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Autore: KiraAuditore_    21/01/2019    1 recensioni
Napoli, 1945
Finalmente la guerra è finita e il mondo può fare un sospiro di sollievo.
Ma non Lovino, che sta aspettando disperatamente un certo soldato spagnolo, di ritorno dal fronte...

"Lovino, lo so che è una richiesta egoista e irrispettosa... Ma possiamo pensare domani a tutte le cose brutte e terribili che ci sono
successe? In questo periodo ci ho pensato anche troppo... E adesso voglio concentrarmi solo su di te..."

[Spamano|Accenni di Gerita]
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Napoli, Dicembre 1945

Lovino camminava nervosamente avanti e indietro per tutto il binario della stazione.

Possibile che questo fottuto treno non arrivi mai?

Si passò la mano tra i capelli una, no, due volte, cercando di distrarsi (inutilmente) e di non pensare a quel dannato treno. 
Era così tanto nervoso che Feliciano, suo fratello, appoggiato ad una colonna vicino a lui, non ce la fece più. Sospirò e gli si avvicinò di un passo, stanco di vedere l'altro così in ansia.

-Cavolo Lovi, calmati! Il treno arriverà, non c'è bisogno che ti agiti così tanto...

Lovino si fermò di colpo e lo fissò, sbattendo velocemente le palpebre. Annuì ed abbassò lo sguardo, fissando gli anfibi neri ai propri piedi. Feliciano aveva perfettamente ragione, il treno sarebbe passato a momenti, era inutile farsi prendere dal panico.

Ma e se avesse sbagliato binario?
E se ci fosse stato un cambio di programma?
E se ci fosse stato un incidente?

Cercò di calmarsi, facendo un grosso respiro e tentando di scacciare quegli sgradevoli pensieri. Si mise sulla difensiva nel rispondere al fratello.

-Tanto per te è facile, non hai ansia. Il crucco è già riuscito a scappare da Berlino...

Feliciano spalancò gli occhi, colto di sorpresa e si mise le mani sui fianchi. Aggrottò le sopracciglia e rispose, esasperato.

-Sì, ma lo sai benissimo anche tu che Antonio è un mio caro amico! Sono agitato anche io, ma è esagerato esserlo così tanto!

Lovino non controbattè. Si limitò ad incrociare le braccia e girarsi di lato, guardando di nuovo in basso. Poco dopo, di nuovo nervoso come prima, strofinò le mani sudate sui pantaloni marroni.

-Secondo te mi riconoscerà?

Glielo chiese in un sussurro, avendo leggermente paura della risposta.
Feliciano alzò sorpreso entrambe le chiare sopracciglia e con un piccolo sospiro e un bel sorriso si mise di fronte a lui, appoggiando le mani sulle sue spalle.

-Ascolta Lovi... Sono passati cinque anni... Tu sei cresciuto e anche lui... Ma sono certo che vi riconoscerete subito...

Lovino annuì, guardando ancora giù, cercando di convincersi delle parole del fratello. Sentì le calde mani di Feliciano togliersi dalle sue spalle e i suoi passi allontanarsi.

Alzò lo sguardo su di lui e lo trovò improvvisamente più maturo, come se non se ne fosse mai accorto, ma lo avesse realizzato solo in quel momento.

Si era appoggiato di nuovo alla colonna, teneva le braccia incrociate e fissava il binario, pensando a chissà cosa. Aveva una giacca corta marrone chiaro e dei pantaloni di un marrone leggermente più scuro e degli anfibi neri, uguali a quelli di Lovino.

Non c'era traccia di barba sul suo viso, ma aveva gli zigomi molto accentuati. il volto manteneva dei tratti fanciulleschi, ma erano combinati perfettamente con dei nuovi tratti da uomo. E poi la luce nei suoi occhi era completamente diversa da quando Lovino lo aveva lasciato e se ne era andato in guerra, cinque anni prima: allegra come sempre, ma più matura, più rigida.

Feliciano non conosceva gli orrori della guerra. Il terrore di poter morire in qualsiasi momento, la paura di non poter rivedere per un'ultima volta i propri cari, il disorientamento e lo shock quando si vede i propri compagni morire sotto i propri occhi e si sa benissimo che non si può fare nulla per loro, se non andare avanti.

Nel 1940, quando l'Italia era entrata ufficialmente in guerra, il nonno era riuscito a non farlo partire per la leva obbligatoria, sfruttando il fatto che non avesse raggiunto i diciotto anni, al contrario di Lovino.

Ma Feliciano sapeva benissimo a cosa portasse la guerra. Lo aveva visto negli occhi blu cielo di Ludwig, la persona che amava di più al mondo.

Già, Ludwig.

E pensare che all'inizio Feliciano ne aveva paura...

Il minore aveva accettato subito di amare il tedesco e poco dopo, anche Ludwig stesso.

Il nonno aveva cercato di dissuaderlo, perché a nessuno piace le persone dello stesso sesso, perché probabilmente era solo una fase, perché era terribilmente sbagliato. Feliciano, il giorno in cui ebbero una grossa discussione, gli aveva risposto, con le lacrime agli occhi:

-Che cosa c'è di male nell'amare?

Il nonno non aveva risposto, senza parole.

Lovino venne a sapere l'accaduto via lettera, mentre era arrivato quasi a fine dell'addestramento. Quando l'aveva letta, aveva sentito il cuore sprofondargli nel petto.

Anche Feliciano era come lui, ma al contrario del fratello, Lovino aveva il terrore che qualcuno lo potesse venire a sapere.

Solo quando era tornato a casa, si era fatto coraggio e si era deciso a dirlo.

Da quel momento, gli unici che sapevano di quel "segreto" erano Feliciano, il nonno (che alla fine li aveva accettati entrambi, anche se con una leggera riluttanza) e Antonio, ovviamente.

Dopo quella lettera, Lovino ne era ormai certo: il vero fratello maggiore nella loro famiglia era Feliciano.

Si voltò, riprendendosi da quei pensieri e guardandosi intorno. Nella stazione c'erano tantissime persone, principalmente donne e bambini, che stavano guardando anche loro verso sinistra, da dove sarebbe poi arrivato il treno. 
Anche loro aspettavano qualcuno.
Chi un figlio, chi un amante, chi un padre, chi un marito.

Notò una madre che stringeva a sé il figlio di neanche dieci anni; un'altra teneva la mano ad una bambina magrissima; una coppia di signori anziani teneva un rosario in mano e mormoravano a fior di labbra delle preghiere.

Lovino si morse il labbro nel vedere tutte quelle persone. Sperava con tutto il cuore che tutti avrebbero rivisto chi volevano.

Spostò lo sguardo sui binari davanti a sé.

Ne era quasi certo: il treno che sarebbe arrivato era pieno di soldati che tornavano dal fronte. Lo aveva sentito da Emma, l'infermiera belga che lo aveva soccorso immediatamente quel giorno in guerra.

Rialzò lo sguardo sulle persone. 
Molto probabilmente qualcuno di loro avrebbe riabbracciato i propri cari. Qualcun'altro sarebbe scoppiato a piangere, come avrebbe fatto lui, nel sapere che invece la persona che aspettavano non sarebbe più tornata, morta durante la guerra.

E se Antonio fosse morto?

Lovino scacciò immediatamente il pensiero, scuotendo la testa.
Non era possibile, Antonio glielo aveva promesso che sarebbe tornato e lui si fidava ciecamente dello spagnolo.
L'italiano guardò l'anello d'argento che portava all'anulare della mano sinistra.

Lo baciò. 
Sarebbe tornato, in qualche modo.

Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e per un momento credette che fosse davvero Antonio. Si congelò sul posto e si voltò a vedere il viso dello spagnolo, con un leggero sorriso, che gli morì sulle labbra subito dopo.

Non era lui, era semplicemente Feliciano.

Con uno sbuffo, Lovino incrociò le braccia e lo guardò.

-Che c'è adesso?
-Lovi, sta arrivando il treno...

A quelle parole Lovino si voltò immediatamente. Effettivamente vedeva in lontananza una macchia nera che si stava avvicinando lentamente. Del fumo iniziò a spuntare dalla cima della macchia. Le persone iniziarono ad avvicinarsi al marciapiede della stazione, alimentate da un'incontenibile speranza, la stessa che stava provando anche Lovino.

Un sorriso comparve sul suo volto.

Poi, si guardò. Era spettinato, sembrava che un uragano lo avesse travolto in pieno. Respirando affannosamente, prese a sistemarsi velocemente, passando le mani sul lungo cappotto marrone che gli arrivava al ginocchio e togliendo tutto il possibile sporco. Poi si sistemò i capelli ormai spettinati, tentando inutilmente di rimetterli a posto.

Sentì la risatina del fratello alle sue spalle e si girò per un momento verso di lui per guardarlo male.

-Smettila di ridere...
-Beh, sembra che tu ti stia preparando per un appuntamento galante, piuttosto che per rivedere Antonio...
-È solo che voglio farmi vedere decentemente...

Feliciano ridacchiò ancora e Lovino gonfiò le guance offeso, incrociando le braccia.

Anche tu sarai stato in ansia prima di rivedere il crucco, quindi parla per te...

Tornò a fissare il treno, trovandolo a pochi metri di distanza dal marciapiede.

Tutta quell'attesa lo stava facendo impazzire.

Il treno, con un grosso fischio e un fastidioso stridio si fermò.

E dai... Aprite queste cazzo di porte!

Dopo pochi secondi che a Lovino sembrarono ore, le porte si spalancarono, riversando sul marciapiede centinaia di soldati.

Lovino poté notare che molti erano ansimanti, alcuni cercavano tra la folla i propri cari, altri abbracciavano forte la loro famiglia.

L'italiano notò la coppia di anziani di poco prima che stringeva tra le proprie braccia un alto ragazzo, che non doveva avere più di vent'anni.

Notò come tutti i soldati avessero gli occhi spalancati, increduli di essere veramente sopravvissuti e devastati al ricordo dei propri compagni morti.

Si alzò sulle punte (dannazione, era troppo basso!), cercando di scorgere tra la folla che lo investiva e ogni tanto lo spintonava, il suo spagnolo.

Perse di vista Feliciano.
Probabilmente era andato ad aspettarlo fuori, vista tutta la gente.

Si guardò intorno, cercando di vedere i capelli castani mossi e gli occhi verdi smeraldo dello spagnolo.

Niente.

Provò a chiedere in giro, ma sembrava che nessuno lo avesse visto. I soldati non avevano neanche capito chi fosse, per non parlare delle altre persone.

Ancora niente.

Lovino sentiva una morsa che dal petto gli stava iniziando a stringere la gola.

Antonio... No, non è morto... Non può essere morto... Me lo aveva promesso...

Il panico stava crescendo velocemente in lui e lo stava portando velocemente verso una crisi isterica.

Antonio, dove cazzo sei?!

Vedeva tutto appannato, le lacrime gli stavano offuscando la vista. Le ginocchia iniziarono a cedere. Il cuore stava sprofondando negli abissi con lui.

Lovino sarebbe caduto per terra, piangendo e urlando, se qualcuno non gli avesse gentilmente preso il polso, tenendolo in piedi ed evitando la caduta verso un vero e proprio attacco di panico.

Si voltò, già pronto ad urlare contro alla persona che lo stava tenendo.

Spalancò gli occhi.
Le parole non uscirono mai dalla sua bocca.

Verde. Verde. Solo verde.

C'era quel verde.
Quello per cui stava quasi per avere un attacco di panico.

-Antonio...

Gli occhi si riempirono di lacrime di nuovo, ma questa volta di gioia. Il cuore ritornò a posto e iniziò a battere forte. Sentiva i suoi battiti contro la cassa toracica.

Un sincero sorriso apparve sulle labbra dello spagnolo.

-Lovinito...

Quel soprannome che Lovino tanto odiava, ma alla quale aveva fatto ormai l'abitudine, gli sembrò improvvisamente stupendo. Gli era mancato tantissimo sentirlo uscire direttamente dalle labbra dello spagnolo.

Lovino si lanciò tra le braccia dello spagnolo, avvolgendo le sue braccia attorno al collo, mentre Antonio gli accarezzava la schiena e lo stringeva a sé.

In quel momento non gli interessava della società, di quello che le persone avrebbero potuto pensare. Se fosse stato rinchiuso in un manicomio, almeno avrebbe potuto consolarsi pensando che aveva abbracciato per l'ultima volta l'amore della sua vita.

Sì, perché ormai ne era sicuro.
Antonio era l'amore della sua vita.

Sentiva qualche ciocca dello spagnolo sfiorargli la guancia e fece un grande sorriso, mentre le lacrime calde iniziarono a scorrere sulle sue guance. Affondò il viso nell'incavo del collo dello spagnolo e sentì l'odore di lui, odore che sapeva di sporco, guerra, orrore, ma anche di vita, gioia e sopratutto casa.

Riuscì a smettere di piangere prima che Antonio lo vedesse, anche se era certo che lo avesse capito. Quello spagnolo lo conosceva meglio di sé stesso.

Con gli occhi rossi, lo guardò ancora e sorrise. Non aveva mai sorriso così tanto in quegli anni senza di lui.

Anche Antonio aveva gli occhi lucidi per il pianto. Sembrava che dopo aver vissuto sempre nella paura e nel terrore, avesse finalmente ritrovato la pace e la serenità, almeno in parte.

Lovino aveva notato una scintilla diversa negli occhi dello spagnolo, dall'ultima volta che si erano visti: più triste, più consapevole di quell'orrore che è la guerra.

L'italiano si riprese, sentendo gli sguardi delle persone addosso a loro. Avrebbe voluto baciarlo lì, davanti a tutti, lasciare che le lacrime scorressero sulle loro guance per poi asciugarle insieme.

Ma non lo fece, perché in fondo, aveva ancora paura dei giudizi altrui.

Antonio gli stava fissando incessantemente le labbra. Dopo essere leggermente arrossito, lo spagnolo si era staccato delicatamente da quell'abbraccio.

Lovino lo osservò.

Da quanto tempo non lo vedeva arrossire in quel modo? Troppo, decisamente troppo.

Erano entrambi in imbarazzo, che però venne presto accantonato per lasciar spazio ad un enorme gioia.

I loro cuori erano finalmente tornati a battere insieme.

-Quanto tempo... eh?

Aveva chiesto lo spagnolo, con un sospiro.

-Troppo...

Lovino aveva risposto con un sussurro, abbassando lo sguardo.
I due sciolsero l'abbraccio, non smettendo mai di guardarsi.

Feliciano interruppe il momento, correndo verso Antonio e saltandogli addosso.

-ANTONIO! SEI QUI! SEI TORNATO! Sono così felice!!

Lovino adesso sentiva gli sguardi delle persone affilati come lame. Tutti gli occhi erano puntati su Feliciano, che non sembrava curarsene.

Antonio ricambiò forte l'abbraccio.

-Feli! Mi sei mancato muchisímo!

Era un abbraccio completamente diverso da quello con Lovino. Si vedeva che quei due fossero solo amici, al contrario di quanto successo con il maggiore dei due fratelli.

I due risero, si strinsero forte e Lovino sentiva la morsa della gelosia che lo stava lentamente soffocando.

Dai... È mio fratello... Non ho nulla di cui preoccuparmi... Lui ama il crucco...

Tentò di rassicurarsi, ma non poté trattenere un piccolo sospiro di sollievo quando i due sciolsero l'abbraccio.

Feliciano, sorridente battè le mani.

-Allora! Venite! Andiamo a casa di Lovi! Ti aveva preparato una stanza in cui puoi stare per ora!

Antonio annuì e guardò Lovino, che aveva incrociato le braccia e lo stava guardando male.

-Che hai da guardare? Anche io faccio qualcosa ogni tanto eh!

Lo spagnolo ridacchiò, scuotendo il capo.

-Lo so benissimo Lovinito.
 


 

Camminavano per le strade di Napoli, Feliciano in testa al gruppo mentre Lovino stava dietro, accanto ad Antonio. Lo spagnolo si guardava intorno stupito, passando lo sguardo sui quartieri completamente rasi al suolo dai bombardamenti e che ancora nessuno aveva iniziato a ricostruire.

Lovino pensava al nonno. A quell'ora probabilmente era sul divano della sua casetta appena fuori città a rilassarsi, ascoltando la radio.
Chissà a cosa stava pensando.
Non era voluto venire ad incontrare Antonio, a detta sua era troppo vecchio per poter sopportare tutte quelle persone, anche se Lovino non ci credeva molto. Comunque erano riusciti ad accordarsi per pranzare insieme il giorno dopo.

Adesso era pomeriggio inoltrato, ma faceva già buio. L'italiano vide Feliciano rabbrividire nella giacca. Per sua fortuna, il minore non sapeva che cos'era realmente il freddo. Essere vestiti con delle uniformi che d'inverno fanno congelare e d'estate fanno sudare.

Lovino stava bene nel suo cappotto, l'inverno di Napoli non poteva essere paragonato a quello sul Don.

Anche Antonio sembrava non soffrire per nulla tutto quel freddo.

-E così, Lovi... Sei sopravvissuto alla seconda battaglia difensiva del Don e ferito, stremato, sei stato riportato in Italia grazie a un'infermiera belga di nome Emma?
-Più o meno... Ho avuto fortuna ad essere stato portato via poco prima dell'ultimo attacco dei sovietici...

Lovino abbassò lo sguardo. Non voleva ripensare a quei giorni. A cosa sarebbe successo se non gli avessero sparato alla coscia, se non avesse sanguinato così tanto, se non avesse avuto Emma che aveva convinto i suoi superiori a riportarlo a casa.

Rabbrividì al pensiero e si morse il labbro fino a sentire il sangue in bocca.
Antonio, che si accorse dello stato dell'italiano, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse leggermente.

-Guarda il lato positivo! Hai rivisto la tua famiglia prima della maggior parte dei soldati!
-Sì...

Lovino aveva notato una leggera incrinazione nella voce dello spagnolo. Lui non aveva più nessuna famiglia. Si era trasferito dalla Spagna poco dopo il 1936, abitava a Guernica, ma quando avvennero i bombardamenti lui era per qualche giorno a Madrid, da un suo amico. Non rivide mai più né i suoi genitori, né suo fratello più piccolo.

Feliciano, che camminava allegramente, aveva intuito che il discorso si stava facendo pesante e cercò in tutti i modi di cambiare argomento.

-Sai Antonio, Lovi non vedeva l'ora che tu tornassi! Era così nervoso, avresti dovuto vederlo!

Rise di gusto e Lovino arrossì violentemente, affondando nel cappotto.

-Davvero? Aw, che tenero Lovinito!
-Fottetevi entrambi...

Lovino, ancora rosso, allungò il passo fino a mettersi in testa al gruppo, con le mani nelle tasche del giaccone. Guardava in basso e sentì che dopo qualche risatina, anche Antonio e Feliciano si erano zittiti.

-La città è stata ridotta proprio male...

Il commento di Antonio aveva una nota triste. Napoli era ormai la loro città, si era affezionato e vederla in quello stato doveva essere stato un colpo al cuore proprio come lo era stato per Lovino. Tutte le strade dove avevano camminato, i bar in cui avevano bevuto, i parchi in cui avevano riso come degli idioti, distrutti. Fu Feliciano a rispondere allo spagnolo.

-Sì... Hanno distrutto anche il quartiere in cui abitavi... Per questo Lovi ti ha preparato una stanza, così puoi stare da lui...

La guerra aveva distrutto anche il luogo in cui avevano passato la loro prima notte insieme. Di loro, a Napoli era rimasto pochissimo.

Lovino, con lo sguardo basso, urtò per sbaglio una ragazza che aveva un'aria completamente smarrita.
Si voltò verso di lei e mormorò delle scuse. La ragazza lo tranquillizzò e stava per continuare a camminare, quando si fermò, prendendolo delicatamente per un braccio.

-Ah! Ma tu sei Vargas, giusto? Ho visto una tua foto... Eri nell'ottava armata con Matteo... Matteo Giusti! Te lo ricordi? Eravate nella stessa divisione! Lui mi raccontava di te nelle sue lettere!

Lovino capì improvvisamente chi era la ragazza e si rabbuiò di colpo. Matteo era stato il suo unico amico. Mentre gli altri lo prendevano in giro per il suo fisico magrolino, il ragazzo dagli occhi color ghiaccio lo aveva sempre difeso. Era poco più grande di lui e aveva dei corti capelli castani.

Poteva sembrare un tipo serio, rigido (la prima volta che Lovino lo aveva incontrato si era spaventato tantissimo, credendo che volesse picchiarlo anche lui), ma in realtà aveva un grande cuore ed era la persona più gentile e generosa che avesse mai incontrato.

Era anche un tipo schietto, non usava alcun giro di parole. Infatti, spesso era anche terribilmente diretto con Lovino, dicendogli che era troppo magro, che era un piagnucolone e un codardo, ma l'italiano non riusciva a prendersela, perché poi gli regalava un sorriso luminoso quasi quanto quello di Antonio.

Era ancora vivo solo grazie a Matteo.
Quel ragazzo era morto per lui.
Mentre Lovino era caduto in una buca, scioccato e terrorizzato a morte, un soldato sovietico lo aveva visto ed era sceso anche lui lì dentro, prendendo la mira, pronto a sparare.

Lovino era ormai rassegnato all'idea che sarebbe morto lì, senza poter salutare Feliciano e il nonno e senza poter stare un'ultima volta con Antonio.
Aveva chiuso gli occhi e atteso una scarica di proiettili che però non era mai arrivata, se non per uno, che gli aveva colpito la coscia destra.

Quando spalancò gli occhi dal dolore aveva visto Matteo davanti a sé. Lo aveva riconosciuto subito.

Il ragazzo era sceso a salvarlo, morendo a causa del suo terrore che lo aveva immobilizzato. Lovino aveva abbassato lo sguardo sul suo corpo ormai a terra.
Era morto con il sorriso addosso.

Gli occhi gli avevano iniziato a pizzicare, aveva iniziato a vedere sfocato davanti a sé, con dei puntini che danzavano davanti ai suoi occhi. Poi la rabbia aveva preso posto prepotentemente in sé. Aveva preso il piccolo pugnale che teneva nella cintura e si era lanciato urlando contro il sovietico, che era almeno tre volte l'italiano.

Si ricordava benissimo delle mani sporche di sangue.
Lo tormentavano ancora la notte.

Matteo era anche l'unico, al di fuori della sua famiglia, che sapeva di Antonio. Quando glielo aveva detto, il ragazzo gli aveva dato una pacca sulla spalla.

"E così lo scorbutico Vargas si è innamorato eh?"

Il loro rapporto non era peggiorato, non aveva smesso di parlargli. Non lo aveva insultato e addirittura gli aveva raccontato della sua bellissima ragazza, Alessia, che viveva a Napoli e con la quale si sarebbe sposato non appena fosse tornato dalla guerra.

Quando poi Lovino era tornato, ferito, stravolto e incredibilmente stanco, si era promesso di cercare questa Alessia, senza alcun risultato.
Aveva fatto tutta Napoli a piedi con le stampelle, cercandola, e adesso ce l'aveva davanti a sé.

Aveva immaginato tante volte quel momento, ma non era mai riuscito a trovare le parole giuste.
Dopo un momento in cui la ragazza lo aveva guardato confusa, Lovino alzò lo sguardo su di lei.

-Mi ricordo di Matteo... Era una persona eccezionale... ed è morto salvandomi la vita... Senza di lui non sarei qui... Lui... ti amava... ti amava da morire...

La ragazza mentre lo ascoltava iniziò a piangere e con le guance rigate dal pianto, iniziò anche a singhiozzare.

-Lo amavo anche io da morire... Noi... Noi dovevamo sposarci... E... E ora? Io... Almeno... Sono contenta... Che abbia salvato una vita...

Alessia ringraziò velocemente Lovino e scappò via piangendo.
L'italiano, con lo sguardo basso e senza dire nulla continuò a camminare.
Antonio e Feliciano, che non sapevano nulla di quella storia, ma avevano intuito che era un argomento delicato, non avevano più parlato.

Lovino camminava a passo svelto, desideroso di arrivare il prima possibile a casa per stare finalmente con Antonio. Non voleva più pensare alla guerra, a Matteo, al sovietico, voleva solo perdersi negli occhi di Antonio e basta.

Sentì qualcuno dietro di sé, che gli afferrò la mano dolcemente e gli baciò la guancia. Stordito e completamente rosso, si voltò e vide Antonio accanto a lui.

-Idiota! Ci vedranno!
-Ma dai! Siamo solo due persone che si amano!

Lovino non aveva risposto subito.

-Vai a farti fottere.

E aveva continuato a camminare più veloce, non lasciando la mano ad Antonio.
Feliciano, che da dietro li osservava, ridacchiò con delle piccole lacrime agli occhi.

 


 

La casa di Lovino era abbastanza grande. Era in un quartiere che per fortuna era quasi completamente intatto. Aveva due piani; al pian terreno, la cucina, con un tavolino e delle sedie in legno chiaro e un piccolo salotto, con una radio e un divano in pelle marrone.

Erano separate l'una dall'altra da un arco che faceva da entrata alla cucina. Alle pareti c'era di tutto: quadri e foto, soprattutto. Sia in cucina che in salotto c'erano delle grandi finestre, che illuminavano entrambe le stanze.

Salendo delle scale in legno, in fondo alla stanza, si arrivava al piano di sopra, dove ai lati di un piccolo corridoio c'erano tre porte, due da un lato e una dall'altro. Nelle due porte c'era la camera di Lovino e quella degli ospiti, mentre di fronte c'era il bagno. Inoltre la camera di Lovino (che era anche la più grande), si affacciava su un piccolo balcone.

Lovino sapeva che ad Antonio piacevano le case luminose, quindi oltre che a pulire tutto con moltissima cura, aveva tirato le tende, lasciando entrare la luce del sole nella casa.

Appena entrati, Feliciano annunciò allegramente:

-Dunque, io vi lascio soli! Mi raccomando, andateci piano, non rompete nulla e Lovi non urlare troppo che poi ti manca la voce... Io vado, ciao ciao!

Li aveva salutati velocemente, lasciando un bacio sulla guancia ad entrambi, per poi uscire velocemente nell'aria di Napoli per chissà dove.

Lovino non aveva avuto neanche il tempo di rispondergli a tono. L'unica cosa che era riuscito a fare era arrossire violentemente.

Antonio, leggermente rosso e colto di sorpresa anche lui, si era ripreso più velocemente dell'italiano e lo aveva visto. Lo aveva preso in giro, come faceva sempre quando erano insieme:

-Lovinito! Ma che carino! Sembri un pomodoro!
-Ma vaffanculo, bastardo!

L'italiano aveva gonfiato le guance, per poi togliersi il giaccone, restando con un largo maglione di lana nero.
Antonio invece, non si era tolto nulla.
Lovino aveva alzato un sopracciglio.

-Guarda che puoi togliertela la giacca, l'appendi all'attaccapanni come ho fatto io...
-Si, yo lo sé pero...

Lovino lo squadrò e capì. Era completamente sporco di fango. 
Sospirò.

-Sali le scale... Nella porta a destra c'è il bagno... Ti ho preparato dei vestiti che spero siano più o meno della tua misura... Io starò qui ad aspettarti...

Antonio sorrise e annuì, baciandogli velocemente la guancia.

-Gracias, Lovinito!
-Prego...

Lovino aspettò tutto rosso che lo spagnolo salisse le scale, per poi andarsi a sedere sul divano. Aveva decisamente camminato troppo e le gambe, specialmente la destra, gli facevano male. Anche dopo un anno, la ferita continuava a dargli problemi.

Si allungò ad accendere la radio e cercò una frequenza dove trasmettessero qualcosa di decente. Trovò delle canzoni in inglese e si mise ad ascoltarle, anche se non ne capiva una parola. Poi era partita "Bella Ciao" e Lovino non aveva potuto fare a meno di canticchiarla, picchiettando a tempo sulla coscia sinistra.

Ad un certo punto, partì quella canzone. Lovino l'aveva riconosciuta subito. Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quella melodia così familiare.

Bésame, bésame mucho
Como si fuera esta noche la última vez

Non sentì i passi di Antonio che scendevano le scale e non lo vide entrare nel salotto. Si accorse di lui solo quando aveva già cominciato a cantarla.

Bésame, bésame mucho
Que tengo miedo a perderte
Perderte despues

Diamine se gli era mancata la sua voce. Quel suo accento così dannatamente marcato che rendeva ogni parola più melodiosa e sensuale. Lovino aveva sempre adorato sentirlo cantare.

Quiero sentirte muy cerca
Mirarme en tus ojos
Verte junto a mí

Lovino aprì gli occhi, osservando lo spagnolo cantare. Esisteva uno spettacolo più bello?
Antonio si avvicinò a lui e, ancora cantando, lo prese per mano, alzandolo dal divano. L'italiano non si tirò per nulla indietro. Gli era mancato davvero troppo, per avere la forza e il coraggio di spingerlo via.

Piensa que tal vez mañana yo ya estare lejos
Muy lejos de ti

Antonio strinse la sua mano in quella dell'italiano, mentre l'altra gliela metteva sulla schiena, facendo aderire i due corpi. Lo spagnolo era così dannatamente caldo...

Bésame, bésame mucho
Como si fuera esta noche la última vez

Ormai Antonio gli stava sussurrando le parole della canzone all'orecchio, come se fossero una ninna nanna. Lovino rabbrividì e arrossì di più. Cavolo, da quanto tempo era che lo spagnolo non gli sussurrava all'orecchio in quel modo?

Bésame, bésame mucho
Que tengo miedo a perderte
Perderte despues

I due ballarono lentamente, cullati dalle note della melodia. Quando piano piano, la voce si dissolse e pure la melodia, Lovino aveva entrambe le mani sul petto dello spagnolo, che lo teneva a sé per la vita.

Aveva appoggiato la guancia sul suo petto, lasciandosi andare a quel contatto che gli era mancato da morire. Alzò una mano, giocherellando con delle ciocche dei capelli mossi dello spagnolo, che ridacchiò.

-Ti sono mancati proprio tanto i miei capelli eh, Lovinito...

Lovino non rispose, accennando a un sorriso e continuando tranquillo.
Antonio ad un certo punto si mise ad osservarlo, per poi avvicinarsi al suo viso. Lovino smise di giocare con i capelli dello spagnolo e lasciò scivolare la mano sulla sua spalla, lasciandola lì.

Ora si guardavano entrambi.
Ed entrambi fissavano un punto ben preciso del loro volto: le labbra.

Con una lentezza estenuante i due si avvicinarono, chiudendo gli occhi e annullando la distanza che li separava.

Era un bacio lento, avevano entrambi bisogno di sentire il sapore dell'altro dopo tanto tempo.
Antonio non era cambiato. Le sue labbra erano ancora morbide e carnose, come sempre.

Lovino, usando la mano di poco prima, gli accarezzò il collo e gli mise la mano tra i capelli, mentre inclinava la testa per approfondire il bacio. Il suo cuore stava battendo fortissimo ed era certo che anche Antonio lo sentiva, ma di sicuro per l'italiano non era un motivo valido per smettere.

Lo spagnolo, intanto lo aveva preso in braccio, tenendolo per le cosce e si era seduto sul divano con l'italiano a cavalcioni. Antonio si allungò dal divano, tenendo Lovino a sé e spense la radio. 
L'italiano intanto, preso dalla fretta di rivedere, di sentire di nuovo Antonio e il suo corpo, iniziò con fretta e foga a sbottonare la camicia bianca che indossava, mentre lo spagnolo accarezzava quel corpo che conosceva ancora a memoria.

Lovino era riuscito ad aprire la camicia ad Antonio e aveva iniziato a far vagare le mani sul petto scolpito.

Ad un certo punto si fermò.
Aveva sentito delle irregolarità sulla pelle che prima non c'erano.
Aprì gli occhi e lì abbassò, spalancandoli subito dopo.

Il suo petto era pieno di cicatrici.
Alcune erano solo dei segni bianchi, altre sembravano ferite appena ricucite.

-Antonio... Queste...?

Lovino sfiorò le cicatrici con gli occhi spalancati, come se appartenessero solo ad un brutto sogno.
Lo spagnolo esitò per un momento, ma poi si decise a rispondere, guardando in basso.

-Gli inglesi a El Alamein... Un gruppo ha rapito alcuni dei nostri... Io... E dei miei compagni avevamo organizzato un piano per liberarli... E ci siamo riusciti... Con qualche graffio...

L'italiano alzò entrambe le sopracciglia, gli occhi ancora spalancati. Con l'indice aveva iniziato a sfiorare tutte quelle cicatrici.

-Qualche graffio? Ti... Ti sembra poco?!

Che cosa ti hanno fatto... Bombe? Coltelli? Proiettili?

Lo spagnolo sfoderò un leggero sorriso e quando parlò sembrò quasi sul punto di piangere.

-Lovinito... Ormai è passato... io sono vivo e, cosa più importante, sei vivo anche tu...

Lovino osservò quelle ferite, perdendosi, mentre davanti a sé non vedeva più il petto dello spagnolo, ma quello di Matteo, pieno di sangue.

Sobbalzò e gli si appannò la vista. Guardò in basso e vide le sue mani sporche di sangue. Sotto di sé, il cadavere del sovietico, con gli occhi chiari ancora aperti.

-Io sono vivo... Ma Matteo no... E neanche quel soldato... Li ho uccisi... Li ho uccisi io...

Lovino si sentì improvvisamente pesante e sarebbe caduto a peso morto su Antonio, se lo spagnolo non lo avesse preso e tenuto per le spalle, fissandolo dritto negli occhi.

-Ascolta... Ho ucciso anche io... Più di due vite... Da quel momento le vedo sempre... Mi seguono come se fossero dei fantasmi, per ricordarmi che cosa ho fatto a loro e ai loro cari... Lovino, purtroppo è così la guerra... Non sei l'unico che si sente così e di sicuro non siamo gli unici che hanno ucciso...

L'italiano si era abbastanza ripreso e aveva ascoltato Antonio. Forse aveva ragione, ma quella sensazione che gli appesantiva il corpo e il cuore non se ne andava. Appoggiò la mano aperta sul petto dello spagnolo, guardando ancora una volta le ferite che la guerra aveva inflitto su Antonio.

Lo spagnolo poi mise la sua mano sinistra sopra quella dell'italiano. Lovino notò un anello d'argento infilato all'anulare, uguale al suo.

Un sorriso non poté non apparire sul suo volto.

Antonio sembrò notarlo, perché gli mise l'altra mano sulla guancia.

-Lovino, lo so che è una richiesta egoista e irrispettosa... Ma possiamo pensare domani a tutte le cose brutte e terribili che ci sono successe? In questo periodo ci ho pensato anche troppo... E adesso voglio concentrarmi solo su di te...

Aveva ragione.
Per quella sera non sarebbero stati il soldato Carriedo o il soldato Vargas, ma solamente Antonio e Lovino.
Due semplici persone che si amavano alla follia, nonostante tutto.

Lovino annuì chiudendo gli occhi e lasciò scorrere le lacrime sulle sue guance, singhiozzando. 
Stare così vicino a lui, sentire il suo calore ancora, dopo così tanto tempo, lo aveva quasi scordato.
E ora finalmente lo aveva vicino a sé.

Era un pensiero orribile, Lovino lo sapeva, eppure non faceva a meno di pensarlo.

Domani affronterò anche l'inferno se necessario, ma per ora, i miei problemi, i miei rimpianti non ci sono. Ora c'è solo Antonio davanti a me.

Lo spagnolo gli prese il viso con le mani, avvicinandosi delicatamente a lui, fronte contro fronte, con le labbra a sfiorarsi.
Parlò piano, ma Lovino, che aveva chiuso gli occhi, udì tutto benissimo, mentre un singhiozzo lo travolgeva.

-Lovi... Mi sei mancato da morire... Non è passato giorno in cui non abbia ripensato a te, a noi... Mi sono mancati i tuoi capelli con quel tuo strano ciuffo... Le tue adorabili lentiggini che ti spuntano sul viso in estate... Il tuo modo di chiamarmi bastardo, idiota coglione... Le risate, i gemiti o i sorrisi che tenti inutilmente di nascondere... Però Lovino, di lacrime in questi cinque anni ne ho viste troppe... Quindi... Quindi smetti di piangere...

Disse l'ultima frase in un sussurro, scosso da un tremolio nella voce. Anche Lovino prese il viso di Antonio tra le mani e sentì le guance bagnate e delle lacrime che stavano scorrendo sulla sua mano.

-Idiota... Stai dicendo così eppure stai piangendo pure tu...

L'italiano ridacchiò tra le lacrime, asciugando le guance di Antonio con i pollici, mentre lo spagnolo gli accarezzava il viso bagnato.

Poi Lovino, sorridendo dolcemente, lo baciò, beandosi della sensazione delle sue labbra morbide sulle proprie. Si staccò quasi subito, guardandolo poi negli occhi verdi smeraldo.

-Ora va meglio?
-Molto meglio, mi amor.

 


 

Il cambio dal divano alla camera da letto era stato piuttosto rapido.

Antonio si era alzato di scatto dal divano e tenendolo ancora per le cosce, lo aveva preso in braccio, appoggiandolo al primo pezzo di muro spoglio che aveva trovato. Sempre sorridendo lo aveva baciato più e più volte: sulla bocca, sulla fronte, sulla guancia; era poi sceso sulla mandibola e sul collo, lasciando qualche segno viola alla quale Lovino avrebbe pensato il giorno dopo. In quel momento non gli importava, essere baciato da Antonio dopo così tanto tempo, era la sensazione più bella che avesse mai sentito e solo quello occupava i suoi pensieri.

Era aggrappato a lui, con le gambe attorno al suo bacino e le braccia attorno al collo. Gli accarezzava i capelli castani costantemente, mentre si lasciava sfuggire dei gemiti.

Antonio, con il volto sul collo di Lovino, ghignò e glielo morse, beandosi del biccolo sobbalzo che causò all'italiano. Lo guardò e sorridendo innocentemente, lo baciò a stampo, ridacchiando mentre Lovino arrossiva violentemente.

-Vaffanculo...
-Daaai, lo so che invece ti piace...

Lovino non gli rispose, limitandosi a scuotere la testa e ridacchiare tutto rosso.

È ancora il solito idiota...

Antonio, non ottenendo risposta, mise un piccolo broncio, che Lovino trovò adorabile e senza neanche pensarci, lo baciò prendendogli il viso ancora umido tra le mani.

Lo spagnolo ricambiò il bacio, togliendolo dalla parete e camminando verso le scale, tenendo l'italiano stretto a sé. Barcollava leggermente e dovette appoggiare più di una volta una mano al muro per non sbatterci contro.

Non avevano mai smesso di baciarsi, neanche mentre lo spagnolo saliva la rampa di scale, rischiando di inciampare più volte. Fu Lovino ad aprire la porta di camera sua, allungando un braccio mentre Antonio gli baciava la mandibola.

E ora, stavano lì sul letto, uno sopra l'altro.

Lovino non poteva desiderare vista migliore.
Seguì l'istinto e gli prese il viso, strattonandolo verso di sé e catturandolo in un dolce bacio, che lasciò di stucco lo spagnolo.

Poi improvvisamente lo disse, in un flebile sussurro, ma che Antonio capì benissimo.

-Ti amo da morire...

Antonio spalancò leggermente gli occhi, che si riempirono di nuovo di lacrime, questa volta di gioia. Lovino lo abbracciò, tirandolo a sé fino a che lo spagnolo non si sdraiò sopra di lui, lasciandolo per un momento senza fiato. Aveva la testa nell'incavo del collo dell'italiano e il naso stranamente freddo gli sfiorava il collo, facendolo rabbrividire.

Lovino ebbe il sospetto che Antonio stesse piangendo di nuovo.

Sospetto che venne poi confermato quando, qualche minuto dopo lo spagnolo capovolse le posizioni, tenendolo per i fianchi e Lovino notò gli occhi rossi e lucidi.

Antonio gli mise le mani sulle guance e guardandolo negli occhi di quel colore che non aveva mai capito a pieno, mezzo verde e mezzo ambrato, gli rispose:

-Anch'io amor, tantissimo.
 


 

Lovino si svegliò nel mezzo della notte, preso da una fitta di dolore ai fianchi.

-Merda...

Aprì gli occhi controvoglia, desideroso solo di continuare a dormire, ma ormai il dolore lo aveva preso completamente, svegliandolo tutto insieme.

Sbuffò sonoramente, fermandosi poi ad osservare lo spettacolo, perché Lovino non sapeva come altro chiamarlo, davanti a sé.
Antonio stava dormendo, l'italiano sentiva i suoi respiri lenti e regolari.

La bocca era rossa e gonfia, per i continui baci e morsi che si erano dati, e leggermente aperta.
I capelli erano tutti scompigliati da quanto li aveva accarezzati e tirati.

Lovino sorrise leggermente.

È bellissimo.

Lo spagnolo lo stava abbracciandolo, tenendo una mano sulla sua schiena nuda e le gambe intrecciate a quelle dell'italiano.

Era passato così tanto tempo da quando avevano dormito così vicini, che per Lovino fu come se fosse la prima volta. Sentiva il battito del cuore aumentare, rimbombando nelle sue orecchie.

Una luce illuminava i contorni della figura di Antonio e Lovino pensò per un momento che in realtà lo spagnolo fosse un angelo. Si alzò leggermente, appoggiando un gomito sul materasso per reggersi. Era la luce della luna, proveniente dalla porta finestra a lato del letto e che colpiva in pieno viso Lovino.

L'italiano si maledisse mentalmente. Diamine, avrebbe dovuto tirare le tende.
Si mise a sedere piano, cercando di non fare troppo rumore, per non svegliare Antonio. Tolse il braccio che lo avvolgeva e si alzò, imprecando subito dopo.

-Cazzo... Che dolore...

Stette fermo in piedi per qualche secondo, prima di decidersi ad andare a tirarle. Mentre stava camminando, facendo delle smorfie per il dolore, Antonio mugolò, non sentendo più la presenza di Lovino vicino a sé. L'italiano lo osservò per un momento, sorridendo e scuotendo la testa. Poi ridacchiò e tornò sui suoi passi, mettendo tra le braccia dello spagnolo un cuscino.

Antonio sorrise dolcemente e lo strinse a sé.

-Idiota...

Lovino rise, leggermente rosso, e mentre si avviava verso la porta finestra rischiò di inciampare più volte nei vestiti che si erano tolti e che avevano lanciato via qualche ora prima.

Quando arrivò alla finestra però, notò la luna piena e ne rimase incantato. Non c'erano nuvole che la coprissero e si vedevano addirittura le stelle.
Lovino non vedeva un cielo così bello da numerosi anni.

Io ormai non ho sonno... Antonio dorme... Stare un po' fuori non mi farà male...

Si voltò e riprese i suoi abiti da terra. Si rivestì velocemente ed uscì sulla piccola terrazza nell'aria fredda.
La città era come addormentata, non c'era nessuno in giro e le luci erano tutte spente. Lovino non aveva la più pallida idea di che ore potessero essere.

Poi si appoggiò alla ringhiera e guardò verso l'alto. 
Gli piaceva pensare che Antonio fosse come il sole: pieno di vita, gioia, allegria, che con la sua vicinanza riscaldava il corpo e il cuore.

Lovino aveva sempre preferito il sole alla luna.
La luna sarà anche affascinante, ma non riscalda, è fredda e gelida.

E poi la luna gli ricordava la notte.

E la notte gli ricordava la guerra, gli agguati notturni, i turni di guardia pregando qualunque entità soprannaturale di salvarli, di poter tornare a casa.

Rabbrividì leggermente.
Era notte anche il giorno in cui Matteo era morto.
Si morse il labbro dal rimorso.

Lovino... Concentrati su altro adesso, per favore...

Guardò in basso.
La luce della luna rifletteva sull'anello d'argento, illuminandolo quasi.
Lovino sorrise.
Il giorno in cui Antonio glielo aveva regalato, più di cinque anni prima, è stato il giorno prima che entrambi partissero per la leva militare.

Era un pomeriggio di metà luglio. Si ricordava un gran caldo, i vestiti che aderivano alla pelle, il sole che batteva su loro due. Erano andati a fare una passeggiata insieme. Ognuno teneva le mani nelle tasche dei propri pantaloni, quel giorno c'erano troppe persone.

Con Antonio aveva camminato per tutta Napoli, senza che nessuno dei due dicesse nulla.

Che cosa si sarebbero potuti dire?
Addio? Arrivederci? Ciao?
La notizia dell'entrata in guerra dell'Italia non era stata inaspettava, già da tempo si parlava delle vittorie dei tedeschi, alleati italiani. Non sarebbe passato molto tempo, prima che anche la seconda potenza dell'Asse entrasse nella Seconda Guerra Mondiale.

Eppure, loro due avevano fatto finta di nulla. Avevano continuato a stare insieme e l'argomento della guerra era sempre rimasto in disparte, come se non li riguardasse. Non ne avevano mai parlato fino a quel giorno.

Lovino si ricordava benissimo quella passeggiata: l'unica senza risate, insulti o sorrisi.
Solo loro due e la strada.

Antonio quel giorno sembrava inquieto, come se avesse voluto dire qualcosa ma non sapeva come.
L'italiano aveva pensato che fosse per l'imminente partenza, quindi non gli aveva chiesto niente. 

Poi lo spagnolo aveva fatto un respiro profondo. Si era voltato verso Lovino e lo aveva preso per il polso, iniziando a correre. L'italiano, completamente confuso, lo aveva seguito, non capendo dove volesse portarlo.

Avevano corso per almeno una mezz'ora fino ad arrivare ai confini della città, uscendo e arrivando in un enorme campo.

Si erano lasciati alle spalle Napoli ed entrambi erano rimasti senza fiato.

Lovino si era piegato, appoggiando le mani sulle ginocchia e ansimando profondamente per lo sforzo, lo sguardo rivolto verso il basso.

Antonio aveva iniziato a frugare nervosamente nelle tasche dei pantaloni, tirando poi fuori una bustina in pelle marrone. Lovino lo aveva fissato allibito, non avendo ancora capito che cosa avesse in mente lo spagnolo.

-Cosa...

Aveva mormorato solo questo, ma si era zittito subito, appena Antonio aveva tolto dalla bustina due anelli d'argento.

L'italiano era rimasto a bocca aperta, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime per la commozione. Aveva sentito il suo cuore aumentare la velocità del battito.

Antonio poi si era schiarito la voce e aveva iniziato a parlare serio e deciso, con neanche l'ombra di un sorriso sul suo volto. Fissava Lovino negli occhi. L'italiano aveva deglutito, sentendosi leggermente a disagio per quello sguardo così penetrante che non gli aveva mai visto prima.

-Lovino... Pensavo che questo momento sarebbe arrivato tra qualche anno. La partenza... La guerra... Io speravo che avvenissero il più tardi possibile... Però, non è stato così...

Si era interrotto un momento e aveva rimesso in tasca la bustina di pelle, per poi tornare a fissare Lovino negli occhi.

-Io... sento che ci rivedremo ancora, non finirà qui la nostra storia. Non lo permetterò. Lovinito... Sin dal primo momento che ti ho visto ho sentito qualcosa di speciale. Qualcosa di unico, mai sentito prima... Conoscendoti, stando con te, ho capito che tu sei la persona più importante della mia vita. Io... Io ti amo Lovino. E per questo... voglio chiederti di... di voler stare per sempre con me, anche se saremo lontanissimi...

Lovino era rimasto a bocca aperta, non sapendo cosa rispondere. Non ci poteva credere. Aveva sentito bene? L'italiano era diventato felicissimo, aveva sentito il cuore esplodere dalla gioia.
Antonio però, aveva interpretato male quel silenzio e quello sbigottimento e aveva abbassato lo sguardo, mortificato.

-Forse ho esagerato... Sono stato troppo affrettato... Io ti chiedo perdono Lovino... Capisco che per te sia troppo pres-
-MA STAI ZITTO IDIOTA!

Lovino lo aveva interrotto, urlando e gettandogli le braccia al collo, annuendo mentre delle grosse lacrime gli rigavano le guance.

-SI CAZZO! CERTO CHE VOGLIO!

Allora lì era stato il turno di Antonio di rimanere a bocca aperta, per poi stringerlo in un forte e dolce abbraccio.

Entrambi in preda a lacrime di gioia, si erano infilati gli anelli a vicenda, per poi baciarsi sotto il sole cocente.

Lovino, dalla terrazza, voltò la testa verso quel campo che adesso era solo una landa scura e desolata.
I bombardamenti tedeschi avevano cancellato pure quel loro luogo speciale.
Con un grosso sospiro si voltò ad osservare il mare.

Ad un certo punto, due forti braccia lo avvolsero da dietro, insieme a un bel tepore.
Antonio.
Ricevette un bacio sulla guancia dallo spagnolo, che appoggiò la testa sulla spalla dell'italiano.

-Che ci fai qui fuori al freddo? Non vorrai mica prenderti un malanno...

Lovino scosse la testa, non distogliendo lo sguardo dal mare.

-Pensavo...

Antonio tolse la testa dalla sua spalla, spostandosi di lato e coprendo con la coperta che teneva sulle spalle anche l'italiano. L'altra mano, quella con l'anello, la teneva appoggiata alla ringhiera.

-E a che pensavi?

Il tono di Antonio era curioso, interessato, quasi come quello di un bambino. Lovino si voltò verso di lui e lo osservò. Si era rivestito anche lui e la coperta di lana che lo copriva, lo faceva sembrare quasi più piccolo. Lovino ridacchiò guardandolo. Lo spagnolo gonfiò le guance e lo spinse di lato con un fianco, ridendo subito dopo anche lui.

-Ehi! Ti ho fatto una domanda!
-Pensavo... Alla notte... Alla guerra... Al sole... a te... a noi...

Lovino abbassò lo sguardo, poggiando la mano con l'anello sopra quella di Antonio.

-Spero che almeno i pensieri su di me e su di noi fossero belli...

L'italiano gli strinse la mano, sorridendo dolcemente. 
Alzò lo sguardo, fissando Antonio.

Adesso i loro anelli brillavano alla luce della luna, insieme.

-Sì... Sì, lo erano.











Angolo dell'autrice:

Salve a tutti!
Questa è la prima fanfiction che pubblico su efp, spero vi piaccia! Non è la prima che scrivo, spero che piano piano riesca a pubblicarle tutte! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di questa fanfiction, quindi se vi va, lasciate una recensione! Spero di non aver fatto errori di battitura e che non sia sfociata nell'OOC con i personaggi.
La canzone che Lovino e Antonio ballano si chiama "Bésame Mucho" di Consuelo V
elázquez, anche se ci sono moltissime altre versioni (tra cui quella di Vera Lynn, che ho scoperto grazie a George DeValier).

Grazie mille a chiunque leggerà questa storia e a presto con una nuova!







 

   
 
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