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Autore: pattydcm    18/01/2019    3 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Buonasera a tutti
Eccoci giunti alla conclusione anche di questa long. Devo dire che ne sono soddisfatta. Spero che quest’ultimo capitolo vi piaccia.
Ora, non voglio dire come per la conclusione della long precedente che ora mi prenderò una pausa. Mi sono venute in mente altre mille possibili trame e ho scovato una mezza bozza di un’altra cosetta, che però richiede un po’ di tempo perché è ancora da concludere. Quindi potrebbe capitare che mi vediate qui nuovamente. Magari non domani, né tra qualche giorno, ma è possibile che sia prima di quanto io stessa immagini.
Per il momento vi saluto e vi ringrazio. Anche questa long è stata recensita da molti di voi adorabili lettori. Grazie. Le vostre parole sono sempre un toccasana per l’autostima e per la voglia di continuare a scrivere. Diventa quasi una droga!
Vi auguro una buona lettura
A presto
 
Patty
 
26 dicembre
 
John stringe le mani l’una nell’altra. Arriccia il naso più volte mentre sposta il peso da un piede all’altro. Non si aspettavano nulla di simile. Le cose, anzi, sembrava stessero prendendo una piega positiva per Mary. In particolare lui non si aspettava di assistere a quanto sta accadendo e che lo lascia di sasso, incapace di dire e fare alcunché.
Prova più volte ad avviare una conversazione, ma ogni tentativo gli muore sulle labbra. E’ così contenuto ma allo stesso tempo disperato il dolore di Sherlock. Tiene tra le mani la lettera che Mary gli ha scritto, dedicandogli i suoi ultimi pensieri. Una scrittura da bambina piccola, piena di errori grammaticali da far accapponare la pelle e di un amore sincero da stringere il cuore.
È destabilizzante per chiunque essere strappati dal proprio posto sicuro, dalle proprie abitudini, dalle cose che si può dire proprie. Se si hanno dei disturbi come quello di Mary non è solo destabilizzante ma distruttivo. Si è ritrovata nuovamente in un luogo freddo, circondata da persone pronte a trattarla male e non ha retto. Anche se finalmente erano riusciti a trovare un avvocato come si deve ben disposto nei suoi confronti. Anche se la giuria aveva capito la situazione, nonostante i pregiudizi e il timore dinanzi a quel donnone. Il verdetto era arrivato e l’aveva vista condannata, sì, ma per l’omicidio dei familiari e riconosciuta innocente per tutti gli altri. Aveva ottenuto notevoli attenuanti e a breve sarebbe stata trasferita in una struttura protetta meglio gestita di quella nella quale si trovava. Di quella nella quale ha deciso di porre fine alla sua vita.
Sherlock asciuga le lacrime silenziose che gli rigano il viso e posa la lettera sul tavolino dinanzi al divano sul quale è seduto. Prende il violino e inizia a suonare una ballata allegra, irlandese. È la prima volta che John gli sente suonare qualcosa di simile e che deve essere sicuramente legata a Mary.
Si avvicina a lui, uscendo dalla sua immobilità e prende in mano la lettera che non può fare a meno di rileggere.
 
“Caro Sherlock
(anche se per me sei Edward e come nome mi piace pure dippiù).
Ti scrivo anche se non lo so fare bene perché voglio chiederti scusa per quello che faccio.
Qui sono cattivi con me e mi dicono sempre che non vado bene.
Ho tante voci nella testa che mi dicono che non vado bene.
Ho paura Eddy.
Paura sempre in ogni momento.
 Mi urlano, mi spingono per ogni cosa.
Sono peggio dei miei fratelli, della mia mamma, persino di papà.
Mi dici quando vieni qui di avere pazienza che le cose cambiano e mi hai spiegato anche quando e come, ma io non ce la faccio.
Quando te ne vai tutto torna brutto e tu stai sempre così poco.
Mi mancano le mie bambole, i miei animali e mi manca stare con te in camera a sentirti suonare il violino e a cantare Molly Malone.
Tanto anche in un posto diverso e più protetto come dici tu le cose non andranno bene perché sono io che non vado bene.
Se non fossi nata scema e se non fossi così grossa forse allora andrebbero bene.
Ma non posso scappare da me anche se lo vorrei tanto.
Mi hai detto che ti dispiaceva non sono riuscita a uccidere tutti gli assassini.
Ho trovato il modo e lo faccio perché non la sopporto più.
Mi fa tanto male e ho sempre paura che può fare tanto male anche agli altri.
So che non ti dimentichi di me e questo mi fa felice.
Nonno diceva che si vive nei ricordi delle persone e quindi so che sarò viva.
Prenditi cura di Molly e amala tanto
(anche se l’ho capito che non si chiama così.
Non sono arrabbiata con te però.
So quanta paura fa quella là e ti ha picchiato tanto per il tuo coinquilino).
 Le persone devono essere amate altrimenti muoiono.
Io ci ho provato ad amarti e sei vivo perché ti ho dato la coperta.
Ho un po’ paura, ma penso che è normale.
Ho fatto un nodo stretto e la trave e forte penso che mi tiene.
Sono felice di averti conosciuto, Eddy”
 
Sherlock conclude il pezzo e John asciuga a sua volta alcune lacrime sfuggite ai suoi occhi. Lo sente sospirare, mentre appoggia il violino al tavolino. I sospiri si trasformano in singhiozzi e l’unica cosa che John sente di fare è attirarlo a sé e offrirgli la sua spalla per sfogare il dolore che prova. Non si sarebbe mai aspettato di vedere Sherlock piangere per qualcuno. Una reazione fin troppo umana, che si fatica a immaginare in una mente brillante e razionale come la sua. Eppure sta succedendo. John sta tenendo stretto il suo corpo scosso dai singhiozzi. Quella donna lo ha quasi ucciso e lui ne piange la perdita come fosse un familiare al quale tanto teneva.
John può capire il perché del suo dolore. Anche lui ha avuto modo di affezionarsi alla Mary bambina in questi pochi giorni vissuti tra tribunali, avvocati, manicomio e strutture alle quali chiedere di ospitarla. Mycroft non ha messo loro i bastoni tra le ruote, ma non ha neppure tentato di aiutarli, convinto che fosse solo un’assurda follia.
“Lo è. Dio, se lo è” pensa John, stringendo a sè il suo amico. “I migliori, però, sono matti” sorride posando un bacio tra i ricci di Sherlock e poi un altro e un altro ancora, finchè il pianto non si placa.
A conti fatti è questo il momento più intimo da loro vissuto dopo quel fatidico sabato sera. Fin’ora se sono stati vicini è stato più che altro per motivi medici. John ha tenuto Sherlock tra le braccia per aiutarlo a sedersi o ad alzarsi prima e dopo l’operazione alla gamba. Lo ha persino aiutato a lavarsi quando aveva il gesso e ora lo sostiene e aiuta a eseguire gli esercizi di riabilitazione. Lo ha incoraggiato nei momenti in cui il dolore alla gamba lo ha portato a imprecare come mai gli ha sentito fare e ha cercato di alleviare le sue pene con massaggi e dando fondo a tutti i rimedi che conosce. Questo abbraccio, però, è diverso. Nasce dal senso di ingiustizia per quella decisione, per questo caso che ha avuto una conclusione pessima.
<< Non sono riuscito a salvarla >> sussurra, tirando su col naso.
<< No, Sherlock. Ci sei riuscito, hai dato fondo a tutte le tue risorse e sei riuscito a salvarla da quel manicomio, a trovarle una struttura più umana, a convincere una giuria della sua innocenza e il giudice a dare notevoli attenuanti alla sua pena. Salvarla da se stessa, però, era un’impresa così grande da andare oltre le capacità di chiunque, forse anche del migliore degli specialisti >>.
Sherlock annuisce contro la sua spalla. Si accoccala tra le sue braccia in cerca di conforto e, sebbene non sia il migliore dei momenti, John prova una grande gioia.
<< Voglio occuparmi del suo funerale. Non voglio la mettano in quella sorta di fossa comune che è il cimitero del manicomio >> sussurra.
John concorda e posa altri baci tra i suoi capelli. Si ferma temendo di essere inopportuno. Tutto vuole tranne che dargli l’idea di stare approfittando della situazione.
La signora Hudson li sorprende abbracciati, ma non c’è il solito sorriso di chi la sa lunga sul suo viso. Si è interessata molto al caso di ‘quella povera ragazza’, come è solita definire Mary, e intuisce subito le sia successo qualcosa. Posa il vassoio con il the sul tavolino e prende la lettera. La legge, commuovendosi a sua volta e senza dire una parola va alla porta e da lì scende al suo appartamento.
John pensa che sia strano anche l’atteggiamento della loro padrona di casa. In realtà non c’è una cosa che non sia strana legata a questo caso. Stanno piangendo tutti quanti la morte della donna che ha quasi ucciso Sherlock. Forse l’unico sano di mente è proprio Mycroft. O forse è l’unico la cui empatia funziona come un interruttore capace di accendersi solo per alcune persone e non per altre.
Il campanello suona e i passi veloci di Lestrade ne annunciano l’arrivo. Bussa alla porta prima di entrare e John lo vede guardarli stupito del ritrovarli così vicini.
<< Che succede? >> chiede rendendosi conto delle condizioni di Sherlock.
<< Mary Abbott si è suicidata >> risponde John, stringendo a sé il suo amico. << Hataway in persona è venuto qui stamattina per darci la notizia. Ha portato la lettera che ha scritto prima di impiccarsi >>.
<< Cristo >> ribatte sgomento il detective, che ha chiesto loro informazioni sul caso ogni giorno. << Proprio ora che avevate trovato la struttura disposta ad accoglierla. Non ce l’ha fatta, povera donna >> dice passando la mano sulla barba incolta. << Io… sono venuto a ssottoporti un caso, ma… credo sia meglio che vada >>.
<< No >> dice Sherlock allontanandosi da John. << Ho bisogno di distrarmi. Datemi solo un momento >>.
Prende le stampelle e piano piano, posando il piede con accortezza per terra, si dirige verso il bagno.
<< Non l’ho mai visto così >> sussurra Greg, scoccando un occhiata preoccupata al dottore.
<< Nemmeno io >> ribatte questi alzandosi in piedi. << Sente di non essere riuscito a salvarla >>.
<< Cristo, è già tanto che abbia deciso di aiutarla nonostante quello che ha subito >> sbotta Greg, incredulo come chiunque sia venuto a conoscenza di ciò che stava facendo Sherlock per la sua carceriera.
<< Deve essere una caratteristica della sociopatia dietro la quale si nasconde >> fa spallucce John, versandosi una tazza di the.
<< Come va tra voi? >> gli chiede Greg, facendogli andare il sorso di traverso. Hanno avuto poche occasioni di parlarsi, non solo per il tanto lavoro che John ha avuto per stare dietro a Sherlock, ma anche perché il dottore non ha avuto il coraggio di affrontare il detective dopo la ramanzina che gli ha fatto.
<< Bene >> risponde abbozzando un sorriso. << Come prima di quel sabato >>.
<< Oh >> esclama confuso Greg. << Avete deciso di far finta che non sia successo nulla, dunque >>.
<< In realtà no. Non ne abbiamo parlato >>.
<< Ah, ecco. Questo sì che è tipico di voi >> ribatte Greg ridacchiando. << Sono comunque felice che tu sia ancora qui >> dice dandogli una pacca sulla spalla. << Forse sono stato un po’ troppo severo con te >>.
<< No, sei stato giusto. Non mi sono comportato bene e non ho scusanti. Mi ha dato un’opportunità e sto facendo il possibile per non buttarla via. Mi ritengo già più che fortunato >>.
<< Se posso dire la mia, però, siete davvero carini insieme >> dice strizzandogli l’occhio. John sente il volto accendersi come una lampadina e non riesce a ribattere alcunché.
Sherlock esce dal bagno sollevandolo dall’imbarazzante situazione. Lestrade gli illustra il caso e John resta ad ascoltarli prendendo posto alla sua poltrona. Vedere Sherlock tornare a indossare i panni del consulente investigativo lo riempie di gioia. È stato bloccato col gesso per talmente tanto tempo che ha temuto impazzisse. Per fortuna stare dietro Mary lo aveva distratto abbastanza. Ora privato del gesso potrà muoversi, sebbene con le stampelle, e tornare sul campo. Vede già i suoi occhi illuminarsi all’idea di indagare e anche lui sente di aver bisogno di un nuovo caso.
 
***
 
<< … e sono sicuro che in qualche modo quell’uomo c’entri qualcosa. Si può notare chiaramente che odia il suo luogo di lavoro dal modo in cui arrotola i polsini della camicia >>.
Sherlock procede spedito su per i 17 gradini di Baker Street. John ha notato fin da subito quanto riesca ed essere veloce con le stampelle. Lui con quel vecchio bastone faceva una pessima figura ed era lento come una tartaruga. Il dottore sospira rendendosi conto di come anche in queste condizioni Sherlock riesca ad essere meglio di lui.
Siedono alle rispettive poltrone e il consulente sembra proprio non voler riprendere fiato. Appoggia diligente le stampelle sul bracciolo e continua a esporgli le sue idee. Il caso è piuttosto semplice persino agli occhi di John, ma Sherlock ci si sta dedicando con tutto se stesso.
“Hai bisogno di distrarti” pensa e sa che non glielo dirà. Il suo amico odia quando si sottolinea l’ovvio.
<< Tra una cosa e l’altra hai saltato i tuoi esercizi oggi >> gli fa notare, approfittando di una breve pausa. Sherlock sembra un bambino colto con le mani nel sacco. Trova noiosi gli esercizi che il fisioterapista gli ha imposto e cerca in tutti i modi di sottrarsi. Più che noiosi John pensa che siano dolorosi e che cerchi di non farli per non mostrare quanto la gamba gli dia problemi. Tenta di apparire più forte e indistruttibile di quanto in realtà non sia, il consulente.
<< Devo proprio? >> gli chiede, mettendo su i suoi migliori occhi da cucciolo.
<< Devi proprio >> ribatte John spietato.
Si alza in piedi e gli porge la mano, ma Sherlock sbuffando la ignora, deciso a fare da sé. Il dottore lo lascia fare, consapevole di come anche questo serva a spronarlo a prendersi cura di sé.
John lo incoraggia a continuare a parlare del caso anche durante gli esercizi, cosa che aiuta Sherlock a farli senza lamentarsi. Il piede si flette, ora, molto meglio e, sebbene ancora l’equilibrio sia precario, l’appoggio su entrambi i piedi sembra essere stato riconquistato.
<< Sei stato bravissimo. Hai visto quanti risultati hai raggiunto? Tra un po’ riuscirai pure a saltellarci su >>.
<< Se lo dici tu >> borbotta Sherlock al quale sfugge una smorfia di dolore.
<< Concludiamo la sessione, dai, e poi prometto che non ti rompo più >>.
<< Certo, come no >> ribatte Sherlock. Finora non lo ha mai ringraziato e gli si è sempre rivolto in modo distaccato, ma John sa che questo fa parte del pacchetto. Non si aspettava riconoscimenti e lodi. Il fatto che gli permetta di stargli così vicino è già una vittoria per lui.
Sherlock esegue contro voglia l’ultimo piegamento e nel modo di rialzarsi perde l’equilibrio. John lo afferra al volo, ma ruzzola su uno dei bastoncini di legno che usano per alcuni esercizi. Cade di schiena sul pavimento con Sherlock addosso.
<< Oddio, ti sei fatto male? Come va la gamba? >> gli chiede preoccupato.
<< Io sto bene, tu piuttosto? Hai preso una bella botta >> ribatte Sherlock tentando di liberarlo del suo peso. Carica, però, troppo sulla gamba e con un lamento gli cade di nuovo addosso.
<< Scusami >> dice imbarazzato per non essere riuscito neppure a mettersi in piedi.
<< Non c’è problema >> lo rassicura lui sorridendogli.
Sherlock ricambia il sorriso. Scosta il ciuffo dagli occhi e distoglie lo sguardo. Sono così vicini che John può sentire il suo respiro infrangersi contro il suo viso.
<< John >> sussurra il consulente guardandolo negli occhi. << Io… ho pensato ad una cosa >>.
<< Cosa? >> gli chiede John spezzando il suo silenzio.
<< Ho pensato che in questi giorni ho mosso mari e monti per salvare la donna che ha tentato di uccidermi e ho totalmente ignorato l’uomo che mi ha salvato >>.
<< Oh… beh, ci sono state delle priorità… >>.
<< No, smettila, stammi a sentire >> gli dice appoggiando le mani sul suo torace per sostenersi meglio. << Ho rischiato di morire. Ci sono andato dannatamente vicino questa volta e me ne sono reso conto solo leggendo la lettera di Mary. Ho avuto molto freddo in quella fossa. Dio, non credo di aver mai patito il freddo così tanto come quella notte. Mi sento ancora infreddolito, nonostante ora sia al caldo. Non so se è normale. So, però, che quando mi hai stretto questa mattina il freddo è andato via. Anche adesso, il freddo sta andando via >> sussurra e John sente la pelle accapponarsi. Tenta di contenere l’effetto delle sue parole, della sua vicinanza e teme di fare una pessima figura, portandolo ad allontanarsi da lui. << Ho pensato che mi hai sempre scaldato con la tua presenza, con le tue parole, con le risate che ci siamo fatti sempre nei momenti e nei posti meno opportuni >> ridacchiano entrambi senza che ci sia bisogno di portare esempi. << E, soprattutto, ho pensato a quanto calore ho provato quella notte. Ci ho pensato mentre tremavo in preda al freddo. Ho pensato a quanto mi sarebbe piaciuto tornare lì, tra le tue braccia. Poco importa cosa sia successo il giorno dopo. È stata l’ultima cosa a cui ho pensato prima di scivolare nel mio Mind Palace. Un ricordo caldo e bellissimo >> sorride carezzandogli la guancia stupita. << Ho pianto per Mary oggi, per la solitudine che deve aver patito quella donna. So cosa vuol dire essere soli, lo sono stato per tanto tempo. Da quando sei qui con me questa solitudine non c’è più. Sarebbe stupido continuare ad ignorare ciò che provo per te, a lasciare che orgoglio e onore si portino via il calore di cui ho bisogno. Ho una disperata voglia di te, John >> dice posando le sue labbra contro quelle stupite di John.
Benchè l’abbia definita disperata, questa voglia sono lenti i suoi baci. Lenti e carichi di passione, così diversi da quelli di quella notte. John se ne lascia travolgere totalmente e nella bailamme di emozioni che prova tenta di prendere il comando, ma Sherlock si allontana subito da lui.
Non dice nulla. Lo guarda soltanto, il viso arrossato dalla passione.
John resta a sua volta in silenzio e torna ad abbandonarsi contro il pavimento. Solo allora Sherlock si avvicina nuovamente alle sue labbra, che tormenta di baci lenti, caldi.
Non c’è l’urgenza di sabato, che era più che altro quella di John e non la sua. Non c’è alcuna intenzione di invitarlo a prenderlo, mettendosi del tutto alla sua mercé. Non sembra neppure voler dirigere il gioco, ne detta solo i tempi.
John si adegua piacevolmente alla sua lentezza e Sherlock gli permette di abbracciarlo, di accarezzargli piano la schiena, di scendere a coprire di baci il collo che tanto adora. Gli sfugge un sospiro e John eccitato gli morde il collo, forse un po’ troppo forte. Temendo di aver osato troppo si allonta, ma sente Sherlock ridere di gusto. Posa la fronte contro quella di lui ed è sereno il suo volto, divertito il suo sorriso.
<< Sei impetuoso, capitano >> sussurra sulle sue labbra prima di baciarle.
<< Non conosco altro modo se non questo >> tenta di giustificarsi John .
<< Lascia che te ne insegni un altro, allora >> bisbiglia.
Le sue iridi sono di un azzurro intenso dentro il quale John sente di affogare. L’iperattivo consulente investigativo gli sta mostrando il lato lento di sé. Gli sta insegnando ad assaporare ogni singolo istante, prendendosi il tempo di incamerare tutte le informazioni sensoriali che questo produce.
<< La mia mente viaggia veloce, il mio corpo, invece, è maledettamente lento >> gli spiega sussurrando al suo orecchio.
John che tutto può dirsi tranne che lento in occasioni simili scopre la piacevolezza del prendersi tempo.
Un bottone dopo l’altro.
Un respiro dopo l’altro.
Il corpo di Sherlock che lentamente si muove contro il suo.
Il sudore che nasce dai loro corpi caldi a contatto.
<< Oddio io… sento che sto per esplodere >> borbotta John tentando di trattenersi.
<< E allora fallo >> lo incoraggia Sherlock ridacchiando.
<< Ma… no, dai, è troppo presto >>.
<< Troppo presto? >> gli chiede stupito, incontrando il suo sguardo. << Perché presto? Hai qualche impegno dopo? >>.
John sbatte più volte le palpebre stupito dell’espressione incredula di Sherlock. Ride, poi, divertito scuotendo il capo.
<< No, in effetti non ho impegni >>.
<< Allora lasciati andare >> gli dice posando un bacio sulle sue labbra. << Al massimo ricominciamo da capo e poi di nuovo e ancora, finchè non ne avremo abbastanza >>.
<< E il caso? >> gli chiede senza neppure sapere perché.
<< Quale caso? >> ribatte Sherlock sorridendo.
<< Niente, lascia perdere >> dice, lasciando scivolare le mani lunga la schiena nuda di lui, calda e umida di sudore.
 
 
   
 
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