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Autore: Mary P_Stark    21/01/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.
 

 
Il boschetto che circondava il tempio di Artemide era stranamente silenzioso. Per quanto riguardava gli animali che solitamente lo abitavano, per lo meno.

In realtà, l’unico rumore udibile – o era meglio dire frastuono? – era il pianto dissennato di Afrodite, unitamente agli sbuffi di Artemide e al picchiettare del suo piede a terra.

La dea della caccia era prossima a un attacco isterico, ma non voleva prendersela con un’altra donna, specialmente se ferita da un uomo.

Nel caso specifico, inoltre, sapeva bene che Ares aveva la stessa delicatezza di rinoceronte e il calore umano di un blocchetto di ghiaccio, perciò non era strano che avesse ferito Afrodite.

Quanto al motivo, però, aveva qualcosa da ridire in merito, questa volta. E glielo disse.

“Scusami tanto, Afrodite… ma come puoi pretendere che quel buzzurro di mio fratello si ricordi anche soltanto vagamente di una festività umana? Sai quante ce ne sono?! E quante di queste gli interessano davvero?!”

Afrodite smise di piangere per un istante – le orecchie di Artemide ringraziarono – e la dea della caccia, ringalluzzita, aggiunse subito dopo: “Va ancora bene se Ares si ricorda di scendere da letto, figurarsi il resto!”

“Ma Arty…” mugugnò Afrodite, già prossima a un’altra esplosione di pianto.

“Ah, no, mia cara. Devi darti un contegno, altrimenti cosa diranno coloro che ancora oggi ti elevano a unica incarnazione della bellezza?” sbuffò Artemide, facendo leva sulla vanità smisurata della dea.

Afrodite sgranò gli occhi, a quelle parole, e balbettò: “I miei… fan?”

Grattandosi la fronte per un principio di emicrania – eh, sì, anche agli dèi poteva venire – la dea della caccia si maledisse per quella volta in cui l’aveva portata al Festival del Cinema di Venezia.

Tutti quei luccichii, quello splendore ininterrotto l’avevano travolta, facendole apprezzare le bellezze della città veneta, dopo i tanti secoli passati entro i confini del suo tempio. Ma non era stata tanto l’architettura senz’altro unica della città, ad attirarla.

Le orde di fan che idolatravano attori e attrici, trattandoli alla stregua di divinità, le aveva fatto tornare in mente gli sfarzi del passato, in cui era lei a essere trattata con amore e fedeltà assoluti.

Questo l’aveva portata non solo a provare un istintivo impulso di rivalsa – come osavano, quelle umane, reputarsi belle? –, subito seguito da un istinto ancor più stupido, e molto, molto umano.

Dopo aver chiesto a Hermes, il più esperto tra loro del mondo degli umani, aveva acquistato un cellulare – chi lo sapeva che sul Monte Olimpo c’era campo? – e aveva aperto un account su Instagram.

Da quel che Artemide sapeva, i suoi followers erano più di quattro milioni.

“Senti… non vorrai mica che ti vedano con il naso che cola e gli occhi rossi, vero?” la minacciò neppure troppo indirettamente Artemide, facendola inorridire al solo pensiero.

“Non oseresti mai postare una foto di me come sono ora!” sibilò Afrodite, rizzandosi in piedi e scrutandola con occhi che ribollivano.

Beh, almeno non piange più, pensò tra sé Artemide.

“Potrei anche farlo, se questo servisse a farti riprendere. Afrodite, sei una donna bellissima, con dei figli che ti adorano e ti temono, e un mondo che ancora brama una tua benedizione… cosa che non possono vantare molti di noi, tra l’altro” sottolineò Arty, scrollando le spalle. “Davvero ti lagni se un uomo dalle limitate capacità emotive non ti ha regalato un cioccolatino?”

“E’ una questione di principio! Lui è mio, perciò deve provvedere a me!” sbottò la dea, accigliandosi.

“Ah, desolata di doverti contraddire, ma Ares ha una caterva di amanti, e lo sai bene anche tu. Come te, del resto… e va bene così, amica mia! Non devi farti dire cosa fare da un uomo, e non devi essere succube delle sue attenzioni.”

“Parla quella che ha congelato il suo amante mortale perché non invecchiasse” brontolò Afrodite, con supponenza.

“Non tirare in ballo Endimione, per favore, perché non c’entra niente” sbuffò Artemide, punta sul vivo.

“Le tue figlie sono nate grazie a un uomo perennemente addormentato. Alla faccia della coerenza, tesoro, e del non essere succube di un uomo. Potevi almeno trovartelo che partecipasse attivamente” la punzecchiò Afrodite.

“Tu, brutta…” ringhiò Artemide, balzando addosso ad Afrodite per fargliela pagare.

Ne seguì una colluttazione in cui le due dee cominciarono a tirarsi i capelli, difendersi a unghiate e calci e a insultare l’un l’altra con insinuazioni sempre più becere.

Dal palazzo di Zeus, Era sospirò infastidita, rimise i tappi di ovatta e borbottò: “Come non detto. Col cavolo che regalerò qualcosa ad Artemide. Adesso sono due, a urlare!”

“Lo sai che, quando si tratta di Endimione, non sente più ragioni” replicò pacato Zeus, rimettendosi le cuffie del cellulare.

“E’ una bambina viziata, ecco cosa. Sempre a giocare nei boschi con arco e frecce” si lagnò Era, sferruzzando con fare nervoso.

“E’ la dea della caccia, cara. Che altro dovrebbe fare?” sottolineò Zeus.

Era, però, lo guardò malissimo e, tastandosi un orecchio, urlò: “Non ti sento!”

“Volesse il cielo…” sospirò Zeus, rimettendosi a guardare Big Bang Theory sul suo smartphone.

 
***

Alekos smise di giocare con la sua palla quando, di colpo, nell’Oltretomba si udirono in lontananza le urla concitate di due donne, unitamente a insulti più o meno coloriti.

Peserfone si portò la mano a un orecchio per meglio ascoltare, mentre Atena prendeva in braccio il figlio e Ares accigliava la fronte, preoccupato.

“Ma cosa accidenti sta succedendo?” esalò Persefone, mentre Ade tornava con granatine per tutti.

Il dio dell’Oltretomba si fermò a metà di un passo, ascoltò per alcuni secondi e infine scoppiò in una risata piena di godimento.

“Adoro le donne che si accapigliano!”

“Che cosa?” esalarono sia Atena che Persefone, confuse.

“Bimbe care, è ovvio che non riconosciate le due voci coinvolte. Siete donne, perciò per voi è normale comportarvi così…” motteggiò Ade, guadagnandosi per diretta conseguenza un calcio negli stinchi da Persefone. “Ahia, cara! Ma è vero! Voi non urlate. Voi strepitate come aquile, quando siete furiose.”

“In effetti è vero” sottolineò Ares, prima di impallidire e aggiungere: “Sono Arty e Afrodite, vero, Ade?”

“A quanto pare, se non ho capito male, Afrodite ha punzecchiato Arty per via di Endimione, e sai quanto tua sorella perda le staffe, quando qualcuno lo fa” sottolineò Ade, continuando a rimanere in ascolto di quei suoni cacofonici e sempre più forti.

“Dèi, Afrodite… ma proprio Endimione dovevi tirare fuori?” sbuffò Ares, passandosi esasperato una mano sul viso.

“Zia Artemide e zia Afrodite stanno litigando?” domandò Alekos, dubbioso.

“A quanto pare, sì” chiosò Atena, dandogli un bacetto.

“Sarà meglio che vada, prima che si strappino tutti i capelli. Allora sì che Afrodite sarebbe davvero incontenibile” mugugnò Ares, dando una carezza ad Alekos prima di correre verso l’uscita dei Campi Elisi.

“Dici che zio Ares ce la farà?”

“Lo scopriremo presto. Se il tetto ci cadrà in testa, sapremo che ha fallito, e quelle pazze hanno spaccato in due il pianeta” celiò Ade, guadagnandosi un altro calcio negli stinchi, che portò Alekos a ridere.

Massaggiandosi la gamba dolorante, Ade mugugnò: “Non ti comprerò più le Jimmy Choo, poco ma sicuro. Hanno una punta micidiale.”

“Affari tuoi. E guai a te se mi togli il credito in negozio. Potrei decidere di aizzarti contro le Erinni per puro diletto” lo minacciò Persefone.

Ade allora, sbuffò e, all’indirizzo di Alekos, chiosò: “Stai sempre attento a cosa prometti, ragazzo, specialmente quando c’è di mezzo una donna.”

 
***
 
Ares stava correndo a perdifiato lungo la via principale del villaggio olimpico quando Apollo, uscendo dal suo tempio, non lo bloccò per dirgli: “Spero tu sia qui per fermare quelle due. Non se ne può davvero più.”

“Non potevi fermare nostra sorella?” replicò Ares, accigliandosi immediatamente.

“Mettermi in mezzo a due donne, e per una cosa che non ho scatenato io?” lo irrise Apollo. “Fossi matto. Sbrogliala tu, questa matassa.”

Ciò detto, rientrò nel suo tempio insieme a un insulto di Ares che, ancor più corrucciato, borbottò: “Deimos, Phobos, andate a bloccare quelle due mentre io vado a prendere il necessario per calmarle.”

I due figli apparvero nelle loro nere livree di dèi della battaglia, le enormi ali ad allungare ombre oscure sopra il capo del padre.

“Mamma ci sbranerà vivi, se ci mettiamo in mezzo” protestò Phobos, svolazzando titubante intorno al padre e già pronto a darsela a gambe.

“Per essere la Paura personificata, sei un dannato fifone” ringhiò Ares, allungando il passo e fissando disgustato il figlio.

“Sono previdente, ecco tutto” scrollò le spalle il figlio, sparendo in una nuvoletta dorata.

Ares fissò esterrefatto il punto in cui il figlio era svanito senza altre spiegazioni e, dopo aver smoccolato a gran voce, scrutò Deimos, che era stranamente rimasto, e disse: “Immagino che tu mi aiuterai, allora.”

“Ne approfitterò per chiedere ad Artemide di uscire, tutto qui. Alla mamma penserai tu. Io sto ben lontano dai suoi artigli” ironizzò Deimos, involandosi verso il tempio di Artemide.

Ares, allora, smoccolando un altro po’ all’indirizzo dei due figli irrispettosi, si fermò nel magazzino delle armi di Efesto e, senza chiedere il permesso, prese per sé una delle reti di Artemide, capace di bloccare uomini e dèi.

Ciò fatto, si trasmutò nei pressi del tempio di Artemide – era impossibile trasmutarsi all’interno di qualsiasi edificio olimpico, ma solo all’esterno – e, quando riprese corporeità, grugnì: “Ma perché hanno fatto le corde vocali alle donne?”

Gli strepiti erano così forti, nei pressi del tempio, che era quasi impossibile udire altro rumore a parte il loro gracchiare e urlare imprecazioni.

Da quel che poteva sentire, inoltre, Deimos sembrava avere serie difficoltà a trattenere Artemide, che lo stava ingiuriando a male parole per la sua villania.

“Di male in peggio…” brontolò Ares, svoltando l’angolo per infilarsi nel bosco sacro ad Artemide.

Lì, infine, le trovò, avvinghiate tra loro e più simili a un polipo gigante, che a due donne adulte.

Suo malgrado, anche Deimos era finito invischiato in quella miscellanea di gambe e braccia e, a giudicare dall’aria sofferente, una delle due donne lo stava malmenando, o anche peggio.

Non potendo fare altro, Ares lanciò la rete e, come sommerse da un peso insopportabile, le tre creature divine vennero schiacciate a terra, finalmente separate tra loro e impossibilitate a muoversi.

“Liberami subito! Non hai il diritto di usare le mie reti!” gli urlò contro Artemide, inviperita.

“Non appena vi sarete calmate, signore, vi libererò. Per il momento, chiudete le vostre malsane boccucce e ascoltatemi” ringhiò per contro Ares, fissando malamente la dea della caccia e, subito dopo, Afrodite.

Notando finalmente come fossero conciate, e quali strascichi avessero lasciato le loro unghiate e i loro calci, Ares si chetò un poco e aggiunse: “Lascia che ti curi, agape. Non vuoi davvero che io ti dia il tuo regalo, così conciata, vero?”

“Un… regalo?” esalò Afrodite, illuminandosi tutta e calmandosi completamente.

Ares ghignò soddisfatto e annuì, sollevando poi cautamente parte della rete per liberare Afrodite.

Questa, balzò subito in piedi e lo abbracciò ma, memore del motivo dello scontro, si scostò l’attimo seguente per ingiuriarlo a male parole.

Lui la azzittì con un dito poggiato sulle labbra e, sorridendo malizioso, mormorò: “Sai che non mi intendo di feste umane, bimba mia… devi lanciarmi dei segnali, se vuoi che io ci arrivi per tempo.”

“Ma te li avevo lasciati!” protestò Afrodite.

“E cosa, di grazia?” volle sapere Ares, sinceramente confuso.

“I cioccolatini, è ovvio” sottolineò lei, piccata.

Ares si massaggiò pensieroso il mento, non ricordando affatto di aver mangiato cioccolatini, nei giorni precedenti a quel disastro.

Un dubbio, quindi, gli serpeggiò nella mente e, cominciando a irritarsi, lanciò un’occhiata a Deimos e ringhiò: “Tu e tuo fratello… nei giorni scorsi eravate a casa mia. Che avete combinato, mentre io ero da Dioniso per una bevuta?”

Deimos impallidì visibilmente e mormorò: “Io non c’entro. E’ stato Phobos a entrare nella tua stanza per rubarti la spada. Non sapevo che avrebbe preso anche dell’altro!”

“La mia spada?!” ringhiò furioso Ares.

“I miei cioccolatini!?” strillò nel frattempo Afrodite.

“Mamma, giuro, non c’entro nulla con i tuoi cioccolatini” si lagnò Deimos, tremando come una foglia.

“Più che Terrore, sei terrorizzato” lo prese in giro Artemide, fissandolo ghignante.

“Della mamma quando si infuria? Sempre” sottolineò Deimos. “E’ da lei che prendo ispirazione.”

“Buono a sapersi” sorrise melliflua Afrodite, e Deimos tremò.

Ecco. Sarebbe stata una di quelle volte.
 
***

Persefone lanciò un’occhiata esasperata al soffitto, quando gli strilli di Afrodite tornarono ad ammorbare l’aria con un sottofondo di insulti più o meno comprensibili.

Ade, a quel punto, rise di puro piacere e Atena, sbuffando contrariata, esalò: “Ma che combina, Ares? E’ così difficile dare una ghirlanda di fiori ad Afrodite?”

“Oh, gliel’ha data, e se ne compiace molto, visto che perde anche del tempo ad ammirarsi in ogni specchio disponibile. Il punto è un altro” ciangottò tutto soddisfatto Ade, ascoltando il rimescolio di voci che giungevano dal Monte Olimpo.

“E quale sarebbe?” domandarono in coro Atena e Persefone.

“Afrodite sta dando la caccia a Deimos e Phobos, rei di aver mangiato i cioccolatini che lei aveva regalato ad Ares” spiegò loro il dio, scoppiando in un altro accesso di risa.

Le due dee si fissarono basite quando, a sorpresa, una decina di nuvolette dorate comparvero sopra le loro teste.

Uno a uno, gli dèi olimpici comparvero nel regno dell’Oltretomba e Ade, avvicinandosi al fratello Zeus, che sembrava alquanto provato, ghignò divertito e domandò: “Ti sei auto-esiliato?”

“Ho pensato che potevamo fare una festa per Alekos. E’ un po’ di tempo che non ne organizziamo una, e gli altri si sono voluti accodare” tergiversò Zeus, salutando poi allegramente il nipote.

Ade sghignazzò e si limitò a dire: “Mando a chiamare Tisifone e le altre. Come band rock, non le batte nessuno.”

Zeus si dichiarò d’accordo e Atena, nel vedere il figlio così felice, non poté che rallegrarsi per quel piccolo cambio di programma.

Nel vedere tornare anche Ares, però, si sorprese non poco e, affiancatolo, gli domandò: “Ma come? Non sei rimasto per fermare Afrodite?”

“Fermarla? Per niente. Quei due traditori mi hanno cacciato in questo guaio, e loro pagheranno con un bel servizio total body fatto da mammina” ghignò Ares, tutto soddisfatto.

Sollevando un sopracciglio con aria evidentemente confusa, Atena esalò: “In che senso, scusa?”

“Credo che Afrodite abbia parlato di ceretta” le spiegò lui, prima di dare il cinque a Dioniso, già pronto a fare baldoria.

Atena, allora, fissò il soffitto con aria dolente e chiosò: “Poveri ragazzi.”







N.d.A.: visto che la storia di Atena era un tantino malinconica e triste, ho pensato che quella di Ares dovesse essere più pimpante e divertente. In ogni caso, se siete preoccupati per Atena e la sua felicità, ho già pensato a qualcosa per lei.
Per ora, spero che vi siate divertiti a leggere queste avventure. 
  
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