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Autore: Eneri_Mess    18/01/2019    2 recensioni
«Ho bisogno di un prestito! Mi mancano solo due regali e sono i più importanti! Ma ho finito i soldi sulla carta e sono rimasto con quelli giusti giusti per partire! Ti ridarò tutto dopo le feste, giuro, appena la mia abuelita mi darà la paghetta di Natale! Per favore!»
Per amor di commedia, Pidge immerse di nuovo il cucchiaino nel dolce, lo caricò per bene e se lo gustò lentamente, tenendo Lance sulle spine prima di rispondere, ma con un’altra domanda.
«Per chi sono gli ultimi due regali più importanti?»
Per il Calendario dell'Avvento di VLD_ITA e Fanwriter.it!
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota introduttiva: a parte essere in stratosferico ritardo sulla consegna definitiva, questa storia ha qualche nota da tenere a mente:
- Canon Divergence Post S7, non tiene conto degli avvenimenti della S8. La guerra è finita e sono passati un paio di anni.

- Papà Kogane (aka Ken) è vivo, ha ritrovato la sua compagna Krolia e hanno avuto un altro figlio, Yorak.
- Lotor gode di ottima salute, fisica e mentale. #LotorDeservedBetter
- Accenni al fatto che Keith possa mutare la propria natura in quella di Galra.
- Accenni all’Alien Biology, ma tutto safe.
Buona lettura!

Questa storia partecipa al Calendario dell'Avvento 2018 del gruppo italiano di Voltron e di Fanwriter.it!



 

Christmas Vibes



 

I don't want a lot for Christmas
There's just one thing I need
I don't care about the presents
Underneath the Christmas tree
I just want you for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
All I want for Christmas
Is you
[All I want for Christmas is you - Mariah Carey]





 

«Pidge! Piiidge! Ci sei!? Halp! Pii-»

«Ci sono, Lance! Ci sono! Non buttare giù la porta!»

Quando la ragazza aprì, insieme a Lance entrò anche l’aria gelida dell’inverno a farla imprecare e incassare la testa nel collo della vestaglia di pile e tra le vecchie cuffie verdi. Senza fare complimenti, il ragazzo appoggiò in terra una busta in carta, sbatté tra loro gli scarponi e si liberò di sciarpa e berretto spargendo goccioline di fiocchi di neve per tutto l’ingresso. A completare il quadretto, Bae Bae arrivò come un tornado a fargli le feste, saltando sul posto per avere le coccole.

«Che cosa fai qui? Pensavo stessi facendo i bagagli» brontolò Pidge, squadrando l’amico riempire di grattini dietro le orecchie il cane, che nell’agitazione generale con la coda le stava frustrando i polpacci facendola incespicare indietro.

«Perché tu li hai già fatti e non stavi giocando a Fallout, vero?» rimbeccò il paladino blu, rimettendosi in piedi e stiracchiandosi. «Caffè? Tè? Cioccolata?»

Pidge alzò un pollice alle sue spalle, l’espressione disinteressata. «La cucina sai dov’è. Ma che cosa sei venuto a fare?»

Lance si addentrò nell’appartamento e fece come se fosse stato a casa propria, aprendo gli armadietti giusti, frugando tra le cialde per scegliere quella più gustosa, ficcanasando nel frigo per prendere il cartone del latte - ma trovandolo praticamente finito.

«L’ha lasciato così Matt» sparò la ragazza allo sguardo accusatorio rivoltole.

«Che è partito due giorni fa.»

«Sono intollerante ai latticini, perché avrei dovuto preoccuparmi del cartone del latte?»

«Sei intollerante solo quando ti fa comodo. Nella busta che ho lasciato di là ci sono due mousse al fondente di Baker’s.»

Neanche finì la frase che Pidge era già sparita per tornare dall’ingresso con il bottino, tallonata da Bae Bae eccitato dal buon umore della padrona.

Cinque minuti dopo, avvolti dall’aroma del caffè e dal profumo più pungente ma gratificante del cioccolato, Pidge ripeté la domanda, riformulandola alla luce di quello che significava l’averla comprata con i dessert.

«Cosa ti serve?» e lo chiese pulendo per bene il cucchiaio dai residui della mousse.

Lance non ci provò nemmeno a sviare e iniziò una risposta a cascata.

«Ho bisogno di un prestito! Mi mancano solo due regali e sono i più importanti! Ma ho finito i soldi sulla carta e sono rimasto con quelli giusti giusti per partire! Ti ridarò tutto dopo le feste, giuro, appena la mia abuelita mi darà la paghetta di Natale! Per favore!»

Per amor di commedia, Pidge immerse di nuovo il cucchiaino nel dolce, lo caricò per bene e se lo gustò lentamente, tenendo Lance sulle spine prima di rispondere, ma con un’altra domanda.

«Per chi sono gli ultimi due regali più importanti

Lance guardò da un’altra parte, sbuffando sonoramente ma con un sentimento che sembrava più un lungo sospiro drammatico. Pidge capì al volo, ancora più intrigata e interessata alla piega che stava prendendo il pomeriggio. Cercò di darsi un contegno, nonostante la sua mente stesse già elaborando le informazioni a mille.

«Ti sei deciso! Vuoi provarci davvero! Con tutti e due!» esclamò, piegandosi sul tavolo verso Lance. Stava sorridendo da orecchio a orecchio e non era mai un buon segno. Lance raddrizzò le spalle, alzando entrambe le mani a fermare l’invisibile eccitazione con cui l’amica lo stava investendo. Non riuscì a reprimere il rossore sulle guance, ma tentò di darsi un tono.

«Sì, sì e sì» rispose, come se quelle di Pidge fossero state domande e non affermazioni. «Insomma… l’universo è in pace adesso, no? Noi ci stiamo prendendo il nostro tempo per tornare alla normalità e tutte cose del genere… È un buon momento.»

«Ed è Natale» aggiunse Pidge, il su e giù delle sue sopracciglia a sottintendere molto altro.

«Ed è Natale» convenne Lance, un po’ più a suo agio. «Ci ho riflettuto e penso che sia l’atmosfera ideale. Organizziamo questa gita da mesi, è tutto perfetto. Ci riposeremo, staremo insieme, ci sarà la neve, il camino, nessuna preoccupazione… Cosa potrebbe andare storto?»

«Be’, ora che l’hai detto sicuramente qualcosa andrà storto» rise Pidge maliziosa, mettendo da una parte il cucchiaio e pulendo il contenitore della mousse con l’indice, per non lasciare neanche una macchia di cioccolato.

«Oh, non tirarmela!» protestò Lance con il broncio.

«Be’, già che hai rimandato all’ultimo i regali più importanti ti stai mettendo i bastoni tra le ruote da solo.»

«Lo so! Ma volevo essere sicuro… e ho controllato, se li ordino entro oggi, il corriere li farà arrivare prima della partenza!»

«E che cosa hai intenzione di comprare?»

«Puoi prendere il portatile?»

Qualche minuto dopo, Lance stava digitando su Zamazon mentre lei finiva anche la sua mousse, come se con la prima e la dichiarazione di intenti Lance non l’avesse già convinta ad aiutarlo.

«Tadan!» presentò lui, quando il browser ebbe finito di caricare la sua ricerca.

Pidge espresse un mmmh pensieroso, di nuovo il cucchiaio tra le labbra.

«… un kigurumi da ippopotamo?»

«Rosso! È perfetto, non credi? E anche questo da gatto nero! È classico, ma penso che sia azzeccato. Che dici? Eh?»

«Non sono un po’... infantili?»

«Non offendere l’adorabile arte del vestire kigurumi! E poi io ne ho uno da squalo già pronto in valigia per completare il terzetto!»

«Un ippopotamo, un gatto e uno squalo… sì, be’, sembra l’inizio di una barzelletta...»

«Pidge!»

«Va bene, va bene, hai ragione tu. Sono… carini, credo. Sicuro sono dei vestiti facili da togliere, all’occorrenza. O forse no. A vedere la distanza tra i bottoni, potresti divertirti anche a farglieli tenere mentre-»

«OK, TIME OUT! Mi stai davvero immaginando a fare…? A entrambi, insieme…?» Lance agitò le mani in qualche gesto esplicito. I due si guardarono dritti negli occhi per una manciata di secondi pregni di significato.

«Sì» rispose asciutta Pidge, senza il minimo imbarazzo. Lance annuì piano, tornando a guardare la schermata dello shop online con intensità, umettandosi le labbra involontariamente.

«… non ci avevo pensato» confessò quasi a darsene una colpa.

Pidge gli batté piano una mano sulla spalla con compassione.

«Avanti. Se pensi che questi pigiamoni ti saranno utili per dichiararti, prendili… la mia carta è già registrata sul sito, vai direttamente al check out.»

«Grazie, Pidge. Sei un’amica.»

«Lo so.»



 

Un giorno e mezzo dopo, al quarto colpo di clacson, Lance finalmente caracollò fuori di casa con un ultimo bacio alla madre e un qualche augurio in spagnolo. Arrivò alla jeep carico di buste e bagagli, sotto lo sguardo scocciato di Hunk e Pidge.

«Cosa c’è? Almeno aprite il portabagagli!» si lamentò, cercando di non perdersi nulla per strada. Con un grugnito, Pidge scese a dargli una mano.

«Stiamo via sette giorni, cosa diavolo ti sei portato dietro?»

«È colpa dei regali!» tagliò corto Lance, cercando di stipare le sue cose nel vano posteriore già strapieno, con Pidge che lo fermò dandogli una gomitata nello stomaco perché stava rovinando il suo tetris perfetto.

Ci misero venti minuti per incastrare tutto; Lance rimase con una singola busta in mano, che si rifiutò di dare alla ragazza.

«Questi possono viaggiare dietro con me» disse, una nota eccitata nella voce.

«Fa come vuoi» brontolò l’amica, salvo realizzare qualche istante dopo. «Sono i famosi due regali? Tutto ok?»

Lance mostrò orgoglioso l’interno della busta, dove facevano mostra di sé due identiche scatole rettangolari colorate con nastro decorativo natalizio.

«Arrivati stamattina! Non ho dovuto neanche perdere tempo a fare da me i pacchi! Sono perfetti! Non vedo l’ora di vedere le loro facce!»

Hunk suonò il clacson un’ultima volta, affacciandosi dal finestrino.

«In macchina. Ora!»

Il viaggio verso lo chalet prenotato per il Natale fu infinito e della durata di quasi tutto il giorno. Questo perché qualcuno - Lance - aveva sbagliato a comprare i biglietti aerei e solo all’ultimo se ne erano accorti, senza possibilità di sistemare il problema («Bella gratitudine verso chi vi ha salvato le chiappe dall’invasione aliena!» era stata l’ultima rimostranza di Lance all’operatore telefonico della compagnia aerea).

Arrivarono verso l’ora di cena, dopo un’ultima tirata senza soste di quasi tre ore, con Hunk che non lasciò nessuno dei suoi due compagni dormire per più di tre minuti, così che quando giunsero Lance e Pidge quasi baciarono il vialetto pieno di neve fresca; il freddo secco li aiutò a darsi una svegliata. Ma quello che li destò del tutto fu la sorpresa che trovarono ad aprire la porta.

Sulla soglia se ne stava Keith indossando un discutibile maglione natalizio con un Babbo Natale muscoloso e in sole bretelle che recitava Call me daddy!

«Non una parola» minacciò lui, già leggendo dai loro sguardi che lo avrebbero seppellito di risate. E così successe.

Keith tentò di chiudere la porta in faccia ai tre e lasciarli sullo zerbino, ma questi si buttarono di peso contro l’uscio, carichi di bagagli, e ben lungi dallo smettere di ridere.

«Io lo conosco questo maglione» singhiozzò Pidge cercando di riprendersi. «È di mio fratello! Perché ce l’hai tu?»

Keith si trincerò dietro la propria espressione omicida e alle braccia conserte. A poco servì, quando il proprietario del brutto maglione li raggiunse, posando un braccio sulle spalle del paladino rosso.

«All’aeroporto hanno perso il bagaglio nel nostro Keithy e ora indossa quel che avanza» li aggiornò Matt, unendosi agli sghignazzi generali come se non vedesse l’ora di ricominciare qualcosa che sembrava aver interrotto solo qualche istante prima.

Lance si riprese il giusto per riacquistare una parvenza di serietà, avvicinarsi a Keith - che nel frattempo aveva pizzicato Matt su un fianco per levarselo di torno - e battergli le mani sulle spalle.

«Sei fortunato che è arrivato a salvarti il tuo fratello di taglia» disse solenne, anche se dovette mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere di nuovo. «Sarò generoso e dividerò i miei vestiti con te. I miei pantaloni saranno i tuoi pantaloni.»

Alle sue spalle, Pidge e Hunk mimarono due dita in gola come per vomitare, ma Keith era troppo concentrato su Lance per accorgersene. Alzò un sopracciglio, poi squadrò il paladino blu da capo a piedi e infine drizzò le spalle accennando un sorrisetto sghembo e piazzando a sua volta la mano sul berretto di Lance.

«Grazie dell’offerta, fratello. Ma non mi hai ancora raggiunto in altezza e - lo imitò, ma battendogli a sua volta le mani ai lati dei fianchi, sottolineando la differenza di larghezza, anche se poca - sono abbastanza sicuro che i tuoi pantaloni mi vadano stretti.»

Nel silenzio indignato e imbarazzato di Lance i restanti tre scoppiarono a ridere in lunghi ululati, con i due Holt a rotolarsi per terra.

«Tu...» iniziò Lance, battendo l’indice contro il petto irremovibile di Keith, all’altezza del fumetto “call me daddy”, ma era troppo offeso per poter anche solo farci un pensiero. «Sai che ti dico? Stavo per muovermi a pietà e farti aprire in anticipo il mio regalo, ma spero che ti si gelino le chiappe nel frattempo!»

«Di questo passo non mi farete arrivare alla vigilia!» trillo Matt, rimettendosi in sesto. «Direi che possiamo scaricare la jeep e farvi fare un tour dello chalet e poi spostarci in cucina a cenare, che dite? E comunque, da vera squadra, ognuno dovrà cedere un proprio capo d’abbigliamento alla causa BagaglioPerso di Keith. Lo hanno già fatto tutti gli altri. Tranne Shiro, almeno per maglioni e simili, dato che a tutti manca una manica. Se ti consola, Lance, i pantaloni di Shiro gli vanno più che larghi.»



 

Non erano stati gli ultimi ad arrivare. Matt e la sua ragazza, N7, avevano ritirato le chiavi dall’agenzia per primi e si erano presi un paio di giorni da soli. Dopo di loro erano giunti Shiro, Coran, Allura e Lotor, direttamente dall’ultima missione diplomatica prevista per quell’anno terreste. Keith era arrivato col padre il giorno dopo, e a loro erano seguiti, direttamente dalla base della Lama di Marmora più vicina, Krolia, il piccolo Yorak, Cosmo e Kolivan, trascinato all’ultimo perché si prendesse anche lui una vacanza diversa e nuova. Erano quindi seguiti Lance, Pidge e Hunk, e verso l’ora di pranzo di quel giorno sarebbe sopraggiunto il quartetto dei piloti degli MFE, carichi di bagagli come se il Natale si prospettasse una missione di due mesi. Il lato positivo era che a Keith non sarebbero mancati altri maglioni brutti da mettere.  



 

Il trio di combina guai della Garrison realizzò di essere in vacanza solo la mattina successiva, sedendosi al tavolo della colazione imbandito di leccornie dolci e salate. L’odorino era una calamita, ma tutta la loro attenzione fu catalizzata dalla vista mozzafiato oltre la parete a vetro, sulle montagne candide di neve su cui i raggi del sole mattutino scivolavano man mano che questo saliva oltre i picchi a est.

«Mancano solo Veronica e Acxa?» domandò Allura in uno sbadiglio, versandosi del tè caldo e annusando l’aroma che si alzava in spire dalla tazza. Shiro aveva l’abitudine di una tazza di tè tra un dibattito diplomatico e l’altro, consuetudine con cui aveva contagiato anche Allura (e in parte Lotor, anche se lui preferiva il caffè), facendole assaggiare di volta in volta miscele sempre diverse che ora la principessa ricercava con una ben visibile dipendenza.

«Yep» rispose Matt, osservando con disapprovazione il biscotto inzuppato cadergli nella tazza di latte caldo con un suono sgradevole. «Ho sentito Vero, per stasera saranno qui. Mi ha detto qualcosa sul dover fare un salto dai suoi per una sorpresa...» e lo disse guardando Lance, che registrò la domanda solo dopo uno scrollone di Hunk a risvegliarlo dallo stato contemplativo del panorama.

«Sorpresa? Passerà a consegnare i regali. Siamo molto, molto tradizionalisti a casa. Mamá e abuelita ci hanno lasciato venire qui solo perché abbiamo salvato l’universo.»

Per quanto Lance fosse serio, lungo la tavolata si diffuse una mezza risata, interrotta solo dal rientro di Shiro e Lotor dalla porta finestra della sala, accompagnati da un refolo di freddo esterno che fece rabbrividire e lagnare i più.

Matt guardò con biasimo Shiro mentre gli si sedeva di fianco dopo essersi liberato del giaccone e dei mammut, rimanendo in calzini pesanti decorati con dei bastoncini di zucchero natalizi.

«Conosci la parola va-can-za? Sei in vacanza, ricordi? Niente sveglia! Niente levatacce! Ogni volta che ti alzi presto, un brivido mi corre lungo la schiena in memoria dei tempi del dormitorio alla Garrison. Giù dalle brande, cadetti! Le stelle non aspettano voi!» e Matt scimmiottò Iverson, ma senza che nessuno lo ascoltasse davvero.

«Dove siete stati?» domandò Hunk, spostando il cestino con le paste calde davanti al posto dove Lotor si stava sedendo, dopo un bacio a fior di labbra ad Allura.

«Abbiamo preso la funivia per andare a vedere l’alba» spiegò Shiro, facendosi passare dalla principessa la scatola con i tè.

«Cosa!? Voglio venire anche io!» saltò su Lance, letteralmente, urtando Pidge senza accorgersene e facendo volare la sua fetta di pane e cioccolata nel caffè-latte di Keith,  che gli schizzò il maglione decente di quel dì, con un semplice “Purrry Christmas” e gattini sopra.

Shiro sorrise luminoso - forse l’ultima cosa che Lance avrebbe visto data l’aura tutt’altro che benigna di Pidge e Keith alle sue spalle - e annuì.

«Vengo a svegliarti alle cinque e mezza domani» decretò, per distrarsi subito con Allura a commentare le scelte di tè.

«Cos-» il restò della frase di Lance fu soffocato dalle mani che lo strozzarono e dalla baruffa in cui Pidge e Keith lo trascinarono, finendo a rotolare sulla moquette.



 

Shiro fu di parola e alle cinque e mezza precise bussò discretamente alla porta della camera di Lance e Hunk. Il primo tentativo andò a vuoto e Shiro continuò paziente per altre tre volte, finché non si sentì un «Lance, svegliati, è per te» sbuffato e roco da parte di Hunk, come se stesse parlando nel sonno, a cui fece seguito un «Cinco minutos, abuelita» da parte del paladino blu. Shiro percepì lo scricchiolio delle assi del letto in legno e un tonfo sulla moquette, seguito da un’imprecazione dolorosa.

Quando Lance aprì la porta della camera, Shiro era già vestito per affrontare il freddo e aveva un sorriso brillante a dargli il buongiorno. In un’altra situazione, Lance si sarebbe sentito il cuore schizzare in gola e si sarebbe emozionato fino a blaterare cose senza senso, ma in quella riuscì solo a stropicciarsi maldestramente un occhio e guardarlo come se fosse ancora immerso nel proprio sogno.

«L’alba, ricordi? Io e te» spiegò breve e coinciso Shiro.

Lance annuì, la bocca impastata e ancora la nebbia dell’incoscienza nello sguardo. Probabilmente pensava davvero di stare ancora dormendo, perché sbadigliando si avvicinò di più a Shiro, annullando qualsiasi distanza, e appoggiò la guancia sul suo petto, sotto il suo mento, un sorriso beato come se si fosse appena ridisteso sul cuscino, gli occhi di nuovo chiusi.

«¡Vamos!»

Un quarto d’ora dopo, erano quasi pronti. Shiro aveva fatto da balia a Lance fuori dalla porta del bagno, bussandogli per accertarsi che non si riaddormentasse mentre si lavava di denti, e lo stesso in camera, aiutandolo quando tentò di uscire con il maglione a rovescio, anche se non disse nulla sui calzini spaiati.

Nonostante continuasse ad asciugarsi gli occhi dalle lacrimucce a ogni sbadiglio, tempo di scendere al piano terra, Lance fu quasi del tutto reattivo e in grado di inquadrare la situazione. Lui e Shiro avrebbero guardato insieme - e da soli - l’alba. L’oro e il rosa che avrebbero inondato le cime ora tinte ancora dai residui delle ombre blu della notte, in un silenzio mozzafiato dove la parola sarebbe stata lasciata alla natura e forse a qualche gesto, tipo avvicinarsi, sfiorarsi la spalla l’un l’altro, un paio di sguardi e sorrisi complici…

Quando Cosmo apparve davanti al paladino blu mancò poco che quest’ultimo svegliasse tutto lo chalet con un grido di spavento. Tempestivamente, sia la mano di Shiro sia quella di Keith, comparso insieme al lupo, impedirono un brusco risveglio del resto della comitiva. In compenso, Lance disse addio a qualsiasi briciolo di sonnolenza rimasta.

«Mi hai-»  

«Fatto prendere un colpo, sì, scusa» tagliò corto Keith, passandosi la mano sui pantaloni per asciugarsi la saliva di Lance. Il maglione che indossava aveva una renna con gli occhiali da sole che pareva pronta a una notte in discoteca. «Stavate uscendo per vedere l’alba?»

«Vuoi venire?» chiese tiepido Shiro, passandogli un berretto come se avesse già detto sì.

Lance lo squadrò da cima a piedi: dai vestiti, Keith pareva pronto per affrontare una tormenta; poi passò lo sguardo a Shiro e pensò a sé, lì in mezzo ai due. Oh, realizzò, con un improvviso sfarfallio nello stomaco. Stavano andando a vedere l’alba tutti e tre insieme. Il che era perfetto.

Senza pensarci due volte prese entrambi sotto braccio. «Andiamo!» e li trascinò verso la porta prima che potessero cambiare idea.

Fu sorpassato l’uscio che la sua visione romantica si sfaldò, trovandosi davanti non uno, ma tre terzi incomodi ad aspettarli.

«Ieri l’abbiamo sentita parlare di andare a vedere l’alba, signore» disse prontamente James con lo stesso tono di quando si trovavano sulla plancia dell’Atlas. «Vorremmo unirci a voi, se non crea disturbo.»

L’espressione di Lance era lampante, ma Shiro parlò prima che gli si potesse formare un qualche “voi non siete stati invitati” o un “spiacente, missione per i soli e unici paladini di Voltron”.

«Niente formalità qui, James. E… sì, non vedo perché non dovreste unirvi a noi» annuì, squadrando il silenzioso Kinkade che stava trafficando con una telecamera compatta e poi sull’imponente figura di Kolivan alle spalle dei due, che con la sua silenziosa presenza sembra aver posto la stessa domanda di James.

Lance tenne il muso per tutto il tragitto.



 

Tornarono allo chalet a mattinata inoltrata, perdendosi in una battaglia a palle di neve sleale, dove Keith non si fece scrupoli a usare Cosmo per scomparire un attimo primo di essere colpito, Shiro li fregò col suo braccio mobile e Kolivan, che sulle prime non aveva capito la finalità del gioco, usò tutta la propria esperienza di capo di un gruppo millenario di ribelli per vincere. Lance, James e Ryan tornarono allo chalet con neve in posti che non credevano raggiungibili.

Vedendoli rientrare in quello stato, Hunk propose di sfruttare la sauna prima di pranzo e questo gli fece guadagnare un abbraccio fradicio da parte del suo migliore amico.

«Aaah, la miglior idea di sempre» esclamò Lance, rilassandosi nel vapore della sala in legno, sentendo i muscoli sciogliersi deliziosamente e dimenticando qualsiasi ricordo riguardante il freddo. Sospiri simili arrivarono anche da Hunk e Kinkade, seduti di fianco a lui, da James, dal lato corto della sauna, e da Shiro, davanti al terzetto, tutti avvolti negli asciugamani. Immersi nel pieno della beatitudine, tra una chiacchiera e l’altra, man mano sempre più sconfusionate, persero la cognizione del tempo e i contatti con la realtà.

Lance stava languidamente immaginando a occhi chiusi la scena dell’apertura dei regali, figurandosi le esclamazioni e i ringraziamenti, quando sentì una fastidiosa pressione nel fianco. Si riaggiustò a sedere meglio, cauto che l’asciugamano non si sciogliesse dai suoi fianchi, ma fu pungolato di nuovo. Si costrinse ad aprire un occhio, squadrando Kinkade interrogativamente. Senza fiatare, ma alzando soltanto l’indice della mano, il pilota indicò l’altro lato della stanza. Attraverso la nebbiolina data dal vapore, Lance vide solo Shiro e non capì, girandosi verso Ryan con le mani alte in un gesto disorientato.

«Che succede?» bisbigliò Hunk dall’altro fianco, attirato dai movimenti, anche lui a occhi chiusi ma ora con la fronte accigliata. «Perché non riesci a rilassarti e basta, Lance?»

«Non sono io, è Ryan che-» protestò, ma fu interrotto dall’ennesima gomitata del pilota, che accennò insistentemente a Shiro con la testa.

Lance stava per uscirsene con un “Usa la bocca, p-a-r-l-a!” quando con la coda dell’occhio notò qualcosa e tornò a scrutare il paladino nero. C’era il bracere tra di loro, con le pietre da cui il vapore si spandeva per la stanza. Però Shiro era ben visibile e si era addormentato con la testa reclinata contro il muro; situazione comprensibile visto che erano due giorni che si alzava alle cinque e prima di mezzanotte non andava a dormire. Era anche indiscutibilmente attraente, rilassato, con i capelli del ciuffo sparsi e appiccicati alla fronte e i muscoli del corpo lucidi per la temperatura della stanza. Lance si chiese come avesse potuto perdersi in pensieri stupidi invece di scolpire quella visione nella propria mente. Il dettaglio che però aveva attirato la sua attenzione - e prima di lui quella di Kinkade - tornò pienamente a riempiere il suo campo visivo insieme a un leggero fremito.

«Oh, quiznak» sbottò Hunk per lui, anche se fu un millesimo dell’esclamazione in lingue miste a cui Lance avrebbe voluto dare voce. Il paladino blu si limitò a stringere tra loro le labbra, umettandole, senza provarci neanche a dissimulare o scollare gli occhi dal rigonfiamento che spiccava in mezzo alle gambe di Shiro. Era già tanto che non gli fosse scappato un lungo, lungo sospiro estatico. E nel mentre, non si sforzò nemmeno di nascondere la sua curiosità, allungano e inclinando la testa per cercare di carpire dettagli da un’angolazione diversa, sbirciare sotto l’asciugamano nell’ombra che creava, intanto che la mente faceva silenziosamente i calcoli su quanti centimetri avesse di fronte. Fu quando arrivò a sporgersi dalla panca, e quasi cadere di faccia, che ricevette un’altra gomitata, questa volta da parte di Hunk.

«Lance, piantala!»

Ma Lance voleva fargli capire quanto quella fosse un’occasione d’oro, che in anni di cameratismo spaziale non aveva avuto mezzo barlume di sbirciatina e che ora era tutto lì, davanti a lui, a meno di quarantotto ore dai suoi propositi di dichiararsi. Se fosse andata male - come era inevitabile, perché i suoi piani prevedevano un doppio suicidio sentimentale - almeno avrebbe avuto un grosso ricordo con cui consolarsi.

Hunk però aveva ancora una dignità, tanta da colmare la mancanza di quella di Lance. Soprattutto quando la mano umana di Shiro si mosse, senza che lui desse segni di essersi destato, e in modo quasi distratto grattò la stoffa dell’asciugamano a pochi centimetri dalla zona incriminata. Al suono del sospiro che lasciò le labbra del paladino nero, Hunk prese la decisione a nome dei presenti.

«Fuori! Tutti! Ora!»

Una volta usciti nell’anticamera della sauna, a dispetto delle lamentele che il broncio di Lance sembravano trattenere appena, i tre ragazzi si guardarono l’un l’altro scoppiando a ridere, concordando tacitamente che quella sarebbe stata una storia da giocarsi al momento giusto in futuro.

Quando riuscirono a ridimensionare i singulti, e risistemati gli asciugamani sui fianchi prima di rimanere nudi e rendere ancora tutto più imbarazzante, Hunk si accorse di un dettaglio.

«Ragazzi… dov’è James?»

James riemerse di corsa dalla sauna qualche minuto più tardi, mentre gli altri si preparavano per entrare nelle docce per la fase di raffreddamento. Il pilota era paonazzo, forse per i vapori della sauna, forse per quello che anche lui aveva assistito.

Hunk, Lance e Ryan lo sentirono blaterare qualcosa sull’essersi addormentato e poi parole confuse che comprendeva “Capitano” e “asciugamano aperto”, ma un giramento di testa per la reazione agitata lo fece finire lungo tra le braccia di Kinkade. Anche quello fu archiviato come aneddoto per il futuro, insieme a Hunk che impedì a Lance di tornare nella sauna.



 

Era la sera del ventitre e stavano per iniziare la cena - un maxi buffet opera di Hunk e dei piloti cadetti incastrati a fargli da aiuto chef, insieme alla presenza curiosa ma monolitica di Kolivan - quando Matt tornò dall’aeroporto, dove era andato a recuperare Veronica e Acxa.

Il ragazzo varcò la soglia con un vociare eccessivo per comunicare il loro rientro, ma il tono era di puri decibel e gioia, facendolo sembrare un incrocio tra una pallina rimbalzante e un cane festoso - tanto che Cosmo, accucciato ai piedi di Keith e Krolia, rizzò il capo. Esclusi quelli confinati in cucina, il resto della comitiva era stravaccato sui divani e voltò la testa attirato dal trambusto che Matt da solo stava creando.

«Siamo tornati!» annunciò neanche stesse presentando i reali d’Inghilterra. «Che fate lì a poltrire! Venite a salutare Vero e Acxa! Branco di maleducati! Dov’è Lance? Lance dove sei! Vieni a salutare tua sorella! Ti ha portato una sorpresa!»

E in tutto questo, in realtà, solo Matt aveva varcato la soglia, come il più professionale dei ciambellani, mentre le due ultime arrivate erano ancora sul vialetto a sistemare i loro bagagli.

Dalla sua nicchia sul divano, imbacuccata in un maglione a collo così alto che l’intento sembrava quello di sparirci dentro, Pidge sospirò tristemente, attirando l’attenzione di Shiro e Lotor.

«Sapevo sarebbe arrivato questo giorno.»

Il paladino nero e il principe continuarono a guardarla senza capire e lei si strinse nelle spalle, per poi alzarsi come stavano facendo tutti per raggiungere l’ingresso e salutare le nuove arrivate.

«Il giorno in cui Matt avrebbe perso la testa» spiegò infine la ragazza. «Peccato, era un buon fratello.»

«Lance!» stava ancora strepitando il maggiore degli Holt con insistenza.

L’interessato arrivò di corsa dal bagno, spuntando dalla piccola folla dubbiosa che aveva formato un semicerchio intorno alla porta, storcendo il naso e stringendosi tra loro per combattere il freddo che stava entrando.

«Che succede!?» chiese Lance guardandosi intorno, la camicia sotto il maglione fuori dai pantaloni perché non aveva avuto tempo di risistemarla.

«È arrivata tua sorella!» esclamò Allura, con la sua espressione piena di aspettativa per assistere a chissà quale altra strana e nuova usanza terrestre, visto il trambusto creato da Matt.

Chiudendo la porta, Veronica e Acxa spuntarono finalmente alle spalle di Matt, incuriosite da quel piccolo capannello di gente, che l’aliena fissava con diffidenza, come fosse stato un plotone d’esecuzione.

«Tadan!» squillò Matt, con tanto di gesto plateale, confermando anche a chi ancora non ci credeva che si fosse perso qualche rotella del cervello nel tragitto chalet-aeroporto. «Siamo al completo ora! Oh se siamo al completo! Siamo davvero tutti!»

Pidge nascose il viso nel fianco di Shiro, sussurrando un «Adottami, ti prego.»

«Quanto casino, Matty» ridacchiò Veronica con le guance rosse, mascherando un’espressione che sembrava combattuta tra imitare l’imbarazzo generale di chi non sapeva esattamente come muoversi, se avanzare e salutare, o aspettare un qualche “via”, e uno scintillio negli occhi che voleva dire molto di più.

Sempre su di giri, Matt passò un braccio intorno alle spalle di Acxa, con una improvvisa confidenza che se per sbaglio lei fosse stata armata come al solito, l’istinto l’avrebbe portata a puntargli la pistola sotto il mento. Ma per la fortuna sfacciata che accompagnava il maggior degli Holt, Acxa rimase quieta, quasi in un atteggiamento docile, di fronte a tutti quegli occhi che cercavano di capire l’aspettativa della situazione. Shiro si schiarì la voce.

«È andato bene il viaggio?» offrì, spezzando il momento di stasi, per quanto rimanesse una scena strana.

«Perfetto» annuì Veronica, con un sorriso ampio un po’ fuori luogo. Scrollò la testa con uno sbuffo, senza perdere l’espressione eccitata, e parlò di nuovo prima che qualcun altro potesse intervenire. «Tagliamo la testa al toro. Auguri a me!» e lo disse togliendosi il cappotto pesante.

Il primo Oh fu di Krolia. Seguì il sorrisetto sghembo Made in Texas di Ken, un’espressione di pura sorpresa per Shiro e via via le facce di tutti si accesero come le luminarie di una città.

Chi non aveva ancora afferrato, o era rimasto pietrificato sul posto, fu il futuro, ma ormai veterano, tío Lance.



 

Stavano consumando la cena-buffet quando venne a galla un particolare dato per scontato.

«Non pensare di rimpiazzarmi, Capitano. Tempo di sfornare il pargolo e tornerò al mio posto sul ponte di comando. Nel frattempo, posso addestrare Rizavi a non molestare il prossimo con commenti fuori luogo e sostituirmi se fosse necessario.»

Shiro rise contro il bordo del bicchiere del vino.

«Quel posto è tuo, Vero. Prenditi tutto il tempo che ti serve, senza preoccuparti. »

«Puoi sempre chiedere a me di fare il babysitter, sai, ho una certa rinomata esperienza, sorella. Basta che tu me lo dica in anticipo

«Andiamo, Lance! Smettila di tenermi il muso!» protestò Veronica ma più divertita che rammaricata. «Te l'ho detto, volevamo essere sicure che fosse tutto a posto prima di dare la notizia! Neanche mamá mi ha tenuto il muso! Dovevi vederla, sembrava non avesse mai avuto notizie di nipoti in arrivo.»

Lance sbuffò, appendendosi alla cannuccia del suo drink e facendo le bolle come un bambino.

«È una cosa troppo… Oh insomma, non sapevo neanche volessi dei figli! Poi così, di punto in bianco? E come hai fatto coi soldi? Oddio, non dirmi che hai chiesto un prestito in banca per i trattamenti! E non mi hai neanche fatto partecipare alla scelta del donatore!»

Veronica lo fissò come se fosse stato l'unico alieno della stanza, per poi realizzare e scoppiare a ridere coprendosi la mano con la bocca.

«Frena Lancey, frena, ti prego. Non ti ho tenuto nascosto nulla! È soltanto successo» e lo disse con un ghigno che mise in allerta Shiro.

«Questo» e il giovane McClain indicò la curva di quasi quattro mesi della sorella. «Non può essere “soltanto successo”.» Shiro capì dal gesto delle virgolette che Lance era seriamente toccato dall'argomento e si sentì un terzo incomodo in quella discussione famigliare. Ma il sorrisetto di Veronica lo tenne inchiodato lì per la curiosità.

«Questo» ripeté Veronica, indicandosi come aveva fatto il fratello. «È soltanto successo. Credimi.»

«Non me lo dire, avete scelto qualcuno e poi-» Fece dei gesti irripetibili e che solo una fervida immaginazione sembrava in grado di interpretare, ma il tutto durò il tempo che un'altra teoria si facesse strada nella mente del paladino blu. «Non ci credo, avete concordato… Sei andata con… Hai tradito Acxa!» soffocò Lance, strabuzzando gli occhi neanche fosse stato davvero lui quello ferito.

Shiro, nel suo silenzio meditabondo, spalancò a sua volta gli occhi al balenare di un'idea del tutto diversa e che Veronica gli confermò con una strizzatina d'occhio.

«Credo andrò a cercarmi altro vino» proruppe, pensando a voce alta. Poi si girò verso Lance, serio, mettendogli una mano sulla spalla per farsi guardare in faccia. «Vieni a prenderti un altro drink.»

«Non ora. Qui è in ballo l'onore del mio futuro nipote» e tornò a guardare la sorella. Shiro non si mosse, aspettando la bomba. «Dicevo… Non credevo che tu fossi capace di fare una cosa simile! Ad Acxa! Dopo tutto quello che ha passato in guerra! E come l’hai convinta!?»

Veronica sembrava sul punto di doversi appoggiare da qualche parte per contenere le risate. Shiro si passò una mano sul viso, ma a sua volta stava iniziando a sentire le guance tirargli.

«Lancey…» e Veronica gli prese le mani tra le proprie. «Non ho pianificato nulla, non ho chiesto prestiti e non ho sfogliato album di uomini perfetti e brillanti. È successo.»

Ma Lance continuava a guardarla come se in faccia avesse scritto non mi freghi sorella.

«Come può succedere così un bambino? Siete due… Ecco, siete due donne!»

«Di cui una aliena» tossì per caso Shiro, osservando il fondo del proprio bicchiere vuoto, ma anche scambiandosi un'espressione complice con Veronica.

«Cosa c'entra? Anche Allura è aliena!»

Shiro fu attraversato da un brivido lungo la schiena. «Lasciamo Allura fuori da questo discorso per adesso, non ho bisogno di immaginarmi altro.»

Lance gli rivolse una faccia ancora accigliata, ma anche spaesata.

Veronica alla fine vuotò il sacco, nonostante quel teatrino fosse il miglior regalo di pre-Natale che avesse ricevuto.

«Lancey Lance, come te lo spiego… Acxa ha un apparato riproduttore mutevole e intrigante. Ci siamo divertite sottovalutando il fatto che potesse funzionare. E ora, ecco qui! Sano e, a quanto pare, geneticamente stabile. Feliz Navidad, hermanito!»

 

Cinque minuti di catatonia dopo, con flash di immagini non richieste nella mente - che per quanto intriganti, coivolgevano sua sorella quindi no - Lance si dileguò, e Shiro e Veronica si lasciarono andare a due ghigni da vecchi compagni, neanche fossero tornarti a essere cadetti del primo anno della Garrison.

Chi ebbe la sfortuna di essere il target dello sharpshooter fu Keith, strappato da una conversazione con i suoi, Lotor e Pidge, per essere trascinato in un angolo.

«Devo chiederti una cosa» iniziò Lance, mortalmente serio, tanto che Keith si preoccupò e mise su la sua espressione alla chi devo uccidere. Un minuto dopo, l'opzione sarebbe stata o se stesso o Lance.

«Sii sincero. Quando il tuo lato Garla emerge, lì sotto ti spuntano tentacoli o roba simili?»



 

Era la mattina della vigilia ed era giunto uno dei momenti più attesi da Lance: la sistemazione dei regali sotto l’albero. Con addosso le sue ormai inseparabili ciabatte a forma di Blue Lion, Lance fece quattro viaggi per portare con cura, dalla camera al salotto, tutti i regali che aveva preparato, canticchiando a ogni andata e ritorno una canzone natalizia diversa. Con lui c’erano Allura, Hunk, Pidge, Coran e, più in disparte, Lotor, seduto sul divano a leggere e a guardarli con la coda dell’occhio, e Acxa, curiosa della tradizione umana ma restia a prenderne parte senza la presenza da mediatrice di Veronica. Quest’ultima era uscita trascinandosi dietro Matt, N7 e Shiro per una gita in paese, mentre la famigliola Kogane con Kolivan, aveva scelto di avventurarsi nei boschi e i piloti MFE erano andati a sfidare le piste da sci.

Mentre Hunk stava valutando come distribuire la montagna di pacchi e pacchetti, se per forma, colore o dimensione, Pidge dal divano, con i topini in spalla a squittire consigli, intrecciava i capelli di Allura con sottili fili di lucine colorate che lei e Hunk avevano appositamente creato come “pre-regalo” alla principessa, forse la persona più entusiasta di tutta la combriccola di essere lì in vacanza.

«È tutto meraviglioso! Questa tradizione di decorare gli alberi, usare fogli colorati e nastri per regalare sorprese, e il cibo come fosse un banchetto di nozze…» Ad Allura brillavano gli occhi a elencare ognuna di quelle cose, e anche se forse era la decima volta che lo ripeteva, i paladini non poterono che sorridere di nuovo. «Avete canzoni a tema, e dolci appositi, e anche indumenti così strani!» e i tre ghignarono al ricordo del maglione con cui Keith era uscito, con un “Jingle my balls” per cui avevano continuato a sghignazzare rischiando di essere ammazzati.

«Ricordo questa festività sul pianeta Koji'n… si appendevano agli alberi fili con le ossa degli antenati, tinte di una bacca rossa che ricordava il sangue versato di generazione in generazione. Poi ognuna delle casate nobili e guerriere preparava un’arma tipica, venivano raccolte, avvolte in stoffe colorate e donate al re anziano, che sceglieva casualmente l'arma con cui si sarebbe compiuto il Primo Sacrificio come rito di passaggio della corona. Un popolo simpatico, dall’umorismo tagliente, ma non un granché in cucina. Però dalle bacche rosse ricavavano un liquore niente male…»

Coran terminò il racconto nel silenzio attonito dei presenti, lisciandosi i baffi. «Che c'è? Voi festeggiate la nascita di un messia, del figlio di uno dei vostri dei. Su Koji'n si festeggia così la nascita di un nuovo re.»

«Ok Coran, ascolta: finché staremo qui le storie macabre sono bandite» decise Hunk a nome di tutti con un gesto netto di entrambe le mani. «Niente vermoni giganti distruttori di mondi, niente storie di pirati spaziali sanguinari che reclamano primigeniti, niente racconti di popoli macabri.»

«Non sapete apprezzare le variopinte culture dell’universo» brontolò Coran, dando una schicchera a una pallina dell’albero e facendola volare in testa a Lance, accovacciato a sistemare i suoi regali.

«Ehi!» protestò questi, perdendo l’equilibrio e quasi finendo addosso alla piccola montagna di pacchetti che aveva alle spalle. «Qui sto cercando di fare un lavoro serio! L’arte della sistemazione dei regali si tramanda nella famiglia McClain dai tempi del bis bis bis abuelo Eustaquio, che secondo la leggenda addobbò e incartò tutto così bene che nessuno se la sentì di aprire i regali per due giorni!»

«Wow, che storia avvincente» commentò piatta Pidge, alzando gli occhi al soffitto.

Tra le domande di Allura sulle tradizioni e i racconti-risposte degli altri tre, andarono avanti per quasi un’ora, sistemando anche i pacchi di tutti gli altri del gruppo, arrivando a rendere impossibile il passaggio intorno all’albero e cambiando l’ordine almeno cinque volte.

Il dramma arrivò quando Hunk cercò di aiutare Lance con la sua pila di regali e mise le mani su due in particolare.

«No, no, no! Questi non si possono separare e voglio che stiano qui!»

«Qui è proprio al centro, davanti all’albero. Abbiamo appena deciso di spostare i pacchi rettangolari a destr-»

«Nope, Hunk, amico, questi restano qui» e Lance glieli prese dalle mani rimettendoli con eccessiva cura dov’erano.

«Per carità Hunk, non toccarglieli! Sia mai si sciupino!» continuò Pidge con una dose eccessiva di melodramma, ridendosela mentre chiudeva la treccia di Allura con un elastico.

«Tu sai di cosa si tratta?»

«Certo» ghignò lei, passando ad altre ciocche mentre la principessa si allungava in avanti per scorgere i due regali incriminati.

Hunk mise su il broncio, guardando Lance con una faccia che diceva sei il peggiore dei traditori.

«È una sorpresa» si giustificò l’altro.

«Lo hai detto al Gremlin e non al tuo migliore amico.»

«Cause di forza maggiore.»

«Aveva finito i soldi» chiarì Pidge.

Hunk assottigliò lo sguardo, iniziando a fare due più due. «E per chi sono?»

Lance esitò.

«Per Shiro e Keith, ovviamente» rispose di nuovo Pidge al posto del paladino blu.

Hunk passò l’attenzione velocemente dall’una all’altro, non dando il tempo all’amico di rimbeccare la compagna.

«Non ci credo, hai deciso di farlo davvero! Ora! A Natale!»

Lance cercò nel mentre di sembrare naturale del riprendere a sistemare i pacchetti, ma finì solo col fare una specie di torre pericolante, tentando di farsi passare il rossore sulle guance.

«Sì, ok, mi avete scoperto - grazie Pidge, con te i segreti sono davvero al sicuro!»

«Cosa c’è di particolare in quei due regali? È un’altra tradizione speciale?» domandò Allura curiosa, dopo aver seguito in silenzio la discussione. Lance, che sembrava essersi dimenticato della sua presenza - come quella di Lotor e Acxa che avevano smesso di fingere di ignorarli - si colorò gradualmente sempre più di imbarazzo, aprendo la bocca ma senza emettere un suono.

«Nessuna tradizione, principessa» lo anticipò Pidge, che dava l’impressione si sarebbe messa a cantare e ballare da un momento all’altro da com’era su di giri per la situazione. «Solo il nostro tenero paladino blu che sta per dichiararsi al Capitano e al Team Leader» motteggiò, e stavolta anche Hunk la seguì nello sghignazzare.

«Pidge!» strepitò Lance, mandando all’aria la pila di regali, che piovvero sulla moquette in tonfi leggeri.

«Oooh!» si illuminò invece Allura, più delle stesse lucine nei capelli. «Oh Lance! Hai scelto il Natale per dirglielo! Una festa così piena di gioia! Sarà splendido! Cosa gli hai regalato?»

Lance si stava passando le mani sul viso dall’imbarazzo, sentendosi sempre più un idiota. Una parte di lui spiengeva affinché buttasse tutto sullo scherzo, ma dall’altra era tutto così importante per lui che non riusciva proprio a pensare di riderci su.

«Non lo saprete fino a mezzanotte!» e lo affermò con tono leggermente isterico e di supplica involontaria rivolgendosi a Pidge. Anche Hunk, Allura e Coran - e Lotor e Acxa - si voltarono verso la minore degli Holt, speranzosi e curiosi di avere l’informazione.

Pidge sorrise, serafica.

«Pagatemi.»



 

Dopo il cenone della vigilia, e in attesa della mezzanotte, si spostarono tutti nell’immenso salotto con camino, divani e montagne di cuscini per creare fortini tra chiacchiere e intrattenimenti.

La sera prima avevano provato vari giochi da tavolo e carte, ma gestire venti presenze - più un grande e grosso lupo cosmico curioso - non era facile, anche con le doti più paterne di Shiro e quelle diplomatiche di Allura. Per non parlare del piccolo problema, grande come un elefante, del fine ultimo dei giochi: la competizione e la vittoria.

C’erano fin troppe teste calde, a cominciare da tutti quelli che avevano almeno due gocce di sangue Galra in vena (sentirsi dire «Vittoria o morte!» invece di “Uno” mentre si calava la penultima carta non era incoraggiante) per finire con i meno sospettabili o quelli che fingevano bene, tra cui Ina, Ken, e i fratelli Holt. Per fortuna nessuno accettò la proposta di Pidge di giocare con soldi veri, perché di sicuro la serata sarebbe terminata con la dichiarazione di una seconda guerra intergalattica.

Quella sera, invece, si scelse come attività il karaoke. Si rivelò una strage per i timpani, ma anche un repertorio di figuracce potenzialmente infinito. Shiro, Veronica e James furono talenti inaspettati, sebbene la scena fu conquistata dal duo Lance e Allura sulle note di “At the beginning” di Anastasia. Alla principessa, che aveva visto il film quattro volte di seguito senza vergogna, brillavano gli occhi a ogni strofa, e Lance non era da meno; entrambi aggiunsero un po’ di interpretazione, come fossero stati Anastasia e Dimitri nel ballo finale, ricevendo uno scroscio di applausi un istante dopo la fine della canzone.

La vera baraonda iniziò quando Matt e Pidge tirarono fuori una playlist di sole canzoni da cartone animato.

 

«Sei il solito asociale! Non hai cantato neanche una canzone!»

Lance lo disse due sigle più tardi, mentre si chiudeva la porta della veranda alle spalle sfregandosi le mani sulle braccia. Si era accorto che Keith era sparito, e guardandosi in giro aveva visto il suo mullet spuntare dalla spalliera di una delle poltrone esterne. Era andato a prendere la giacca prima ancora di pensarci, e si era spinto fuori ignorando il gelo. Stava anche nevicando.

Keith girò la testa il giusto per seguirlo con la coda dell’occhio, ma senza muoversi e aspettando che fosse Lance a raggiungerlo.

«Ah» disse Lance, quando si accorse del piccolo Yorak in braccio al paladino rosso, che a sua volta lo guardò con i suoi occhioni gialli e viola mentre si sedeva sulla seconda poltrona di fianco a Keith, facendo attenzione a non dare fastidio al lupo cosmico acciambellato per terra. «Ciao campione» sorrise, allungando la mano verso il bambino, salvo fermarsi a metà per una reminescenza improvvisa. «Morde ancora?» bisbigliò all’indirizzo del compagno.

Keith ghignò. «Perché non lo scopri?»

Yorak, poco più di un anno di pelle viola come la madre, orecchie morbide e dalla forma più felina - ereditate dalla nonna, secondo Krolia - e due canini “da latte” che facevano invidia a quelli di Cosmo, non piantò questi ultimi nella mano di Lance, ma accettò la carezza in testa di buon grado.

«Non sentite freddo qua fuori?»

«Non troppo. Meglio del casino dentro. Il loro udito è sensibile» replicò Keith riferendosi a Cosmo e Yorak. Osservò come il fratellino avesse preso tra le manine quella di Lance, squadrandola con grande attenzione. Lance si fece più vicino, premendo con la spalla contro quella di Keith, ma avendo occhi solo per il cucciolo di Galra.

«È interessante?» chiese il paladino blu con voce vivace ma più bassa. Keith spostò il suo punto di attenzione sull’altro ragazzo, continuando silenziosamente a seguire lo scambio.  

«… mobbida» disse Yorak, del tutto concentrato, premendo e stringendo la pelle tra i polpastrelli.

Lance si illuminò, schiacciandosi di più contro Keith che non disse nulla. «Oh sai, a zio Lance piace usare le creme per avere le mani morbide.»

«Zio Lance?» ripeté scettico Keith.

«Per qualsiasi bambino sotto i dodici anni io sono zio Lance» rispose il paladino blu senza alzare la testa.   

«No sei viola, zio Lance?» chiese ancora Yorak, imparando in fretta. «No fai come Kit?» Questa volta lo guardò in faccia con un’espressione corrucciata che fece sciogliere il ragazzo, essendo la copia miniaturizzata di una che conosceva molto bene, che per anni aveva avuto nello spazio al proprio fianco.

«Nope, zannetta. Questo è sempre il mio colore. Ti piace?»

Yorak sembrò rifletterci su ancora un po’, aprendo le ditina sul suo palmo e facendogli un po’ il solletico. «È okay» rispose, con un impensato accento texano, per poi guardare il fratello e ripetere «È okay?»

Keith aveva uno dei suoi non più tanto rari sorrisi, sdoganati per merito di un fratellino che non aveva mai neanche sognato di avere. «Sì, è ok.»

Accorgendosi solo in quel momento di avere il cuore a rimbombargli nelle orecchie, Lance alzò la testa, più vicino al viso di Keith di quanto non fosse mai successo.

«… mi hai detto una cosa carina. Piccola, ma carina!» mormorò Lance, senza riuscire a dare un tono canzonatorio all’affermazione. Stava cercando di focalizzare l’attenzione su qualcosa che non fossero gli occhi di Keith, finendo col fissargli le labbra. Non ancora, si disse, conficcandosi le unghie nel palmo per distrarsi. Si ritrasse per non premere più addosso a Keith, ma si allontanò il giusto per rimanere lo stesso nel suo spazio personale. Si schiarì la voce - anche se servì a poco - e tornò padrone della propria bocca. «Sai zannetta, tuo fratello è un disastro quando è il momento di fare complimenti. Anche se - aggiunse, prima che Keith potesse fulminarlo - è vagamente migliorato.»

Il paladino rosso grugnì qualcosa, ma qualsiasi cosa stesse meditando di dire fu bloccata sul nascere dal rumore della porta finestra che si aprì di nuovo.

«Oh oh oh!» fu la maldestra risata che colse Lance e Keith impreparati, facendo trasalire entrambi e incassare la testa nelle spalle.

Chi rimase imperturbabile a esprimere uno scetticismo più d’espressione che di voce, fu Yorak, allungatosi a osservare il nuovo venuto da oltre la spalla del fratellone.

«Zio... Shiro?»



 

Kinkade stava riprendendo tutto con la sua telecamera. L’anno successivo - ma in realtà già con molti mesi d’anticipo - avrebbero riguardato quella scena per riderci sopra. E così avrebbero fatto ogni anno per tutti quelli futuri, per vedere e rivedere Shiro nei panni di Babbo Natale, senza averne mai abbastanza.

Mentre Yorak fissava Shiro senza capire, quelli con le facce impagabili furono Keith e Lance, che si ripresero solo dopo essere stati abbagliati dal flash del cellulare di Matt.

«Questa la metto nell’album di famiglia» dichiarò. «Proprio vicino a quest’altra!» e lo disse voltandosi e scattando una seconda foto a Shiro. «Buon Natale a me!»

«Oh oh oh...» ripeté il paladino nero, non con meno entusiasmo ma con più vena omicida.

«Kit… pecché Shiro è… così?» chiese Yorak, abbracciato al collo del fratello per avere più equilibrio. Ma Keith pareva più disorientato di lui.

«Non sei l’unico a chiederselo, anche se-» Lance si interruppe, accorgendosi di aver parlato a voce alta e lì lì per esprimere un parere non adatto a orecchie così giovani. Si schiarì la voce, saltando in piedi. «È Babbo Natale! Sai cosa significa, zannetta? Che è ora di aprire i regali!»

Per avere poco più di un anno, Yorak era un bambino sveglio, intelligente, che parlava anche in maniera fluida (essendo attualmente solo il secondo esemplare di ibrido Galra-Umano di tutto l’universo, si poteva azzardare che lo sviluppo precoce fosse per la metà viola dei suoi geni, ma l’altro termine di paragone era solo Keith e a detta del padre lui era stato tutto il contrario da piccolo). Tuttavia, alla menzione dei regali, l’eccitazione sul suo viso non fu diversa da quella di un qualunque bambino terrestre della stessa età.

Mancavano meno di venti minuti a mezzanotte e tornarono tutti in salotto. Shiro fu sospinto e sistemato su una delle poltrone singole e a turno tutti si fecero una foto con Babbo Natale e l’albero decorato sullo sfondo. Da scatti seri a sempre più scemi, con pose, boccacce e gesti faceti, il passo fu breve.

Allura, ancora una volta, sembrava più bambina e più appassionata di Yorak per tutta la faccenda natalizia; la sua gioia nel partecipare a quel “rito terrestre” era così traboccante che subissò l’imbarazzo di chiedere a Shiro una foto sedendogli in grembo. Fu una fotografia così bella che Pidge stessa la impostò come sfondo della loro chat comune, mentre suggeriva a Lotor di farsi prestare il costume da Shiro e fare contenta Allura in altra sede.

«È mezzanotte!» strillò Rizavi, passando le braccia intorno alle spalle di James e Ina. «Buon Natale gente!»

«Ce l’abbiamo fatta anche quest’anno» sospirò Matt, lasciandosi andare seduto su uno dei divani dopo un brindisi improvvisato. «Il Natale è salvo.»

«Non abbiamo ancora aperto i regali» gli fece notare la sorella, ranicchiandosi contro di lui con il cappuccio della felpa tirato sui capelli e le mani infilate nel tascone. Sbadigliò contro la sua spalla. «Facciamo domattina?»

In risposta alla sua proposta, Lance, Allura e Yorak si voltarono verso di lei con un sonoro No! che le fece alzare le mani a mo’ di difesa. «Ok, ricevuto!» grugnì, tornando a cercare coccole dal fratello.

Sistemarsi per aprire i regali fu veramente una sorta di rituale. Lance fece accomodare la combriccola sui divani, in maniera che tutti potessero vedere tutti, e si improvvisò Aiutante-di-Babbo-Natale. Come proclamò, l’apertura dei doni sarebbe iniziata dai bambini, e porse quindi un primo pacchetto a Yorak e ne lanciò a sorpresa uno a Pidge, che presa di contropiede se lo fece quasi sfuggire dalle mani, tra le risate generali; lo guardò malissimo, promettendogli vendetta a sillabe mute.

In un crescendo di brio generale a ogni nuovo scarto, di risate perché i regali da presa in giro non mancarono, e di pura gioia per chi ricevette qualcosa di inaspettato, smaltirono quasi del tutto la piccola montagna di doni in un’ora. Nonostante fosse passata l’una di notte, la maggior parte di loro pareva più sveglia di prima.

Yorak, il più viziato, stava giocando con le nuove costruzioni, seduto sulla moquette tra Keith, Cosmo e Krolia, mentre Ken riprendeva tutto col cellulare; Kolivan e Coran si stavano facendo spiegare da Ina, James e Rizavi il funzionamento del Cubo di Rubik, il primo molto scettico sullo scopo ultimo del rompicapo, il secondo che scuoteva il cubo senza capire perché questo non ripetesse quello che diceva. Allura, invece, se ne stava con la testa reclinata sulla spalla di Lotor, gli occhi lucidi di nostalgia ma un sorriso che da solo avrebbe potuto illuminare un’intera città, mentre rigirava tra le mani il regalo ricevuto dai suoi paladini e dal principe Galra: una palla di neve in vetro da agitare, ma invece di un classico paesaggio natalizio, Pidge e Hunk avevano messo a punto un sistema a ologrammi vividi, creando più scenari che andavano dal Castello dei Leoni a un prato di juniberry, da Altea ai luoghi che aveva visitato sulla Terra, con la possibilità di aggiungerne altri in futuro.

«Abbiamo quasi finito?» chiese Veronica stiracchiandosi, avvolta nel suo nuovo caldo maglione-vestito color perla che le stava d’incanto anche con la curva della gravidanza. «Perché credo che a breve cederò al sonno e qualcuna dovrà portarmi in camera in braccio» e lo disse ammiccando ad Acxa.

Di fianco a lei, Matt, con un cappello di Magikarp a mangiargli la testa, si sporse per vedere cosa fosse rimasto. «Ce ne sono altri due... uguali?»

Pidge, mezza addormentata anche lei, scattò a sedere quando realizzò.

«Elfo!» vociò verso Lance, che stava facendo un selfie con Hunk, James e Kinkade. «Smettila di perdere tempo!» e indicò i due ultimi regali. In pochi prestarono attenzione a quello scambio, così che il leggero rossore sulle guance di Lance passò inosservato. Intanto Pidge, con uno sbuffo e ripetendosi che fosse per una buona causa, si alzò dal divano, sotto lo sguardo scettico del fratello, per andare a prendere e trascinare al proprio posto un ancora più confuso Keith. Soddisfatta dell’operato, visto che ora Keith e Shiro erano a meno di due braccioli di distanza, andò a sedersi sulla moquette ai piedi del divano, tra Matt e Veronica.

Questo giro fu meno furtivo e praticamente tutti guardarono Shiro e Keith, altrettanto spaesati, e poi Lance, che si palesò sulla scena con i suoi due importanti regali.

«Aehm» tossicchiò il non tanto più vispo, ma tesissimo, Aiutante-di-Babbo-Natale. «Questi sono per voi.»

Ebbe un attimo di incertezza, come se stesse realizzando in quel momento che le confezioni fossero identiche e senza nulla a distinguerne il contenuto. Si diede dell’idiota per non averci pensato prima e finì con l’allungare semplicemente il regalo a destra a Keith e quello a sinistra a Shiro. «Volendo potete scambiarveli!» scherzò, con la gola secca ma la voce un’ottava più stridula. Pidge si schiaffò una mano in faccia, scuotendo la testa, ma sorrise a quel tenero idiota che aveva per amico.

Mentre Keith e Shiro ringraziavano, Veronica battè l’indice sulla spalla di Pidge, chinandosi in avanti quanto il pancione le concedeva.

«È quello che penso io? Un regalo doppio? Si è deciso!?» sussurrò, lo sguardo che la sapeva lunga sul fratello minore.

L’altra assentì, mordendosi le labbra per non ridacchiare.

«Accidenti, e io che pensavo di avere la sorpresa dell’anno qui» celiò Veronica, accarezzandosi la pancia.

Fu uno scartare i regali piuttosto strano. Essendo due scatole già decorate, corredate di un semplice bigliettino d’auguri prestampato con il logo di Zamazon, non c’era carta da rompere, ma solo un nastro da sciogliere.

Shiro e Keith alzarono il coperchio nello stesso momento, per poi richiuderlo entrambi all’istante, improvvisamente paonazzi.

Lance, sulle spine come poche volte in vita sua e con le mani intrecciate mentre le dita si torturavano tra loro per l’impazienza, si irrigidì sentendo gli argini del fallimento rompersi nella sua testa. Era un’eventualità di cui aveva dovuto tenere conto, prepararsi, esercitarsi provando battute per sdrammatizzare nel caso i regali non fossero stati graditi e quindi la sua di-lì-a-poco dichiarazione cancellata.

«D-dai, non sono così terribili! Potremmo usarli al prossimo pigiama party!» scherzò, con un’espressione speranzosa che fece stringere il cuore ai pochi a conoscenza dei suoi intenti.

Shiro e Keith non erano tra questi e le loro, di espressioni, erano un misto di sconcerto, panico e un imbarazzo che sembrava aver sfiorato tonalità che nessuno dei due credeva di poter raggiungere.

Dato che Keith si premette una mano sulla bocca, voltandosi di lato, lo sguardo di chi stava cercando di far quadrare un’espressione matematica, fu Shiro a dover parlare per entrambi. Tuttavia, per quanto fosse uno degli ambasciatori della Terra, abituato alle situazioni più critiche, quella sembrava averlo lasciato a zero.

«Lance...» Accorgersi di come l’intera platea fosse non sono in ascolto, ma morsa dalla curiosità, non lo aiutò. «Forse dovremmo… parlarne di là.»

«Oh» fu l’unica cosa che Lance, ora con le spalle flosce, riuscì a dire. «Certo»

«Ma andiamo!» si insinuò Matt nel discorso, spezzando la tensione tra i tre. «Abbiamo imparato tutti a conoscere i gusti imbarazzanti di Lance in fatto di regali! Quanto mistero! Cosa sono, delle mutande con un leone sopra? Una scritta equivoca?» e lo disse allungando le mani verso la scatola di Keith.

Riuscì anche a sollevare di poco il coperchio, dato lo stato confusionale in cui versava il paladino rosso, ma anni nella Lama di Marmora avevano allenato quest’ultimo a scattare, soprattutto al «Fermo!» allarmato di Shiro. Peccato che anche altrettanti anni nella Resistenza avessero temprato Matt. Non ci fu verso di evitare che la scatola sfuggisse a entrambi nella piccola baruffa, volasse in terra e atterrasse, aprendosi, davanti a Yorak e Cosmo.

Fu silenzio. Un silenzio attonito e incredulo, della stessa lunghezza d’onda sperimentato da Shiro e Keith poco prima.

Il regalo del paladino rosso giaceva ora al centro della stanza. E non era il pigiamone morbido di un ippopotamo. Era un vibratore.

Chi era paonazzo divenne cereo; chi non se lo aspettava, pian piano iniziò a comprendere, erroneamente, e a schiaffarsi una mano sulle labbra per bloccare lo scoppio di risate. Erano tutti adulti lì, certo, e con un’età media di venticinque anni corredata di una fantasia scoppiettante.

«Porca miseria!» Veronica ruppe l’incanto, voltandosi verso Lance con un’espressione che diceva L’hai fatto sul serio!?. Da lì fu un’escalation a catena.

«No, un momento!» tentò Lance, guardando di nuovo quello che doveva essere il suo regalo per Keith, e poi quest’ultimo, e quindi Shiro, e il pacco che ancora aveva sulle gambe, chiuso. La sua mente era uno scoppio continuo di due più due, a cominciare dal fatto che essendo le confezioni identiche, allora anche i contenuti dovessero esserlo. Fissò in faccia Shiro e una profusione di disagio e panico lo rivoltò come un calzino dall’interno. «Por Dios, aspetta! Fammi spiegare! Non è questo che- io volevo solo-»

«Lance!» ringhiò Keith scattando in piedi. Aveva in faccia tutta l’intenzione di stringergli le mani al collo per il pozzo di vergogna in cui lo aveva gettato. Il compagno arretrò di riflesso, salvo finire addosso a Kinkade che, statuario e attento, stava ancora riprendendo tutta la scena con la telecamera. Solo un leggero sorrisetto denotava quanto si stesse divertente, mentre, dietro di lui, il resto dei cadetti era letteralmente ammonticchiato l’uno sull’altro già senza più forza per ridere.

Lance avrebbe voluto dire o fare qualcosa, ma incespicò davanti all’obiettivo, mentre il suo cervello, di nuovo, lavorava a mille per elaborare che tutta quella colossale figura di merda era appena stata immortalata.

Le cose non migliorarono quando Matt, piegato per terra, ritrovò abbastanza fiato per parlare e scimmiottare Lance con le sue stesse frasi. «Volendo potete scambiarveli! Potremmo usarli al prossimo pigiama party!» Era letteralmente al collasso, in lacrime, con N7 che, poco convinta, dato che stava ridendo anche lei, gli batteva una mano sulla schiena. «Per tutte le galassie, scusate ma al prossimo pigiama party io non vengo!»  

Ovunque Lance si girasse, ormai la frittata era fatta. Krolia, dopo aver detto al figlio più piccolo di ignorare il “giocattolo” - e Yorak era un bambino stranamente ubbidiente - continuò a fissare in maniera scettica Lance, e a giudicarlo, solo che con lei qualsiasi espressione era sottolineata da una sorta di intento omicida latente, anche con Ken che se la rideva con la fronte appoggiata alla sua spalla. Dal lato di Allura, Lotor e Kolivan le cose non andavano meglio, non con Veronica che stava spiegando cosa fosse il regalo. Persino Hunk alzò le mani, mordendosi le labbra perché non gli riusciva proprio di rimanere serio, e gli fece capire che non sapeva come aiutarlo.

L’unico faro di speranza che rimase a Lance fu Pidge. L’altra persona, oltre a lui, a sapere cosa veramente avesse ordinato.

Dire che il paladino blu si buttò in ginocchio davanti a lei, supplicando, fu un eufemismo.

«Pidge, ti prego! Tu lo sai! Diglielo!»

Se Lance fosse stato in sé, si sarebbe ricordato che chiedere aiuto alla figlia di Satana non lo avrebbe tirato fuori da quel guaio.

Lei sorrise, mettendogli le mani sulle spalle.

«Grazie. Grazie!» disse Pidge, confondendolo e non lasciandogli presagire nulla di utile. «Mi hai dato il più bel Natale di sempre! Non lo scorderò mai! E non mi devi niente! Il miglior prestito che io abbia mai fatto! Buon Natale!»



 

Era la mattina del venticinque Dicembre. Quando Shiro bussò alla porta di Keith, questi non fu sorpreso.

«Vorrei parlare di… ieri sera» spiegò il Capitano, passandosi una mano sulla nuca e cercando di guardarlo negli occhi.

Keith lo fece entrare senza dire una parola e richiuse l’uscio, mentre Shiro coccolava Cosmo acciambellato tra le coperte, ancora impigrito dal sonno.

Ci volle un po’ di tempo e silenzio, e l’accomodarsi sul letto l’uno di fronte all’altro, con la sola distrazione del lupo, perché con un sospiro Shiro riprendesse la parola.

«Ho parlato con Pidge» iniziò, di nuovo cercando lo sguardo di Keith. «Mi ha detto cosa Lance ci aveva comprato in realtà - il paladino rosso sbuffò, passandosi le mani sul viso, ma lo lasciò proseguire - e con quale intento.»

In un altro momento, Keith probabilmente avrebbe espresso subito il proprio disappunto, o avrebbe riempito Lance di insulti, ma la verità era che lui stesso si sentiva un idiota, perché aveva capito cosa ci fosse dietro e ci aveva pensato per buona parte della nottata. Cosa significasse, cosa implicasse, e se…

Fu Keith a cercare e ricambiare l’occhiata esitante e speranzosa di Shiro, avvertendo un familiare, ma più consistente, nodo allo stomaco. Sbuffò, tirandosi indietro i ciuffi di capelli dal viso.

«Questa… questa cosa va avanti da un po’» buttò fuori. Nonostante Shiro fosse l’ultima persona con cui avrebbe voluto parlarne, perché troppe cose, troppi confini da superare col timore di trovare solo precipizi, era anche, da sempre, l’unica persona con cui avrebbe potuto parlarne.

Shiro sembrava avere la stessa confusione, o almeno, dava l’idea di aver passato la notte a combattere la stessa battaglia con se stesso. Allungò la mano sinistra, la sua, vera, verso Keith, il palmo rivolto in alto. E Keith ci appoggiò sopra il proprio, con meno tentennamenti di quelli che aveva immaginato. Da lì a ritrovarsi con la fronte contro il collo di Shiro, e anche le altre dita intrecciate, carne e metallo, fu solo il tempo di un lungo sospiro liberatorio alla fine di un’apnea durata a lungo.

Ci risero piano sopra, da un lato inebriati dalla sensazione in sé così semplice, come se si fossero soltanto chiusi la porta di casa alle spalle dopo tanto vagare, dall’altro perché si sentivano due irrecuperabili senza speranza ad aver aspettato così tanto.

«Ho bisogno di dirti molte cose» esordì Shiro, accarezzandogli i capelli lunghi e sciolti. «Ma dobbiamo affrontare un altro argomento prima.»

Keith sospirò. «Lance...»

«Sì. Ieri sera voleva dichiararsi a entrambi...»

Stavolta il verso di Keith sembrò quello di una bestia sofferente e Cosmo reagì leccandogli la mano e dandogli delle musate affettuose con un leggero guaito. Shiro, al contrario, si irrigidì appesa, fermando la mano immersa nelle sue ciocche corvine.

«Non fraintendere» si affrettò a dire il paladino rosso, ritraendosi per guardare l’altro negli occhi. «Ho ancora voglia di tirargli un pugno per il casino di ieri sera. Ce lo rinfacceranno a vita...» si lamentò, con i palmi premuti contro gli occhi e facendo ridere Shiro, più leggero.

«Era in in buona fede… non era come sembrava.»

«… ma è esattamente come sembra, giusto?» concluse Keith, riemergendo da dietro le mani e dando a Shiro la risposta di cui aveva bisogno.

«Quindi è un sì?»

«… sì. So già che me ne pentirò.»

«Io credo di no» e Shiro si sporse per appoggiare la fronte alla sua, intrecciando di nuovo le loro dita con un sorriso sereno che magnetizzò del tutto Keith, ma non abbastanza da spingerlo ad annullare la distanza tra di loro. Non ancora, si disse. Per quanto l’impulso fosse prepotente, avevano decisamente troppe cose di cui parlare.

E prima ancora, qualcuno con cui andare a parlare.



 

«Finirai col soffocare.»

«Dimmi che non l’hai già scritto nella chat di famiglia. Ti prego

«… potrei non averlo fatto, ma sarebbe una bugia.»

La risposta di Lance fu incomprensibile e Veronica, con decisione, gli levò il cuscino dalla faccia.

«Ciao fratellino.»

«Se mi ami, lasciami morire» dichiarò lui, i palmi premuti a fondo contro le palpebre chiuse. «Non posso vivere con questa vergogna, cosa ho fatto...» e senza dare il tempo alla sorella di reagire, si allungò e riprese il cuscino, schiacciandoselo di nuovo contro la faccia e lasciandoci andare un grido melodrammatico. Veronica roteò gli occhi, contando fino a dieci, prima di ripetere l’azione aggrappandosi alla federe. Si litigarono il guanciale per un po’, finché non raggiunsero una specie di compromesso in cui Lance se lo teneva, ma contro il petto, permettendo alla sorella di parlargli faccia a faccia.

«Non c’è niente che tu possa dirmi che risolva questa situazione» disse Lance senza girarci intorno.

«Dai… non è andata così male» tentò lei, ma gli angoli della bocca le tremarono e incassò l’occhiataccia con cui fu fulminata, levando le mani a mo’ di scusa. «Ok no, è andata peggio di qualsiasi previsione di sfiga. Ma non è stata colpa tua.»

«No, infatti, sono solo un povero cabrón che contribuisce a salvare l’universo - uscendone vivo per miracolo! - e vengo ripagato con un ordine sbagliato nel momento più cruciale della mia vita! E fra tutte le cose che potevano mandarmi, mi inviano dei vibratori! Ugh, Shiro e Keith non mi guarderanno più in faccia. La mia vita è finita.»

«Vedila così… hanno capito le tue intenzioni a lungo termine. O breve, dipende dai punti di vista.»

Il lamento di Lance fu lungo e sofferente.

«Sei qui per consolarmi o rigirare il dito nella piaga!?»

«Scusami, ma ieri sera è stato impagabile» rise ancora Veronica, anche se con gentilezza accarezzò i capelli di Lance.

«Riesci a capire la tragedia che sto vivendo!?»

«Tu la vedi tragica… ma è stato come dire “ti amo” al primo appuntamento. Un errore idiota, ma si sopravvive. E ancora, non è stata colpa tua. Io mi preoccuperei di altro» e con l’ultima frase finalmente Veronica riuscì a distrarre Lance.

«Cioè? A parte che Kinkade ha ripreso tutto e Matt e Pidge avranno già copiato il file sui loro cellulari venti volte?»

«Mettiamola così. Chi non ha capito che hai una cotta sia per Shiro sia per Keith è cieco come una talpa, ma non ho ancora chiaro con che coraggio fossi pronto a dichiararti a tutti e due. Intendo dire, entrambi potrebbero provare qualcosa per te - e mi sembra abbastanza palese - ma perché funzioni, anche tra loro due deve funzionare, ci hai pensato? Conosco entrambi dai tempi della Garrison e sono sempre stati davvero come due fratelli… sarebbe un passo molto importante per loro...»

Lance scattò a sedere così in fretta che Veronica si ritrasse colta alla sprovvista.

«Ma non hai visto la chimica che c’è tra quei due!?» sbottò il ragazzo con lo sguardo sgranato. «Fratelli le mie- non farmi essere volgare di fronte a mio nipote» brontolò, con le mani ancora così avvinghiate alla federa che presto ci sarebbero stati dei buchi. «Non mi ricordo come fossero prima, cioè sì, erano sempre inseparabili e tutto, ma era diverso, credo… penso che Keith una cotta per Shiro l’abbia sempre avuta - come non si fa ad averla? Ci sei cascata anche tu! Tutti l’abbiamo avuta! - Però prima di… di tutto, di Kerberos, di Voltron, be’, Shiro era un’altra persona… li ho visti mentre eravamo lì fuori a fare i difensori dell’universo. Quando Keith ha salvato Shiro… lo ha salvato non smettendo mai di credere che fosse vivo, che lo potesse trovare. E Shiro…» Lance emise un altro lamento, affondando di nuovo la faccia nella morbidezza rassicurante del cuscino, per riemergere con una voce piccolissima. «Shiro è stato salvato dall’affetto di Keith, dal fatto che significhi tutto per lui, e lo sa. Ed è qualcosa che metabolizza giorno per giorno, perché ha paura di credere che ci sia qualcosa di più. E quando inizia a crederci, ha timore di rovinare tutto.»

«Lance… tu vedi tutto questo in loro?»

Il paladino blu sospirò sconsolato, appoggiando la fronte contro la spalla della sorella.

«Già… cosa mai mi sono messo in testa di dichiararmi a due persone così… così destinate a stare insieme? Che diavolo avevo in mente...»

«Oh, Lancey...» Veronica lo abbracciò alla vista delle lacrime agli angoli dei suoi occhi. «Non è così. Fidati se ti dico che Shiro e Keith non ti guardano solo come un amico. È sicuro che li hai mandati in confusione. Ma ora che mi dici queste cose su quei due, sono convinta che possa funzionare. Credimi.»

Ci volle qualche minuto perché Lance smaltisse il pianto. Veronica continuò a massaggiargli la schiena e mormorargli piccole frasi affettuose che alleviassero la tristezza.

«Vero… quando torniamo a casa, voglio comprare un milione di tutine al piccoletto in arrivo...»

«È una bella idea… magari non online, che dici?»



 

Qualche ora più tardi, il pranzo di Natale cominciò con un posto vuoto e diverse espressioni con fugaci sensi di colpa. Hunk fissò Pidge con un’occhiata eloquente e lei sbuffò.

«Non guardarmi così. Non posso andarci io. Credo di essere l’ultima persona al mondo che ora Lance voglia vedere» brontolò.

«Non sei stata d’aiuto ieri sera.»

«Mi pare che nessuno qui sia stato un santo.»

«Siamo delle persone orribili» aggiunse Matt, senza badare che il tono gli uscì del tutto ilare. «Che c’è? Scusate ma se ci penso mi viene ancora da ridere, è più forte di me» spiegò, guadagnandosi una gomitata nel fianco da N7.  

«Ok, ascoltate: qui non si inizia a mangiare finché non c’è anche Lance» dichiarò Hunk, incrociando le braccia.

Ci furono varie piccole proteste, a cominciare dallo stomaco di molti, che terminarono quando Shiro si alzò, catalizzando l’attenzione su di sé, anche se ignorò tutti. Keith, nel suo maglione a tema con un Grumpy Cat che diceva “I hate Christmas”, gli fu al fianco un istante dopo.

«Se lo fate piangere, Acxa poi vi prenderà a calci al posto mio!» urlò Veronica con un sorrisone.



 

Lance continuò a fingere di non essere in camera anche dopo la quarta volta che lo chiamarono. Lo stesso cuscino, che non aveva smesso di torturare, era di nuovo schiacciato sulla sua faccia, ma non lo stava aiutando a ignorare né il battere alla porta né il tumulto che si era scatenato nel suo petto al sentire le voci di Shiro e Keith.

«Lance! Stiamo bussando per cortesia! O apri o chiamo Cosmo» minacciò il paladino rosso in fine.

Lance imprecò in spagnolo contro i lupi cosmici, anche se sembrò soltanto un lungo verso lugubre, ma almeno si tolse il cuscino dalla faccia, guardando la porta. Si fece coraggio; rotolò giù da letto e fu davanti all’uscio, stringendo il guanciale al petto come fosse l’ultima difesa contro il mondo, ma una volta lì, riuscì solo ad appoggiarci la fronte contro e a chiudere gli occhi. Oltre la soglia c’erano le due persone che avevano cambiato in più modi la sua esistenza e che lui voleva nella sua vita con più di quello che già loro gli davano. Si sentiva un ingordo a non accontentarsi.

«Potete fingere che io non esista per oggi?» sospirò, dando voce al primo pensiero che gli passò in testa. Non un gran esordio, ma forse il desiderio più sincero che aveva da offrire.

«Certo. Ora smetti di fare lo scemo e apri» replicò Keith, chiaro e diretto. Lance roteò gli occhi e si chiese che diavolo ci trovasse in lui da perderci la testa.

«Lance» la voce era di Shiro. «Per favore, apri.»

Con il paladino nero era tutta un’altra storia. La frase Ogni suo desiderio è un ordine scattava quasi automaticamente nella mente di Lance.

Una volta fatti entrare, Lance si accorse dello stato pietoso in cui versava, con ancora il pigiama di Spiderman addosso, il cuscino stretto come un bambino, i capelli sparati ovunque e sicuramente le occhiaie fino al mento.

«Mi dispiace per ieri sera» buttò fuori prima di qualsiasi preambolo, desiderando di andare ad annegarsi nella doccia. «Non doveva andare così nei miei piani. C’è stato un errore nella consegna dell’ordine e… e io non ho controllato» si ripeté stupido, stupido, stupido all’infinito. «V-volevo regalarvi due kigurumi, p-per fare pendant col mio… era un regalo scherzoso ma...» ma cosa? si chiese, ed era così prosciugato che non aveva più neanche le certezze iniziali con cui era partito per quella vacanza. «Non volevo mettervi così in imbarazzo davanti agli altri o rovinarvi il Natale. Mi… mi dispiace. Vorrei chiedervi di dimenticare tutto… e-e magari, tra un po’ di tempo… insomma, che non cambi nulla tra di noi...»

Aveva finito di percorrere nella sua testa quella strada di pensieri, arrivando al capolinea ultimo, il timore più grande. Nei pochi barlumi di razionalità che aveva avuto, si era detto che alla fine era stata solo una colossale figuraccia, di quelle per cui davvero avrebbero riso per almeno altre tre generazioni; ma poi c’era quella vocina, insistente, che continuava a punzecchiarlo ricordandogli quale fosse il suo obiettivo quel Natale, che comunque qualcosa sarebbe cambiato e che i due davanti a lui lo avrebbero visto diversamente in entrambi i casi.

Nelle sue fantasie, anche se fosse stato rifiutato, aveva idea che prima o poi le cose sarebbero tornate col rapporto di prima. Ma ora che quella possibilità si stava davvero realizzando - perché, stupidamente, lui aveva puntato tutto sulla risposta positiva - la voragine che vedeva tra sé e loro sembrava molto più larga e profonda del previsto. Al di là della gaffe della sera precedente, stava già sentendo quanto pesante sarebbe stato quel “ci dispiace Lance, ma non proviamo lo stesso”.

Non si accorse di essersi messo a piangere di nuovo finché non sentì Keith imprecare e le braccia di Shiro stringerlo in un abbraccio da togliere il respiro.

«Sei un idiota» brontolò Keith.

Shiro sospirò. «Inizi a essere ripetitivo.»

Lance, dalla stretta salda in cui ora si trovava, scorse con la coda dell’occhio la faccia indignata di Keith. «Cosa!? È lui che-- è scoppiato a piangere! E non abbiamo neanche detto una parola!»

«Aspettavi di dirgli perché siamo qui per vederlo piangere?» ribatté Shiro, mascherando l’ironia dietro una maschera di finto biasimo, così sottile che Keith non la colse, ma la interpretò per come appariva, spalancando gli occhi.

«No, aspetta! Non intendevo questo!»

Lance ringraziò di avere ancora il cuscino in cui nascondere la leggera risata, almeno il suono, perché per quanto cercasse di contenersi, la vibrazione del suo corpo Shiro doveva sentirla per forza. E una leggera pressione in più delle braccia gliene diede conferma, anche se nessuno dei due interruppe il piccolo teatrino. Men che meno Lance, il cui cuore sembrò riaffacciarsi dal mare di sconforto in cui era stato lanciato. In più, assistere così da vicino a quel battibecco tra Shiro e Keith, a quella loro familiarità in cui il paladino rosso lasciava cadere qualsiasi maschera di ostinazione e musi duri, era una concessione che non voleva perdersi.

«Keith» sospirò Shiro, e stavolta la vena melodrammatica era fin troppo tracciabile, ma il mezzo-Galra sembrava nel pallone completo per coglierla. «Se mi hai seguito qui per far sentire in colpa Lance-»

«Ma che stai dicendo, Shiro!? Siamo qui perché lui- ha iniziato lui!»

«Quindi è davvero colpa sua?» le sopracciglia del Capitano dell’Atlas di inarcarono, dubbiose e giudicanti. Lance nascose il viso nel cuscino e nel petto di Shiro, per non farsi beccare a ridere di nuovo. Da fuori, Keith interpretò tutto al contrario.

«No!» urlò secco, scioccato, le mani che gesticolavano senza logica. Poi ci ripensò. «Sì, invece! Non mi sono mai vergognato così tanto! Mio padre è venuto a ricordarmi di usare il preservativo! Mio padre!» sbottò, lasciando intendere molto di non detto, ma diventando rosso per poi girarsi e lanciare un accidenti a caso. «Veronica mi ha placcato per darmi consigli su cosa piace a letto a questo idiota!» e puntò il dito contro Lance, che stavolta arrossì, maledicendo la sorella e il fatto che non potesse strozzarla per via della gravidanza, ma anche chiedendosi se avesse detto al paladino rosso proprio tutto. Intanto, Keith non sembrava aver finito. «E poi, come se non facessero già abbastanza danni, Matt e Pidge hanno usato quelle macchine infernali dei loro cellulari per cercare tutti i modi in cui quei vibratori possono essere usati!»

Stavolta, l’espressione di Shiro fu di sincero sbigottimento. «Keith… ti ho lasciato da solo un’ora.»

Keith incrociò e serrò le braccia al petto, il respiro così secco che gli dilatò le narici facendolo sembrare un toro pronto a incornare.

«Ne abbiamo già parlato...» riprese Shiro lento, soppesando bene le parole nella mente per continuare sulla falsariga di prima. «È stato un incidente in buona fede.»

«Non smetteranno mai più di rinfacciarci questa storia!»

«Avresti preferito i kigurumi? A proposito, a forma di che animali?» Shiro si distrasse, abbassando lo sguardo incuriosito verso Lance, intontito dalle chiacchiere tanto da non accorgersi subito che la domanda fosse rivolta a lui.

«U-un ippopotamo rosso… e un gatto nero» biascicò, per metà nascosto nel cuscino.

Shiro parve rifletterci su qualche istante, ignorando le invettive di Keith. «Molto carini… penso ci starebbero bene.»

«Se fossero stati quelli ora gli altri non starebbero ancora ridendo di noi!» strepitò il paladino rosso, senza pace.

«Non ne sono sicuro… ma vedila così Keith: se non fosse stato per la situazione creata da questi regali sbagliati, stamattina io e te non avremmo parlato e, di conseguenza, scoperto cosa ci portiamo dentro da troppo.»

Keith artigliò l’aria davanti a sé, l’intento omicida nello sguardo e in un flash di canini poco rassicurante. «Non ringrazierò dei vibratori per una cosa del genere! Siamo stati due idioti anche noi!»

«Sei poco fantasioso negli insulti, Keith.»

«Non stiamo parlando di me e te qui! Ma di lui!» stavolta il tutto sottolineato da un dito puntato contro Lance. «Come fa a piacermi un- un-»

«Idiota?» suggerì Shiro con un finto sospiro, con cui dissimulò il proprio divertimento, mentre stringeva di nuovo saldamente il paladino blu, che pian piano stava realizzando.

«Un idiota che non controlla cosa ha ordinato online e pianifica di dichiararsi! Non cambia mai!»

«Nemmeno tu. Sei stato davvero capace di urlargli in faccia che ti piace.»

Keith non perse tempo a riaprire bocca per replicare a Shiro, ma a parte un mezzo verso aspirato, anche lui capì cosa si fosse appena fatto scappare di bocca. Il tutto sotto il sorrisetto sornione di Shiro, contento di come l’orchestrazione di quella conversazione fosse andata come voleva.

«Lance» riprese quindi Shiro, mentre Keith bruciava di imbarazzo, brontolando dietro i palmi in cui aveva tuffato la faccia. «Piccola correzione. Ci piaci. Stamattina ne abbiamo parlato...» lanciò un’occhiata al moretto, che, rossore a parte, si avvicinò, ed entrambi addolcirono lo sguardo, fissando Lance. «Abbiamo ancora diverse cose in sospeso, ma… siamo d’accordo su quello che riguarda te. E noi. Tutti e tre.»

Lance non era mai stato una cima in matematica, ma quel tre risuonò nella sua testa come il più bel numero avesse mai sentito. Vibrò surreale nelle sue orecchie, e allo stesso tempo come il suono che spezzò la bolla in cui si trovava da quando Shiro lo aveva stretto.

Fu abbastanza comico come riuscì a saltare fuori dall'abbraccio di Shiro e finire sul letto, inciampando nei suoi stessi piedi, mentre le braccia stritolarono il cuscino contro il petto impazzito.

«Io vi piaccio» disse Lance, mezzo sbarcato sul letto, gli occhi rivolti a un punto imprecisato del soffitto, la mente che correva a mille in tondo. «A tutti e due. Io piaccio a tutti e due. Io… e voi…» si issò su a sedere senza l'aiuto delle mani, artigliate alla federa. Nel suo sguardo si alternava ancora l'incredulità a una gioia che montava di secondo in secondo. «Noi tre. Noi tre!»

Keith guardò Shiro con un “te lo avevo detto” negli occhi. Shiro, invece, rise, brevemente, ma di una risata così piena e di cuore che Lance ebbe i brividi. Era meraviglioso. Ed era per lui. Per loro.

Non resse l'emozione e si lasciò andare di nuovo sul letto, il cuscino ancora una volta premuto sulla faccia, ma questa volta per contenere un gorgoglio di parole imbarazzanti in lingue miste.

Shiro e Keith lo raggiunsero sul materasso, ai due lati, districandolo con fermezza dal suo tentativo di soffocare di felicità.

«Oddio, ti piaccio!» esordì Lance alla vista di Keith, come una nuova epifania, la fronte corrugata che avrebbe voluto esprimere un torrente di pensieri a riguardo.

«Non dirlo in questo modo, lo fai suonare più strano di quello che è…»

«Io ti piaccio!» sottolineò Lance ancora in loop da disco rotto. Si voltò verso Shiro e non risparmiò quella affermazione neanche a lui, ma suonando molto più stupita e senza fiato. «Ma… da quando!? E come?»

Shiro sospirò e rise ancora, appoggiando la mano su quella di Lance.

«Abbiamo tempo per queste domande…»

«Sono d'accordissimo! Avrete tempo in un altro momento! Io ora ho fame!»

A parlare non furono né Lance né Keith. Tutti e tre si irrigidirono. Incerti e certi allo stesso tempo di cosa quell'affermazione significasse, guardarono verso la porta, da cui era arrivata la voce, ovattata dall’uscio. E fu solo la prima.

«Bravo genio! Ora sanno che siamo qui!» dopo Matt, fu il turno di Veronica di palesare la propria presenza.

«L'idea è stata tua!» si difese il maggiore degli Holt.

«Ed ero certa l'avresti appoggiata all'istante, ma volevo i dettagli piccanti prima che ci scoprissero!»

«Ho sentito dire a Keith la parola vibratori due volte, sono a posto a vita» questo era Hunk. «Seriamente, mai più. Vi aspetto giù, tutti, tra cinque minuti. Ah, complimenti Lance! Sapevo che ce l'avresti fatta a conquistarli! Però non combinate niente sul mio letto!»

«Che palle, devo venti dollari a Lotor» Pidge non poteva mancare in quel circo dietro la porta.

«Ricordami la scommessa?» e neanche Rizavi.

«Che Keith si sarebbe confessato per primo… e io ho puntato su Lance! Vai a fidare degli amici.»

«Ehi, là dentro? Ci siete ancora?» bussò infine Matt, forte e falsamente preoccupato. «Potete sbrigarvi e portare il vostro cu-u- scusa Krolia! Yorak, non ascoltare, ok? - dicevo… il vostro fondoschiena poliamoroso fuori dalla stanza!? C'è chi muore di fame qui!»  



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Fi-ni-ta. Doveva essere una storia di cinque pagine, non ventisei... @_@ Spero vi abbia strappato almeno un sorriso! Tratta da una storia vera, di qualcun altro però X°D

Nefelibata ~

 

   
 
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