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Autore: Nuel    18/01/2019    22 recensioni
Harry è deciso a scoprire se Draco sia diventato un Mangiamorte, ma sin dalla prima volta che si introduce nel dormitorio di Serpeverde, le cose non vanno come si era aspettato, e trascorrere la notte a vegliare il sonno del giovane Malfoy diventa un’abitudine che nasconde forse altro.
♣ Questa fanfiction partecipa al contest “Come Amore e Psiche”, indetto da Matilde di Shabran sul forum di EFP.
[Contest annullato]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Lontano dagli occhi, nel profondo del cuore



Il castello aveva un aspetto diverso, quella notte. Forse era colpa della luna piena, della luce spettrale che entrava dalle finestre a illuminare segmenti di pietra e battenti di porte chiuse mentre Harry Potter teneva d’occhio la Mappa del Malandrino, invisibile sotto il suo Mantello.
     Si era lasciato alle spalle Gazza e la sua gatta che aveva fissato il corridoio come se avesse potuto vederlo, aveva atteso con pazienza che il conciliabolo dei fantasmi lasciasse le scale prima di decidersi a scenderle, pestando più volte sullo stesso gradino, sibilando tra i denti mentre quelle cambiavano allungando il suo percorso, e aveva camminato in punta di piedi davanti al quadro di un vecchio che parlava nel sonno, ma ormai c’era quasi.

     Stando alla Mappa, T. Flames e A. Molligan sarebbero sbucati da dietro l’angolo entro pochi secondi. Harry aveva solo una vaga idea di chi fossero i due prefetti del quinto anno di Serpeverde, ma in quel momento non aveva importanza: l’unica cosa che contava era che lo avrebbero fatto entrare nella loro Casa.
     Non sapeva perché non ci avesse mai pensato prima, forse perché con Ron e Hermione vicini sarebbe stato impensabile riuscirci. Gli avrebbero detto che era un piano folle, inutilmente rischioso, e il Mantello non sarebbe riuscito a nascondere tutti e tre, non avevano più undici anni. Forse, semplicemente, doveva farlo da solo.
     Quando i due girarono l’angolo, la Molligan stava sbadigliando. Si copriva la bocca con la mano, mentre camminava accanto a Flames che strascicava i piedi, troppo assonnato per mantenere un comportamento adeguato a un membro della sua Casa. Nessuno dei due si rese conto di essere seguito. Il loro giro di ronda era praticamente finito e Harry non dovette fare altro che seguirli oltre il muro che, nel sotterranei, nascondeva la Casa di Salazar Serpeverde.
     Non era la prima volta che Harry ci entrava, ma a quell’ora non si aspettava di trovare ancora qualcuno sveglio.
     «Hai l’aria stanca, Alice», disse una voce che Harry conosceva bene. Si appiattì contro il muro e osservò Pansy Parkinson salutare la Molligan.
     «Pure le tue occhiaie non scherzano». La ragazza sbadigliò di nuovo. «Come mai ancora sveglia?».
     Pansy si strinse nelle spalle e sollevò la tazza che teneva in mano. Ne usciva un fumo denso e dolciastro, vagamente familiare. «Draco non riesce a dormire. Gli ho preparato una pozione».
     La Molligan ridacchiò e sollevò una mano in segno di saluto, poi prese la direzione opposta a quella di Pansy.
     «Per amor di Salazar, Terence, solleva quei piedi», brontolò Pancy, camminando dietro a Flames, ma il suo tono insonnolito non avrebbe spaventato nessuno, non a quell’ora. Per un momento Harry lì guardò dirigersi verso il dormitorio maschile, lasciando che mettessero sufficiente distanza tra lui e loro per non essere scoperto.
     Malfoy si era insinuato tra i suoi pensieri da quando lo avevano incontrato a Nocturn Alley, diventando una presenza costante, più di quanto non lo fosse stato in passato. Nonostante quello che Ron e Hermione dicevano, Harry sapeva che la sua non era solo una fissazione, lui era sicuro che Malfoy fosse implicato in qualcosa. Era sicuro che fosse diventato un Mangiamorte.
     L’idea lo riempiva di sgomento e di rabbia e sapeva che non avrebbe smesso di pensarci fino a quando non avesse scoperto la verità. Al pensiero di vedere Malfoy nel suo dormitorio, di scoprire finalmente se le sue supposizioni fossero esatte, Harry sentì un brivido lungo la schiena.
     Accelerò il passo quando Flames sparì dentro il suo dormitorio, mentre Pansy bussava piano alla porta della camerata degli studenti del sesto anno.
     Zabini aprì un momento dopo e Pansy si infilò nella stanza. Harry riuscì a malapena a sgusciare dentro prima che il ragazzo chiudesse di nuovo.
     La stanza era buia, eccezione fatta per un lume accanto al letto di Malfoy. Sul lato opposto della stanza le tende dei baldacchini erano abbassate e si sentiva russare.
     «Bevi questo, Draco. Vedrai che starai subito meglio», cinguettò la Parkinson sedendosi sul letto del ragazzo. Zabini rimase sull’altro lato, il suo volto scuro aveva un’espressione indefinibile alla luce tenue che veniva dal comodino, ma non era la sua espressione ad attirare lo sguardo di Harry, ma quella del suo rivale di sempre.
     Il giovane Malfoy aveva gli occhi arrossati, la pelle pallida e sudata e i capelli scompigliati come se si fosse rigirato a lungo sul cuscino. Le sue labbra erano screpolate e segnate come se i suoi denti le avessero tormentate a lungo.
     «Mi dispiace», mormorò Draco, sospirando e prendendo dalla Parkinson la tazza.
     «Non essere sciocco», rispose lei scostandogli i capelli dalla fronte.
     «Bevi e mettiti giù. Andrà tutto a posto», lo rassicurò Zabini. Durante il giorno, Harry non si era mai accorto che la sua voce fosse così profonda, né che Draco fosse così pallido o che la Parkinson potesse essere tanto affettuosa.          
Forse era la notte. Forse era quella luna che laggiù non arrivava, ma che in qualche modo influiva su ogni cosa.

     Draco bevve e Pansy gli tolse di mano la tazza. «Adesso dormi, Draco. A domani». La ragazza gli baciò la fronte come una madre e Zabini chiuse le tende. «A domani, Draco».
     Harry si appiattì contro il letto per non essere scoperto e tese le orecchie per sentire ogni rumore nella stanza. La Parkinson lasciò il dormitorio e Zabini tornò nel proprio letto. Harry si sorprese di sentire il frusciare delle sue lenzuola, ma nella stanza sembrava sceso un silenzio perfetto e i suoi sensi erano tesi allo spasmo.
     Fissò Malfoy, i cui occhi grigi erano fissi al soffitto, ancora spalancati.
     «Non voglio dormire», lo sentì mormorare, le labbra che si muovevano appena, nel vano tentativo di resistere alla pozione, ma Harry non contò fino a cinque prima che le palpebre gli si abbassassero e il suo respiro si facesse più lento e profondo.
     Harry deglutì. Per un istante non seppe cosa fare se non restare a vegliare su quel sonno innaturale. Malfoy non gli era mai sembrato più fragile e disperato che in quel momento, prigioniero di una pena che lo divorava giorno dopo giorno, di un segreto che non poteva condividere con nessuno.
     Facendo attenzione a non svegliarlo, si avvicinò al lato del letto, sollevò cautamente il lenzuolo e la coperta che gli coprivano il braccio e, quando fu sul punto di scoprirlo, di trovare la risposta alla sua domanda, non ebbe il coraggio di farlo.
     Fece scorrere i polpastrelli sulla stoffa traslucida del pigiama e Malfoy sospirò, muovendosi nel letto.    Contrasse le palpebre e le sue ciglia chiare si bagnarono togliendo il fiato a Harry.
     Non era lì per vegliare il sonno di Malfoy, ma quella notte Harry non si mosse dal suo capezzale, come se, così facendo, avesse potuto tenere lontani gli incubi.

 

«Hai una gran brutta cera, amico», gli fece notare Ron la mattina dopo, mentre facevano colazione. Harry non aveva chiuso occhio tutta la notte. A malapena era riuscito a tornare al proprio dormitorio prima che suoi compagni iniziassero a svegliarsi.
     Quando un gruppo di Serpeverde attraversò l’ingresso della Sala Grande, alzò lo sguardo verso di loro. Malfoy era con Zabini e la Parkinson. Tiger e Goyle li precedevano verso il tavolo e Nott chiudeva la fila.
     Hermione represse a fatica un sospiro e si sporse verso di lui con aria severa. «Piantala, Harry!».
     «Di fare cosa?», chiese lui, fingendo di non capire.
     «Di fissare Malfoy!». La ragazza scosse la testa, e Harry abbassò il capo dopo aver scoccato un’altra occhiata al tavolo di Serpeverde. Malfoy si era seduto al solito posto, ma non sembrava intenzionato a fare colazione. Per un momento il ragazzo alzò gli occhi e i loro sguardi si incontrarono.
     Fu solo un istante, perché Harry tornò a fissare il porridge che aveva nel piatto mentre le orecchie gli si riempivano del battito accelerato del proprio cuore.
     Si disse che ora conosceva la parola d’ordine, avrebbe potuto entrare nella camera di Malfoy quando avrebbe voluto. Anche quella sera stessa. Sì, lo avrebbe fatto quella sera.

 

Attese di sentir russare Ron e poi, Harry sgattaiolò fuori dalla loro camera e dalla loro sala comune. Era stato più facile raggiungere il sotterraneo senza doversi accodare ai Prefetti. Controllò sulla Mappa che la sala comune di Serpeverde fosse vuota e poi vi entrò senza esitazione.
     Fece la medesima strada che aveva percorso la sera prima e raggiunse la camera di Draco e dei suoi compagni. Attese per diversi minuti fuori dalla porta, senza sapere se stessero dormendo o meno. Di certo nessuno stava parlando. Con estrema lentezza, abbassò la maniglia, schiudendo la porta solo di un paio di centimetri. Non scorse alcun movimento.
     Aveva le labbra secche e il cuore che batteva troppo forte, tanto da ritrovarsi a sperare che nessuno lo sentisse mentre, in punta di piedi, si avvicinava al letto di Draco.
     Harry girò intorno al letto e si fece spazio tra i lembi del baldacchino come aveva fatto la sera prima. Malfoy dormiva con la lampada accesa come se temesse il buio. Era coricato su un fianco e Harry gli si mise davanti.
     Quel giorno gli era parso che Draco fosse scontroso e distante coi suoi amici, ma aveva un aspetto curato e non era pallido come gli era sembrato la notte prima. Harry si piegò sulle ginocchia, il suo volto era all’altezza del materasso. Fece per sollevare il lenzuolo, ma prima guardò verso il volto del ragazzo addormentato e per poco non cadde a terra. Gli occhi di Draco erano socchiusi e distanti, umidi di lacrime, e Harry si sedette sul pavimento, con le gambe incrociate.
     Non decise di farlo, lo fece e basta.
     Draco alla luce fioca e calda di quella lampada, mentre si stringeva nelle coperte per ripararsi dal freddo, aveva una bellezza che Harry non aveva mai sospettato, che lo rapiva e gli faceva struggere il cuore. Era una bellezza destinata a sparire all’alba, rimpiazzata da una maschera di altera compostezza e disprezzo, ma finché fosse stata notte, Harry avrebbe potuto bearsi di quel volto.
     Avrebbe voluto tenergli la mano e baciargli la fronte come aveva visto fare a Pansy.
     Era un pensiero così sciocco che Harry si ritrovò a sorridere tra sé.
     Draco ci impiegò un po’ ad addormentarsi. Schiuse le labbra come un bambino e le sue lacrime scivolarono sul cuscino, finalmente libere.
     Fu solo allora che Harry ebbe il coraggio di prendergli la mano. Il pensiero di sollevare la manica del pigiama e scoprire se il suo avambraccio fosse marchiato o meno non lo sfiorò nemmeno per un momento.

 

Harry sapeva che era pericoloso e stupido avventurarsi di nuovo nel dormitorio di Serpeverde.
     La notte prima si era addormentato con la testa appoggiata al letto di Draco, svegliandosi indolenzito come se avesse dormito a cavallo della sua scopa, ma si ripromise che quella notte avrebbe fatto ciò per cui era sceso là sotto la prima volta. Avrebbe verificato se Malfoy fosse un Mangiamorte o meno e poi quella follia sarebbe finita.
     Aveva ormai una certa familiarità col posto, sapeva come entrare e come muoversi. Non ebbe difficoltà a raggiungere la sua meta e, quando ebbe oltrepassato le pesanti tende verdi, trovando Draco addormentato, sorrise.
     Malfoy aveva l’espressione corrucciata, una linea profonda tra le sopracciglia chiare, come se stesse pensando, e Harry si sedette a terra, con le gambe incrociate, come se quello fosse ormai il suo posto. Gli prese la mano, massaggiandone il dorso con il pollice, lieto di vedere che, per una volta, il suo sonno non era turbato da incubi e preoccupazioni. Alzò lo sguardo sul suo volto e, per un momento, temette che il cuore potesse sfuggirgli dal petto.
     Draco aveva aperto gli occhi e lo fissava senza vederlo.
     Harry si immobilizzò. Forse smise anche di respirare.
     Avrebbe ritratto la mano, ma scoprì che Draco la stringeva nella propria.
     «C’è qualcuno?». La voce di Malfoy era bassa e incerta.
     «Sì», sussurrò Harry, cercando di camuffare la propria voce. «Non voglio farti del male».
     «Chi sei?», chiese subito Draco, agitandosi nel letto. «Perché non ti vedo? Cosa vuoi?».
     Erano troppe domande. Soprattutto, erano domande a cui Harry non sapeva come rispondere. «Sono qui per vegliare il tuo sonno», disse senza riflettere.
     Draco sospirò. «Sei… una specie di fantasma?».
     «Qualcosa del genere». Harry sorrise. Poteva sostenere il suo sguardo senza essere visto, e Malfoy annuì piano, come se gli avesse creduto.
     «Ti vedrei se fossi un fantasma», disse però lui, chiudendo gli occhi. «Probabilmente sei una sorta di effetto collaterale di tutte le pozioni che sto prendendo».
     A Harry si strinse il cuore. Non aveva idea che il Serpeverde stesse assumendo molte pozioni. Si limitò a stringergli la mano e spostargli una ciocca di capelli dalla fronte.
     Malfoy storse il naso. «È una specie di lenzuolo quello che hai addosso?».
     Harry si rese conto che nel toccarlo si era portato dietro il Mantello, ma anche che Malfoy stava scivolando di nuovo nel sonno. «È un Mantello dell’Invisibilità», gli disse allora, convinto che l’altro non l’avrebbe ricordato.
     «Wow». Draco rispose a malapena, la voce ridotta a un sussurro.

 

Per tutto il giorno Harry aveva avuto la sensazione di essere osservato. Aveva cercato di cogliere di sorpresa chi lo stava fissando, ma non c’era mai riuscito sebbene, ogni volta, si fosse trovato a posare lo sguardo su Malfoy.
     Ad un certo punto, si era persino chiesto se davvero Hermione e Ron non avessero ragione, se non cominciasse a essere un po’ ossessionato da lui.
     Smise di chiederselo quando entrò nella sua camera, quella sera. Allora si chiese soltanto se fosse già addormentato, ma lo trovò seduto sul letto, in attesa. Ai suoi occhi le tende del pesante baldacchino si mossero appena quando Harry vi si infilò all’interno.
     «Sei arrivato».
     «Mi stavi aspettando?». Harry modulò di nuovo la voce in un sussurro perché Draco non lo riconoscesse.
   Draco annuì e si stese nel letto, facendosi di lato, e sollevò le coperte. «Vuoi passare un’altra notte sul pavimento?». Il suo tono era imbarazzato quanto bastava da sembrare infastidito, e Harry sorrise, sfilando le scarpe prima di accettare l’invito.
     Per qualche momento, rimasero entrambi rigidi e zitti, troppo imbarazzati dalla reciproca vicinanza, poi Malfoy si schiarì la voce.
     «Sai chi si dice abbia un Mantello dell’Invisibilità?», chiese con tono grave.
     Harry sentì il sangue gelarglisi nelle vene. «Se fai il mio nome», disse con voce incerta, «non potrò più tornare».
   Draco sembrò pensarci un istante, poi annuì, si girò su un fianco e abbracciò Harry e il suo Mantello che lo rendeva invisibile.
     Gli ci volle un po’ per riuscire a rilassarsi, ma quando sentì il respiro calmo di Draco accanto a sé e il suo profumo buono, che aveva già sentito anche se non ricordava quando o dove, quando il calore del corpo che dormiva a ridosso del suo lo avvolse, Harry scivolò nel sonno senza rendersene conto.

 

“Se fai il mio nome, non potrò più tornare.”
     Harry era scivolato fuori dal letto di Draco facendo attenzione a non svegliarlo. Si era infilato le scarpe e si era voltato a guardarlo un’ultima volta, prima di andare via. Dormiva sereno, con le labbra appena socchiuse e le palpebre abbassate, le ciglia chiare a ombreggiare la pelle pallida, quel viso dai tratti spigolosi che nel sonno diventava così dolce.
     Si era piegato su di lui e gli aveva baciato la fronte.
     Per un po’ quel gesto avventato gli aveva dato una sorta di euforia; era sgusciato dal dormitorio di Serpeverde con la destrezza di un ladro e aveva fatto le scale di corsa, dimentico di ogni prudenza.
     Poi quelle parole gli erano tornate in mente, gravi e oppressive come una premonizione. Forse aveva commesso un errore, forse aveva svelato a Draco più di quanto avesse voluto: la sua identità, il suo segreto, una debolezza di cui non era ancora consapevole.
     Lui, però, lo aveva tenuto stretto per tutta la notte, come se non avesse avuto importanza chi erano, come se non si fossero picchiati a sangue solo poche settimane prima, sul treno che li aveva portati a Hogwarts.
     Harry sapeva che quella cosa tra loro, qualunque cosa fosse, non poteva continuare.
     In realtà, non era nemmeno sicuro che ci fosse qualcosa.
     L’ansia lo corrose per tutta la mattina, non gli diede tregua durante le lezioni, e non aiutò che Draco evitasse di guardarlo. Harry ne era sicuro: non poteva essere che Draco non levasse mai lo sguardo su di lui.
     All’ora di pranzo, gli arrivò un biglietto dal preside, e a Harry mancò il fiato perché quella notte non sarebbe riuscito ad andare da Draco.

 

Aveva sperato con tutte le sue forze che l’incontro con Silente durasse poco, che Ron e Hermione non lo aspettassero svegli, ma le cose non erano andate secondo i suoi desideri ed era già l’indomani quando Harry riuscì a raggiungere il dormitorio di Serpeverde.
     Draco dormiva e Harry si lasciò cadere sopra le coperte, abbracciandolo e addormentandosi, esausto.
     Quando si svegliò, non avrebbe saputo dire che ore fossero: lì non arrivava mai la luce del giorno, ma Draco aveva gli occhi aperti e lo fissava pur senza vederlo.
     Le dita di Draco percorrevano la sagoma del suo corpo, disegnandola nell’aria, scoprendola coi polpastrelli che scivolavano sul tessuto sottile del Mantello e, quando le sue mani arrivarono al viso, senza salire oltre il dorso del naso, come se avessero saputo che più in alto avrebbero trovato la montatura degli occhiali, si fermarono.
     Draco si sporse, posando le labbra contro le sue labbra, e Harry baciò la stoffa del Mantello che li divideva e si spinse addosso a lui.
     Tra i loro corpi c’erano lenzuola e coperte e non solo il Mantello, ma sospirarono entrambi, continuando a baciarsi senza farlo veramente.
     La stoffa tratteneva il suo fiato caldo, facendogli appannare gli occhiali, mentre Draco scalciava le coperte e spingeva i fianchi contro i suoi.
     Non c’era altro che potessero fare, col Mantello in mezzo, se non spingersi l’uno contro l’altro, in cerca di un contatto che avevano sempre cercato anche senza saperlo.
     A prepararli a quel momento erano serviti gli anni di scontri, la rissa in treno, le mani addosso senza sapere quale fosse il modo giusto, a trovare l’incastro, a condividere un respiro.
     Harry non si fermò a pensare. Seguì l’istinto, l’impulso del momento, fino a quando Draco non si inarcò sotto di lui, mordendosi il labbro per non gemere troppo forte. Il suo viso arrossato e stravolto si impresse a fuoco nella sua mente, facendogli superare la linea di non ritorno.
     «Draco, tutto bene?», chiese la voce derisoria di Zabini, oltre la tenda, e Harry si rese di aver dato voce al proprio piacere. Si immobilizzò mentre Draco metteva un dito davanti alle labbra.
     «Decisamente bene». La voce strascicata di Draco era ancora impastata di godimento e Blaise rise.
     «Allora spicciati, o andiamo a fare colazione senza di te».
     «Arrivo», rispose solo Draco, guardando fisso davanti a sé, dove avvertiva il peso di Harry sul materasso e mimò “vai” con le labbra.
     Harry lo fissò ancora un momento, il volto arrossato e gli occhi lucidi; era bello, era rilassato, e Harry si sporse a baciarlo di nuovo. «A stanotte», promise contro le sue labbra.

 

Draco lo aspettava seduto sul letto. Alzò lo sguardo non appena Harry increspò le tende del baldacchino, ma non fece in tempo a dire nulla prima che gli si gettasse addosso, spingendolo con la schiena sul materasso. Gli baciò le labbra e la gola e lo vide sorridere.
     Draco sorrideva, e a Harry scoppiava il cuore di felicità.
   Il dormitorio era, come sempre, avvolto nel buio e nel silenzio; c’era solo il lume sul comodino di Draco a spandere una tenue luce su di loro e Harry allungò la mano per spegnerlo.
     Per un momento si sarebbe potuto pensare che l’avessero deciso di comune accordo: Harry spense la luce, Draco gli tolse di dosso il Mantello. Gli sfilò gli occhiali e li posò sul comodino e finalmente Harry poté sentire il sapore delle sue labbra, poté respirare senza filtri il profumo della sua pelle.
     Non ebbero bisogno di dirsi nulla; Harry aprì la casacca del pigiama di Draco e Draco gli filò dalle braccia il maglione. Harry gli baciò il petto e Draco avvolse le gambe intorno ai suoi fianchi.
     Harry non era sicuro di voler andare oltre, non era sicuro di sapere come si facesse, e Draco non glielo chiese, così le dita incerte e curiose di Harry superarono il laccio dei pantaloni del pigiama di Draco e quelle di Draco litigarono col bottone a pressione dei suoi jeans babbani.
    Impararono entrambi qualcosa e si presero tutto il tempo di cui ebbero bisogno, tutto il tempo che la notte concesse. Si accarezzarono, si toccarono, e godettero l’uno dell’altro tutte le volte che i loro sedici anni permisero, prima dell’arrivo dell’alba.
     «Devo andare…», sospirò Harry, infelice, quando la notte si avvicinò alla fine. Risalì con le labbra sul petto di Draco, gli baciò di nuovo il collo e ancora le labbra, sorprendendosi quasi di non averle consumate durante la notte.      Le sue mani si erano fatte strada tra le stoffa del pigiama di seta verde, le sue dita si erano allargate sulla pelle candida e perfetta di Draco, e gli sembrava che non avrebbe mai potuto averne abbastanza.
     Draco sospirò, scontento quanto lui, e allungò un braccio verso il comodino. Gli baciò la punta del naso e poi Harry sentì il peso familiare degli occhiali sulle orecchie. Sistemò le stanghette e cercò gli abiti e il Mantello che la sera prima aveva gettato alla rinfusa.
     Draco, intanto, si accoccolò sul fianco e chiuse gli occhi, forse sarebbe riuscito a riposare per un po’.
     Harry lo baciò di nuovo, a fior di labbra, prima di svanire sotto il Mantello, come se non fosse mai stato lì.

 

Harry aveva sul viso quel genere di sorriso che si ritiene indelebile.
     Tornò di corsa nel proprio dormitorio sentendosi addosso il calore di Draco, le sue mani che lo stringevano, le sue labbra che lo baciavano.
     Tornò nel suo letto consapevole che non sarebbe riuscito a dormire nemmeno per un’ora, al pensiero di quello che avevano fatto. Con un gesto meccanico, fatto infinite volte, si tolse gli occhiali e li posò sul comodino. Il braccio rimase disteso, pollice e indice premuti sulla montatura che reggeva le lenti, mentre il fiato gli abbandonava di colpo i polmoni.
     Draco gli aveva tolto gli occhiali.
     Draco glieli aveva rimessi.
     Non aveva esitato un istante, non era stato sorpreso.
     L’aveva fatto come avesse immaginato di farlo cento volte, mille volte, e poi di nuovo cento.
     Draco l’aveva riconosciuto.
     Il cuore gli impazzì nel petto.

«Harry? Harry? Harry!». Hermione gli strattono il braccio per attirare la sua attenzione e, quando Harry la guardò, lei scosse la testa con fare irritato.

     «Scusa, ero sovrappensiero».
     «È da stamattina che non so dove hai la testa», si lamentò l’amica mentre si dirigevano in Sala Grande.
     «Hai ragione, scusa». Hermione gli scoccò un’occhiata scettica. «Ricomincia, ti ascolto». Non l’ascoltò per più di tre parole. Aveva ancora il sorriso a stendergli le labbra e la mente piena dei sospiri di Draco. Il ricordo dei suoi gemiti aveva soppiantato ogni pensiero razionale, e poi Draco fu davanti a lui, seduto al tavolo di Serpeverde e Harry rimase in attesa di uno sguardo, di un sorriso fugace che Draco non gli rivolse.
     Dopo pranzo, cercò inutilmente di raggiungerlo tra la folla di studenti che lasciavano la Sala Grande e a nulla valse cercarlo sulla Mappa del Malandrino.
     Draco era sparito, come se non si trovasse più al castello, e mille pensieri passarono per la mente di Harry.
     Prima del tramonto, però, lo vide comparire, un cartiglio solitario che percorreva un corridoio vuoto.
     Avrebbe potuto attendere la notte, come aveva fatto le notti precedenti, e raggiungerlo nel suo letto, ma non voleva aspettare, non voleva nascondersi ancora.
     Corse a raggiungerlo.
    Corse come se non potesse, davvero non potesse, attendere più a lungo di così per vederlo, per stringerlo, per baciarlo. Per pronunciare il suo nome.
     La luce del tramonto, entrando dalle finestre alte e strette, gli illuminava il viso, i tratti spigolosi si addolcivano di riflessi rosati, le ombre si annidavano nei vuoti tra le pieghe della sua divisa scolastica.
     «Draco». La voce di Harry rimbalzò sulle pietre del corridoio producendo un eco vago, e Draco si bloccò, quasi fosse stato pietrificato.
     Alzò lo sguardo su Harry e strinse le labbra sottili. Non disse nulla.
     Harry si avvicinò. Sentiva le ginocchia deboli e la sicurezza se ne era andata non appena aveva posato gli occhi su di lui. Gli girò quasi attorno, appoggiando le spalle alla parete di fronte, come se quella fosse la massima vicinanza possibile.
     «Potter». La voce di Draco era appena un sussurro.
     Il silenzio si dilatò tra loro, si espanse. Era così diverso incontrarsi alla luce del sole.
     «Draco…».
     «Malfoy!», lo corresse Draco. «Per te sono “Malfoy”, Potter».
     Harry sussultò, incredulo, disorientato. «Ma…». Chiuse la bocca prima di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire.
     Draco, Malfoy, inclinò il capo, guardando ai due lati del corridoio, quasi temesse di veder spuntare qualcuno all’improvviso. «Adesso è diverso», disse a voce bassa, strascicando le parole più del solito, restandovi invischiato lui stesso.
     «Diverso?».
     Draco sospirò. Si passò la lingua sulle labbra sottili. «Quello che succede di notte non deve essere vero per forza. È… un sogno. Una fantasia».
     «Lo sai che non è un sogno o una fantasia», insistette Harry.
     «Potter!», sbuffò Draco, come se dovesse spiegargli tutto. «Non è possibile».
     «Perché?» Harry sentì la propria voce infrangersi per un istante. «Perché no?».
     Draco si limitò a guardarlo con una sorta di pena nello sguardo. “Perché siamo Potter e Malfoy”, sembrava dire.
   «Quando… quando hai capito che ero io? Quando ti ho detto del Mantello, vero?». Harry avrebbe voluto sdrammatizzare, perché si sentiva impotente e disperato, ma forse, in realtà, avrebbe solo voluto prolungare quel momento, impedire a Draco di andare via.
     Draco scosse piano la testa. «Ho riconosciuto il tuo profumo», disse con un filo di voce, quasi si vergognasse. Aveva distolto lo sguardo e gli si erano colorate le guance, a meno che quello non fosse il riverbero dell’ultimo sole.
     Harry non capì subito. Poi gli tornò in mente la voce di Hermione: “e dovrebbe avere un odore diverso per ciascuno di noi, a seconda di ciò che ci attrae…”. Un amore ossessivo… la smorfia scettica che aveva fatto Draco quel giorno…
     «Draco…», questa volta lui non lo corresse anche se Harry gliene diede il tempo. «Non dobbiamo per forza…».
     «Facciamo quello che dobbiamo fare, Harry».
     Harry deglutì a fatica e annuì. Draco era stato lapidario.
    «Devo… sconfiggerlo. Devo ucciderlo, Draco. Per la mia sopravvivenza… e per…». Un “noi” rimase in sospeso, ma Harry ebbe la sensazione che Draco avesse capito.
     Il Serpeverde annuì. «Devo andare».
     «Stanotte?».
     «No. Ci siamo svegliati, la fantasia è finita, Harry».
     Aveva una sua strana dolcezza il suo nome sulla lingua di Draco, e Harry dovette riconoscere che aveva imposto lui quella regola, senza nemmeno saperlo. “Se fai il mio nome, non potrò più tornare,” gli aveva detto, e Draco l’aveva fatto apposta.
     Gli eventi avrebbero seguito il loro corso. Loro sarebbero tornati ad essere “Malfoy” e “Potter”, come se nulla fosse mai accaduto, come se fosse stato solo un sogno da cui si erano svegliati.
     Harry guardò Draco allontanarsi. Avrebbe voluto rincorrerlo, ma non fu in grado di muovere un passo per molto tempo dopo che il Serpeverde fu sparito alla vista.

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Note: il profumo cui entrambi riconoscono e a cui è riferita anche la citazione di Hermione (da “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”), è ovviamente riferito all’Amortentia che i personaggi hanno esaminato all’inizio dell’anno col professor Lumacorno.

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