Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |      
Autore: whitemushroom    20/01/2019    4 recensioni
Ninna nanna ninna oh
una lucciola ti do.
Ti porto in dono la più bella,
fai la nanna mia stella.

Storia partecipante al contest Le nostre ali per il nono anniversario del mitico thexiiiorderforum. Tema: The Last Goodbye
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hotaru/Ottavia, Prof. Soichi Tomoe/Germatoide
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lucciola


WJjaObl yB9TjG6



Personaggi: Souichi Tomoe (sinistra); Hotaru Tomoe (destra)
Fandom: Sailor Moon
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna

 

Ninna nanna ninna oh
una lucciola ti do.
Ti porto in dono la più bella,
fai la nanna, mia stella.



Aumenta il voltaggio.
È abbastanza certo che si tratti di un tentativo inutile, ma in fondo non ha nulla da perdere. Il guscio delle Daimon Eggs si ionizza a contatto con l’elettricità ed assume per qualche istante un colore azzurrino, ma le scariche rimbalzano lungo il cilindro di contenzione senza sortire altri effetti.
Osserva il monitor, spossato, ma la percentuale di incremento della proteina P90 è inferiore allo 0.1%.
Ormai è chiaro che le Daimon Eggs rispondano soltanto a stimoli organici, e non a fonti di elettricità artificiale; ha ipotizzato persino di sottoporle ad un impatto termico, ma anche ad una temperatura costante di 37.5°C quelle “cose” non reagiscono. Non all’elettricità in sé, dunque. Non al calore.
Ma alla “vita”, quella sì.
L’unico parametro non misurabile. Il solo su cui non possiede alcun controllo.
Specie adesso.
“Professor Tomoe …?”
I tacchi alti di Kaolinite strusciano sul pavimento alle sue spalle. Non è il loro ticchettio nervoso, carico di comando. Souichi Tomoe, in quel preciso istante, sa.
“Va bene, Kaolinite. Annulla tutti i miei appuntamenti per oggi”.
“Vengo con lei, professore. Potrebbe avere bisogno di …”
“No”.
C’era un tempo in cui Souichi Tomoe si era sentito Dio. E come non esserlo?
A venticinque anni le migliori università di Tokyo, Kyoto e Osaka si erano scontrate per avere in esclusiva assoluta il giovane professore dalle quattro lauree, il genio della medicina.
Aveva avuto soldi, tanti soldi. Tutti e subito. E macchine, donne bellissime, il flash dei giornalisti. Ne aveva fondata persino una sua, di università. Una con la propria statua a grandezza naturale sulla fontana dell’ingresso.
Poi era arrivata lei.
Si chiude la porta alle spalle. La stanza dà a sud, con una bella finestra da cui si può ammirare la Tokyo Tower. Ci dovrebbe battere il sole tutto il giorno, eppure l’aria è fredda. Il ronzio del climatizzatore, quello che rende l’aria tra quelle mura più immacolata della brezza montana, gli è sempre stato antipatico. Ci ha smanettato più e più volte, ma non è mai riuscito a zittirlo a dovere.
Forse è meglio così, pensa, perché gli impedisce di sentire quanto flebile sia il battito del piccolo cuore protetto dalle lenzuola.
“Ciao tesoro. Sono qui”.
Il nome Hotaru era venuto in mente a lui. Né lui né Keiko avevano progettato nomi a tavolino, si erano detti che quello giusto sarebbe apparso così, come per magia, all’uno o all’altra. E, in quella calda sera d’estate, fissando le lucciole che disegnavano piccole scie luminose sul pancione di Keiko, aveva capito che il nome giusto per quella minuscola luce in arrivo sarebbe stato soltanto Hotaru. Lucciola.
Hotaru, una bambina sempre allegra.
Hotaru, che riconosceva il suo papà dall’odore e si addormentava tra le sue braccia, beata.
Che adorava le palline colorate, le piaceva quella viola, quella che rotolava e voleva morderla ma la mamma gliela levava subito. Che adorava la ninna nanna, e stringeva il suo dito come fosse il più bel giocattolo del mondo.
“Ciao papà” sussurra. “I dottori te lo hanno già detto, vero?”
“Gli altri dottori non capiscono nulla, Hotaru. Non dare troppo peso alle loro stupidaggini”
“Ma io lo so, papà …”
È fredda quella mano. Quelle piccole dita che trovano le sue. La pelle, bianca come la neve, non nasconde nemmeno per misero pudore l’acciaio, le giunture, i fili.
I sottili tubi che le pompano il sangue appaiono lungo il suo collo.
La mia principessa, pensa. La mia bellissima principessa “…lo so che sto morendo”.
Queste sono le parole per l’uomo diventato Dio?
“Non dirlo nemmeno per scherzo, piccola! Chi ti ha messo in testa questa sciocchezza? Anzi, ti dirò, ti trovo davvero molto meglio! Un altro paio di mesi e vedrai, sari un fiore!” ridacchia.
Vuoto.
“Sai che ti dico? Prenoto oggi stesso i biglietti per quel viaggio in Italia che hai sempre voluto fare! Questa estate si parte, te lo garantisco!”
Sorride, la sua lucciolina.
Vola, vola, spargendo luce nel buio della sua vita.
Una luce che Souichi Tomoe ha cercato di afferrare con le mani, per non farla volare via. E l’ha messa nel suo vasetto speciale, un corpo di sangue ed acciaio che ha costruito apposta per lei, che da quattro anni la tiene in vita, ancora col suo papà. Un corpo instabile che ogni giorno, per quattro anni, Tomoe ripara e migliora, ripara e ripara: perché, si sa, le lucciole non vivono a lungo nei contenitori degli uomini.
Soltanto che è bella, davvero bella. Troppo luminosa per dirle …
“Papà, perché non riesci a dirmi addio?”
“Perché non voglio, amore mio”.
Il denaro, le assistenti con la gonna minuscola, gli articoli sui giornali scientifici più importanti del mondo. I viaggi, le trasferte, e ancora la pioggia di soldi.
Tutte cose per gli uomini.
E Dio, invece?
Cosa può fare un Dio, se non riesce nemmeno a trattenere a sé quella bella vita?
L’idea lo folgora.
Stacca i cavi che tengono il corpo di Hotaru, ormai più macchina che bambina, le bacia la fronte. Esce dalla stanza tirando un calcio all’odioso climatizzatore. Supera i corridoi con pochi salti ed imbocca nell’ascensore.
Hotaru e Keiko erano scese a trovarlo proprio su quell’ascensore. L’abito verde pastello di Keiko era proprio bello, e portava ancora sotto braccio il cestino dei giochi carico fino all’inverosimile. La piccola smaniava, doveva corrergli incontro e dirgli assolutamente che aveva vinto alla gara delle biglie, e la maestra gliene aveva regalata una tutta per lei. Era uscita di tutta fretta non appena le porte dell’ascensore si erano spalancate.
Souichi non aveva affatto la situazione sotto controllo.
Il calore del nuovo macchinario che stava sperimentato era troppo, e già lui ed i suoi assistenti si erano precipitati alle scale antincendio.
Aveva visto Hotaru uscire da quelle porte scorrevoli, e sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza veloce da scendere e farle da scudo.
Ma Keiko sì, lei sì.
Lei era quella veloce dei due.
E adesso, dopo quattro anni, sono di nuovo lì.
Stringe lui Hotaru al petto, stavolta. Lei respira a fatica, come se lo stesso entrare in quel posto che ha condannato lei e la mamma le stritolasse il corpo ed il cuore.
Pochi minuti.
Appoggia la sua bella addormentata al centro della stanza di contenimento; le Daimon Eggs, quelle “cose” ritrovate nelle remote grotte dell’Hokkaido, fluttuano.
Li percepiscono.
Li vogliono.
Ne prende una, la più grande e luminosa di tutte. Vede il proprio viso, riflesso il quel sottile guscio rosaceo. E vede il volto stravolto di Hotaru, nello spasmo dell’aria che i suoi polmoni ormai non riconoscono più.
“Professor Tomoe … è sicuro di quello che sta facendo. Insomma, io non …”
“Ho una sola certezza in questa vita, Kaolinite”.
E, in quel guscio, gli sembra di vedere l’Hotaru dei suoi sogni. La ragazza più bella di Tokyo, no, di tutto il Giappone. Di sentire la porta di casa che si richiude alle tre di notte, mentre è andata a ballare con le sue amiche mentre lui si rigira nel letto, al fianco di Keiko, incapace di riprendere sonno finché non la sente rincasare. Di affacciarsi alla finestra per documentarsi di tutti quei mosconi che fanno i cretini con la moto sotto le finestre della sua lucciolina, di sentirle tutte le lezioni perché sì, all’università sarà geniale come lui e più di lui.
C’è una promessa di vita, in quelle Eggs.
“Non intendo dire addio alla mia bambina”.
Che vita, non lo sa.
Le poggia la Daimon Egg sul petto, e le dà un bacio.
Un saluto sì.
Ma non l’ultimo.
 

Ninna nanna ninna oh
vuoi dormire sì o no?
Poggia qui la tua testina,
fai la nanna mia bambina



Una vita per una vita?
Uno scambio onesto, a dirla tutta.
Una vita per un’anima?
A Dio serve davvero un’anima?
Lui è colui che separa i vivi dai morti, che fa camminare gli storpi e dona la vista ai ciechi.
Che prende corpi malati, dilaniati dalle esplosioni, che li riporta gioiosi alla luce del sole.
E serve davvero un’anima per questo?
No, sorride Souichi Tomoe.
Ad un Dio occorre soltanto il potere che lo renda Dio.
E quindi … a cosa servono i rimpianti?
Sorride mentre sente le altre Eggs stringersi intorno a lui, avvolgendolo di semi. Sente qualcosa dentro, nel profondo del cuore, diventare nero. Una voce lo chiama, gli chiede di ascoltarlo, ma lui è Dio, e Dio deve rimirare la sua creazione.
Hotaru è seduta al centro della stanza, e respira. E sgrana gli occhi, e gli sorride. Pronuncia il suo nome, vuole chiaramente stare abbracciata al suo papà.
La abbraccia, la bacia, la divora con lo sguardo.
Se le Daimon Eggs stanno divorando il suo cuore e la sua anima, trasformandolo in qualcosa di orribile, non gli importa.
Un Dio è un Dio, e la risata di Hotaru è il coro degli angeli.
 

AHR1jJR

 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: whitemushroom