì, ferma, osservando quel processo minuzioso, quasi ipnotico.

«Signorina Reiss.»

«Volevo darle una cosa, prima che partiate» disse allora, avvicinandosi al piccolo tavolo al quale il corvino era seduto e sfilandosi una catenina dal collo.

Una collana in oro venne poggiata sulla superficie metallica producendo un piccolo suono. Il pendente rappresentava due triangoli inversi, perfettamente intersecati e sovrapposti, che davano forma a una nuova figura dall'aspetto lucente: una stella a sei punte.

«Cos'é? Un regalo d'addio?» le chiese, inarcando un sopracciglio scuro.

«La trovò mio nonno nel luogo del ritrovamento. Mia madre l'ha avuta da lui che era appena adolescente all'epoca, poco più di una bambina. L'ha indossata per anni fino a tramandarla a me, dicendo che mi avrebbe portato fortuna. La riposi in un cassetto, dimenticandomene.»

Si appoggiò al piccolo banco alle sue spalle, posandovi i palmi che si strinsero su di esso in cerca di sostegno. Con lo sguardo basso, persa nei ricordi, proseguí.

«Avevo un compagno. Un Legionario, proprio come lei. Il Comandante Smith, qualche mese fa, lo assegnò a una squadra nelle terre di Marley.»

Il viso di Levi, se possibile, si indurí ancora di più. Non aveva bisogno di sentire il seguito: sapeva benissimo cosa era accaduto, perché anche lui era stato in quel luogo che aveva il tanfo di morte e disperazione.

«Non ho potuto nemmeno piangere sulla sua tomba. Non mi era rimasto niente. Poi» tirò su col naso, stropicciandosi gli occhi col dorso di una mano «aprendo un cassetto, trovai la collana. La indossai, seguendo un impulso del momento. Vomitai dieci minuti dopo.»

La donna allora si accarezzò il ventre leggermente gonfio, sapientemente nascosto dagli abiti larghi che indossava. Una piccola vita cresceva dentro di lei, amata e al sicuro, pronta ad affrontare la crudeltà del mondo che l'aveva privata del padre ancor prima di venire alla luce.

Il corvino tacque, mentre sul viso di Historia scorreva una lacrima che non era riuscita a trattenere.

«Gliela affido, Capitano. Un po' di fortuna serve a tutti, non crede?» gli sorrise, avviandosi verso l'uscita. «Me la darà quando farà ritorno.»

La serratura scattò nel momento in cui l'uscio si richiuse e Levi restò lì ad osservare quel ciondolo strano e antico, ripensando alle parole della giovane che, esattamente come lui, era una sopravvissuta.

Quando lasciò il cucinino, pronto alla partenza, sei tazze erano disposte in maniera ordinata sul piccolo tavolo.


-


La squadra "Operazioni Speciali" era ben allineata nell'area antistante l'hangar in cui era custodito lo Stargate.

Il Capitano Ackerman scrutò i volti determinati dei propri sottoposti, passandoli in rassegna e chiamandoli per nome uno ad uno.

«Erd Yin.»

Pugno destro sul cuore.

«Petra Ral.»

Pugno destro sul cuore.

«Gunther Schultz.»

Pugno destro sul cuore.

«Auruo Bossard.»

Pugno destro sul cuore.

«Hanji Z-»

«ETCIÚ!»

Levi la guardò a metà tra il disgustato e l'impietosito.

«Scusate» borbottò la donna con voce nasale, soffiandosi sonoramente il naso moccoloso «Allergia stellare, suppongo.»

Il gruppetto ridacchiò, tornando serio immediatamente dopo quando udirono i portelloni aprirsi e le sirene lampeggiare.

Il cerchio esterno del congegno ruotava velocemente, fino a che non videro i grossi fermi bloccare in posizione l'ultimo simbolo.

Con un'esplosione di aria e materia il portale si spalancò, caldo e freddo insieme che li investiva con una forte corrente che scompigliò loro i capelli. La sua luce, proveniente dalle profondità dello spazio, si riverberava nell'ambiente creando giochi luminosi sulle pareti bianche.

Ordinatamente, ognuno avanzò sulla passerella seguiti da un carrello robot che trasportava l'attrezzatura necessaria alla loro sopravvivenza, che il luogo fosse ostile o meno.

Levi avrebbe compiuto per primo quel balzo della fede. Con la freddezza che lo contraddistingueva, allungò il braccio verso la bolla liquida oltre la quale c'era l'ignoto. Le sue dita sfiorarono, per poi immergersi e sparire, la superficie: bollente e gelida al tempo stesso, leggera eppure corposa, consistente. Un brivido lo attraversò da capo a piedi, realizzando improvvisamente la portata di quella scoperta. Indugiare ulteriormente non avrebbe comunque cambiato le cose.

Prese un lungo respiro e avanzó, deciso.

Si trovò dall'altro lato e, nel momento in cui i suoi occhi celesti tentarono di mettere a fuoco cosa si nascondesse oltre il mondo da lui conosciuto, il corpo e la sua intera essenza si disintegrarono in milioni di particelle viaggiando alla velocità della luce, attraversando il cosmo e toccando le stelle, seguendo un percorso che lo avrebbe condotto lontano da quella che una volta chiamava "casa".
Si sentì morire per poi rinascere all'altro capo dell'universo, in una galassia remota e solitaria, con la sola preghiera di riportare indietro la propria squadra, sana e salva, un'ultima volta.

   
 
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